La donna e il socialismo (7)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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(continua dal n. 132)

 

 

II. La donna nel presente

 

 

La condizione economica della donna

Sua capacità intellettuale

Il darvinismo e le condizioni sociali

 

Gli sforzi della donna diretti alla sua emancipazione economica ed alla indipendenza intellettuale furono riconosciuti fino ad un certo grado giusti e legittimi dalla società borghese, non altrimenti che gli sforzi dei lavoratori diretti alla conquista della libertà. Il motivo per il quale si cercava di resistere a codesti sforzi fu l’interesse di classe della borghesia. La borghesia ha bisogno di sfruttare le forze produttrici, siano queste rappresentate da maschi o da femmine, per sviluppare ed aumentare quanto più è possibile la produzione. E nella misura stessa che la meccanica si perfeziona, i processi e sistemi produttivi si suddividono e individualizzano ognora più e richiede una educazione tecnica meno elevata, d’altro lato si va facendo sempre più acuta la concorrenza degli industriali fra loro e la lotta in tutti i campi di produzione, paese contro paese, regione contro regione, cresce e si determina un aumento nel numero delle donne impiegate nell’industria.

Le cause di questo fatto vennero esposte minutamente più sopra. Generalmente la donna trova occupazione insieme con l’uomo oppure in sua vece colà dove i suoi bisogni materiali sono minori di quelli dell’uomo. Un’altra circostanza dipendente dal sesso che costringe la donna ad offrire l’opera sua verso una mercede più discreta, è questa: che essa è in media soggetta a disturbi fisici più spesso dell’uomo, il che determina una interruzione nel lavoro e produce nella combinazione e nell’organismo delle forze lavoratrici quali sono oggi nella grande industria, delle interruzioni pregiudizievoli. La gravidanza e il parto rendono necessari dei riposi. L’industriale approfitta di questa circostanza per rifarsi doppiamente di cotesto inconveniente mediante una notevole diminuzione di salari.

Per converso il lavoro delle donne, specialmente di quelle maritate (vedasi in proposito il brano citato dal Capitale * ), presenta per l’imprenditore il vantaggio di maggiore diligenza e disciplina, in confronto di quella che presentano le donne nubili; perché il pensiero dei figli le spinge ad impiegare tutta la loro forza per guadagnarsi il necessario alla vita. In generale l’operaia si arrischia solo in casi eccezionalissimi a far causa comune coi suoi compagni di lavoro per ottenere condizioni migliori, il che accresce il suo valore di fronte all’industriale; nelle cui mani essa rappresenta un mezzo di vittoria contro la ostinazione degli operai maschi.

D’altro canto è fuori di dubbio che la maggiore attitudine alla pazienza, l’agilità delle dita, ed il senso di buon gusto più sviluppato rende una donna molto più abile dell’uomo in molte categorie di lavori.

L’onesto capitalista sa apprezzare tutti questi pregi e “virtù” femminili, ed è perciò che la donna, nel progresso dell’industria, trova di anno in anno un campo sempre maggiore in cui poter occuparsi senza migliorare però sensibilmente e questo è l’importante – la sua condizione sociale. Colà dove si impiegano le donne, si licenziano generalmente gli uomini; e se questi vogliono vivere, devono offrirsi per una mercede ancora più esigua. Codesta offerta si ripercuote sulla mercede delle donne, sicché l’abbassamento dei salari diventa quasi una vite perpetua, la quale vien messa tanto più in moto per effetto del tecnicismo dei processi produttivi continuamente modificantisi, in quanto tali processi determinano anche una diminuzione nell’impiego delle forze lavoratrici femminili, onde aumenta ancor più l’offerta di “braccia”. Il sorgere di nuovi rami d’industria e di lavoro serve di contro-spinta a tale costante produzione di energie lavoratrici relativamente esuberanti, non però in misura tale da creare condizioni durevolmente migliori, imperocché l’aumento del salario oltre una data misura determina l’imprenditore a migliorare ancora più il meccanismo della sua fabbrica, in modo da sostituire l’automatismo inconscio della macchina al cervello ed alle braccia dell’operaio. Mentre sul principio della produzione capitalista l’operaio maschio sul mercato del lavoro stava di fronte soltanto all’operaio maschio, ora si trova di fronte sesso contro sesso, e poi età contro età. La donna scaccia l’uomo, e i fanciulli scacciano la donna. E’ questo l’ordinamento morale dell’industria moderna.

Gli sforzi degli impreditori per prolungare la giornata di lavoro e trarre così maggior profitto dai loro operai, sono favoriti dalla minore forza di resistenza che presentano le operaie. Di qui il fenomeno che la giornata di lavoro è più lunga in tutti i paesi in cui fiorisce l’industria della tessitura, ove le donne rappresentano più della metà del numero totale dei lavoratori. Abituate a non riposarsi mai tra le pareti domestiche ove, come si disse, lavorano da mane a sera, le donne non si ribellano punto contro le sempre crescenti esigenze dei padroni. In altri rami di industria, com’è in quella delle crestaie e delle fabbriche di fiori artificiali ecc., in cui prevale il lavoro manuale, esse perdono tempo assumendo lavori straordinari ai quali attendono in casa loro senza riflettere che in tal modo fanno concorrenza a se stesse e che, in capo al mese, lavorando 16 ore al giorno, non hanno guadagnato di più di quello che possono guadagnare lavorando 10 o 12 ore.

Venne già più volte dimostrato con cifre quale enorme impiego di lavoro femminile è domandato dall’industria. Un’altra serie di fatti pone ciò sempre in luce.

Il Regno di Sassonia è uno dei paesi più ricchi della Germania. Nel periodo dal 1883 al 1889 l’aumento e il rapporto dei lavoratori adulti maschi e femmine, che hanno superato i 16 anni, nelle industrie soggette a controllo è rappresentato così:

 

Lavoratori maschi       Lavoratori femmine

    

     1883:    141.539                     72.716

     1889:    204.108                     97.878 

               ________                  ________

               +  62.569                  +  25.162

 

L’aumento del numero degli operai femmine rimane bensì inferiore all’aumento degli operai maschi, ma le donne in certe industrie, come ad esempio in quella della tessitura, hanno sorpassato il numero degli uomini.

In Alsazia e Lorena il numero degli operai in 794 industrie sottoposte ad ispezione raggiunse nel 1889 la cifra di 64.612, quello delle operaie la cifra di 36.356. Ma mentre le industrie tessili occupavano 24.496  maschi soltanto, impiegavano 31.316 femmine, delle quali il 27% erano maritate. Nell’industria dei sigari a Baden, secondo la statistica dell’ispettore delle fabbriche, erano impiegate nel 1889: donne adulte 9.866 ed uomini adulti 4.656; le donne quindi rappresentano il 52,65%, gli uomini il 24,85%: delle donne 3.683 ossia il 37,4% erano maritate, ma in alcuni luoghi la percentuale delle operaie maritate era anche più elevata: per esempio nel comune di Herboldsheim 55,4%. Nel distretto di Reussi L. di donne impiegate ve ne erano:

 

       Maritate      Nubili       Totale      %

 

 1887        1.875          2.140       4.015      46,7

 1888        1.971          2.559       4.530      43,5

 1889        2.267          2.605       4.872      46,5

 

Secondo la statistica delle fabbriche vi erano in tutta la Germania nel 1888 sopra 7.340.789 persone abili al lavoro, 1.509.167 donne, vale a dire il  20,6 %. Ne emerse anche il fatto interessante che non vi è industria in cui le donne non siano rappresentate, sia pure in numero esiguo. Così, fra l'altro, erano occupate in:

 

                                    Uomini    Donne     %

 

