Contrasti interimperialistici

(«il comunista»; N° 123-124; novembre 2011 - febbraio 2012)

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E' ben vero che l'URSS non esiste più, e dopo la sua implosione tra il 1989 e il 1991 una realtà ben diversa si è formata in quello che è stato dalla fine della seconda guerra mondiale, per 45 anni abbondanti, il cosiddetto "impero sovietico". Con la fine della seconda guerra mondiale era emersa evidente la strapotenza degli USA, che scalzarono definitivamente la Gran Bretagna dalla posizione di potenza imperiale globale, la Francia da potenza imperialistica europea di seconda grandezza, ed impedirono, uscendo vincitori dalla guerra, alla Germania e al Giappone di aumentare la rispettiva e già temibile potenza imperialistica formatasi tra la prima e la seconda guerra mondiale. La Russia sovietica, dopo aver sconfitto la rivoluzione bolscevica attraverso lo stalinismo e distrutte le potenzialità rivoluzionarie del proletariato internazionale, in Europa e in Cina, si è presentata al consesso dei briganti imperialisti mondiali come alleata determinante degli imperialisti anglo-americani in netto contrasto con l'imperialismo tedesco in Europa e con quello giapponese in Asia. L'URSS staliniana tradì tragicamente il proletariato russo e il proletariato internazionale che confidavano nell'Internazionale Comunista e nella rivoluzione bolscevica vittoriosa per una riscossa mondiale contro le forze del capitalismo imperialista e dei poteri preborghesi ancora diffusi in gran parte dell'Asia e dell'Africa; con la degenerazione del partito che fu di Lenin, lo stalinismo dette un colpo mortale al movimento rivoluzionario internazionale nel periodo storico favorevole alla rivoluzione proletaria, conducendolo verso obiettivi falsamente socialisti ma realmente borghesi, annientando le forze rivoluzionarie e comuniste in Russia e fuori di essa. La potente accelerazione impressa all'economia nazionale in senso industriale e capitalistico, ha permesso alla Russia di Stalin di presentarsi all'appuntamento con la guerra mondiale come una forza militare di grande rilevanza, pronta a coinvolgersi negli schieramenti di guerra dalla parte più conveniente per i suoi interessi nazionali: in un primo tempo accarezzando l'idea di una semi-neutralità grazie al patto di non aggressione tra il Terzo Reich e l'URSS, il noto patto Moltov-Ribbentrop dell'agosto 1939, dal quale ottenne una vera e immediata spartizione della Polonia, dei paesi Baltici e della Romania; in un secondo tempo, dopo che la Germania invase la Russia nel giugno del 1941, alleandosi con Francia e Inghilterra allo scopo di vincere la forza militare tedesca per poter avere mano libera nell'accaparrarsi i paesi dell'est europeo. Disegno che in effetti arrivò a conclusione, grazie soprattutto all'intervento in guerra degli Stati Uniti che avevano tutto l'interesse anch'essi di schiacciare la potenza tedesca in Europa e quella giapponese in Asia, per il quale scopo era decisiva l'alleanza con Mosca, ma nello stesso tempo avevano interesse ad arginare le mire territoriali dell'imperialismo sovietico in Europa che puntavano anche alle coste del Mediterraneo orientale.

La conclusione della guerra vide gli Stati Uniti vincitori assoluti e l'URSS, grazie alla sua immensa estensione nel continente euroasiatico, come la potenza che faceva da utile condomino nel controllo mondiale del proletariato e dell'Europa in cui si trattava di tenere sotto strettissimo controllo la Germania che, pur vinta, non si rassegnava ad essere domata. Quello che chiamammo condominio imperialistico mondiale USA-URSS, con la divisione del globo in zone di influenza, fruttò alla conservazione borghese e imperialistica 45 anni di pace imperialistica durante i quali il dominio imperialistico di entrambe le superpotenze si rafforzò, schiacciando in maniera sempre più pesante non solo il proletariato ma interi popoli. Ciò però non impedì che i contrasti tra di loro, inevitabili in regime capitalista nello stadio dell'imperialismo, si sfogassero al di fuori dell'Europa, in una serie interminabile di guerre locali intraprese direttamente o attraverso i poteri locali con quella che è stata chiamata "guerra per procura".

