Alcuni cenni sulla Siria (2)

Il dominio francese

(«il comunista»; N° 125; maggio 2012)

 Ritorne indice

 

(di questa serie, pubblicata nel nostro giornale in lingua francese “le prolétaire” n. 502, le prime due puntate sono uscite nel nr. scorso de “il comunista”)

 

Proseguiamo la pubblicazione del nostro studio dedicato al dominio francese sulla Siria (sotto forma di un “mandato” su questo paese che l’imperialismo tricolore francese si era fatto attribuire dalla Società delle Nazioni in virtù degli accordi fatti durante la guerra con il rivale-alleato britannico). Non è un caso se questo sanguinoso e sordido pezzo di storia è generalmente ignorato in Francia – come d’altra parte succede da noi per il dominio italiano sull’Etiopia, l’Eritrea, la Somalia e la Libia – o passato sotto silenzio come un episodio di scarso interesse.

Lo Stato francese, dall’epoca della Grande Rivolta del 1925, vi ha concentrato, come abbiamo visto nella parte precedente, fino a 50.000 soldati che fecero circa 6.000 morti fra i siriani mentre le perdite dell’esercito coloniale ammontarono a circa 2.000.

Una brochure di propaganda su “L’Opera francese in Siria e nel Libano”, pubblicata nel 1931, chiarisce crudamente le ragioni di questo impegno, mostrando che l’imperialismo francese vi trovava dei precisi interessi: “Interessi materiali innanzitutto. Al di fuori delle ragioni di ordine internazionale che hanno portato i negoziatori del 1918 e del 1922 ad accettare [sic!] il mandato, e a far attribuire alla Francia un ruolo politico diretto nel Levante, bisogna tener conto del vasto campo di interessi che la messa in valore e lo sviluppo economico dei territori posti sotto il suo controllo hanno aperto alle attività nazionali. Fin da ora, gli scambi fra i mercati francese e siriano danno ogni anno un movimentro d’affari dell’ordine di 300 milioni di franchi. Tutta la pleiade di società a capitali francesi che si sono ricostituite o create in Siria o in Libano [segue l’elenco di queste società] rappresenta l’investimento di una parte del risparmio francese che si può valutare a 500 milioni di franchi. Ancora in questo momento bisognerebbe aggiungere quello - difficile darne una cifra esatta - degli interessi che rappresentano le agenzie o le filiali delle grandi società o case francesi, come (...) la società Michelin, le Fabbriche Renault, la società André Citroën (...), che hanno impiantato degli stabilimenti in Siria e in Libano (...). Pur senza  parlare del progresso che riserva l’avvenire, l’importanza attuale di questi interessi materiali, nello stesso tempo in cui si testimonia l’opera compiuta dalla Francia [!], sarebbe sufficiente da sola a legittimare il ruolo politico che quest’ultima ha accettato [ancora sic!] di giocare nel Levante” (1).

La politica segue sempre, in ultima analisi, degli interessi economici, e sono gli stesi borghesi a riconoscerlo, quando si indirizzano ad altri borghesi...

Dopo la depressione dovuta alla sconfitta delle lotte e all’annientamento della rivolta della metà degli anni Venti, l’inizio degli anni Trenta vide il rinnovarsi dei conflitti sociali.

Le difficoltà economiche causate dalla crisi capitalistica mondiale, la politica economica delle autorità francesi, sfavorevole agli interessi siriani, l’esodo verso le città dei contadini rovinati da un periodo di cattive stagioni, la diminuzione dei salari di oltre il 30% in numerosi settori e l’aumento della disoccupazione (il numero dei disoccupati nelle città è stimato intorno a 150.000 nel corso degli anni Trenta, ossia dal 15 al 20% dei lavoratori), tutto questo alimentava l’effervescenza sociale e politica.

