Lavoratori della logistica in sciopero: un esempio di ripresa dei mezzi e metodi della lotta proletaria realmente efficaci contro gli interessi dei padroni!

(«il comunista»; N° 129; febbraio-aprile 2013)

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Venerdì 22 gennaio i lavoratori della logistica hanno tentato uno sciopero generale, hanno picchettato gli hub della distribuzione a Roma, Bologna, Verona, Milano, Padova e Piacenza. Si sono formate file di camion davanti ai cancelli dei magazzini di aziende come Dhl, Tnt, Ikea e le coop.

Depositi e magazzini della Tnt, della Bartolini, della Sda, della Dhl e delle altre imprese nelle principali città protagoniste delle lotte negli ultimi anni (Verona, Padova, Bologna, Milano, Piacenza) sono stati bloccati per 24 ore. L’adesione allo sciopero è stata vicino al 100%i, ma il dato più importante è che la mobilitazione ha coinvolto ben oltre i centri dove la lotta era iniziata arrivando al centro-sud: a Roma per esempio i livelli di partecipazione allo sciopero alla Sda e in altre imprese della logistica sono stati pressoché totali (il manifesto, 23.3.2013).

Prima dell’alba sono cominciati i picchetti e i blocchi dei principali snodi della circolazione delle merci. A Bologna l’interporto è stato completamente paralizzato, code di camion fermi in entrata e uscita lunghe chilometri. C’è stata a metà mattina una prima carica della polizia ad Angola, tra Bologna e Modena, per provare a sgomberare i cancelli della Coop Adriatica (che ha smentito con un comunicato che le cariche siano avvenute davanti ai suoi cancelli…); qui tutti i lavoratori delle cooperative hanno incrociato le braccia resistendo con il picchetto alla carica, hanno poi occupato la via Emilia, arteria principale della circolazione dove sono arrivati a mezzogiorno, a dar man forte, i partecipanti al blocco dell’interporto.

A Verona e Padova sono state bloccate le tangenziali e le strade della zona industriale. Per tutta la giornata a Padova c’è stato un’alternanza di picchetti e cortei, fino a quando un corteo è giunto nel centro cittadino chiedendo un incontro con il prefetto. A Treviso, fin dalla notte di giovedì, è stata bloccata l’impresa Bartolini. Al blocco e allo sciopero vi è stata un’alta adesione a Roma dove è stata presidiata la sede della Sda; a Torino e Genova ci sono state iniziative in imprese specifiche. Nell’area metropolitana di Milano sono stati tre i concentramenti principali: all’interporto di Carpiano, dove sono state bloccate la Sda e la Dhl, nella zona strategica di Linate, infine a Settala, dove i lavoratori hanno picchettato due grossi centri della Dhl. Qui il delegato della Cgil ha provato a «sfondare» i picchetti per far entrare i crumiri, l’uno e gli altri sono stati cacciati via dai lavoratori. A Piacenza, dopo aver nuovamente bloccato il deposito Ikea nel pomeriggio si è formato un corteo che ha raggiunto il centro cittadino. A Bologna, poco dopo le 14, una nuova carica della polizia e dei carabinieri particolarmente violenta ha tentato di nuovo di sgomberare il picchetto davanti alla Coop Adriatica e Unilog; cercando di sfuggire alle cariche tre lavoratori sono stati investiti da un camion, uno è stato trasportato con urgenza all’ospedale (il manifesto, 23.3.2013).

I lavoratori della logistica, in particolare i facchini, sono nella quasi totalità migranti; il motivo deriva dall’estrema ricattabilità a cui sono sottoposti dalla legislazione esistente, sono spinti ai livelli più bassi del mercato del lavoro, i contratti sono puramente formali, l’intensità dello sfruttamento non conosce regole. Nel sistema delle cooperative le gerarchie vanno dai vertici dell’impresa a una rete di caporali, passando per l’uso di bande mafiose che colpiscono le figure di riferimento delle mobilitazioni (auto bruciate, minacce e aggressioni).

Questi lavoratori raccontano che il loro primo contatto con i sindacati (tricolore) avvengono per faccende burocratiche (permesso di soggiorno, ricongiungimenti familiari, moduli da compilare), ma per quanto riguarda le loro condizioni di vita e lavoro e la lotta necessaria a difenderle non solo i sindacati sono completamente assenti, ma sono complici del padrone e del sistema delle cooperative, e quando propongono uno sciopero “ rituale e simbolico “ lo organizzano in modo tale che non colpisca mai gli interessi materiali dei padroni. «Questi scioperi non li facciamo, sono inutili» sostengono, al contrario «bisogna far male ai padroni», ripetono questi lavoratori, proprio a partire da una precisa conoscenza del ciclo produttivo: quando colpire, dove bloccare, come farlo. Come è successo a febbraio durante uno sciopero alla Coop Adriatica di Angola: i picchetti hanno impedito l’ingresso a decine di crumiri, ma solo quando si sono bloccati i camion e, quindi, con la possibilità di dover buttare centinaia di milioni di euro di merci, il padrone ha ceduto convocando il delegato S.I. Cobas (Sindacato Intetercategoriale-Lavoratori autorganizzati, www.sicobas.org) e accettando le principali rivendicazioni (il manifesto, 22.3.2013).

Queste lotte fanno capire il livello di divisione e concorrenza che viene alimentato dai padroni anche tra i lavoratori immigrati. E’ interessante l’intervista (il manifesto, 22.3) a un facchino della Tnt di Piacenza proveniente dal Marocco che sostiene: «i padroni mi hanno provocato una malattia: il razzismo. Ero diventato razzista contro i miei compagni di lavoro di altre nazioni. I capi dicono ai marocchini che i tunisini sono più bravi, ai tunisini dicono che sono più bravi gli egiziani o i romeni. Con la lotta contro lo sfruttamento ci siamo uniti e abbiamo sconfitto anche il razzismo».

La violenza della repressione (ripetute cariche, denuncie, fogli di via  “ il più recente, di tre anni da Piacenza, è stato comminato ad Aldo Milani del S.I.Cobas) dimostra il timore della borghesia che queste lotte possano contagiare anche altri lavoratori. Le principali rivendicazioni riguardano la cancellazione dei meccanismi di ricatto delle cooperative e della discrezionalità padronale degli orari di lavoro, i ritmi, il pagamento delle festività, il salario.

I proletari nativi d’Italia devono guardare con grande interesse e sostenere con la solidarietà pratica le lotte dei proletari immigrati perché essi indicano con energia e la capacità di osare, quella via che anche i proletari autoctoni devono riprendere.

I proletari immigrati lottano con più forza e determinazione perché sono più oppressi da condizioni di vita e lavoro massacranti; non solo, ma anche perché non sono condizionati da anni di pratiche sindacal-collaborazioniste assorbite dai proletari autoctoni italiani che li paralizzano nel momento in cui vengono colpiti più ferocemente dalla crisi capitalistica e dalle misure antiproletarie dei governi borghesi.

I proletari immigrati danno oggi l’esempio ai loro fratelli di classe delle nazioni in cui migrano: è in questo modo che essi possono incominciare a difendersi realmente dalle misure che tutte le borghesie stanno riversando sulla loro pelle, sodalizzando e sostenendo i proletari più sfruttati. Così si difendono gli interessi di tutta la classe proletaria e le sue condizioni di vita e lavoro dal loro peggioramento. Non aver lottato fin dall’inizio perché i lavoratori immigrati non venissero separati e costretti a subire il ricatto padronale, ad accettare salari e condizioni di lavoro peggiori di tutti gli altri lavoratori, ha indebolito tutta la classe al punto che le condizioni dei lavoratori immigrati stanno diventando quelle dei lavoratori autoctoni! Il padronato tende ormai a individualizzare il rapporto di lavoro “avere il completo arbitrio senza nemmeno più seguire un contratto nazionale di lavoro che uniformava orari e salari" per avere un enorme vantaggio nel ridurre i costi e spingere al massimo la produttività dei lavoratori.

Precarietà del lavoro, salari da fame, condizioni di lavoro sempre più dure e rischiose per la salute e la vita stessa, stanno diventando la condizione generale dei proletari, che si vedono anche in buona parte espulsi dal posto di lavoro perdendo la possibilità di contare anche su un misero salario.

I proletari vengono sempre più divisi, frammentati, messi in concorrenza sfrenata all’interno del posto di lavoro, con la pressione sempre più forte dei disoccupati che rischiano la miseria più nera visti i tagli che i governi borghesi effettuano ai vecchi ammortizzatori sociali.

Diventa essenziale per i proletari mettere al centro delle lotte la rivendicazione del salario di disoccupazione, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, obiettivi che unificano i proletari perché combattono la concorrenza tra di loro.E se gli obiettivi sono importanti, sono ancora più importanti i mezzi e i metodi di lotta che i proletari utilizzano per raggiungerli: senza portare danno alle tasche dei padroni, i padroni la vinceranno sempre!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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