Il partito di classe del proletariato, indispensabile e decisivo non solo nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico e per la trasformazione economica della società, ma anche nella lotta di classe del proletariato sul terreno della difesa immediata dagli attacchi convergenti delle forze borghesi capitaliste ed opportuniste

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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Il contrasto profondo e insanabile tra le forze produttive moderne e i rapporti di produzione capitalistici si traduce inevitabilmente nella lotta fra la classe borghese e la classe proletaria.

Per quanto faccia, usando i potenti mezzi della propria propaganda (media, religione, scuola, parlamento ecc.) e il potere economico, politico e militare a disposizione, per mistificare questa realtà sociale, la classe borghese dominante non riuscirà mai ad eliminare quel contrasto profondo. Lo sviluppo del capitalismo non sarà mai in grado di superare le contraddizioni sociali che lo caratterizzano storicamente; anzi le approfondisce e le allarga e, anche quando le crisi economiche sembra che lo arrestino, le misure che le classi dominanti borghesi riescono ad adottare allo scopo di superare tali contraddizioni sono solo misure che nel tempo non fanno altro che preparare crisi più violente e generali.

La società borghese moderna, afferma il Manifesto di Marx ed Engels, ha creato mezzi di produzione e di scambio nel mercato così potenti da assomigliare sempre più all'apprendista stregone che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Lo sviluppo dell'industria e del commercio è storia di rivolte delle forze produttive moderne contro i moderni rapporti  di produzione, "cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio". Dunque, la classe borghese dominante esiste e continua ad esistere alla condizione di mantenere i rapporti di proprietà che stanno alla base dei rapporti di produzione e di scambio. Nella società borghese si producono e si scambiano merci, merci contro denaro; per produrre, nella società borghese, ci vogliono capitali e forza lavoro salariata e, dato che il fine della produzione capitalistica è sempre più la valorizzazione del capitale investito ed il profitto e non la soddisfazione dei bisogni reali della vita sociale degli uomini, lo sviluppo del capitalismo inevitabilmente schiaccia i bisogni della vita sociale della specie per esaltare i bisogni della valorizzazione del capitale. Tutto ciò che si produce nella società borghese è merce, ed è merce la stessa forza lavoro salariata; tutta la produzione e tutti gli scambi dipendono dal mercato, ossia dal luogo in cui le merci si trasformano in denaro e il denaro in capitale e, in cui, la lotta di concorrenza tra capitali, aziende e stati, decide la vittoria e la sconfitta dei concorrenti. 

Lo sviluppo incessante della produzione e degli scambi porta inesorabilmente alle crisi commerciali ed economiche generali nelle quali viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti, ma anche una gran parte delle forze produttive già create. "Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione", continua il Manifesto di Marx ed Engels. Il mercato si satura di prodotti, le merci non riescono più ad essere vendute al prezzo che contiene il tasso di profitto medio che i capitalisti si attendono; i prodotti che continuano a rovesciarsi nel mercato lo intasano, la produzione si ferma, l'industria e il commercio si fermano e sembrano distrutti.

La società borghese che ha creato forze produttive in quantità molto maggiori e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato preborghese, è la stessa società che all'improvviso sembra ricondotta ad uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza (sempre il Manifesto di Marx ed Engels). E perché?

"Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese".

I rapporti di proprietà e, dunque, i rapporti di produzione borghesi, giunti ad un certo grado di sviluppo capitalistico, ostacolano lo sviluppo delle forze produttive e l'intera società entra in crisi per troppa civiltà borghese. Sono i rapporti di proprietà e, quindi, i rapporti di produzione borghesi l'ostacolo reale allo sviluppo delle forze produttive. Ma può la borghesia, le cui condizioni di esistenza e di dominio sociale sono costituite appunto dai rapporti di proprietà e di produzione borghesi, risolvere le crisi del proprio sistema economico e sociale in modo tale che i loro fattori non si presentino più? Non può. La borghesia affronta le crisi con misure che non intaccano i rapporti di proprietà e di produzione che stanno alla base della sua esistenza e del suo dominio sociale: "da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi". E' quel che ci sentiamo dire da ogni governo e da ogni industriale, da più di 160 anni, ma in realtà le crisi economiche e sociali del capitalismo non hanno fatto che ripresentarsi ciclicamente ogni 10, 8, 5 anni, aumentando di numero e di profondità, e dislocandosi di volta in volta nei diversi mercati o coinvolgendoli tutti in un abbraccio mondiale, distruggendo sistematicamente masse di forze produttive e di prodotti, aumentando la miseria e la fame di masse sempre più numerose, aumentando in progressione geometrica la disoccupazione, aumentando sistematicamente gli scontri di guerra per accaparrarsi "nuovi mercati" o per sfruttare più intensamente "i vecchi". Con ragione, il Manifesto di Marx ed Engels, conclude: Dunque con quali mezzi la borghesia supera le crisi? "Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse".