Dal 1930 scoppiarono molti movimenti: manifestazioni ad Aleppo contro l’aumento del prezzo del pane, sciopero a Homs da parte degli operai della nuova fabbrica tessile, sciopero dei tessili a Damasco ecc. Questa ondata di lotte culminò con il grande sciopero di migliaia di tessili ad Aleppo nel 1932, caratterizzato da scontri, assalti ai magazzini alimentari ecc. Cominciato come sciopero contro i padroni delle imprese artigianali, si trasformò in un movimento unito degli operai tessili e dei padroni contro la politica dei prezzi delle autorità francesi che favoriva la concorrenza dei tessili stranieri, in particolare giapponesi.

I borghesi nazionalisti non ebbero difficoltà a recuperare a loro vantaggio il malcontento sociale generalizzato in questo periodo (che si manifestò anche con dei movimenti studenteschi), il Partito Comunista non avendo né la forza né soprattutto la volontà di contendere loro l’influenza sulle masse proletarie e contadine.

Abbiamo visto che il programma del PCS del 1931, se non indietreggiava davanti alle proclamazioni cervellotiche sulla “edificazione del sistema socialista” nella Siria economicamente e socialmente arretrata, conformemente alla logomachia del periodo cosiddetto di “ultra-sinistra” dell’Internazionale staliniana, stabiliva un “piano d’azione” che si limitava a richiedere delle riforme allo Stato coloniale, negando ogni prospettiva di lotta rivoluzionaria. A dispetto della sua denuncia della politica di compromesso del “Blocco Nazionale” con l’imperialismo francese, questo “piano d’azione” rappresentava un allineamento di fatto alle forze borghesi dominanti nel paese, allineamento che conteneva già il futuro allineamento all’imperialismo e la rinuncia aperta non soltanto alla lotta per l’indipendenza di classe del proletariato, ma anche alla sola rivoluzione borghese e anticoloniale!

E’ così che nell’estate del 1935, il Blocco Nazionale, il raggruppamento delle più importanti organizzazioni borghesi, organizzò per diversi mesi un boicottaggio della Compagnia dell’Elettricità riuscendo a farle abbassare le sue tariffe. Nel novembre-dicembre, grandi manifestazioni in Egitto obbligarono i Britannici a ristabilire la Costituzione; seguiti con entusiasmo dai giovani e dai nazionalisti, gli avvenimenti d’Egitto suscitarono un ritorno di fermento tra le masse oppresse.

Nel gennaio 1936, le truppe francesi repressero nel sangue le manifestazioni studentesche, facendo 6 morti a Damasco e 3 ad Homs. Il Blocco Nazionale, dopo un’iniziale esitazione, il 27 gennaio chiamò ad uno sciopero generale illimitato “fino al ristabilimento dell’ordine costituzionale” (sic!): lo sciopero, che scoppiò spontaneamente non per l’ordine costituzionale ma contro il dominio e la repressione coloniale, era in realtà già seguito a Damasco da molti giorni dagli studenti, dai commercianti, dai funzionari e dagli operai. Essendosi esteso ad altre città, il movimento durò 6 settimane a dispetto, da un lato, dei tentativi del Blocco perché terminasse rapidamente e, dall’altro, dell’introduzione della legge marziale e della repressione sanguinosa inflitte dai francesi che fecero parecchi morti e migliaia di arresti.

Per protesta contro la legge marziale imposta a Damasco e in altre città, ebbe luogo uno sciopero generale a Beirut e in altre città libanesi, mentre nello stesso tempo si organizzavano collette per sostenere i comitati di sciopero di Damasco. Manifestazioni e scioperi di solidarietà ebbero luogo in Palestina (spesso chiamata al tempo dai nazionalisti arabi “Siria meridionale”): il successo dello sciopero siriano fu senza dubbio un incoraggiamento per lo sciopero generale che si produsse qualche mese più tardi contro il dominio britannico.

43 giorni dopo il suo inizio, l’appello del Blocco Nazionale a porre fine allo sciopero ebbe successo dopo che le Autorità coloniali avevano accettato di liberare tutti i prigionieri e di avviare dei negoziati a Parigi sull’accesso della Siria all’indipendenza.