E' quel che l'articolo del 1957, che riproduciamo qui di seguito, ripreso dal nostro vecchio giornale di partito (1), mette in evidenza. Ciò che in particolare interessa nel riprodurre questo articolo è l'analisi dei contrasti interimperialistici. La potenza colonialista degli imperialismi britannico e francese ha subito un colpo mortale con l'entrata in guerra degli Stati Uniti; e per la Gran Bretagna questa sconfitta ha significato perdere il dominio, un tempo incontrastato, sui mari di tutto il mondo. Se la Germania, e il Giappone, con la sconfitta militare nella seconda guerra mondiale hanno subito un serio colpo  alla propria espansione imperialistica, la Gran Bretagna e la Francia, nonostante ne siano usciti dalla guerra "vincitori", hanno subito in realtà un colpo mortale ai rispettivi domini coloniali. La corsa del capitalismo americano all'egemonia economica e militare nel mondo doveva superare un importante ostacolo che poteva essere sì rappresentato dalle ambizioni imperialistiche di Germania e Giappone - due potenze capitalistiche ma non colonialiste come Inghilterra e Francia -, ma che in realtà trovava l'ostacolo maggiore proprio nelle tradizioni colonialiste dell'Inghilterra e della Francia: "Ogni lembo dei declinanti imperi coloniali che resta nelle mani dei governi di Londra e Parigi è una fortezza protezionista che si oppone alla penetrazione commerciale americana", si legge nell'articolo qui riprodotto. La corsa all'egemonia economica e militare nel mondo da parte americana non poteva raggiungere il suo fine se non "attraverso la liquidazione definitiva degli imperi coloniali e la conseguente creazione di nuovi Stati indipendenti, destinati per la loro arretratezza tecnica a trovare riparo nel grembo del capitale finanziario yankee".

Da questo punto di vista, gli interessi di Mosca e di Washington coincidevano, nel senso che la penetrazione commerciale e finanziaria del capitalismo nei paesi a quel tempo ancora molto arretrati - in Asia e in Africa - penetrazione che poteva esprimere con grande forza il dollaro ma non il rublo, aveva bisogno di abbattere le fortezze protezioniste del colonialismo britannico e francese; ma tale risultato, per Washington, non era conveniente ottenerlo in uno scontro militare diretto contro i propri alleati di guerra Gran Bretagna e Francia - decisivi nel controllo della pace forzata in Europa - ma poteva essere facilitato dal sostegno che la Russia dava alle lotte anticoloniali in Asia e Africa - spesso più a parole che nei fatti - provocate dalle crisi e dai sommovimenti sociali in quei paesi e dall'indebolimento reale del colonialismo tradizionale, conseguenti alla guerra mondiale appena terminata. 

Lungi da noi sostenere che le lotte anticoloniali, nell'epoca dell'imperialismo, erano soltanto il prodotto di manovre delle potenze imperialiste in contrasto fra di loro, e che perciò non dovevano essere considerate come un'occasione storica per il proletariato delle metropoli per aggredire le rispettive classi borghesi dominanti in un movimento rivoluzionario che avrebbe potuto far convergere sia la forza sovvertitrice dei popoli colorati lanciatisi contro l'oppressore coloniale che la forza sovvertitrice del proletariato delle metropoli contro la propria classe dominante. I moti nazional-rivoluzionari dei popoli colorati andavano sostenuti perché i comunisti sono sempre e comunque contro ogni tipo di oppressione e perchè aprivano nei paesi arretrati la strada alla formazione di un'economia moderna, indiscutibilmente capitalistica, ma che nello stesso tempo in quei paesi formava anche un proletariato moderno, il solo vero alleato del proletariato delle metropoli.

Mosca, al contrario, distrutta l'Internazionale Comunista e falsificato totalmente il programma rivoluzionario del proletariato mondiale, agiva esclusivamente per interesse capitalistico di potenza ed è per questo che contribuì direttamente allo strangolamento di ogni slancio rivoluzionario delle masse coloniali oppresse. In Egitto o in Algeria, in Indocina o in Corea, in Congo o in Palestina, la politica di Mosca, quanto quella di Washington, rispondeva esclusivamente agli interessi di potenza imperialistica. E mentre in Europa, l'equilibrio delle rispettive forze militari tra Usa e Urss otteneva una duratura pace, sebbene forzata - anche nei casi in cui a Praga nel 1948, o a Berlino nel 1953 o a Budapest nel 1956, lo scontro di interessi tra le due superpotenze sembrava potesse svilupparsi sul piano militare -, nel resto del mondo, e in particolare in Asia e in Africa, i contrasti tra i due imperialismi prendevano rapidamente la forma dello scontro militare sebbene non diretto, ma per "procura".