Se la borghesia, nel corso dello sviluppo del capitalismo e delle sue crisi, ha ancora oggi, a distanza di 166 anni dal 1848, saldamente in mano il potere politico e il dominio economico e sociale nel mondo, non è perché ha scovato un sistema geniale per superare le crisi della sua società, ma perché la classe del proletariato non ha ancora conquistato stabilmente il terreno della lotta di classe rivoluzionaria sul quale combattere e battere la classe borghese e tutti i suoi alleati interessati alla conservazione sociale.

I rapporti di produzione borghesi si basano sul dominio sociale della classe che possiede i mezzi di produzione e i capitali che servono per acquistare materie prime da trasformare e lavoro umano da applicare ai mezzi di produzione. Tale dominio, che si basa sui rapporti di proprietà privata, si estende anche sulla proprietà dei prodotti ottenuti dalla produzione sociale, che noi chiamiamo appropriazione privata della ricchezza sociale. I capitalisti, quindi, contano non solo  sulla proprietà privata dei mezzi di produzione ma, soprattutto, sulla appropriazione privata della produzione. Tecnicamente i mezzi di produzione potrebbero essere tutti di proprietà del capitalista collettivo, lo Stato borghese, ma l'appropriazione della produzione rimarrebbe privata, di proprietà dell'imprenditore che amministra il ciclo di produzione, l'aquisto delle materie prime da trasformare, l'acquisto del lavoro salariato da applicare ai mezzi di produzione, gli accordi di scambio delle merci, intascando il profitto. In ogni ciclo produttivo il lavoro salariato viene dato solo dai proletari che, spossessati di tutto, sono obbligati a fornire all'imprenditore capitalista ore di lavoro contro salario.

Il salario è il prezzo che il capitalista paga al lavoratore per il tempo di lavoro giornaliero con quale viene impiegata la sua forza lavoro. Ma è proprio dal tempo di lavoro non pagato che il capitalista ottiene il suo vero guadagno; il salario, in realtà, non corrisponde mai al tempo di lavoro totale che al lavoratore viene richiesto dall'imprenditore, ma al solo equivalente che serve al lavoratore per acquistare i beni per sopravvivere e ricostituire le forze perché la sua forza-lavoro continui ad essere sfruttata ogni giorno. Il plusvalore, di cui parla Marx, scoprendo il vero segreto del guadagno capitalistico, è esattamente il valore che corrisponde al tempo di lavoro operaio non pagato. E si tratta di estorsione perché al lavoro salariato i proletari sono obbligati per sopravvivere e perché, nell'inganno borghese dei valori equivalenti che si scambiano nel mercato, è contenuto un valore (il plusvalore) che non viene scambiato con nessun'altra merce, ma di cui si appropria il capitalista in forza del suo dominio sociale che obbliga i lavoratori, per vivere, al lavoro salariato.

L'interesse del capitalista è di pagare il salario orario più basso possibile, di far lavorare il salariato più ore possibili nell'arco della singola giornata, e più intensamente possibile, per ottenere una quota di tempo di lavoro non pagato (plusvalore) più alta possibile e i costi di produzione per unità di prodotto più bassi possibile, così da poter andare sul mercato con prodotti concorrenziali rispetto ad altri imprenditori. L'interesse del lavoratore salariato è di farsi pagare più possibile ogni ora di lavoro, lavorare meno ore al giorno e con minore fatica possibile, quindi con minore intensità e a un  ritmo non eccessivo, avere quindi più tempo e più energie da dedicare alla propria vita al di fuori del lavoro. Gli interessi del capitalista e del salariato sono del tutto contrari, di fatto antagonistici e si risolvono attraverso i rapporti di forza che si instaurano fra capitalisti e proletari. La classe dei capitalisti, ha dalla sua parte il dominio economico, sociale e politico sulla società, organizzato e difeso dallo Stato centrale con le proprie istituzioni e le forze armate. I proletari dalla loro parte non hanno alcun potere; sono solo numericamente più forti dei capitalisti, ma il numero è ben poca cosa se non è organizzato in difesa dei propri esclusivi interessi di classe e verso tale organizzazione sono le stesse condizioni di lavoro e di vita che li spingono.