Diretto da notabili (proprietari terrieri, commercianti, avvocati, capi religiosi ecc.) il Blocco Nazionale non era certo rivoluzionario; il suo obiettivo era una “collaborazione onorevole” con i Francesi.

Abbiamo già segnalato che il trattato finalmente concluso con il nuovo governo di Fronte Popolare, insediatosi a Parigi nel giugno 1936, preservava gli interessi essenziali dell’imperialismo francese, a cominciare dal riconoscimento della spartizione della Siria per costituire lo Stato libanese. Ma per il PCS, non c’era motivo per accusare il Blocco Nazionale di tradimento come nel 1930: sosteneva che si era trattato di “settarismo”! Fedele all’orientamento antifascista deciso dall’Internazionale, il PCS, diventato un partito legale, sostenne il trattato firmato con la “Francia democratica”; e di fronte al rifiuto del governo francese di ratificare questo trattato, i dirigenti del Blocco Nazionale offrirono nel 1937 nuove concessioni all’imperialismo francese suscitando manifestazioni di protesta da parte della frangia più radicale dei nazionalisti; il PCS, da parte sua, approvò queste concessioni!

Avvicinandosi la guerra mondiale, il parlamento siriano eletto nel 1936 fu disciolto dai Francesi che ristabilirono l’amministrazione diretta attraverso un “Alto Commissario”, mettendo di nuovo fuori legge il PCS. Nel giugno 1941 l’invasione degli Alleati nella regione permise alle Forces Françaises Libres di de Gaulle di installarsi in Libano e in Siria dopo aver destituito i resposabili legati al governo Pétain. Esse promisero subito di accordare l’indipendenza, ma continuarono in realtà la politica repressiva tradizionale dell’imperialismo francese, in particolare contro gli scioperi e le manifestazioni provocate dai bassi salari e dal rialzo dei prezzi dei generi di prima necessità. Nel febbraio 1943, uno sciopero di 5 giorni contro il rincaro dei prezzi del pane fu organizzato dai nazionalisti; non avendo le promesse delle autorità portato a nulla, un nuovo sciopero scoppiò il 20 marzo e durò 7 giorni accompagnandosi con dei moti. La repressione delle truppe coloniali fu sanguinosa: 7 morti. Di fronte al rischio di una rivolta generalizzata, i dirigenti di “France Libre” decisero a malincuore il ripristino delle libertà politiche, il funzionamento delle istituzioni locali rappresentative e permisero che si tenessero le elezioni.

In questa occasione, come all’epoca del suo secondo Congresso tenuto lo stesso anno, il PCS fece ogni sforzo per cancellare anche la minima traccia di “socialismo” dal suo programma e dalla sua propaganda per presentarsi come un partito puramente nazionale.

Animato dallo stesso fervore patriottico dei suoi colleghi staliniani europei, Bagdache scriveva così: “Noi assicuriamo il capitalista nazionale, il proprietario di uno stabilimento nazionale che noi non guarderemo con invidia o odio la sua impresa nazionale. Al contrario, noi desideriamo il suo progresso e la sua crescita vigorosa. Tutto quel che noi chiediamo è il miglioramento delle condizioni dell’operaio nazionale (...). Noi assicuriamo il proprietario terriero che non domandiamo e non domanderemo la confisca della sua proprietà (...). Tutto quel che noi chiediamo è la compassione per il contadino e l’alleggerimento della sua miseria” (2).

Diventato fanatico partigiano dell’unione sacra con gli imperialisti occidentali dopo la rottura dell’alleanza dell’URSS con la Germania, il PCS decise una moratoria degli scioperi per tutto il periodo di guerra. Al suo Congresso, del dicembre 1943, adottò un programma strettamente democratico borghese particolarmente moderato (3); fatto significativo, per esempio, è che ogni idea di riforma agraria vi era del tutto assente e non vi era alcun accenno alla lotta contro i grandi proprietari fondiari assenteisti che mantenevano i contadini senza terra in una miseria abietta. Commentando questo programma, Bagdache scriveva: “Innanzitutto noi non siamo un partito di riforma sociale. [E’ questa una caratteristica] che ci è stata attribuita da coloro che vorrebbero relegarci ai margini della vita nazionale in modo da conservare per loro tutto il movimento nazionale (...). [Il Partito Comunista Siriano] è soprattutto e prima di ogni altra considerazione un partito di liberazione nazionale, un partito della libertà e dell’indipendenza”.