La situazione mondiale, dal 1957 e soprattutto dopo l'implosione dell'URSS, la riunificazione della Germania, l'attacco terroristico alle Torri Gemelle, le guerre in Iraq e in Afghanistan, e la grave crisi economica scoppiata nel 2007 negli Usa con effetti ancora perduranti in tutto il mondo, è cambiata parecchio. La Germania è l'economia più forte in Europa, il Giappone, nonostante le gravi crisi attraversate rimane la second aeconomia mondiale, la Cina ha sviluppato enormemente il suo poteziale capitalistico tanto da contrastare sia sul piano commerciale che su quello finanziario le potenze occidentali, India e Brasile stanno salendo nella scala delle economie più importanti del mondo e la Russia stessa, grazie alle sue gigantesche risorse minerarie e alla sua forza militare sempre temibile, sta recuperando posizioni. Gli Stati Uniti restano il paese imperialista più potente del mondo, ma non sono più i dominatori assoluti dei mari e dei cieli come lo sono stati per trent'anni dopo la fine dell'ultima guerra mondiale. Gran Bretagna e Francia, persi i rispettivi imperi coloniali e subita per decenni la supremazia americana, esprimono i propri interessi imperialistici nella posizione più da comprimari che da protagonisti, ma ciò non toglie che sono sempre paesi imperialisti e che i loro interessi entrano sistematicamente in contrasto con gli interessi di qualsiasi altro paese imperialista. Cosa che riguarda, in ogni caso, anche i paesi imperialisti minori, più deboli e più esposti alle variazioni anche marginali dei rapporti di forza.

 

 

 

Usa e URSS: Padroni-soci in Europa, avversari imperialistici in Asia e Africa

 

Gli avvenimenti succedutisi dalla fine della seconda guerra mondiale hanno provato a sufficienza che nessuna crisi scoppiata in Europa è valsa, per quanto violenta, a scardinare l’equilibrio di potenza esistente nel continente europeo. Il fatto che gli Stati dell’Europa siano divisi entro le opposte coalizioni militari del Patto Atlantico e del Trattato di Varsavia prova che le sorti del Vecchio Continente sono oramai nelle mani delle super-potenze che delle dette alleanze sono il centro motore: gli Stati Uniti e la Russia. Ne deriva che ogni mutamento nei rapporti tra gli Stati europei coivolge la politica estera dei governi di Washington e Mosca. Parrebbe quindi che fosse l’Europa il principale oggetto della lotta per l’egemonia che vede impegnate le potenze-leaders dei blocchi. Non esistono, difatti, in altre regioni del mondo alleanze militari che condizionino così direttamente la politica e la strategia di esse. Accade, invece, che i governi di Washington e Mosca riescano a digerire con relativa facilità proprio le crisi internazionali che hanno il loro epicentro in Europa.

Negli anni scorsi l’Europa è stata teatro di virulenti contrasti che è sembrato dovessero sfociare nella guerra generale. In qualche caso, come in quello del blocco di Berlino, parve che americani e russi stessero per misurarsi sul terreno della guerra. Poi la crisi si esaurì nel teatrale carosello aereo inscenato dall’aviazione americana di base nella Germania di Bonn. Ancora più gravi furono le ripercussioni del riuscito “putsch” degli stalinisti a Praga, Si trattò, infatti, della “satellitizzazione” della Cecoslovacchia, cioè di uno Stato dell’Europa orientale dove più tenaci erano le influenze occidentali. Ebbene, la stampa e il politicantesimo di mezzo mondo insorsero in blocco contro il “sopruso” russo, e il rumore durò a lungo, ma da parte degli Stati Uniti non venne nessuna iniziativa seria  nei confronti della Russia. La riconquista russa dell’Ungheria, infine, ha provato come gli Stati Uniti siano immobilizzati da una invincibile tendenza all’inerzia, allorché gli eserciti russi compiono operazioni repressive entro la linea di demarcazione della zona di influenza che Mosca si è tagliata nel corpo dell’Europa. Agendo a favore dell’Egitto aggressore-aggredito e del governo ultra-nazionalista e totalitario di Nasser, gli Stati Uniti si sono lanciati a capofitto nella organizzazione del corpo di polizia internazionale, riuscendo persino a far funzionare quella inutile e sonnacchiosa macchina burocratica che è l’ONU. Ma a favore dell’Ungheria aggredita e del governo filo-occidentale, o per lo meno neurtraleggiante, di Imre Nagy, zio Eisenhower non ha saputo far di meglio che disapprovare il ricorso alle armi dei rivoltosi ungheresi.