Lo sviluppo dell'industria genera masse di proletari sempre più numerose, anche nei paesi che tempo addietro erano tra i più arretrati capitalisticamente. "Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del proletariato si vanno sempre più eguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il salario a un livello ugualmente basso", continua il Manifesto del 1848. Il salario operaio diventa così sempre più oscillante, come oscillante diventa il posto di lavoro; per i proletari "l'incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza". Le crisi, in sovrappiù, aumentano l'incertezza del posto di lavoro, e quindi del salario, visto che il salario viene dato solo a fronte di ore di lavoro effettivamente fornite dall'operaio al capitalista. I motivi di scontro tra operai e capitalisti si accumulano, mentre gli operai si coalizzano contro i padroni, organizzano la difesa delle proprie condizioni di lavoro e di vita sulla base della forza del numero che possono rappresentare e della pressione che possono esercitare attraverso azioni che mettono in difficoltà gli interessi dei padroni, che danneggiano la produzione e la circolazione delle merci. La lotta contro i capitalisti, col tempo, diventa un fatto "normale", l'unico modo per arginare la pressione capitalistica sul lavoro salariato, per impedire il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita operaie o per ottenere dei miglioramenti.

Ma lotta significa uso della forza per ottenere un risultato che non si può ottenere in alcun altro modo. L'unione fa la forza, recita un motto valido per tutte le occasioni. Ma l'unione dei proletari che può effettivamente essere utilizzata allo scopo di difendere il loro salario deve necessariamente svilupparsi nella direzione delle associazioni permanenti in grado di sostenere gli operai durante la loro lotta contro i capitalisti. I sindacati operai, che in un primo periodo storico nei paesi a capitalismo sviluppato erano negati e perseguiti, sono poi stati tollerati dalla borghesia che trovava più conveniente accordarsi con loro per raggiungere velocemente la fine delle lotte e degli scioperi piuttosto che mantenere un clima di tensione e di scontro sociale permanente. Nella pace sociale gli affari borghesi si fanno con molta più facilità che non in clima di tensioni e di guerra sociale; questo lo sanno anche i muri.

Ma, aumentando il numero di operai organizzati nei sindacati, e nei partiti operai, col tempo sono aumentate anche le pretese operaie in termini di salario e di tutto ciò che è inerente alle condizioni di lavoro e di vita.  Per la classe borghese il problema non era più soltanto la tolleranza dell'attività dei sindacati operai, che apriva la strada anche alla libertà dell'organizzazione politica tanto decantata dalla democrazia borghese, ma era quello di riuscire ad influenzare in modo deciso le organizzazioni operaie per riportare gli operai allo stadio in cui " i proletari combattono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici", ossia lo stadio in cui all'ordine del giorno c'era la rivoluzione borghese che doveva eliminare ogni vincolo feudale, ogni rapporto feudale di proprietà. Così i nemici odierni da combattere non erano più gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi, ma erano i concorrenti stranieri, la competitività delle merci degli altri paesi o i borghesi che venivano in contrasto con gli interessi del capitalista per cui un determinato gruppo di operai lavorava. Il riformismo politico e sindacale sembrava nato appositamente per dare  manforte all'influenzamento borghese nelle file proletarie proprio da questo punto di vista, offrendo al proletariato di volta in volta nemici della propria borghesia da combattere: capitalisti reazionari, anti-democratici, latifondisti, fascisti, razzisti, legati alle multinazionali concorrenti, malavitosi, lobbisti ecc.

Di fatto, riconoscendo che gli interessi proletari di classe sono diametralmente opposti agli interessi di classe della borghesia, i capitalisti, soprattutto dopo la tremenda paura di perdere il potere e i privilegi sociali che derivano dal dominio sociale - paura causata dal movimento rivoluzionario vittorioso in Russia nel 1917, dal suo sviluppo nel mondo con l'Internazionale Comunista, dai poteri borghesi vacillanti in Germania, in Ungheria, in Italia, dal possibile aggancio tra le lotte rivoluzionarie nell'Europa e le lotte contro l'imperialismo nei paesi coloniali -, hanno sviluppato una grande attenzione sia verso la conduzione dell'economia capitalistica, adottando una sorta di autolimitazione del capitalismo, livellando intorno ad una media l'estorsione del plusvalore (1), sia verso l'assoggettamento della classe proletaria non solo attraverso la mistificazione democratica, ma anche attraverso l'espansione di strati di aristocrazia operaia, aumentando così la concorrenza fra proletari, e tacitando i bisogni economici e di vita immediata di buona parte del proletariato attraverso una serie notevole di misure di assistenza e di prevenzione (i famosi ammortizzatori sociali) che è andata a costituire una specie di riserva da difendere e proteggere.  Il proletariato così è stato reso complice della borghesia nella conservazione sociale e restio a lottare contro di essa  come classe sfruttata opposta alla classe sfruttatrice. Contare sugli ammortizzatori sociali diventava così motivo per giustificare l'interesse comune fra proletari e borghesi nel difendere il buon andamento economico delle singole aziende e, in generale, dell'economia nazionale, come nel difendere il sistema democratico quale sistema adatto alla gestione di quell'interesse "comune" e a far esprimere l'opinione e la volontà delle masse rispetto agli indirizzi politici "del paese".

Inutile dire che a questo terribile risultato di assoggettamento alle esigenze e agli interessi capitalistici, il proletariato è stato portato anche grazie all'opera capillare e sistematica dell'opportunismo e, in particolare, della sua tendenza al collaborazionismo più aperto che, certo, non avrebbe potuto avere un tale successo se non avesse potuto poggiare sulla forza di dominazione della classe borghese e sulle misure economiche che la borghesia ha accettato di adottare - fin dai tempi del fascismo - nei confronti del proletariato allo scopo proprio di poterlo meglio ridurre all'impotenza come classe.

Dalla lotta tra proletariato e borghesia e, soprattutto, dal periodo in cui questa lotta si è sviluppata sul terreno rivoluzionario mettendo in serio pericolo il potere borghese in tutto il mondo - il periodo che va grosso modo dal 1917 russo al 1927 cinese - anche la borghesia ha tirato delle importanti lezioni, la principale delle quali è stata quella di distruggere sia le organizzazioni sindacali di classe del proletariato - riunite all'epoca nell'Internazionale dei Sindacati Rossi -, sia i partiti di classe del proletariato - riuniti all'epoca nell'Internazionale Comunista.

E a questa bisogna ha provveduto la collaborazione tra la controrivoluzione borghese (nei due metodi di governo, democratico e fascista) e lo stalinismo (ossia la più feroce ondata opportunista nella storia del movimento operaio), in tutte le sue varianti.

Distruggere anche il partito politico di classe, il partito senza il quale il proletariato non avrebbe potuto e non può indirizzare la sua forza di classe verso gli obiettivi storici dell'emancipazione dal capitalismo, è stato certamente l'obiettivo borghese principale perché senza la guida del partito di classe il proletariato non ha alcuna possibilità di vincere la rivoluzione anticapitalistica, come la storia ha dimostrato più volte.

Ogni lotta fra le classi è lotta politica, afferma il Manifesto di Marx ed Engels, e continua affermando che ogni società si è basata finora sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. E' ormai un fatto chiaramente dimostrato che, nella società di oggi, superindustrializzata, giunta al suo ultimo stadio di sviluppo che è quello imperialistico, il contrasto fra le classi degli oppressori e le classi degli oppressi non è diminuito ma, al contrario, enormemente aumentato anche grazie alla divisione internazionale del lavoro che, se tende ad alzare il tenore di vita di ampi strati operai dei paesi superindustrializzati, lo fa a detrimento delle grandi masse proletarie dei paesi della periferia dell'imperialismo, come dimostrano i numerosissimi episodi legati allo sfruttamento di proletari schiavizzati in Cina o in Bangladesh, in Egitto o in India, in Africa o in America Latina, ma anche nelle nascoste cantine e nei capannoni anonimi delle metropoli occidentali. Resta comunque sempre valido quanto il Manifesto del 1848 afferma a questo proposito: "per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava". Ed è esattamente quel che sta avvenendo in tutti i paesi del mondo, e soprattutto nei paesi capitalistici avanzati. La classe proletaria è ancora nelle condizioni di stentare la sua vita di schiava. Se colleghiamo questo fatto brutalmente materiale all'opera distruttrice delle tradizioni classiste e rivoluzionarie da parte dell'opportunismo e del collaborazionismo nazionalcomunista che per quasi novant'anni ha dominato sulle classi proletarie d'Europa, d'America e d'Asia, abbiamo la spiegazione deterministica del terribile abisso in cui è precipitato il proletariato.