Tutto era stato detto! Su questa base nazionalista, alla fine della guerra e nei primi anni dell’indipendenza, il PCS è diventato uno dei più grandi partiti del paese, a dispetto della concorrenza che gli faceva un nuovo venuto, il partito Baas di Michel Aflak (vecchio “compagno di strada”) che lo accusava di compromesso con l’imperialismo, francese in particolare. Ma la sua approvazione nel 1947 della decisione russa di sostenere la spartizione della Palestina e la creazione dello Stato colono ebraico, fece sparire istantaneamente il suo seguito presso le masse piccoloborghesi nazionaliste. Nel novembre 1947 la sede del PCS a Damasco fu incendiata da manifestanti, lo stesso partito fu vietato l’anno seguente nel momento in cui l’esercito siriano entrò in guerra, a fianco di altri eserciti arabi, contro i soldati israeliani.

Non è di grande interesse seguire la storia di questo partito negli anni successivi. Completamente estraneao al movimento operaio, questo figlioccio particolarmente ripugnante della controrivoluzione staliniana, fu talvolta represso tal altra sostenuto dai diversi governi, a secondo dello stato delle loro relazioni con Mosca. Diretto, dopo la morte di Bagdache nel 1995, dalla sua donna e poi da suo figlio, continua, sottomesso, a sostenere il sistema politico dittatoriale del clan Assad dopo il 1972 (un suo ministro è presente nel governo attuale) di cui applaude la sanguinosa politica repressiva (4).

 

*   *   *

 

Prima di chiudere questo capitolo riguardante il dominio francese sulla Siria, bisogna spendere qualche parola sull’azione del Partito Comunista Francese, il cui ruolo fu importante sia per l’orientamento del piccolo partito siriano che per l’attitudine della classe operaia della metropoli in rapporto all’impresa coloniale in Siria.

Nato nella confusione politica, il PCF era inevitabilmnente penetrato dai pregiudizi coloniali diffusi nel vecchio partito socialista. Al IV Congresso dell’Internazionale Comunista (novembre-dicembre 1922), fu criticato su questo punto e una mozione della sua sezione algerina di Sidi-Bel Abbés che chiedeva di non abbandonare “la nostra colonia” fu violentemente denunciata. Conformemente alla decisione del Congresso, una “commissione coloniale” fu  costituita per organizzare il lavoro anticolonialista del partito. Tuttavia al V Congresso (giugno-luglio 1924) il PCF fu ancora severamente criticato per la debolezza della sua azione su questo terreno (5).

Le cose andarono diversamente a partire dall’anno seguente, quando il partito si impegnò in una campagna d’agitazione contro la guerra del Rif (in Marocco) e, marginalmente, contro le azioni militari in Siria. Nondimeno, nell’ottobre 1925, il Partito Comunista Siriano domandava, in una lettera ufficiale ad una Conferenza nazionale del PCF, che cosa aveva fatto il partito per sostenere la lotta in Siria (6).  Nel corso degli anni successivi l’azione anticoloniale fatta dal PCF fu regolarmente condannata per la sua insufficienza da parte dei nuovi dirigenti nominati in seguito alle purghe e alle svolte, fino alla virata degli anni Trenta quando, dopo la vittoria di Hitler in Germania, il movimento staliniano internazionale si allineò sull’imperialismo occidentale.

Il PCF abbandonò quindi ogni idea di lotta e di agitazione anticolonialista fra i proletari di Francia per tornare alla difesa sciovinista delle “nostre colonie”: gli orientamenti della sezione di Sidi-Bel Abbés espulsi rumorosamente nel 1922 furono definitivamente importati e il PCF si sforzò di “convincere” – anche con la forza (7) – i popoli colonizzati dei benefici derivanti dall’unione con la Francia.

