Questioni storiche dell’Internazionale Comunista

(«il comunista»; N° 132; ottobre 2013)

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Grazie ad una discussione con un lettore sull'ordinovismo e sulle posizioni della Sinistra comunista d'Italia rispetto a Gramsci e all'ordinovismo, ci siamo accorti che, nel ripubblicare un lavoro di partito del 1954 intitolato "Questioni storiche dell'Internazionale Comunista" mancava l'ultima parte dedicata per l'appunto all'ordinovismo.

Lo facciamo ora, aggiungendo anche un altro scritto, sempre del 1954 , dedicato alle posizioni sostenute nel giornale diretto da Gramsci, l'Ordine Nuovo del 1919-1920, nelle quali la Sinistra Comunista riscontrava la mancanza dell'impostazione rigorosamente marxista, l'assenza della saldezza e sicurezza ideologica che in quel periodo caratterizzavano gli organi dell'Internazionale Comunista e lo stesso "Soviet" di Napoli, organo in cui in modo più organico erano presentate le posizioni che distinguevano le battaglie di classe della Sinistra Comunista intorno alle quali si formerà nel 1921 il Partito comunista d'Italia.

Aggiungiamo, per completezza, anche la nota con cui il Soviet del 15 giugno 1919 salutava l'apparizione del settimanale di Torino, l'Ordine Nuovo, che si dava il compito, gravoso e grandioso, di studiare "le realizzazioni massime dell'ordine socialista nella loro imminente concretezza"; il Soviet non si limitava a plaudire all'iniziativa dei compagni di Torino, si preoccupava nello stesso tempo di mettere bene in chiaro che non si doveva tralasciare l'aspetto politico fondam,entale della lotta proletaria e comunista, e cioè la rivoluzione e la dittatura proletaria senza le quali non sarebbe stata possibile alcuna trasformazione economica della società, alcun passaggio dal capitalismo al socialismo.

Ecco la loro pubblicazione.

 

 

La Sinistra comunista e l’Ordinovismo

 

 

Siamo arrivati così al capitolo che innamora gli appassionati del romanzesco. Il duello tra ordinovisti e astensionisti! Gli autori di una recente “Storia del Partito Comunista Italiano” intitolano un loro capitolo con l’espressione da gergo sportivo: “Gramsci contro Bordiga”! Così, con leggende del genere, la fondazione del P.C. d’Italia, diventa un’imitazione della fondazione di Roma coll’impressionante duello tra fratelli... Si capisce come i togliattiani, sulla traccia dei processi di Mosca, siano i più accaniti nel sostenere la tesi del conflitto “fin dal principio” tra l’ordinovismo e la Frazione Comunista Astensionista. Ma che storici “obiettivi” ne sposino gli argomenti, beh, proprio non si riesce a capire.

La Frazione Comunista Astensionista diagnosticò il male incurabile della corrente dell’Ordine Nuovo fin dalle sue prime manifestazioni. Esiste un numero del Soviet – che sfortunatamente non possediamo – in cui mentre si dava l’annuncio dell’uscita dell’”Ordine Nuovo” a Torino, si respingevano senza possibilità di equivoco le deviaizioni ideologiche dei suoi redattori e si esprimeva convinta preoccupazione per il proclamato “concretismo” del programma che voleva essere una stretta adesione in tutta la periferia sociale tra rivendicazioni immediate e moto rivoluzionario. Il gramscismo, infatti, coerente con la derivazione idealistica della sua ideologia dialettica nel senso di Hegel e non in quello di Marx, costruisce nella società presente con la rete dei consigli di fabbrica uno schema e modello dello Stato operaio futuro, e tale costruzione è inconciliabile con l’essenziale teoria marxista della distruzione dello Stato borghese e del deperimento successivo dello Stato operaio, risuscitando lo Stato di Hegel, limite assoluto del meccanismo sociale definito con una costruzione mentale e logica.

Ma il dissenso non assunse mai, almeno fino al 1923, forme concrete. Ciò avvenne non perché la Frazione Astensionista e la Direzione del P.C. d’Italia, uscita da Livorno, prese a tollerare le ideologie ordinoviste, ma per il semplice fatto che, nei rapporti intervenuti tra le due organizzazioni fin da prima della costituzione del P.C. d’Italia, Gramsci e soci accantonarono decisamente le loro prevenzioni teoriche, e accettarono senza riserve i testi della Sinistra, dando prova almeno una volta nella loro esistenza, di seguire correttamente il marxismo. Passando alla lotta contro la Sinistra, gli ordinovisti dovettero rinnegare se stessi per la seconda volta.

Esiste una prova inconfutabile dell’assenza di quello stato di conflitto, o quantomeno di animosità tra i capi, che togliattiani e non togliattiani pretendono di scoprire tra la Sinistra e l’ordinovismo. Si tratta nientemeno che della questione dell’adesione dell’ordinovismo alla III Internazionale. La corrente dell’”Ordine Nuovo” fu presentata all’Internazionale da Bordiga e, a seguito di una sua relazione, ammessa nei ranghi dell’Internazionale. Lasciamo raccontare l’episodio ad A. Rosmer, l’autore del libro “A Mosca ai tempi di Lenin” che abbiamo già citato.

Rosmer, venendo a discorrere delle correnti del socialismo italiano rappresentate al secondo congresso dell’I.C., così scrive:

“Un’altra tendenza, non rappresentata al congresso, esprimeva attraverso i suoi scritti e la sua attività, le concesioni dell’Internazionale Comunista. Era il gruppo dell’Ordine Nuovo di Torino, i cui militanti più noti erano Gramsci e Tasca.

“Quando si arrivò alla discussione del paragrafo che riguardava l’Italia, si constatò che nessuno dei delegati italiani era presente [alla riunione della commissione dei mandati, di cui Rosmer era membro, NdR], perché nessuno aveva voluto parteciparvi, non considerandosi autorizzato a parlare a nome del partito.

“Si dovette pregare Bordiga di venire ad esporre e a precisare la posizione de l’Ordine Nuovo, cosa che egli fece molto onestamente, benché avesse cominciato, come sempre, col far noto che egli se ne discostava.

“Ma la precisione della sua relazione rafforzò l’intenzione del relatore di dare l’investitura all’Ordine Nuovo, e la commissione unanime approvò”.

L’episodio prova due cose: 1) all’epoca del secondo congresso dell’I.C. l’Ordine Nuovo era pressoché sconosciuto all’I.C., la cui dirigenza s’era determinata ad invitare direttamente Bordiga a rappresentare la Frazione Comunista Astensionista; 2) fu la esposizione di Bordiga, critica, ma assolutamente obiettiva, ad indurre la commissione dei mandati ad ammettere l’Ordine Nuovo nell’Internazionale. Allora che rimane delle tracotanti falsificazioni degli scribi del P.C.I. che s’affannano a creare l’inverosimile leggenda di un ordinovismo beniamino del Komintern? E che fine fanno le ancor più stupide fandonie sulla lotta personale tra Bordiga e Gramsci?

Le Tesi della Sezione di Torino del P.S.I., proposte dal Consiglio Direttivo costituito a seguito dell’intesa intervenuta tra la maggioranza della sezione aderente alla Frazione Comunista Astensionista e il gruppo dell’”Ordine Nuovo”, avevano suggellato, nel maggio 1920, cioè alla vigilia del secondo Congresso dell’I.C., la fusione delle massime correnti del comunismo italiano. Ma, accantonata la pregiudiziale antielezionista, l’accordo si era prodotto sulla questione della lotta contro il riformismo e l’adesione alla Terza Internazionale. Nelle Tesi di Torino, che furono designate per brevità: le Tesi dell’Ordine Nuovo, era contenuta implicitamente la sconfessione delle deviazioni ideologiche che il “Soviet” aveva respinto un anno prima. Vanamente i togliattiani puntano sul fatto che l’Internazionale ritenne le “Tesi dell’Ordine Nuovo” conformi al proprio programma, per sminuire la Frazione Comunista Astensionista. Ciò avvenne soltanto perché non contenevano il principio astensionista. Quando accettò di avallare elucubrazioni propriamente ordinoviste di Gramsci, l’Internazionale aveva già iniziato l’involuzione opportunista.

(il programma comunista, n. 7, 2-16 aprile 1954)

 

 

L’ “Ordine Nuovo” 1919-1920

 

 

Gli scritti di Gramsci si leggon sempre col rispetto per chi, faticosamente e lealmente, si sforza di uscire dall’involucro di una cultura e di una formazione idealistica, per avvicinarsi all’interpretazione della vita e della storia propria del marxismo. Ma il rispetto non altera il fatto che tutto il pensiero di Gramsci ha continuato a girare nell’orbita di un’ideologia extramarxista. La recente edizione della produzione 1919-1920 sull’”Ordine Nuovo” ne è la più schiacciante conferma, forse ancor più chiara oggi che la si vede in una prospettiva lontana.

La prima cosa che colpisce è la completa assenza di Gramsci e del suo gruppo dal processo di formazione del partito di classe che, svoltosi in tutto il 1919 e 1920, dovrà sboccare, al gennaio 1921, nel Congresso di Livorno e nella fondazione del P.C. d’Italia. Più o meno interventista nel 1915, riaccostatosi al movimento socialista negli ultimi anni di guerra, Gramsci – che pochi giorni dopo la rivoluzione di ottobre aveva scritto un articolo sull’Avanti! per dimostrare che l’Ottobre bolscevico rappresentava una sconfitta del... Capitale di Marx! – venne via via avvicinandosi al moto e all’ideologia rivoluzionaria del proletariato sotto la spinta e il fascino degli avvenimenti, ma senza la percezione della loro portata e del loro significato storico. In questi due anni cruciali, non si trova uno scritto che palesi la partecipazione di Gramsci e del suo gruppo al dibattito che pur infuriava in seno al Partito Socialista e che già al Congresso di Bologna aveva visto la Frazione astensionista, col suo “Soviet”, gettare le basi organizzative e teoriche del nuovo Partito; e bisognerà arrivare alla nota mozione “Per un rinnovamento del Partito socialista” al Consiglio nazionale del maggio 1920 – relazione che Gramsci scrisse ma che altrettanto notoriamente rifletteva il pensiero della sezione torinese, in grade maggioranza “astensionista” – per trovare un documento, l’unico, che rechi un contributo a quella battaglia. Assente a Bologna, assente a Mosca, assente sulla scena italiana della formazione organizzativa e ideologica del Partito di classe, Gramsci osserva gli avvenimenti e li commenta, ma invano si cercherebbe negli scritti dell’”Ordine Nuovo” l’impostazione rigorosamente marxista, la saldezza e sicurezza ideologica, proprie degli organi in cui si espresse, in quel primo dopoguerra, il grande moto culminante nella III Internazionale dei Lavoratori. Persino nella forma, il Gramsci 1919-1920 ricorda Sorel, anch’egli avvicinatosi sotto la suggestione dell’ora al “fenomeno” della rivoluzione russa ma non al bolscevismo, non al marxismo.

Questa assenza ha ragioni non contingenti, ma profonde. Come Gobetti, sebbene su un piano più alto e diretto, o come per un altro verso Sorel, Gramsci entra nella corrente della lotta rivoluzionaria del proletariato non per averne abbracciato gli interessi o i programmi, ma per aver creduto di trovarvi la soluzione dei suoi problemi intellettuali. Vi cerca la formazione dell’Uomo nuovo, di una nuova coscienza, di un nuovo mondo; tutto ciò non si esprime nel programma del Partito di classe, non si esprime neppure nella lotta generale di classe del proletariato. Gramsci lo ripete mille volte, egli vede e cerca non il salariato – cioè appunto la classe che il capitalismo genera dal suo seno come forza antitetica, e che si organizza come tale nel Partito –, ma vede e cerca “il produttore”, l’operaio che nell’ambito della stessa fabbrica capitalistica, è stretto ai suoi compagni di lavoro da un legame obiettivo, e alla fabbrica e alla macchina da un rapporto vitale permanente. Già qui, già ora, nella stessa società capitalistica, sorge, a guisa di piccola isola, la società nuova; ogni consiglio di fabbrica sorto è una “vittoria del comunismo”; è in questa organizzazione, che “aderisce plasticamente al processo produttivo”, che si realizza non solo l’unità di lotta, ma lo stesso potere della classe rivoluzionaria. Così, la concezione generale della lotta di classe si frantuma in un mosaico di “stati d’animo” e di “psicologie” corrispondenti al quadro limitato della fabbrica, anzi del reparto, e delle sue lotte parziali; l’esperienza del Soviet russo, organizzazione che abbraccia proletari di tutte le provenienze e professioni, decade al livello di un organismo aziendale, il Consiglio di Fabbrica, e questo non è soltanto un organismo di battaglia, è “il più idoneo organo di educazione reciproca e di sviluppo del nuovo spirito sociale, che il proletariato sia riuscito ad esprimere dall’esperienza viva e feconda della comunità di lavoro... [Nel Consiglio] la solidarietà operaia è positiva, è permanente, è incarnata anche nel più trascurabile dei momenti della produzione industriale, è contenuta nella coscienza gioiosa di essere un tutto organico, un sistema omogeneo e compatto che, lavorando utilmente, che producendo disinteressatamente la ricchezza sociale, afferma la sua sovranità, attua il suo potere e la sua libertà creatrice di storia”. Un organismo, dunque, dal quale nasce spontaneamente, “automaticamente”, l’ideologia comunista, che non ha bisogno del supporto del Partito se non come di uno strumento pragmatico di collegamento, che non ha bisogno di un programma e di un’ideologia perché la crea esso stesso ed è, non solo in potenza ma in atto, una prima realizzazione della società nuova, della “libertà creatrice di storia”. Per dirla ancora con Gramsci: “Ogni consiglio di operai industriali o agricoli che nasce intorno all’unità di lavoro... è una realizzazione comunista”.

La portata di questo orientamento, e il suo carattere extramarxista, risultano appieno se si confrontano le formulazioni del gruppo dell’Ordine Nuovo con quelle classiche del “Che fare?” di Lenin su cui si costruì non soltanto la teoria ma la pratica e l’organizzazione del partito di classe e dell’Internazionale Comunista (e che, val la pena di ricordarlo, aveva per bersaglio l’economismo non soltanto dei sindacalisti ma degli aziendisti). Per l’ordinovismo, il centro del movimento proletario è l’azienda (per dirla con Lenin, l’arena “dei puri rapporti fra operai e padroni”): per Lenin, cioè per il marxismo, è la “sfera dei rapporti di tutte le classi e strati della popolazione con lo Stato, il dominio dei rapporti di tutte le classi fra loro”. Per l’ordinovismo la formazione di un’ideologia comunista e di una coscienza di classe è il prodotto automatico dell’associazione dei proletari per azienda e per reparto; per Lenin il quadro della lotta economica – e la lotta aziendale è forzatamente lotta economica – “è troppo ristretto”, “la coscienza politica di classe non può essere apportata all’operaio che dal di fuori, cioè dal di fuori della lotta economica, dal di fuori della sfera dei rapporti fra operai e padroni”. Per l’ordinovismo, la formazione della coscienza di classe, del programma di classe e quindi del partito di classe è un prodotto della “spontaneità” di gruppi di lavoro plasticamente aderenti al processo di produzione; per Lenin, “non può essere questione di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse masse operaie nel corso del loro movimento”; il partito si forma attraverso una “lotta implacabile contro la spontaneità”; inchinarsi alla “spontaneità” è “ricondurre il ruolo della socialdemocrazia (si ricordi che socialdemocrazia era allora il termine equivalente a partito di classe) a quello di semplice serva del movimento operaio in quanto tale”, e il movimento operaio abbandonato a se stesso scivola inevitabilmente “sotto le ali della borghesia”; “senza teoria rivoluzionaria, niente movimento rivoluzionario”; “solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può svolgere il ruolo del combattente d’avanguardia”. Gramsci ha un bel riempire lo schema del consiglio di fabbrica di obiettivi e contenuti che vanno oltre il tradunionismo in polemica (e qui giustamente) contro il professionalismo gretto della burocrazia sindacale, assegnandogli una funzione che potremmo chiamare di “levatrice dell’operaio come produttore”; ma dal “quadro ristretto” dell’azienda non si sale, più che dal quadro ristretto del mestiere inquadrato sindacalmente, oltre il livello dei “rapporti fra operai e padroni”, oltre il livello del tradunionismo. Anzi, peggio ancora: se il sindacalismo chiude la lotta proletaria nell’ambito della lotta economica e della riforma sul terreno delle contrattazioni salariali, l’aziendismo lega l’operaio ad una sorta di fedeltà al reparto, alla “sua macchina”, come tanto spesso ripete Gramsci (frase, ahimè, fatale!), al suo piccolo campanilismo di operaio della Fiat, della Montecatini, della Snia Viscosa, non lo mette neppure a contatto di quella lotta generale delle classi che, bene o male, inevitabilmente si riflette nel sindacato di mestiere e nella tradizionale camera del lavoro. E’ far torto alla memoria di Gramsci osservare come questa teoria, dalla quale il suo artefice principale faticosamente si sollevò sotto la spinta del movimento, ma che doveva riapparire con tutta la sua fatale influenza nei momenti di controrivoluzione, portava dritto alle teorie odierne dei produttivisti, dei collaborazionisti di classe, dei cavalieri erranti della nostra fabbrica, della nostra produzione, delle nostre attrezzature industriali?

Il rapporto era così capovolto: non l’ideologia del partito di classe che va portata entro il chiuso dei “rapporti fra operaio e padrone” per spezzarne il cerchio, e saldare la lotta dell’operaio sul terreno economico-aziendale alla lotta generale di classe per l’abbattimento degli organi centrali del potere borghese; ma dal chiuso di piccole isole aziendali germoglia il programma (un programma non codificato da un secolo di lotte proletarie e da difendere strenuamente e rabbiosamente contro ogni “rimpicciolimento alla scala del tradunionismo”, contro il pericolo di “rifugiarsi sotto le ali della borghesia”) sale via via fino a permeare l’intero tessuto della classe; è il reparto, non il partito, il depositario del programma e di quella unica forma di “coscienza” che noi marxisti possiamo concepire. Non dall’esterno ma dall’interno dei “rapporti fra operaio e padrone”, non dal ferreo inquadramento teorico ma dalla spontaneità, non dal centro del movimento proletario ma dalla periferia, è il cammino dell’Ordine Nuovo; e il richiamo a una “teoria dei produttori” è una scappatoia di marca chiaramente idealistica (e infatti soreliana) per riempire di qualcosa che non può dare il perimetro dell’azienda. La quale è un’azienda capitalistica; e agli ordinovisti non si pose neppure il quesito se una “coscienza direttiva” della classe operaia potesse mai formarsi modellandosi sullo schema di un’organizzazione per aziende e a scopi di profitto che la rivoluzione comunista è destinata a spezzare e a ricostruire su basi completamente diverse. Oggi – a conferma del “Che fare?” – gli ex ordinovisti chiamano gli operai a difendere la... loro siderurgia, la loro industria pesante, la loro Fiat, la loro galera dorata (e spesso nemmeno dorata).

Volete qualche citazione? “Muovendo da questa cellula, la fabbrica vista come unità, come atto creatore di un determinato prodotto, l’operaio assurge alla comprensione di sempre più vaste unità... Allora l’operaio è produttore, perché ha acquistato coscienza della sua funzione nel processo produttivo, in tutti i suoi gradi, dalla fabbrica alla nazione, al mondo; allora egli sente la classe, e diventa comunista”: che è proprio l’inverso dell’impostazione leninista e l’esatto equivalente del bersaglio degli strali del “Che fare?”. Ovvero: “amalgamati intimamente nelle comunità di produzione, i lavoratori sono automaticamente portati a esprimere la loro volontà di potere alla stregua di principii strettamente inerenti ai rapporti di produzione e di scambio. Cadranno rapidamente dalla psicologia media proletaria tutte le ideologie mistiche, utopistiche, religiose, piccolo-borghesi; si consoliderà rapidamente e permanentemente la psicologia comunista, lievito costante di entusiasmo rivoluzionario, di tenace perseveranza nella disciplina ferrea del lavoro e della resistenza contro ogni assalto aperto o subdolo del passato... Il partito comunista non può avere competitori nel mondo intimo del lavoro”.

Ci si stupirà che Gramsci metta sullo stesso piano l’insegnamento di Lenin e quello di Daniel de Leon, e che, mentre si riunisce a Mosca il II Congresso dell’Internazionale, i suoi occhi si volgano agli IWW americani? Ci si meraviglierà – cosa di cui Gramsci si stupisce e si addolora – se da quel II Congresso venne la condanna dell’aziendismo ordinovista (e nel difendersi, Gramsci ricade nella confusione fra Soviet e consiglio di fabbrica)? Era nella logica di due posizioni non soltanto diverse ma antitetiche.

(il programma comunista, nn. 22 e 23 del 1954)

 

 

“L’ordine nuovo”

 

 

- Questo numero del giornale doveva uscire colla data dell’8 giugno ed era in gran parte pronto quando lo sciopero generale è scoppiato impedendone la pubblicazione. Siamo così costretti a rinviare molti comunicati e corrispondenze pervenuti in seguito -

 

E’ una nuova rivista settimanale dei Compagni di Torino, uscita il 1 Maggio: e ad essa mandiamo il nostro fervido augurio.

Compito della nuova pubblicazione, di cui è segretario di redazione il Compagno Antonio Gramsci, sarà, se ben abbiamo inteso, principalmente lo studio delle realizzazioni massime dell’ordine Socialista nella loro imminente concretezza.

Compito gravoso e grandioso, traccia che ha tutto il nostro plauso, con una sola osservazione che non è una riserva.

L’approssimarsi della messa in pratica del programma Socialista non deve essere considerata senza tener sempre presente la barriera che ce ne separa nettamente nel tempo; lo stabilirsi di una condizione pregiudiziale, cioè di tutto il potere politico alla classe lavoratrice, problema che precede l’altro e sui processi del quale ancora c’è tanto da risolvere e da definire.

Potrebbe lo studio concreto delle vitali applicazioni socialiste trascinare alcuno a porle fuori dell’ossigeno che le alimenta della dittatura proletaria, per considerarle compatibili cogli istituti attuali, scivolando verso il riformismo.

Il massimalismo vede sotto una luce perfettamente realistica il complesso corso della trasformazione dell’economia capitalistica in quella comunistica: ch’esso appoggia su una base anche reale e concreta: la rivoluzione politica; rifiutandosi di avere fino al trionfo di questa altro compito concreto che quello di preparare ad essa le masse proletarie.

E’ un pericolo possibile che abbiamo voluto additare più per uno... scrupolo ortodosso, che per timore che incorrano in esso i compagni dell’Ordine Nuovo.

(Da il Soviet, 15 giugno 1919 )

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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