Imprese commerciali .  356.221   181.296  25,2

 A servizio nei

 restaurants . . . . . . . .   172.841   441.407 45,0

 Nei servizi di piazza e

 di procacci . . . . . . . .       9.212      3.265  26,2

 Nei filatoi . . . . . . . . .    69.272   100.459 60,0

 Nelle tessiture . . . . . .  336.400   155.396 32,0

 Nei lavori di ricamo e

 telaio . . . . . . . . . . . .     42.819    31.010  42,0

 Nelle fabbriche di

 merletti e lavori

 all’ uncinetto . . . . . . .    5.676     30.204  84,0

 Nelle fabbriche di

 passamanerie . . . . . .    13.526     17.478  56,0

 Nelle legatorie di libri

 e fabb. di cartonaggio .  31.312    10.409  25,0

 Nelle fabbr. di carta .     37.685     20.847 30,6

 Nelle fabbriche di

 tabacco . . . . . . . . . . .   64.477     48.919  43,1

 Nella confezione di

 vestiti, biancheria e

 guarnizioni . . . . . . . .   279.978  440.870  61,2

 

La donna però mentre attende all’industria è obbligata anche al lavoro notturno che riesce faticoso per il suo organismo. Dalle comunicazioni ufficiali presentate nel 1888 alla Commissione del Parlamento germanico per la protezione delle donne in relazione al lavoro notturno risulta che il lavoro notturno delle donne si verifica o costantemente o ad intervalli nelle industrie seguenti: nelle vetrerie, nelle fabbriche di specchi e di briquet, nelle fabbriche di cemento, nelle ferriere, nelle fabbriche di zinco, di porcellana, di bottoni, di carta e cartoni, nelle botteghe dove si liscia e si leviga il legno, nei filatoi e nella tessitura, nelle fabbriche di panni e flanelle, e nella lavatura della lana, nei cardatoi, nelle fabbriche di pettini, di reti, di articoli chimici, e così pure nelle raffinerie di zuccheri, nelle fabbriche di amido, nelle stamperie (per giornali), nelle fabbriche di zucchero di barbabietola, in quelle di decotti medicinali, di cicoria, di tegole e mattoni, di maioliche, di oggetti e lavori in piombo, di giocattoli, negli intagli in legno, nelle fabbriche di tappeti, di maglierie, di coperte, e di ombrelle, e in alcuni rami dell’industria dei vestiti, nelle tintorie, negli stabilimenti di apparecchio, in quelli per la pulizia dei piumacci, nelle fabbriche di cioccolata e di dolci, di focaccie, e di conserve di carne.

 

Il lavoro notturno ad intervalli si riscontra nella maggior parte dei rami d’industria, ma specialmente in quelli della tessitura e della carta.

Come si vede, la bella teoria, con la quale i nostri filistei credono di poter soffocare e comprimere i tentativi di emancipazione della donna, vale a dire la teoria che la donna appartenga alla casa, appare strana davanti ai fatti da noi addotti.

In Inghilterra che è il paese più avanzato in materia d’industria, lo sviluppo del lavoro della donna nelle industrie si manifesta in modo ancora più evidente. Nell’industria del cotone erano occupati nel

 

                      1861:         1871:            1881:

 

 Uomini      202.540       192.881        189.651

 Donne        264.166       286.258        310.374

 

 

Il numero degli uomini era dunque diminuito in questo periodo di 12.889, mentre nello stesso periodo quello delle donne era aumentato di circa 46.208.

 

Anche altre industrie presentano lo stesso quadro. Nelle fabbriche di panni nel 1871, su 100 uomini erano occupate 79 donne, che nel 1881 diventarono 102. Inoltre su 100 uomini erano impiegate:

 

                                                  DONNE

                                             1871          1881

 Nelle fabbriche di carta . .        65             80                      

 Nelle stamperie . . . . . . . . .       2               4         

 Nelle legatorie di libri . . . .      95            111      

 Nelle fabbr. di cancelleria .       34             53

 Nelle librerie . . . . . . . . . .        15             17   

 Nella filatura e tessitura . .     102           180

 Nelle sartorie . . . . . . . . . .       33           100

 Nelle calzolerie . . . . . . . . .      13             20               

 

 

Si potrebbe allungare di molto la serie delle cifre, ma gli esempi addotti bastano. In complesso nel 1881 in Inghilterra erano occupate più di 4 milioni e mezzo di donne. In alcune industrie esse poi prevalevano addirittura. Così nelle fabbriche delle penne d’acciaio, su 100 uomini vi erano 1.138 donne, nelle fabbriche di buste 1.105, in quelle delle trecce di paglia 800, nelle fabbriche di guanti e di bottoni 600, nella pulitura dei metalli 500, ecc. In quale proporzione il lavoro industriale delle donne fosse sviluppato in Svizzera nel 1886 è dimostrato dai dati seguenti raccolti dal giornale Bund. Vennero occupati:

 

                                           Uomini      Donne

 

 Nell’industria delle sete . .      11.771    51.352

 Nell’industria del cotone . .    18.320    28.846

 Nell’ind. del lino e mezzolino  5.533      5.232

 Nei lavori di ricamo . . . . . .   15.724    21.000

 

In complesso nell’industria tessile erano occupate 103.452 donne su 52.838 uomini, e il Bund constata espressamente che non vi è in Svizzera un impiego in cui non si incontrino delle donne. Nella relazione degli ispettori delle fabbriche per il 1888 e il 1889, l’ispettore del I circolo, il dottor F. Schuler, rileva che l’impiego della donna nelle fabbriche è andato relativamente sempre più diffondendosi.

Ora, una volta ammesso che per effetto del moderno sviluppo, la donna è allontanata sempre più dalla vita della famiglia, e in tal modo la società borghese porta sempre più la dissoluzione in una istituzione che forma una delle sue basi, e cioè nel matrimonio, deve anche notarsi, che questa evoluzione nelle attuali condizioni si compie in modo che la donna viene pagata molto meno dell’uomo anche là dove essa presta il suo servizio pari a quello dell’uomo.

La donna sente minori bisogni, è più arrendevole e pieghevole dell’uomo, e sono questi i pregi che la raccomandano agli industriali. Si aggiunga che per la posizione in cui essa si è trovata fino ad oggi nella famiglia, è abituata a non aver limiti di tempo nelle occupazioni, perché essa, occorrendo, lavora senza posa. Tenuta lontana per sistema dalla vita pubblica, non sente né comprende il valore della unione e della organizzazione. Sono qualità queste che costituiscono dei difetti dal punto di vista degli interessi dell’operaio, ma che sono altrettante virtù agli occhi dell’imprenditore. Ne consegue che la donna va conquistando rapidamente terreno in tutti i rami di lavoro e ad una mercede molto meno elevata di quella dell’uomo. Giusta le comunicazioni della “Relazione della Camera di commercio di Lipsia per il 1885” i salari per un certo numero di industrie che si esercitavano nel distretto di quella Camera di commercio furono i seguenti:

 

Per ogni individuo alla settimana:

 

                                   Agli operai     Agli operai

                                        maschi        femmine

                                        Marchi         Marchi

 

 Nelle fabbr. di merletti       20-35            7-15

 Nelle fabbr. di stoffe e

 guanti . . . . . . . . . . . .       12-30             6-15

 Nella tess. del lino e

 della iuta . . . . . . . . .        12-27              5-10

 Nella pettinatura della

 lana . . . . . . . . . . . . .      15-27      7,20 -10,20

 Nelle fabbr. di zucchero   10,50-31      7,50-10

 Nelle fabbr. di oggetti

 chimici . . . . . . . . . .        8,50-25           7-18

 Nelle fabbr. di pelli . .        12-28            6-17

 Nelle fabbr. di ogg. di

 gomma . . . . . . . . . .          9-27          7,50-10

 Nelle fabbr. di

palloncini di carta . .         16-22              n.d.

                                    

Queste differenze nei salari apparirebbero ancora più profonde se si sapesse quanti operai maschi e quante operaie ricevevano il maximum della mercede, e quanti il minimum, e quanto elevata sia la media del salario per ambo i sessi.

Recentemente i mestieri e le industrie dai quali le donne sono escluse formano un numero insignificante, mentre sono occupate esclusivamente o quasi esclusivamente in parecchi di essi e specialmente in quelli che provvedono gli oggetti necessari alla donna. In altri rami d’industrie, come nelle industrie tessili, le donne hanno sorpassato in numero gli uomini e li incalzano sempre più. Finalmente per un grande numero di mestieri le donne hanno trovato posto in qualità di assistenti per certi rami e certo genere di occupazione e avanzano continuamente penetrando dappertutto. Il risultato finale è questo, che tanto il numero delle donne in se stesso, quanto il numero degli impieghi, delle arti, delle industrie e del commercio accessibile alle donne è cresciuto rapidamente. E questo aumento non riguarda soltanto le occupazioni meglio adatte alla più debole costituzione fisica della donna, ma abbraccia e si estende senza eccezione a tutti i campi di operosità in cui gli sfruttatori moderni credono di trarre dalla loro impresa più lauti guadagni. Tra cotesti impieghi si annoverano così le occupazioni fisicamente faticose, quanto quelle più sgradite e pericolose alla salute, riducendosi così alle sue vere proporzioni il concetto fantastico per cui si voleva vedere nella donna un essere delicato e fino, quale i poeti e i romanzieri hanno descritto per solleticare l’uomo, ma quale s’incontra soltanto nelle classi più elevate.

Attendiamo ai fatti, alla realtà delle cose anche se dura e incresciosa, perché solo in tal modo ci salveremo da erronei giudizi e da vaghi sentimentalismi. Ora questi fatti ci apprendono che oggi le donne sono occupate fra l'altro: nelle fabbriche di lino, di cotoni, di biancheria, e di panni, nei filatoi meccanici, nelle tintorie, nelle fabbriche di molle d’acciaio e di spilli, in quelle di zucchero, di cioccolata, di carta e bronzo, nell’industria dei vetri, delle porcellane e degli smalti, nella filatura della seta, nella tessitura di nastri e di seta, nelle fabbriche di saponi e candele, in quelle di stuoie e di ovatte, di tappeti, di portamonete e di cartonaggi, di merletti e passamanerie, delle tappezzerie, nelle fabbriche di oli e nelle raffinerie di materie grasse d’ogni genere, nella lavorazione dei cenci e degli stracci, nelle fabbriche di treccie, negli intagli in legno, nella xilografia, nella pittura su maiolica, nelle fabbriche e nei lavatoi di cappelli di paglia, nelle fabbriche di vasellami, in quelle di tabacco e di sigari, di colla e gelatina, nei laboratori di guanti, nelle pelliccerie, nelle fabbriche di cappelli, di giocattoli, nei molini di lino e nell’industria dei cappelli, nelle fabbriche d’orologi e nelle pitture da stanze, nella pulitura dei materassi, nelle fabbriche dei pennelli, delle cialde, degli specchi, delle materie infiammabili e della polvere, degli zolfanelli e dell’arsenico; nella stagnatura delle lamiere di ferro, nel lucidare le tele e darci l’apparecchio, nelle stamperie come compositori, nella levigatura delle pietre preziose, nella litografia, nella fotografia, nella cromolitografia e metacromotipia, nelle fabbriche di mattoni, nelle fonderie e nelle manifatture dei metalli, nella costruzione di case e di strade ferrate, negli stabilimenti di elettricità, nella legatoria di libri, nella tornitura e nelle botteghe di falegname, nelle fabbriche di amido, di cicoria, di cerini e di zinco, nella levigatura del legno, nelle fabbriche di ombrelle e di bastoni, di conserve e nelle confezioni di carne, di bottoni di porcellana, di pellicce, nello scavo delle miniere, nei trasporti di barche sui fiumi e canali, ecc. Di più vasto campo dell’orticoltura e del giardinaggio, nell’allevamento del bestiame e nelle industrie che ne dipendono; infine, in tutti i rami ove esse trovano guadagno, e ove lavorano già da gran tempo esclusivamente come privilegiate e cioè nelle lavanderie, nelle confezioni di abiti per signora, nei vari rami della confezione di mode, nella qualità di venditrici, più ancora come computiste, maestre, bambinaie, scrittrici, artiste, ecc. Vi sono poi migliaia di donne della piccola borghesia impiegate a lavorare come garzoni di bottega e nelle fiere e mercati, sottratte quindi alla vita domestica e specialmente all’educazione dei figli.

Infine bisogna accennare ad una occupazione in cui trovano sempre più facile impiego le donne giovani e vezzose, con grande pregiudizio del loro sviluppo fisico e morale-intellettuale, e cioè a quell’occupazione in pubblici stabilimenti d’ogni maniera a servizio e allettamento degli uomini amanti del piacere e del lieto vivere.

Molte di codeste occupazioni sono pericolosissime. Per esempio è dannosa l’azione di gas d’acido solforoso e i vapori alcalini che si sviluppano nelle fabbriche e nelle lavanderie di cappelli di paglia, dannosa del pari l’aspirazione dei vapori di cloro nell’imbiancare le sostanze vegetali; pericoli di avvelenamento si presentano nelle fabbriche di carta, di cialde e di fiori colorati; nella preparazione della metacromotipia, di veleni e di prodotti chimici, nel dipingere i soldatini di piombo e specialmente i giocattoli di piombo.

L’operazione del sovrapporre agli specchi il mercurio è addirittura letale per il feto delle donne gravide. Delle donne gravide che lavorano col piombo, il 58% abortiscono, il 78% dei nati da esse nascono morti, e di 21,5% nati vivi appena il 13% raggiunge il secondo anno di vita. Una condizione di cose spaventevole. Se in Prussia, dei fanciulli nati vivi, muore il 22% in media durante il primo anno di vita, dei bambini nati da donne che lavorano nelle fabbriche di specchi, dove si adopera mercurio, ne muoiono il 65%; nei bambini nati da donne impiegate ad arrotare i vetri il 55%; e il 40% di quelli nati da donne che lavorano col piombo. Secondo il dott. Hirt, nel secondo periodo di gravidanza, è particolarmente perniciosa alle donne e al feto la fabbricazione di carte colorate, di fiori artificiali, la cosidetta spolverizzazione dei merletti di Bruxelles mediante la biacca, la fabbricazione di specchi; l’industria del caoutchouc e tutte le manifatture in cui le operaie sono esposte a esalazioni perniciose – ossido di carbonio, acido carbonico e vapori di zolfo. Pericolosissima è poi la fabbricazione di zolfanelli, nonché l’impiego e il lavoro nei setifici. Pericoli per la vita, per effetto di lesioni alle membra, presenta specialmente la meccanica nelle industrie tessili, nella fabbricazione di materie infiammabili, e nei lavori di macchine campestri. Uno sguardo alla lista molto incompleta persuaderà del resto ogni lettore che una grande quantità dei lavori citati appartengono ai più faticosi ed opprimenti anche per gli uomini. Si ripete continuamente che questo o quel lavoro è indegno della donna, ma con ciò non si raggiungerà nessun effetto se non si potrà indicarle un altro campo di attività a lei più confacente.

Non è certamente un attraente spettacolo quello di vedere delle donne, spesso anche incinte, condurre a gara insieme con gli uomini dei carri pesanti nella costruzione delle ferrovie; ovvero far da manovali nelle fabbriche di calce e cementi e portar delle pietre pesanti, o infine vederle negli stabilimenti ove si pulisce il carbone e il minerale ecc. La donna con ciò va spogliandosi di quanto vi è in lei di femminile; la sua femminilità viene calpestata, mentre gli uomini perdono tutto ciò che hanno di virile occupandosi in ogni maniera di impieghi. Il che è l’effetto dello sfruttamento e della guerra sociale. Le nostre corrotte condizioni sociali sconvolgono spesso la natura.

Si comprende quindi che codesta estensione che il lavoro delle donne prende e prenderà ancor più in tutti i campi della attività industriale, è vista di malocchio dall’uomo, il quale invoca e chiede ad alte grida che il lavoro delle donne sia soppresso e vietato dalla legge. E’ fuori di dubbio che per effetto di cotesta estensione del lavoro femminile, la vita domestica va sempre più decadendo, donde la dissoluzione del matrimonio e della famiglia, e l’aumento spaventoso della scostumatezza, della demoralizzazione, della degenerazione, delle malattie d’ogni maniera, e della mortalità dei bambini. Secondo la statistica pubblicata nel 1889 dalla Gazzetta di Lipsia, in quelle città della Sassonia che negli ultimi 20 anni divennero veri e propri centri manifatturieri, la mortalità dei bambini è notevolmente cresciuta. Mentre nel periodo dal 1880-1885 nelle città della Sassonia, sopra 100 nati vivi, ne morirono 28,5 nel primo anno di vita, questa cifra fu di molto superata nelle città di Stollberg (44%); di Zshopau (43,4); di Ernstthal (42,6); di Zwönitz (40,7); di Lunzenau (40); di Liechtenstein e Werdau (38,9); di Penig (36,8); di Chemnitz (36,4); di Meerane (35,9). Ancora peggiori sono le condizioni nella maggior parte delle grosse borgate industriali, e particolarmente nei dintorni di Chemnitz, dove la cifra della mortalità oscilla fra il 40 e il 50,7%. E malgrado tutto, questo sviluppo è un progresso alla stessa guisa che la proclamazione del principio della libertà delle industrie, di domicilio, e di matrimonio, e l'eliminazione di tutti gli impedimenti, che favorivano bensì lo sviluppo dei grandi capitali, ma colpivano a morte la nostra piccola e media industria, servì a dare a quest’ultima un crollo irrimediabile.

Gli operai non sono disposti ad aiutare la piccola industria manuale, perché questa cerca con ogni tipo di sforzi reazionari di limitare la libertà delle industrie e degli scambi, di rialzare le barriere rappresentate dalle corporazioni delle arti, e di mantenersi artificialmente in vita ancora per qualche tempo. Nemmeno si può far rivivere il passato nei riguardi del lavoro delle donne, il che non esclude però che delle leggi severe impediscano l’abuso dell’impiego delle donne e dei fanciulli, che è interdetto del tutto per gli obbligati alla scuola. In ciò, gli interessi dell’operaio concordano con quelli dell’umanità e della civiltà.

Si finirà coll’eliminare i danni, che sono un effetto del progresso della cultura, della meccanica, dei migliorati strumenti e sistemi di lavoro, e rimarranno soltanto i vantaggi, dei quali però saranno chiamati a godere tutti i membri della società.

E’ un controsenso ed un’antinomia stridente, che i progressi e le conquiste della cultura, che sono il prodotto del generale sviluppo dell’umanità, avvantaggino soltanto coloro che possono goderne mercè la loro potenza materiale, e che, al contrario, migliaia di laboriosi operai ed artisti debbano sgomentarsi apprendendo che lo spirito umano fece nuove scoperte, per cui si produce 10, 20, 40 volte più che il lavoro manuale, mentre ad essi non rimane che la triste prospettiva di essere gettati sul lastrico come inutili e superflui (74).

Perciò, quello che dovrebbe essere salutato con gioia da tutti, diviene oggetto di rancore, di odio e di ostilità, sentimenti che nell’ultimo decennio determinarono più d’una volta assalti alle fabbriche e distruzione delle macchine. La stessa ostilità v’è oggi fra l’uomo e la donna-operaio. Ed anche ciò è contrario alla natura. Bisogna quindi cercare di creare una condizione sociale, in cui tutti gli strumenti di lavoro diventino proprietà dello stato; un ordinamento sociale che riconosca la perfetta uguaglianza giuridica di tutti, senza distinzione di sesso, che applichi tutti i possibili miglioramenti tecnici e scientifici e tutte le scoperte in relazione all’arruolamento di tutti gli operai, oggi improduttivi o pericolosi, e degli oziosi; un ordinamento sociale tendente a limitare la giornata di lavoro necessario al mantenimento della società, alla misura più breve possibile, per promuovere al più alto grado lo sviluppo fisico e intellettuale di tutti i membri della società. Soltanto in tal modo la donna potrà diventare membro della società, altrettanto utile e produttivo quanto l’uomo; sviluppare completamente tutte le sue attitudini fisiche e intellettuali, compiere i doveri ed esercitare tutti i diritti del suo sesso. Quando essa sarà, di fronte all’uomo, in una condizione di libertà e di eguaglianza, si troverà al sicuro da ogni indegna pretesa.

Quanto diremo in appresso proverà che lo sviluppo moderno tende e cammina verso un tale stato di cose, e che sono appunto i gravi inconvenienti di questo sviluppo che produrranno in un tempo non tanto lontano il formarsi di un tale stato. Diremo più tardi come ciò avverrà.

Sebbene l'evoluzione già da noi accennata, riferibilmente alla posizione della donna nella nostra vita sociale, sia evidentissima per chiunque tenga gli occhi aperti, tuttavia si sente ogni giorno ciarlare della missione della donna, la quale si vuol far credere rivolta esclusivamente alla casa ed alla famiglia. Ed anzi se ne fa un gran parlare, specialmente là dove la donna tenta di penetrare nella sfera degli impieghi ed uffici cosidetti più elevati, per esempio nell’istruzione ed amministrazione superiore, nelle facoltà di medicina o di legge, nelle scienze naturali. A questo proposito si fanno le obbiezioni più ridicole ed assurde, che vengono sostenute sotto l’apparenza della dottrina e della scienza. Di codesta attitudine alla scienza, se ne discorre spesso come dell’attitudine alla costumatezza e all’ordine.

Sebbene non ci sia mai stato un uomo il quale considerasse la scostumatezza e il disordine come lo stato più desiderabile – dovendosi escludere alcuni individui che usurparono potere e dominio mediante la scostumatezza e il disordine, nel qual caso però essi si sforzarono sempre di dipingere le loro azioni come necessarie per l’ordine, per la religione, per i buoni costumi e per la morale – tuttavia queste parole ampollose furono adoperate sempre contro quelli che vogliono fondare l’ordine vero, e cioè contro chi tende a creare una condizione di cose più degna dell’umanità.

Questa attitudine alla dottrina ed alla scienza, oggi si vuole spacciare a difesa e conforto delle teorie più assurde e dei principi più reazionari, per sostenere cioè che per natura e costituzione fisica della donna, indirizzandola alla vita della casa e della famiglia, è in questo ambito che essa deve compiere la sua missione. Si è già visto fino a qual punto oggi lo si possa ottenere. Ma l’argomento principale, di cui si fanno forti gli avversari, è questo: che la donna è inferiore all’uomo per capacità intellettuale, e che è follia credere che essa nel campo dell’intelligenza riesca a fare qualche cosa di notevole.

Queste obbiezioni, sollevate dai dotti, corrispondono siffattamente al pregiudizio generale che hanno gli uomini sulla missione propria della donna e sulle sue attitudini, che chi le solleva può contare sempre sul consenso della maggioranza degli uomini, ed anche delle donne.

Ma, anche se si adducono delle ragioni serie contro il consenso e il pregiudizio della maggioranza, non si può dire che ogni maggioranza voglia ciò che è ragionevole. Finché l'educazione e l'intelligenza sono ancora generalmente così poco elevate come oggi, e finché gli ordinamenti sociali sono tali che la generalizzazione della cultura ferisca gli interessi delle classi dirigenti, le nuove idee troveranno sempre una accanita opposizione.

Le classi interessate trovano facile e comodo sfruttare a proprio vantaggio il pregiudizio delle masse. Per ciò, sulle prime, le nuove idee guadagnarono sempre una piccola minoranza, la quale venne schernita, vituperata e perseguitata. Ma se le idee nuove sono buone e razionali, se sono la conseguenza necessaria dell’ambiente, esse guadagneranno terreno fin che la minoranza diverrà maggioranza. Così accadde di tutte le idee nuove nel corso della storia, e l’idea del socialismo, alla quale è intimamente connessa la emancipazione della donna, presenta lo stesso fenomeno.

Non erano forse una piccola minoranza anche i fautori del cristianesimo? Non hanno forse avuto i loro strapotenti avversari anche le idee della Riforma e della borghesia moderna? E tuttavia non hanno esse trionfato? Si è forse soffocato il socialismo in Germania, perché incatenato e represso con leggi eccezionali che gli impedivano di muoversi? La sua vittoria non fu mai più certa di quando si credeva di averlo ucciso: esso ha superato e vinto le leggi eccezionali e supererà ben altri ostacoli.

Vi sono dei socialisti – notevolmente scemati di numero dalla prima pubblicazione di questo lavoro, ciò che in parte è un merito di esso e della agitazione da esso promossa – i quali non sono meno avversi alla emancipazione della donna di quello che il capitalista sia contrario al socialismo. Non v’è socialista il quale non comprenda che l’operaio è in una posizione di dipendenza dal capitalista, e molti si stupiscono che gli altri e specialmente i capitalisti, non vogliano intenderlo; ma talvolta anche il socialista non vede e comprende la dipendenza della donna dall’uomo, entrando un pò più in questione il suo proprio io. La tendenza di proteggere interessi veri o supposti, che sono poi sempre impalpabili, rende gli uomini ciechi.

Far appello alla missione della donna, dire che essa non deve essere che buona massaia e custode dei figli, ha tanto poco senso, quanto forse il ricordare che vi devono essere sempre dei re, perché ce ne furono in qualche luogo fino da quando vi fu una “storia”.

Ora noi non sappiamo dove nacque il primo re, come non sappiamo dove è apparso il primo capitalista, ma noi sappiamo bene che il potere dei re subì dei mutamenti sostanziali nel corso dei secoli, che la evoluzione e il progresso tendono a spogliarlo sempre più dalle sue prerogative e si può conchiudere a buon diritto che verrà tempo in cui esso verrà considerato come superfluo. Al pari di esso, anche ogni altro istituto sociale andò soggetto a continui mutamenti e trasformazioni ed infine subì una completa rovina.

E precisamente lo stesso accade oggi in quanto alla forma del matrimonio e alla posizione che vi occupa la donna. La posizione della donna nell’antica famiglia patriarcale era affatto diversa da quella da essa occupata più tardi in Grecia, ove la donna aveva l’unico scopo, come ci apprende Demostene: “di partorire figli legittimi e di custodire fedelmente la casa”. Chi oserebbe oggi sostenere che questa posizione è conforme alla natura senza sentirsi rimproverare il poco conto in cui tiene la donna?

Vi sono anche oggi taluni i quali approvano in silenzio la costituzione ateniese, ma nessuno osa manifestare pubblicamente ciò che 2200 anni fa solo uno degli uomini più illustri della Grecia poteva riconoscere davanti a tutti come una cosa naturale. Il grande progresso consiste in ciò. Ora tutto lo sviluppo moderno, particolarmente della vita industriale, ha minato e rovinato moltissimi matrimoni, ma d’altra parte il matrimonio ha influito favorevolmente su tale sviluppo, specialmente là dove la condizione sociale dei coniugi tiene lontane le influenze perniciose. Ancora poche decine d’anni fa, in ogni casa di borghesi e di contadini non solo si riteneva naturale che la donna cucisse, facesse le calze e il bucato, sebbene oggi ciò sia spesso fuori di moda, ma si trovava naturale ch’essa cuocesse anche il pane, filasse, tessesse, inamidasse, facesse la birra, cuocesse il sapone, provvedesse all’illuminazione. Far confezionare un vestito fuori di casa era riguardato come una grande prodigalità, proclamato e considerato come un avvenimento. Tali condizioni s’incontrano anche oggi qua e là, ma sono eccezioni. La maggior parte delle donne si astiene da tali faccende. Molte delle quali vengono disimpegnate più praticamente e più convenientemente di quello che sia dato ad una massaia e, d’altro lato, fa difetto almeno nella città un ordinamento domestico che vi sia adatto. Si è compiuta dunque in pochi decenni una grande rivoluzione nell’ordinamento interno della vita domestica, rivoluzione della quale non ci meravigliamo perché la riteniamo naturale. L’uomo non bada, non fa caso di avvenimenti che si svolgono, si può dire, sotto i suoi occhi, se non quando essi sopravvengono improvvisamente, ma si ribella subito a quelle nuove idee che minacciano di sviarlo dalla vecchia strada. Tale rivoluzione ha pure mutato sostanzialmente la posizione della donna nella famiglia. La donna è diventata più libera, più indipendente. Le nostre nonne, per esempio, non avrebbero nemmeno immaginato di tener lontani dalla casa e dalla famiglia operai e garzoni apprendisti per frequentare teatri, concerti, luoghi di piacere e, spesso, orribile a dirsi, in giorno di lavoro.

E quali di queste buone vecchie pensarono mai, od osarono mai pensare di appassionarsi per i pubblici affari, sebbene non attinenti alla politica, come pure avviene oggi di molte donne? Si fondano società con intendimenti i più vari, si pubblicano giornali, si indicono congressi, si uniscono come operaie in corporazioni, convengono alle adunanze e nelle associazioni degli uomini, e qua e là (parliamo della Germania) sono riuscite ad acquisire il diritto di scegliere il collegio arbitrale per gli operai, diritto di cui il parlamento germanico, nell’anno di grazia 1890, le aveva felicemente private.

Quale codino vorrebbe eliminare tutti questi mutamenti, sebbene non si possa contestare che vicino alla luce ci sono anche le tenebre, originate dalle nostre condizioni agitate e corrotte, ma non soverchianti né oscuranti la luce. Un disaccordo potrebbe scoppiare fra le donne, per quanto conservatrici siano state fin qui, perché esse non sono inclini né disposte a ritornare alle viete, ristrette e patriarcali condizioni del principio di questo secolo.

Negli Stati Uniti, dove pure la società riposa ancora su fondamenti borghesi, ma che non è agitata dai vecchi pregiudizi dell’Europa, né dalle istituzioni del passato, ed è sempre più disposta ad accogliere nuove idee, se promettenti e vantaggiose, si vede da qualche tempo che la posizione della donna va costituendosi ed estendendosi sopra basi diverse da quelle che reggono la donna in Europa. Per esempio i cittadini della repubblica americana hanno già parecchie volte riflettuto che non solo è faticoso e svantaggioso alla borsa che la donna continui a fare il pane e la birra, ma ritengono pure superfluo che essa attenda alla cucina, e ciò senza danno pecuniario. Ai bisogni della alimentazione privata vi provvede la società mediante grandi macchine e cucine a vapore; le donne attendono al servizio alternativamente e il risultato è questo: che il pranzo costa un terzo di meno, che il cibo è più saporito, che offre maggiore varietà e si risparmia molta fatica. I nostri ufficiali, che non sono certo in voce di socialisti e comunisti, fanno precisamente così: formano nei loro casini una mensa, scelgono un amministratore che provveda alla spesa e faccia gli acquisti all’ingrosso dei generi alimentari: la lista dei cibi viene concordata e l’allestimento dei cibi si compie nella cucina a vapore della caserma. In tal modo essi mangiano a prezzi meno elevati di quelli degli alberghi, avendo cibi per lo meno altrettanto buoni. Vi sono inoltre delle migliaia di famiglie molto ricche in Europa, le quali vivono a pensione negli Hotels senza che esse si accorgano minimamente che loro manchi la cucina domestica, ritenendo anzi come una grande comodità il non avere le noie e le preoccupazioni di doversi allestire il cibo in casa propria. Oltre alle cucine a vapore, vi sono anche i lavatoi a vapore coll’essiccatoio; condotti di acqua fredda, come ne abbiamo in molte città e località; condotti di acqua calda che servono a sostituire con un adatto sistema di riscaldamento centrale quello delle stufe tanto incomodo e che affatica e fa perdere alle donne tanto tempo: in taluni alberghi, negli ospedali, nelle scuole, nelle caserme ed anche nelle case private delle famiglie più ragguardevoli codesto sistema funziona, sebbene ancora in modo manchevole e imperfetto. Nell’estate del 1890 si leggeva nei giornali una descrizione dei progressi fatti nei sistemi di riscaldamento centrale e della ventilazione negli Stati Uniti – dove per ogni progresso si tengono gli occhi più aperti che non nella decrepita Europa e specialmente in Germania. Ecco quanto si legge in proposito: «I tentativi fatti di recente, specialmente nell’America settentrionale, di riscaldare da un sol punto interi rioni, segnano dei successi notevoli e sono proseguiti nei rapporti delle costruzioni con tanta cura e tanta convenienza, che se ne può sperare una più larga diffusione in vista degli esperimenti favorevoli e dei vantaggi economici che se ne ricavano. Di recente poi si è andati ancora più avanti, tentando di provvedere non solo al riscaldamento, ma anche a rinfrescare, mediante l’aria o riscaldata o fresca da un luogo centrale, particolari quartieri non troppo estesi. Questo tentativo, realizzato e concretato nel cosidetto sistema di Timby, venne posto a base delle sue intraprese recentemente a Washington, dalla Compagnia Nazionale di riscaldamento e ventilazione, come scrive il “Giornale centrale dei lavori pubblici” desumendolo da una relazione del sig. Petri, ingegnere del governo dei lavori pubblici, addetto ai lavori tecnici a Washington. La Compagnia si propose dapprima lo scopo di provvedere ai bisogni di una città di 50 mila abitanti. Le difficoltà dipendenti dalla necessaria velocità dell’aria e della grandezza dei mantici meccanici, permisero ciò non pertanto di estendere le reti fino a chilometri 0,8 di lunghezza e di impiantare un proprio stabilimento per ogni quadrato di edifici, specialmente nelle contrade più dense di popolazione per movimento di affari. Il principio del sistema Timby è semplicissimo. "Nello Stabilimento Centrale si trovano le caldaie a vapore o ad acqua calda, grandi secondo le esigenze del bisogno, mediante le quali la diramazione principale dell’aria si verifica in tubi chiusi e contiene in sé una parte del calore prodotto. Per conservare nel corso della conduttura principale dell’aria, che va a distribuirsi nel sottosuolo stradale, un calore uniforme oppure un durevole ricambio delle perdite di calore, si dirama dalle caldaie nell’interno della conduttura d’aria e fino alla sua estremità un canale per il vapore o l’acqua calda, che è unito alla caldaia. Le somme della produzione di calorico (75) del tubo a vapore caldo e del tubo a vapore freddo è uguale quasi dappertutto, e perciò in tutto il corso del tubo dell’aria vi è una temperatura uniforme. L’aria viene spinta nei tubi principali mediante un mantice, e quindi ha sempre un’eccedenza di pressione che rende poco sensibile l’azione dei gas nocivi del suolo. Dalle condutture principali si staccano altri condotti accessori verso i singoli edifici e i luoghi di consumo, i quali portano l’aria nelle stanze di abitazione o di lavoro. La quantità di calore consumata viene determinata da appositi contatori infissi nelle diramazioni"».

Così si fa nella società borghese degli Stati Uniti. Ora è certo che quello che ivi è oggetto di speculazione privata e di proprietari privati, potrebbe essere eseguita per tutti altrettanto bene dallo Stato o dalla Comunità con immenso e generale vantaggio.

Ma la borghesia, che non conosce generosità di sentimenti, né larghezza d’idee, si stringe nelle spalle davanti a tali progetti. Se si fosse proposto alle nostre donne di 50 o 60 anni fa di risparmiare alle loro figlie o fantesche l’incomodo di andare ad attingere acqua, mediante la costruzione di un acquedotto, avrebbero detto trattarsi d’una pazzia e d’una inutilità, perché si sarebbero abituate le figlie e le fantesche a stare in ozio. Napoleone I dichiarò assurdo il progetto di far andar innanzi una nave a vapore. E chi non sa come furono giudicate le nostre ferrovie dai “poveri vetturali?”

Insomma la nostra società borghese mostra già dappertutto i germi che verranno ampiamente sviluppati e generalizzati da una società nuova, per creare, mediante una grande rivoluzione, un migliore assetto sociale. Del resto, è fuori di dubbio che tutto lo sviluppo della nostra vita sociale non tende a confinare ancora la donna tra le pareti domestiche, come pur vorrebbero i fanatici della donna casalinga, che essi vagheggiano, come gli Ebrei nel deserto sospiravano le perdute marmitte d’Egitto, ma è certo invece che esso mira a rompere la stretta sfera entro la quale si aggira la donna, per farla partecipare alla vita pubblica del popolo, – nel quale non si conteranno più soltanto gli uomini – e ai compiti della cultura umana.

Anche Laveleye lo ha riconosciuto pienamente, scrivendo (76) : «Man mano che aumenta ciò che si è soliti designare col nome di civiltà, i sentimenti di pietà e i legami della famiglia s’indeboliscono ed esercitano minore influenza sulle azioni degli uomini. Questo fatto è così generale, che vi si può ravvisare una legge dell’evoluzione sociale». Ciò è giustissimo. Non solo la posizione della donna è radicalmente mutata, ma con essa è mutata, rispetto alla famiglia, anche quella dei figli e delle figlie, che a poco a poco hanno acquistato un grado d’indipendenza prima sconosciuta, specialmente negli Stati Uniti d’America, dove, favorita da tutta la società, si è spinta ad un grado, da noi non raggiunto, l’educazione alla libertà e alla indipendenza. Gli inconvenienti che anche questa forma di sviluppo presenta oggi, non sono assolutamente essenziali; e potranno evitarsi benissimo in condizioni sociali migliori, e si eviteranno.

Anche il dott. Schäffle riconosce, come il Laveleye, che il mutato carattere della famiglia dei tempi nostri, è un effetto della evoluzione sociale. Egli scrive (77): «La storia dimostra la tendenza di ricostituire la famiglia sulle sue funzioni specifiche. La famiglia rinunzia alle funzioni esercitate provvisoriamente in luogo d’altre, una dopo l’altra, cedendo, là ove essa aveva servito a colmare il vuoto delle funzioni sociali, a favore di istituzioni indipendenti per il diritto, l’ordine, l’autorità, il servizio divino, l’istruzione, la tecnica ecc., non appena tali istituzioni si formano». Anche le donne incalzano sempre più, sebbene in sulle prime in minoranza e con intenti e propositi non ancora molto precisi. Esse vogliono misurarsi cogli uomini, non soltanto nel campo industriale, vogliono conquistare non solamente una posizione più indipendente nella famiglia, ma vogliono anche consacrare la loro attività intellettuale a più nobili arringhi (78). Ed eccoci davanti all’obbiettivo che la donna non vi possa riuscire perché la natura non la provvide delle necessarie attitudini. Sebbene la questione sulla capacità della donna non tocchi né possa toccare nella società moderna che un numero limitatissimo di donne, tuttavia essa è d’importanza capitale. La maggior parte degli uomini crede sul serio che le donne devono rimaner sempre intellettualmente inferiori all’uomo, ed è questo pregiudizio che dobbiamo distruggere.

 

Intanto è interessante il vedere che gli stessi uomini, i quali non hanno nulla da opporre che la donna volga la sua attività in occupazioni, molte delle quali sono estremamente faticose e spesso pericolosissime, in cui la sua femminilità corre pericolo, e per le quali deve violare nel modo più manifesto i suoi doveri di madre e di sposa, è interessante, ripeto, il vedere come questi uomini vogliono poi escludere la donna da quelle occupazioni, nelle quali tutti questi ostacoli e pericoli sono molto minori; occupazioni che sarebbero più adatte alla delicatezza dell’organismo di lei, che, dopo tutto, quanto a forza, regge al paragone con quello di più d’un dotto.

Fra gli scienziati di Germania, i quali non vogliono saperne di permettere alla donna l’accesso agli studi superiori e vorrebbero almeno condizionarlo e limitarlo assai, accenniamo al prof. L. Bischof di Monaco, al dott. Luigi Hirt di Breslavia, al prof. H. Sybel, L. de Bärenbach, al dott. E. Reich, ed altri molti. Il de Bärenbach crede di poter negare alla donna l’accesso come le attitudini agli studi scientifici, osservando che fino ad oggi fra le donne non è mai sorto un genio, e che le donne sono notoriamente incapaci a intraprendere gli studi filosofici.

Anzitutto ci sembra che il mondo abbia avuto finora troppi filosofi, per poter rinunziare senza danno alle filosofesse. Ma per ciò che si riferisce all’affermazione che le donne non abbiano ancora prodotto alcun genio, ci sembra che non regga neppure questa e che non provi nulla. I geni non piovono dal cielo; essi hanno bisogno dell’occasione per formarsi e svilupparsi, e questa occasione non solo fino ad ora è quasi completamente mancata alle donne, come abbiamo dimostrato a sufficienza nel compendio storico; ma la si è oppressa in ogni maniera per migliaia di anni.

Dire che le donne non hanno alcuna disposizione e attitudine a diventare dei geni, perché si crede con ciò di poter negare al numero pur grande di donne ragguardevoli ogni e qualsiasi genio, è tanto erroneo e ingiusto, come se si volesse sostenere, che nel mondo degli uomini non sono stati possibili altri geni, all’infuori di quei pochi, che si considerano come tali. Ora ogni maestro di villaggio sa quante felici attitudini fra i suoi scolari non finiscono e non si sviluppano, per mancanza della possibilità di educarle. Il numero degli uomini di talento e di genio è certamente molto maggiore di quello che si è manifestato fino ad oggi, perché le condizioni sociali li soffocano e spengono: ed è precisamente lo stesso anche della capacità del sesso femminile, che per migliaia di anni venne continuamente oppresso e soffocato.

Oggi noi manchiamo assolutamente di ogni criterio per giudicare quale abbondanza di forza e attitudini intellettuali si svilupperanno negli uomini e nelle donne non appena queste potranno spiegarsi sotto condizioni più conformi alla natura.

Oggidì avviene nell’umanità precisamente quello che avviene nel regno vegetale. Milioni di germi preziosi non riescono a svilupparsi, perché il terreno ove essi cadono non è adatto, ovvero è già occupato da male erbe, che tolgono alla tenera pianticella il nutrimento, l’aria e la luce. Le stesse leggi reggono anche la vita dell’umanità. Se un giardiniere o un agricoltore volesse dire di una pianta che non attecchisce o non cresce vigorosa, quantunque egli  non ne abbia ancora fatto verun esperimento, e l’abbia forse arrestata nel suo sviluppo con un erroneo trattamento, quel giardiniere o quell’agricoltore sarebbe qualificato per imbecille dai suoi vicini più istruiti. Lo stesso avverrebbe se egli volesse rifiutarsi di incrociare una femmina dei suoi animali domestici con un maschio di una razza più perfetta, per allevare una razza di animali più perfetti.

Se non che non vi sarebbe oggi in Germania nessun contadino tanto ignorante, da non vedere i vantaggi di questo modo di trattamento delle sue piante o del suo bestiame; un’altra questione è quella di vedere se i suoi mezzi gli permettono di adottare sistemi migliori. Gli è soltanto nel mondo umano che anche i dotti non vorrebbero che valesse ciò che viene pure da essi sostenuto come legge indistruttibile in tutti gli altri regni della natura. Eppure ognuno può, anche senza essere naturalista, fare da sé delle osservazioni molto istruttive. Perché i figliuoli dei contadini differiscono dai figli nati da cittadini? Perchè i figli delle classi più agiate differiscono dai figli dei poveri, non solo nell’aspetto fisico, ma anche in certe qualità intellettuali? Il perché, su ciò siamo tutti d’accordo, deve trovarsi nella diversità delle condizioni di vita e di educazione.

L'uniformità dipende dal perfezionarsi in una data professione, imprime all’uomo dei tratti caratteristici. Un curato, un maestro si riconoscono facilmente il più delle volte al portamento, all’espressione della fisionomia, come si riconosce facilmente un militare anche se veste l’abito borghese. Un calzolaio si distingue agevolmente da un sarto, un falegname da un magnano. Due gemelli, che nella fanciullezza fossero pure somigliantissimi, presenteranno più tardi delle differenze notevoli, se la professione loro è diversa; per l’uno, per es. quella manuale del magnano, per l’altro quella degli studi filosofici. L’eredità, dunque, e l’adattamento agiscono in modo decisivo sullo sviluppo dell’uomo, precisamente come agiscono sul regno animale, ed anzi sembra che l’uomo sia il più adattabile e pieghevole degli esseri. Bastano pochi anni di un dato genere di vita e di professione, per farne addirittura un altro uomo. Questo rapido mutamento, almeno esteriormente, non si manifesta mai tanto palesemente quanto allorché un uomo sale d’un tratto da una condizione di miseria a condizioni di agiatezza. Anche se non può rinnegare il suo passato almeno nella sua cultura intellettuale, ciò non lo pone nell’impossibilità di svilupparsi ulteriormente, perché anche gli uomini dappoco sentono fino ad una certa età la tendenza e provano il desiderio di educare l’intelligenza, ritenendolo anzi necessario. E’ peccato però che la gente rifatta senta ben di rado i danni derivanti dal difetto di cultura. L’epoca nostra che mira al danaro e agli interessi materiali si curva davanti all’uomo danaroso assai più volentieri che non davanti allo scienziato e al dotto, se questi ha la disgrazia di essere povero e di non avere alcun titolo o grado. E’ certo che ben di rado si scorge nei figli di questa gente rifatta la loro origine, perché anche intellettualmente e moralmente si trasformano.

L’esempio più eloquente dell’azione che esercitano le condizioni di vita e l’educazione sugli uomini, si trova nei nostri distretti industriali. Ivi lavoratori e imprenditori presentano anche esteriormente tale diversità, come se essi appartenessero a due diverse razze.

Sebbene avvezzi a tale diversità, questa ci si presentò davanti agli occhi in modo quasi spaventoso in occasione di un’assemblea che abbiamo tenuto nell’inverno del 1877 in una città ove si esercita l’industria della lavorazione dei minerali.

In una adunanza ove noi sostenemmo una disputa con un professore del partito liberale, entrambi i partiti erano così largamente rappresentati che la sala era troppo angusta per contenerne il numero; si urtavano e pigiavano l’uno vicino all'altro. La parte anteriore della sala era occupata dagli avversari, dalla figura, quasi senza eccezione, forte, robusta ed aitante, dall’aspetto sano; nella parte posteriore della sala e nelle gallerie c’erano gli operai e i piccoli borghesi, per nove decimi tessitori, delle signore per la maggior parte piccole, mingherline, scarne, pallide, sul cui viso si leggeva il dolore e la miseria.

Gli uni rappresentavano la virtù satolla e la morale che può pagare, gli altri erano le api laboriose e le bestie da tiro, del cui lavoro tanto si avvantaggiavano i primi da presentare un così florido aspetto, mentre questi erano affamati. Si pongano entrambi per una generazione nelle stesse condizioni favorevoli di esistenza, e l’antitesi scomparirà, e sarà certo cancellata nei discendenti.

E’ inoltre evidente che, in generale, è più difficile di stabilire la posizione sociale delle donne dal loro aspetto esterno perché esse si adattano a nuove condizioni e assumono abitudini di vita più alte con maggior facilità. La loro attitudine all’adattamento è in questo senso più grande di quella dell’uomo, più disadatto in tutto.

Devesi quindi riconoscere la grande importanza che, dal punto di vista delle leggi naturali, le condizioni sociali hanno sullo sviluppo dei singoli.

Soltanto chi ha idee limitate o gli uomini di cattiva volontà possono disconoscere, che il miglioramento delle condizioni sociali e quindi delle condizioni fisiche, intellettuali e morali potranno far raggiungere, non solo agli uomini, ma anche alla donna quel grado di perfezione del quale non abbiamo oggi una idea completa. Non si può porre in dubbio ciò che alcune donne hanno fatto finora, perché queste donne eccellono sulla massa del loro sesso almeno altrettanto quanto i geni maschili eccellono sopra la massa dei loro simili. Nel governo degli Stati le donne, misurate in proporzione al loro numero e alla loro attività, con la norma stessa con cui oggi si è soliti di misurare i principi, han dato, in media, prova di maggiore talento degli uomini. Ricordiamo, ad esempio, Isabella e Bianca di Castiglia, Elisabetta d’Ungheria, Elisabetta d’Inghilterra, Caterina di Russia, Maria Teresa, ecc. Del resto di più di qualche grand’uomo si sfronderebbe la gloria, se si sapesse sempre ciò che egli deve a se stesso, e ciò che deve agli altri. Il conte di Mirabeau viene presentato dagli storici tedeschi, per esempio, dal signor De Sybel, come uno dei più celebri oratori ed anche come il genio più grande della rivoluzione francese.

 Ebbene, oggi la critica storica ha constatato che questo genio così potente pigliava in prestito le idee di quasi tutti i suoi discorsi e quelli dei più celebri senza eccezione, da alcuni letterati che in silenzio lavoravano per lui, e dei quali egli seppe profittare abilmente.

D’altra parte, figure del mondo femminile come madama Roland, la signora di Stäel, George Sand, Lady Elliot, meritano la più alta ammirazione ed anzi più di qualche astro maschile impallidisce vicino ad esse. E’ pur noto ciò che hanno fatto certe donne come madri di uomini eminenti.

Le donne insomma hanno operato intellettualmente tutto quello che era possibile, date le sfavorevolissime circostanze in cui esse vissero, e tanto basta per essere autorizzati a nutrire le migliori speranze per il loro ulteriore sviluppo.

Ma, ammesso che le donne non siano in media capaci di sviluppo intellettuale al grado stesso degli uomini e non possano diventare né geni, né grandi filosofi, bastò forse questa circostanza alla maggioranza degli uomini, quando si accordò ad esse, almeno secondo la lettera della legge, la piena eguaglianza giuridica coi “geni” e coi “filosofi”? Gli stessi dotti che negano alla donna una maggior capacità, sono pure facilmente disposti a contrapporla all’operaio ed all’artigiano. Essi ridono ironicamente e si stringono nelle spalle quando la nobiltà fa appello al sangue bleu e alla razza; ma, rispetto all’uomo di bassa condizione, essi si considerano come una aristocrazia, la quale nulla deve, per ciò che essa è diventata, alle più favorevoli circostanze della vita, (ohibò! vi vedrebbe una umiliazione di se stessa), ma solo ed esclusivamente al proprio talento e alla propria intelligenza. Quelli stessi che, in un certo campo, appartengono ai più spregiudicati ed hanno una mediocre opinione di coloro che non la pensano liberamente come essi, in altro campo, là cioè dove si tratti degli interessi della loro casta e del loro ceto, del loro amor proprio e della loro vanità, professano idee e principi limitatissimi e oppongono una resistenza accanita sino al fanatismo.

Così la classe più elevata del mondo mascolino pensa e giudica della classe più bassa dello stesso mondo, e quasi tutto il mondo mascolino poi della donna.

Gli uomini, in generale, non vedono nelle donne nient’altro che un mezzo, uno strumento di piacere e di godimento; a considerarle come loro eguali si oppongono i loro pregiudizi. La donna deve essere sottomessa, modesta, limitarsi alle faccende domestiche, tutto il resto dev’essere lasciato all’uomo “re del creato”, come suo patrimonio. La donna deve porre ogni possibile freno alle sue idee e alle sue aspirazioni e starsene tranquilla ad aspettare ciò che la sua provvidenza terrena (il padre o il marito) deciderà di lei. Quanto più essa si mostra ligia a questi precetti, e tanto più virtuosa, ragionevole e costumata la si considera, anche se essa dovesse rovinarsi sotto il peso di sofferenze fisiche e morali, conseguenze della sua schiavitù. Ma se si parla della eguaglianza di tutti gli uomini, è una assurdità il volere escludere la metà del genere umano.

La donna ha i diritti stessi dell’uomo, l’accidentalità della nascita nulla può mutare. Mettere fuori dal diritto la donna, perché nacque donna e non uomo – del che l’uomo ne ha tanto merito quanto la donna – è altrettanto iniquo, quanto il far dipendere il godimento dei diritti dalla professione di fede religiosa o politica, e altrettanto insensato quanto allorquando due uomini si considerano nemici, perché appartengono entrambi, per l’accidentalità della nascita, a razze o nazionalità diverse.

Tali sentimenti sono indegni di un uomo libero, e il progresso dell’umanità consiste nel togliere al più presto possibile tutte le barriere. Verun’altra inuguaglianza è giustificata all’infuori di quella che la natura pose per base al raggiungimento dei suoi scopi naturali apparentemente eterogenei, ma sostanzialmente omogenei. Ma nessun sesso oltrepasserà i limiti segnati dalla natura perché esso non farebbe con ciò che distruggere gli scopi stessi a cui da natura è chiamato.

Verun sesso è autorizzato a imporre limitazioni all’altro, allo stesso modo che una classe non può imporle ad un’altra.

 

(continua)

 


 

(*) Si tratta della nota di Marx ne Il Capitale, Libro I, cap. XIII, Macchine e grande industria, (Libro I, Utet, Torino 1974, p. 538) ripresa da Bebel all'inizio del capitolo "Istinto sessuale. Il Matrimonio. Freni e impedimenti al matrimonio", pubblicato nel nr. 128 de "il comunista".

 

(74) Il sig. A. Redgrave ispettore delle fabbriche, tenne sulla fine di dicembre del 1871 una conferenza a Bradford, nella quale disse fra altro: «Ciò che da qualche tempo mi ha colpito, fu il mutato aspetto delle fabbriche di panni. Prima queste fabbriche erano piene di donne e fanciulli, adesso le macchine fanno tutto. Un proprietario di fabbrica diede a me, che lo richiedevo, i seguenti schiarimenti. "Sotto il vecchio sistema io occupavo 63 persone, dopo l’introduzione delle macchine perfezionate ho ridotto la mano d’opera a 33; e ora, non è molto tempo, fui in grado di ridurla a 18 in conseguenza di nuovi perfezionamenti». In pochi anni dunque vi fu nell’odierna grande produzione una diminuzione nel numero degli operai quasi dell’80% in una fabbrica in cui la massa dei prodotti è rimasta almeno la stessa. A questo proposito poi, «Il Capitale» di Carlo Marx contiene molte notizie interessantissime. Nota di A. Bebel.

(75) Calorico: antico nome del calore, quando ancora si riteneva che  questo fosse un fluido.

(76) La proprietà primitiva, Cap. 20, Comunione domestica. Nota di A. Bebel. Emile Louis Victor de Laveleye (1822-1892), economista e saggista belga, è stato membro dell'Accademia reale del Belgio, ed ha scritto molte opere di economia, di storia e di politica, tra le quali, per l'appunto, quella citata da Bebel, De la proprieté et de ses formes primitives, del 1874.

(77) Creazione e vita del corpo sociale. 1° vol. Nota di A. Bebel. Albert Eberhard Friedrich Schäffle (1831-1903) economista e sociologo tedesco, fu ministro del commercio nel 1871 e poi dell'attività scientifica. Tra le sue numerse opere, alcune velate di idealità socialiste, vi è quella segnalata da Bebel, Bau und Leben des socialen Körpers del 1896.

(78) Arringo, o arengo: Vocabolo antico col quale si indicava un luogo riservato alle riunioni dei partecipanti al libero comune medievale; in seguito per indicare l'assemblea riunita, detta anche concione o parlamento.

 

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