Questa criminale politica social-imperialista non poteva che accentuarsi ancor di più durante e dopo la guerra, aprendo le porte, ad esempio, al generale francese responsabile del bombardamento di Damasco che, nel 1945, fece centinana di morti civili; simpatizzante del PCF, vi aderirà qualche mese più tardi, senza che quest’ultimo dicesse una sola parola sui suoi trascorsi (8). D’altra parte, che cosa ci si poteva aspettare da un partito che, nello stesso periodo, non condannò i massacri di Setif che fecero circa 15.000 morti, mettendoli, invece, in conto ai “provocatori fascisti”? ...

(continua)


 

(1)   Cfr, “Le mouvement syndical au Liban 1919-1946”, Ed. Sociales 1970, pp. 72-73.

(2)   Cfr, T. e J. Ismael, “The Communist Movement in Syria and Lebanon”, Florida 1998, p. 32. La citazione successiva si trova a p. 33.

(3)   In questo Congresso fu decisa anche la divisione dell’organizzazione in un Partito Comunista Siriano e un Partito Comunista Libanese; tuttavia ci vollero ancora parecchi anni perché questa separazione divenisse effettiva. Il terzo Congresso non ebbe luogo che... 26 anni più tardi, nel 1969!

(4)   Gli stalino-nazionalisti dell’URCF (dissidenti del PCF) hanno pubblicato sul loro organo, Initiative Communiste, n. 102 (gennaio-febbraio 2011), un articolo ditirambico sull’11° Congresso del PCS dell’autunno 2010: “Un grande Congresso per un grande Partito”. Si apprende, fra l’altro, che la pace e la concordia regnano in Siria, a differenza dell’Egitto, in preda a disordini politici e sociali; o che il paese è diventato indipendente “in gran parte” grazie al PCS ecc. E se quest’ultimo fa parte dal 1971 del Fronte Nazionale, formato dal “Baathista di sinistra” (sic!) Hafez El-Assad quando giunse al potere, è “in vista del completamento della rivoluzione democratica”. Quarant’anni dopo, questa “rivoluzione democratica” sembra segnare il passo visto che il PCS sta ancora chiedendo “il diritto di sciopero per gli operai” che i colonialisti francesi avevano dovuto concedere negli anni Trenta... vedi urcf.net/IMG/pdf/IC_no102_integral.pdf

(5)   “Io mi permetto ancora di chiedere ai compagni francesi in quali documenti hanno proclamato il diritto alla separazione delle colonie”, poteva ancora dire il rapporto sulla questione nazionale (Manuilsky) ai delegati del PCF.

(6)   “Compagni, noi non ci aspettiamo dalla vostra conferenza unicamente dell’agitazione e della propaganda a favore della liberazione delle colonie, noi ci aspettiamo un aiuto reale e concreto. Ci indirizziamo a voi, vi chiediamo di aiutarci, di aiutarci immediatamente, senza alcun ritardo. (...). Fate presto, sono tre mesi che si dà battaglia in Siria; ogni giorno nuovi reparti francesi arrivano in questo paese. Sono tre mesi che tutto l’Oriente oppresso attende con impazienza febbricitante il soccorso dei suoi alleati, i proletari avanzati d’Europa: tre mesi che gli Arabi cercano di mettersi in contatto con voi, e conducono una lotta eroica e sanguinosa. Che la conferenza pensi a quel che ha fatto il partito francese in questi tre mesi”. Cfr, Cahiers du Bolchevisme n. 30, 1/11/1925, citato in Jacob Moneta, “Le PCF et la question nationale”, Ed. Maspero 1971, p. 75.

(7)   Ricordiamo gli appelli del PCF alla repressione dell’Etoile Nord-Africaine di Messali Hadj, che il governo del Fronte Popolare esaudì vietando questa organizzazione algerina per “agitazione separatista” nel febbraio 1937.

(8) Cfr. M. Rodinson, Marxisme et monde musulman, Ed du Seuil 1970, p. 341.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice