Siria: una strage dopo l’altra, con le armi convenzionali e con le armi chimiche.

Gli imperialisti stanno a guardare aspettando l’occasione per “intervenire” e “riportare la pace”... dei morti.

Solo la rinascita della lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato potrà fermarli e batterli!

(«il comunista»; N° 132; ottobre 2013)

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Sono ormai più di due anni e mezzo che in Siria si sta svolgendo una guerra in cui forze borghesi in contrasto fra di loro – rappresentate, da un lato, dalla frazione borghese di Bashar al-Assad ancora al potere, sostenuta dagli imperialismi russo e cinese e dal capitalismo iraniano e, dall’altro, dalle frazioni borghesi avverse che tentano di spodestare la famiglia al-Assad per prenderne il posto, sostenute più o meno apertamente dagli imperialismi americano e franco-britannico – si battono per ridisegnare un ordine capitalista in grado di affrontare una situazione economica di grave crisi e i conseguenti rapporti di forza in una delle zone più tormentate del pianeta.

Se di fronte alle cosiddette “primavere arabe”, ma in particolare di fronte ai vasti movimenti sociali di ribellione alle condizioni di esistenza in cui le larghe masse erano precipitate, le democrazie occidentali hanno salutato la caduta di Ben Alì e di Mubarak come l’apertura di una nuova “éra” – un’éra di “democrazia” e di “progresso economico” per le larghe masse contadine e proletarie di Tunisia ed Egitto – riconoscendo a denti stretti i tentativi di nuovi governi “democratici” nella speranza di poter rapidamente piegare anche questi alle esigenze “superiori” delle forze imperialiste dominanti; se, di fronte alla resistenza della Libia di Gheddafi alle pressioni imperialiste di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, le democrazie occidentali hanno imbastito una guerra “di liberazione” perché le forze progressiste e democratiche della Cirenaica e della Tripolitania avessero finalmente la possibilità di svincolarsi dalla “dittatura di Gheddafi” e aprire ai grandi capitali occidentali vie più rapide e facili al controllo delle fonti petrolifere e alla loro valorizzazione; se, rispetto ai movimenti di protesta che hanno lambito le masse proletarie occupate in Arabia Saudita, in Kuweit, negli Emirati arabi, le democrazie occidentali, vista la tenuta delle rispettive monarchie, si sono semplicemente limitate a osservare come le forze di repressione locali se la sbrigavano direttamente per soffocarli, nel caso della Siria di Bashar al-Assad, il loro comportamento, per tutto questo lungo periodo di tempo, è stato molto più prudente.

La capacità della fazione di al-Assad di controllare la situazione attraverso le proprie forze di polizia e il proprio esercito dava agli imperialismi occidentali e orientali la sensazione che almeno in Siria – delicatissimo nodo di equilibrio nell’area mediorientale, tanto più data l’istabilità cronica dell’Iraq dove la guerra anglo-americana non ha prodotto che disastri e massacri, aggravando la situazione già particolarmente misera delle masse contadine e proletarie irachene – i movimenti di protesta e, poi, di ribellione armata potessero essere contenuti nei sacri confini e non contagiassero pericolosamente tutta l’area, dal Libano all’Iraq, alla Giordania andando a scuotere perfino la stabilità israeliana attraverso probabili ritorni di fiamma delle fazioni palestinesi. In questo caso, gli imperialisti occidentali e orientali hanno, prima di tutto,  sottoscritto il mandato a Bashar al-Assad e ai suoi generali di difendere e ristabilire l’ordine borghese nel rispetto degli interessi imperialistici! Ma non è mancata la grancassa sulla democrazia martoriata, sui “diritti dell’uomo” calpestati, sulla popolazione martirizzata!

Bashar al-Assad, intanto, si è preso il compito di soffocare la ribellione contro il potere della sua fazione, utilizzando ogni mezzo brutale a disposizione (in piena continuità con la  tradizione di famiglia), e così difendendo i propri interessi capitalistici interni e, nel contempo, gli interessi imperialistici degli alleati russi, ma si è caricato anche il compito di difendere gli interessi politici (e quindi anche economici) degli imperialisti americani, francesi, inglesi, italiani, tedeschi e, non ultimi, israeliani che vedevano messi in discussione i propri interessi dall’instabile governo egiziano del dopo-Mubarak e non avevano alcun interesse che in Siria si aprisse un ulteriore fronte instabile.

Gli imperialisti occidentali – in particolare gli Stati Uniti, ma dietro di loro, più o meno silenziosamente, gli imperialismi europei con Francia e Gran Bretagna in prima linea, vista la loro lunga tradizione colonialista nell’area –, che tanto si sono dati da fare per detronizzare Gheddafi, non hanno mai dato ascolto agli appelli dei “veri democratici”, che denunciavano la repressione armata a De’ra, Hom, Homs e in tante altre città siriane come massacri indiscriminati, chiedendo agli imperialisti americani, francesi e inglesi – i più cinici al mondo come la loro storia dimostra ampiamente – di “fermare” Bashar al-Assad.

Gli appelli dell’ONU affinché la guerra siriana sia fermata e le forze contrapposte si siedano a un tavolo di negoziati non potevano ottenere che un risultato, il solito: nulla di fatto, chiacchiere per illudere i gonzi pacifisti e umanitaristi. In Siria sono in gioco interessi molto più grandi e complessi di quelli interni al paese stesso: è un crocevia strategico di primaria importanza per tutti gli attori della guerra, sia quelli sul proscenio e visibilissimi, sia quelli dietro le quinte che cercano di approfittare delle mosse altrui per inserire le proprie contromosse, fregandosene altamente di quanti siriani muoiono, e di come muoiono, nelle città e nelle campagne. Iran, Turchia, Israele, Egitto, Arabia Saudita, Qatar sono direttamente interessati e coinvolti in tutto ciò che avviene in Siria; si tratta di potenze regionali di notevole spessore e tutte esprimono ambizioni extranazionali. Alle loro spalle, o sulle loro spalle, volteggiano potenze imperialiste di primissimo piano: innanzitutto Stati Uniti e Russia, Francia e Gran Bretagna; e, in secondo e terzo piano, Cina, Germania e Italia. Se a Damasco si spara una cannonata, il colpo non si avverte solo al Cairo, a Telaviv, a Teheran, ad Ankara, a Riad o a Doha, ma lo si avverte anche a Washington e a Mosca, a Parigi e a Londra, a Berlino e a Roma, ed anche a Pechino. Questo vale sicuramente per gli interessi borghesi, non importa quanto contrastanti possano essere, ma varrà, un domani, anche per gli interessi della lotta proletaria di classe!

Gli scossoni che la crisi economica ha prodotto nei paesi del Nord Africa e nei paesi del Medio Oriente non potevano aprire di colpo una nuova “èra”, come auspicavano i democratici incalliti. La misera fine delle cosiddette “primavere arabe” la si può leggere nell’aggravamento della situazione in Tunisia e in Egitto, dove i contadini poveri e i proletari non hanno avuto alcun vantaggio dalla “nuova democrazia” introdotta grazie ai tutori imperialisti occidentali. L’Egitto di queste settimane con l’Esercito al comando (come sempre), e con i suoi immancabili massacri, ne è una tragica conferma, prevista da noi fin dall’inizio. Il tallone di ferro della borghesia non si fa guidare dai “diritti democratici”, ma dagli interessi capitalistici e, più la situazione è “instabile”, più è certa la repressione brutale contro tutte le forze che si mettono di traverso a quegli interessi. I proletari, che rappresentano oggettivamente l’unica classe che può davvero mettere in pericolo il potere borghese, in ogni paese, hanno un’unica strada per conquistare condizioni di esistenza più accettabili e per scrollarsi di dosso il peso dello sfruttamento capitalistico: la strada della lotta di classe, organizzata, indipendente da ogni obiettivo e apparato borghese, inconciliabile con ogni interesse borghese.

Ghouta, Zamalka: sobborghi di Damasco. Secondo i servizi di al-Assad sono roccaforti dei ribelli. Martedì 20 agosto, vengono colpiti da un attacco all’iprite (secondo la Cia, la Siria dispone di oltre mille tonnellate di agenti chimici; la Siria ha riconosciuto di esserne in possesso, per la prima volta, il 23 luglio 2012) (1) che provoca la morte di centinaia, forse migliaia, di abitanti tra cui moltissimi bambini. Video e foto di questa strage, realizzati dai ribelli, fanno il giro del mondo; la sacra “opinione pubblica” inorridisce, i giornali e i servizi televisivi mostrano fotogrammi e video della strage. La propaganda democratica alza i toni chiedendo all’Europa di “fermare le stragi di civili” e ricorda a Barak Obama le sue parole sull’uso delle armi chimiche come  la “linea rossa” che, se oltrepassata, avrebbe giustificato l’intervento militare contro i governanti siriani. Ma il governo siriano dichiara di non aver usato armi chimiche e che questa strage è stata opera dei ribelli per forzare la mano alle potenze occidentali perché intervengano in loro aiuto. È quanto basta a Russia e Cina per fermare al consiglio di sicurezza dell’ONU la solita e inconcludente missione dei suoi delegati a Damasco per “accertare la verità e le responsabilità”. Nel frattempo, Francia e Turchia premono per un intervento militare, Israele rivela che i suoi servizi segreti hanno intercettato l’ordine di sparare i gas impartito dai comandanti di alcune batterie di missili siriani, mentre Russia e Cina continuano a credere alla versione del regime di al-Assad (2).

Questo cinico balletto sul massacro, come già mille volte nel passato anche recente, dimostra per l’ennesima volta che gli interessi in campo sono esclusivamente di genere imperialista: ai fornitori di armi, ai capitalisti d’assalto, ai governanti delle grandi e piccole potenze, interessa soltanto salvaguardare i propri affari, la propria influenza politica, i rapporti diplomatici e le convenienze da essi coperti, al fine di trarre il maggior profitto e i maggiori vantaggi dalla guerra in Siria. Film visto e rivisto troppe volte per cadere nel tranello di balletti diplomatici che hanno lo scopo di ingannare le masse che vengono massacrate nei paesi sottoposti a guerre di rapina e di turlupinare le masse proletarie dei paesi imperialisti dando l’impressione che la forza delle loro attività diplomatiche possa essere sufficiente per fermare i fiumi di sangue che caratterizzano, dalla fine del secondo macello imperialistico mondiale, quello che doveva essere il periodo di pace e progresso garantito dalla vittoria delle democrazie sui fascismi. Ma fin dalla Corea, e poi in Vietnam e in Cambogia, in Algeria e nell’Africa Nera, nel tormentatissimo Medio Oriente, in Jugoslavia e poi nuovamente in Afghanistan, nel Caucaso, in Kurdistan per giungere nuovamente nell’Africa del Nord e in Iraq e ora ancora in Siria, una linea di sangue senza soluzione di continuità percorre lo sviluppo dell’imperialismo. La pace, come affermava Lenin, nello stadio imperialistico dello sviluppo capitalistico, non è che una tregua tra le guerre, che sono sempre guerre di rapina nelle quali alla distruzione di merci e capitali sovraprodotti fa da contraltare la distruzione di vite umane sacrificate – in guerra come in pace – al profitto capitalistico.

Per i proletari e i contadini poveri della Siria non sarà diverso: che Bashar al-Assad resti al potere o che venga sostituito per qualche mese o per qualche anno da qualche altro rappresentante del capitalismo nazionale o da qualche altro fantoccio dell’imperialismo, la cinica e inesorabile macchina del potere borghese non farà altro che opprimere e schiacciare ancor più le masse proletarie e i contadini poveri. Ed anche se, come in Egitto o in Iran, si dovesse giungere, dopo anni di “dittatura” di un’oligarchia familiare, a elezioni democratiche, in sostanza, per i proletari e i contadini poveri la situazione non cambierebbe: avrebbero la soddisfazione di fare una croce su una scheda, imbucarla nell’urna… e tornare alla propria vita di schiavi come prima, in attesa di morire di fatica da lavoro salariato o sotto le bombe in qualche guerra borghese.

Oggi, in Siria, come in Europa o in America, il proletariato è inerte, ancora incapace di riorganizzarsi sul terreno di classe e di lottare vigorosamente per i propri interessi di classe, e solo per questi interessi. Se i proletari dei paesi imperialisti avessero già raggiunto la propria riorganizzazione di classe in associazioni economiche proletarie  indipendenti e fossero influenzati dal partito di classe, la loro lotta in solidarietà con i proletari massacrati in Siria, come in un qualsiasi altro paese in cui insistono interessi imperialisti, si esprimerebbe, innanzitutto, attraverso la lotta contro la propria borghesia, anche se non ha ancora deciso di inviare la propria spedizione militare a difesa dei suoi interessi imperialistici. Questa lotta darebbe fiducia ai proletari siriani, che sarebbero spinti a organizzarsi, prima o poi, anch’essi sul terreno di classe. I proletari europei o americani, russi o cinesi sono purtroppo ancora ben lontani da quel traguardo; così la sorte dei proletari siriani, come dei proletari egiziani, curdi o iracheni, è completamente nelle mani degli aguzzini nazionali e dei loro tutori imperialisti internazionali. Anche la sorte dei proletari europei e americani, russi e cinesi è ancora completamente nelle mani delle rispettive borghesie e dei loro servi collaborazionisti: a dimostrazione che la sorte dei proletari, se non lottano con metodi e mezzi classisti e per obiettivi di classe, è la stessa in tutto il mondo.

Ma gli scossoni della crisi hanno cominciato a lanciare qualche segnale: in Egitto, i proletari del tessile hanno avuto la forza di scioperare al di fuori del controllo dei sindacati ufficiali organizzandosi indipendentemente; è un inizio, certo, ma per quanto debole e isolato è un’indicazione della via da percorrere. Si comincia da qui, da questi tentativi per poter proseguire e allargare l’esperienza ad altri proletari, ad altri settori, riconquistando duramente un terreno di lotta che è l’unico sul quale il proletariato può esprimere tutta la sua forza: il terreno della lotta di classe. Allora i proletari potranno rendersi conto che gli obiettivi economici della loro lotta sono solo un primo livello, un ambito nel quale non si risolvono i problemi sociali generali; la lotta di classe stessa, la reazione della borghesia e del suo Stato renderanno chiaro anche ai proletari che il problema sociale centrale è quello del potere politico: o dittatura della borghesia o dittatura del proletariato! Allora le indicazioni del partito di classe, del partito comunista rivoluzionario, saranno comprese e recepite dalle grandi masse che oggi sembrano lontane mille miglia anche solo dal credere di poter lottare con successo contro un potere, quello borghese, che appare invincibile ed eterno.

La lotta di classe che la borghesia conduce contro il proletariato tutti i giorni, e ogni minuto di ogni giorno, sarà finalmente riconosciuta anche dal proletariato come l’unica e decisiva lotta per la vita o per la morte: la lotta di classe proletaria, proprio perché la sua evoluzione storica è la rivoluzione proletaria e l’abbattimento del potere borghese, è l’unica prospettiva di cui la borghesia ha un terrore storico.

Oggi sono i proletari a tremare per i colpi che i borghesi capitalisti sferrano contro le loro condizioni di vita e di lavoro, per i colpi che la borghesia nazionale e i suoi alleati o padrini internazionali sferrano attraverso la repressione e la guerra. Domani, di fronte al proletariato rivoluzionario, organizzato e guidato dal suo partito di classe, saranno i borghesi, a Damasco come a Berlino, al Cairo come a Londra e a Parigi o a Washington, a Teheran come a Mosca o a Pechino, a tremare come tremarono nel 1917 non solo a Pietrogrado ma in tutte le cancellerie d’Europa e del mondo!

24 agosto 2013

 


 

(1) Cfr. la Repubblica del 22 agosto 2013.

(2) Cfr. la Repubblica del 23 agosto 2013.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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