Dalla fine della guerra, assistiamo in Europa ad una serrata competizione politica tra le influeze americana e russa, ma in nessun caso, per quanto violenta e vasta fosse la crisi sorta di volta in volta, il duello politico-propagandistico si è trasformato in duello politico-militare. Al contrario, allorché il conflitto si è spostato in regioni extraeuropee, ne è seguito lo scontro armato. Gli Stati Uniti i quali assisterono impassibili, nel 1948, alla riduzione a satellite della Cecoslovacchia, che allora rappresentava il mattone mancante nell’edificio imperiale russo, due anni dopo, cioè nell’estate del 1950, dichiaravano guerra, a nome dell’ONU, alla Corea del Nord, e per essa alla Russia, pur di salvare il pericolante regime imperante nella Corea del Sud. Nello stesso tempo prendevano sotto la loro protezione lo sconfitto regime di Ciang-kai-scek, aprendo un periodo di aspra polemica con la Cina. Nella primavera del 1954, inoltre, furono ad un pelo dall’intervento militare in Indocina contro le armate di Ho-ci-min che investivano la piazzaforte francese di Dien-bien-fu. Ne furono distolti soltanto dalla ferma opposizione della Francia e dell’Inghilterra sempre pronte a rinverdire le tradizioni della “Entente cordiale” allorché si tratta di sbarrare la strada all’espansionismo americano nelle colonie, o nelle ex-colonie.

L’atteggiamento americano di fronte alle crisi internazionali, come gli avvenimenti provano, cambia a seconda che teatro della crisi sia l’Europa o l’Asia e l’Africa. Il dipartimento di Stato ha due politiche diverse nei confronti dell’aggressore, a seconda che questi si incarni nel governo di Mosca o in quello di Londra, oppure in quello di Parigi. Di certo c’è che in tutti i casi di “aggressione” di cui si siano resi responsabili, in questo decennio, gli Stati dell’Europa, il governo di Washington ha condonato e messo nell’oblio i “reati” di Mosca, ma ha esigito inesorabilmente che Londra e Parigi pagassero. Ha chiesto e imposto che pagassero nell’Iran, in Marocco, in Tunisia e finalmente in Egitto. Di converso, ha considerato irreversibili i mutamenti prodotti in Europa dalle conquiste belliche e post-belliche della Russia. L’apparente paradosso della politica americana vuole che l’aggressione venga perdonata al nemico e fatta pagare agli amici. Perché ciò possa accadere, occorre che nelle politiche estere degli Stati Uniti e della Russia, che pure sono divisi dalla lotta per l’egemonia mondiale, esistano interessi convergenti e obbiettivi comuni. Tale affermazione sarebbe del tutto ovvia se ad essa non si opponesse, da parte della stampa filo-americana, il decantato desiderio di pace del governo americano. Infatti, ogni volta che il governo americano reagisce passivamente, cioè oratoriamente, alle imprese brigantesche della Russia, la stampa atlantica tira fuori la tesi secondo la quale l’atteggiamento della Casa Bianca sarebbe motivato dalla necessità di salvare la pace. Anche durante il “raid” delle divisioni corazzate russe contro Budapest abbiamo letto sulla stampa filo-americana che una politica di intervento americano nella guerra civile di Ungheria avrebbe provocato lo scoppio della terza guerra mondiale.

La verità è invece che la riconquista russa dell’Ungheria ha salvato interessi e preservato una politica che riguardavano l’imperialismo americano, oltre naturalmente quello russo.

Cosa autorizza a pensare che un intervento americano a favore degli insorti ungheresi avrebbe acceso automaticamente le polveri della guerra mondiale? Il fariseismo dei governanti americani non poteva escogitare una scusa meno fallace volendo giustificare il mancato aiuto al partito antirusso di Ungheria, aiuto che per lunghi anni era stato promesso dalle stazioni radio che trasmettono propaganda americana per le “democrazie popolari”. Da quando l’imperialismo ha inventata la “guerra per procura”, nome moderno della guerra mercenaria, le grandissime potenze possono farsi benissimo la guerra, senza trascinare per questo il mondo intero nel conflitto. La guerra di Corea non fu in sostanza una guerra tra Stati Uniti e Russia? Orbene, se fosse vero che la guerra mondiale potrebbe scoppiare, non per lo scardinamento dell’equilibrio economico e militare mondiale, ma soltanto per il cedimento di un limitato settore dello schieramento di un blocco militare, allora il terzo conflitto mondiale avrebbe dovuto scoppiare in Corea. Ognuno, infatti, può vedere che, ben diversamente dall’Ungheria che è situata nel cuore del continente europeo, la penisola coreana è contigua al settore strategico russo – le coste che si affacciano sul Pacifico – che è maggiormente esposto alla potenza aero-navale americana. Si comprende agevolmente che agli Stati Uniti, usciti in guerra contro la Russia, riuscirebbe impresa più facile lo sbarco sulle coste siberiane che la marcia sulle frontiere russe attraverso l’Ungheria. Perché mai dunque, la Russia avrebbe scatenato in Ungheria la guerra generale che evitò in Corea?

La verità è che il sostanziale assenso dato dagli Stati Uniti alla riconquista russa dell’Ungheria, è in perfetto accordo con una delle linee maestre della politica mondiale del governo di Washington e precisamente con quella che prescrive per l’Europa l’assoluta fedeltà ai trattati di Yalta e di Potsdam. Dal punto di vista americano, la seconda soggiogazione militare dell’Ungheria non infrange lo spirito dei trattati di guerra, che sanzionarono la spartizione delle zone di influenza in Europa. Ritornando da padrone a Budapest, l’armata russa ha ripreso possesso di quanto, secondo i patti di guerra firmati da Roosevelt e Stalin, spettava all’influenza russa. Non per altra ragione gli americani si sono astenuti dall’ingerirsi nella questione. Ad onta delle violenze verbali degli uomini della Casa Bianca, gli Stati Uniti rispettano inappuntabilmente gli interessi russi in Europa. Altra cosa è la crociata contro il comunismo, in quanto dottrina e programma rivoluzionario del proletariato; altra cosa sono le relazioni internazionali tra Washington e Mosca. Certamente esiste un’aspra rivalità tra i due colossi, ma il duello russo-americano nel mondo ha per presupposto, per quanto ciò possa sembrare paradossale, il condominio russo-americano in Europa.

Una volta almeno la sotterranea intesa russo-americana a danno dell’Europa non ha funzionato. Ciò avvenne all’epoca della guerra civile di Grecia, e non certamente perché gli Stati Uniti cercassero di sgarrare. A tentare la trasgressione del tacito patto di condominio furono i russi, i quali pretesero di imporre il governo fantoccio di Markos in uno Stato che era stato “liberato” dalle truppe anglo-americane, e pertanto usciva dalla zona d’influenza russa. Del resto, tutta la politica russa in Europa si fonda permanentemente sul ricatto che Mosca tenta a danno degli Stati Uniti, i quali per poter svolgere i loro piani di egemonia mondiale hanno bisogno del concorso russo. E precisamente, hanno bisogno della potenza terrestre russa, che tiene le vecchie potenze dell’Europa occidentale in uno stato di irrimediabile inferiorità e le costringe a cercare riparo nel Patto Atlantico, lo stesso che dire sottomettersi al super-Stato americano. E’ facile comprendere che il governo di Mosca tenti di sfruttare al massimo, qualche volta facendo male i calcoli come appunto nel caso della guerra civile di Grecia, la sotterranea complicità che lo lega all’imperialismo americano.

Il fatto inoppugnabile che America e Russia superino con relativa facilità le crisi che scoppiano in Europa non si spiega che con la rigida spartizione dell’Europa entro blocchi militari a direzione americana e russa. Proprio perché esistono e si fronteggiano il Patto Atlantico e il Trattato di Varsavia, l’Europa non può essere materia di contesa. Qui, nel vecchio continente, in quanto a divisione delle zone d’influenza c’è il “tutto esaurito”. L’operazione di spartizione fu effettuata dagli eserciti marcianti da Oriente e Occidente verso Berlino, i trattati di guerra non facendo altro che sanzionare il fatto compiuto. Naturalmente, l’equilibrio odierno non torna a vantaggio degli Stati, grandi e piccoli, che ne fanno le spese. Non giova alle ancora grandi potenze, ma minori rispetto ai colossi imperialistici, come l’Inghilterra e la Francia. Non giova alle piccole nazioni, come l’Ungheria. Ma gli implacabili guardiani del “nuovo ordine” sancito a Yalta e Potsdam, non deflettono, dandosi reciproco appoggio. Accade, pertanto, che Mosca riporta le proprie armate, scacciate a furor di popolo, in Ungheria, ricevendo il sostanziale consenso degli Stati Uniti. E succede, per la stessa ragione, che Eisenhower, il nuovo protettore degli Stati arabi, scaccia il corpo di spedizione anglo-francese da Porto Said, potendo esimersi dal ricorso alla minaccia armata, poiché è Bulganin a farlo.

Ad onta delle frasi fatte che circolano sulla “solidarietà atlantica”, il maggiore ostacolo che il dollaro incontra sulla sua strada è rappresentato dalle tradizioni colonialiste dell’Inghilterra e della Francia. Ogni lembo dei declinanti imperi coloniali che resta nelle mani dei governo di Londra e Parigi è una fortezza protezionista che si oppone alla penetrazione commerciale americana. Non invano due guerre mondiali hanno consegnato agli Stati Uniti il dominio incontrastato degli oceani, cioè il mezzo con cui conquistare l’egemonia economica e militare nel mondo. Ma tale fine non può essere raggiunto altrimenti che attraverso la liquidazione definitiva degli imperi coloniali e la conseguente creazione di nuovi Stati indipendenti, destinati per la loro arretratezza tecnica a trovare riparo nel grembo del capitale finanziario yankee.

La storia di classe è un meccanismo spietato. Nella sua marcia irrefrenabile l’imperialismo del dollaro non può farsi largo che alla condizione di stritolare i suoi maggiori alleati politici.

La fine del colonialismo storico difatti non può che significare la degradazione dell’Inghilterra e della Francia. Ma ciò non turba minimamente la tracotante borghesia yankee.

La disgraziata avventura anglo-francese in Egitto ha mostrato come, nella disperata lotta per la sopravvivenza, l’imperialismo anglo-francese non trovi aiuto in alcun posto. Non potrebbe trovarne presso il governo di Washington per le ragioni dette, ma neppure presso il governo di Mosca, benché questi si ponga come l’unico oppositore serio all’espansionismo americano nel mondo. L’imperialismo russo non può permettersi di porre a repentaglio l’influenza che si è guadagnato nei paesi afro-asiatici con lo smercio dell’anticolonialismo voltandosi ad appoggiare gli interessi anglo-francesi. Un ipotetico blocco anti-americano tra la Russia e l’Inghilterra e la Francia sortirebbe certamente l’effetto di ostacolare  l’opera di sgretolamento condotta dal dollaro negli imperi coloniali francese e inglese. Ma quale vantaggio, capace di compensare la perdita di influenza attualmente goduta nei paesi afro-asiatici, verrebbe alla Russia? E’ chiaro che a Mosca andrebbero tutti i danni e alle capitali occidentali tutti i vantaggi. Necessariamente, pertanto, la politica di Mosca deve affiancarsi a quella di Washington ogni volta che si tratta di vibrare colpi demolitori al colonialismo. E’ appunto dai comuni interessi anti-britannici e anti-francesi, cioè dai comuni interessi anticolonialistici, che nasce e trae alimento il condominio russo-americano in Europa.

Un intervento americano a favore degli insorti ungheresi era una ipotesi astratta, dal punto di vista dei rapporti di forza fra le grandi potenze. La “liberazione” dell’Ungheria avrebbe segnato la fine dell’Europa come è uscita dalla seconda guerra mondiale, cioè dell’Europa come fu voluta al tavolo delle conferenze di guerra, dai vincitori del conflitto, cioè dall’America e dalla Russia. Lo sganciamento dell’Ungheria dal Trattato di Varsavia e la “desatellitizzazione” di Budapest avrebbe segnato la fine dell’equilibrio sancito a Yalta e Potsdam, vale a dire avrebbe ridato vigore all’Europa odierna, che divisa e disarmata, è alla mercè dei governi di Washington e Mosca. La ritirata degli eserciti russi dal territorio ungherese non avrebbe avuto l’effetto di rendere anacronistica la presenza delle truppe americane nell’Europa occidentale? Certo è che il governo britannico e quello francese, precipitandosi a far scattare la machina bellica contro l’Egitto proprio mentre gli insorti di Budapest costringevano le divisioni corazzate russe a ritirarsi, hanno provato di intendere la rivolta ungherese come un aspetto della rivolta dell’Europa contro il condominio russo-americano. Sbagliavano, però, i calcoli. E’ succeso infatti che gli Stati Uniti hanno dato una mano nella repressione della rivolta contro Mosca e la Russia abbia fatto altrettanto nella repressione della rivolta anglo-francese contro Washington. E ancora una volta l’alleanza USA-URSS di Yalta e Potsdam trionfava.

Il condominio russo-americano finché si esercita in Europa, funziona come un meccanismo di pace sia pure di pace forzata, in quanto impone un equilibrio di forze, al quale nessuna potenza europea è in grado di opporsi. La vergognosa ritirata, seguita ad ancor più indecorosa altalena di irrigidimenti e di capitolazioni, che gli anglo-francesi hanno effettuata a Porto Said, dimostra esaurientemente che, in avvenire e finché durerà la storica convergenza antieuropea dell’imperialismo americano e dell’espansione russa, ogni tentativo di revisionare l’equilibrio europeo è destinato a fallire. Ma il condominio russo-americano si trasforma in un diabolico ordigno di guerra appena tenta di trasferirsi fuori dell’Europa. Ma si è in diritto di parlare di condominio russo-americano in parti del pianeta, come l’Asia e l’Africa, le quali costituiscono l’oggetto delle opposte bramosie imperialistiche dei padroni-soci della Europa?

In precedenti articoli abbiamo cercato di dimostrare come il declino dell’Inghilterra, e per essa della vecchia Europa colonialista, sia cominciato dall’entrata degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale. La perdita della egemonia navale e, di conseguenza, del controllo delle grandi vie oceaniche da parte della Gran Bretagna andava a totale vantaggio della potenza statunitensae, che conquistava il primato mondiale in quanto a potenziale aereo-navale. La disintegrazione dell’Impero britannico, limitato attualmente alle arretrate colonie dell’Africa equatoriale e a non importanti arcipelaghi della Oceania, aveva inizio di lì. Il processo di decadenza imperiale britannica si è rivelato, in seguito, essere irreversibile. Oggi, la seconda potenza navale del mondo non è l’Inghilterra, ma la Russia.

Scrivemmo, inoltre, durante l’offensiva cinese contro gli arcipelaghi controllati dal governo separatista di Ciang-kai Scek, che la fase dello sviluppo storico alla quale è arrivato l’imperialismo dopo la seconda guerra mondiale  rende possibile, se non addirittura necessario, che la “terza Sarajevo” si situi in Asia. Di certo c’è che oggi il punto di maggior tensione nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia, e quindi il probabile focolaio di conflitti, è rappresentato dall’Asia. Non a caso le crisi esplose in Europa, anche le più violente, si sono esaurite in vari modi, ma in ogni caso al di fuori dello scontro armato tra americani e russi. In Asia, invece, le crisi hanno portato alla guerra, sia pure per interposti governi di paglia, tra i massimi esponenti dell’imperialismo. Ciò prova che il condominio russo-americano in atto in Europa è impensabile addirittura nei paesi afro-asiatici. In questa esplosiva parte del pianeta, America e Russia si fronteggiano ferocemente. Negli scorsi anni abbiamo assistito soltanto ai preliminari del gigantesco duello. Nelle scorse settimane lo scontro è entrato nel vivo con la fondamentale svolta che gli Stati Uniti hanno operato nei confronti dei paesi afro-asiatici. Messo nella necessità di scegliere tra l’Europa e i paesi afro-asiatici, a seguito della spedizione anglo-francese contro l’Egitto, il governo americano ha optato per questi ultimi. La decisione non sarà costata molto alla coscienza di Eisenwoer: tutto lascia credere che gli Stati Uniti attendevano da tempo l’occasione propizia per buttare a mare definitivamente il colonialismo franco-inglese e prendere sotto la loro alta protezione i nazionalismi afro-asiatici, salvando nello stesso tempo l’aureola di difensori della morale e del diritto di cui gli imperialisti di Wall Street amano fregiarsi. Ora il gioco è fatto: zio Sam ha adottato altri numerosi nipoti. Ma a questi ultimi sarà concesso di indugiare a lungo nei giochi del neutralismo che poi si riduce alla velleità di farsi adottare anche da zio Ivan?

Fino ad oggi la Russia ha ottenuto facili successi di parola, essendo unica a spalleggiare all’ONU i paesi afro-asiatici. Orbene, un rapido consuntivo ci avverte che il bilancio russo accusa un primo grave deficit. Sono bastate, infatti, poche votazioni americane a favore dell’Egitto e, in generale, dei paesi afro-asiatici, per indurre il Pandit Nehru, cioè il capo dello Stato asiatico che Mosca va disperatamente corteggiando da anni, a fare un clamoroso viaggio in America. I bombardamenti al napalm effettuati dall’aviazione americana contro le città e i villeggi coreani non avranno arrecato agli uomini del Cremlino lo stesso stringimento di cuore che li aveva assaliti, leggendo le cronache della superlativa accoglienza offerta da Eisenhower al capo dell’India. Nehru nella residenza presidenziale di Gettysburg deve avere fatto ai russi più paura che le armate del gen. Mac Arthur sullo Yalu. Nessuno più di loro infatti sa che per le affamate economie dei nuovi Stati asiatici e per i loro ambiziosi piani di sviluppo industriale, i miliardi di parole spese da Mosca non potranno avere lo stesso effetto dei milioni di dollari sonanti che la filibusta finanziaria di Wall Street si appresta ad erogare.

Nella corsa per la conquista finanziaria dei paesi afro-asiatici, i quali non chiedono del resto che di vendersi al migliore offerente, Mosca parte sconfitta. L’episodio del mancato finanziamento della diga di Assuan ha provato che le possibilità di esportare capitali finanziari sono molto limitate per Mosca. Se fosse vero il contrario quale magnifica occasione per Mosca sarebbe stata la situazione provocata dal rifiuto americano di cedere i capitali che Nasser chiedeva per la costruzione della diga! Tutto il mondo si attendeva che Mosca si faccesse innanzi e comprovasse con l’erogazione dei capitali richiesti dall’Egitto la sincerità della sua vocazione a farsi protettrice dell’Islam. Invece Mosca tacque.

La stampa russa e quella filo-russa, hanno commentato con malcelato dispetto e gelosia il riavvicinamento indo-americano. Il rafforzamento dell’amicizia tra i due paesi non promette nulla di buono per Mosca. Il duello con l’avversario americano che era rimasto alle avvisaglie registra adesso i primi fendenti, le prime stoccate. E’ chiaro infatti, che, tramontata l’epoca della conquista armata dei paesi “sottosviluppati” e della loro soggiogazione nelle forme del colonialismo storico, sta cominciando quella della conquista finanziaria. E tale svolto capita proprio in un periodo che trova l’impero paracoloniale russo in rivolta e la stessa macchina produttiva della metropoli in profondo disordine.

Condominio in Europa, conflitto senza esclusione di colpi in Asia e in Africa: ecco le linee maestre delle relazioni russo-americane nel mondo. L’evoluzione storica degli Stati Uniti e della Russia provano lampantemente come l’imperialismo non possa  garantire la pace al mondo. Alla pace forzata imposta all’Europa corrisponde l’accensione di formidabili focolai di guerre nelle altre parti del mondo. America e Russia non possono estendere al mondo intero il regime di condominio che hanno instaurato in Europa. Ne sono impedite, non dalla volontà dei loro dirigenti che conta niente, ma dalla enorme sproporzione di potenziale economico, e quindi militare, che le divide, imponendo all’una di tendere alla incontrastata egemonia mondiale e all’altra di opporvisi permanentemente.

 


 

(1) Vedi "il programma comunista" n. 1/1957

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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