Storicamente, il proletariato, la classe degli oppressi, la classe dei senza riserve è "il prodotto più specifico" della grande industria; "la sua lotta contro la borghesia", contro la classe degli oppressori, contro la classe borghese che costringe il proletariato nella condizione di schiavo salariato, "comincia con la sua esistenza". La lotta della classe proletaria contro la classe borghese, in prospettiva non è solo lotta contro l'oppressione, lotta contro lo sfruttamento per ottenere migliori condizioni immediate di esistenza: è lotta di classe per l'emancipazione dalla sua condizione di schiavitù salariale, è lotta di classe che coinvolge l'intera società e sconvolge tutti i rapporti sociali esistenti. Ogni lotta di classi è lotta politica, ribadiamo con il Manifesto del 1848.

Come nella lotta di difesa immediata delle condizioni di vita e di lavoro gli operai  si organizzano in associazioni per difendere più efficacemente il salario da cui dipende tutta la vita dei proletari e delle loro famiglie, così nella lotta politica si formano i partiti politici che si pongono obiettivi più generali che investono l'azione dello Stato e, quindi, il potere politico.

Ma gli obiettivi di classe del proletariato, gli obiettivi di emancipazione generale dalla condizione di schiavitù salariale, rappresentano in realtà lo sbocco naturale, deterministico, storico, della lotta di classe del proletariato; e tali obiettivi non possono essere rappresentati dai singoli individui-proletari, immersi e schiacciati quotidianamente nella condizione di schiavi salariati, né possono essere rappresentati, se non parzialmente, dalle associazioni proletarie di difesa economica immediata. Essi possono essere rappresentati soltanto dal partito politico di classe del proletariato, dall'organo più specifico e completo che storicamente sia stato generato dalla lotta fra le classi.

Una parola sul concetto di classe dobbiamo spenderla ancora, per combattere ogni possibile equivoco e la confusione e l'uso improprio che di questa parola si fa da parte di molti. E usiamo un brano di un vecchio e sempre attuale "filo del tempo".

"La parola classe che il marxismo ha fatto propria è la stessa in tutte le lingue moderne: latine, tedesche, slave. Come entità sociale-storica è il marxismo che la ha originalmente introdotta, sebbene fosse adoperata anche prima. La parola è latina in origine, ma è da rilevare che classis era per i Romani la flotta, la squadra navale da guerra: il concetto è dunque di un insieme di unità che agiscono insieme, vanno nella stessa direzione, affrontano lo stesso nemico. Essenza del concetto è dunque il movimento e il combattimento, non (come in una assonanza del tutto... burocratica) la classificazione, che ha nel seguito assunto un senso statico" (2).

Il partito politico di classe del proletariato, differentemente da ogni partito politico delle classi che vivono dello sfruttamento del lavoro salariato (grandi, medi e piccoli borghesi, aristocratici e proprietari terrieri) e che dominano sulla società, fonda la sua forza sulla lotta di classe del proletariato e sul suo sviluppo, lotta che non può essere limitata o costretta nei confini di una nazione; d'altra parte è lo sviluppo stesso del mercato che universalizza il modo di produzione capitalistico e i suoi rapporti di produzione e, quindi, sociali.  Come ricorda il Manifesto di Marx ed Engels, il proletariato è il prodotto più specifico della grande industria, la grande industria ha creato il mercato mondiale, il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni; grazie a questa formidabile espansione si è sviluppata la borghesia che ha accresciuto i suoi capitali a dismisura. Ma lo sviluppo della borghesia non è possibile senza la formazione di masse sempre più numerose di proletari, di forza lavoro salariata da sfruttare in ogni parte del mondo. Con lo sviluppo del capitalismo si acuiscono i contrasti di classe che, inesorabilmente, raggiunto un certo livello di tensione sociale e di maturazione, pongono il problema del potere politico in tutti i paesi in cui lo sviluppo del capitalismo ha creato le condizioni economiche, sociali e politiche perché la lotta fra le classi  si  trasformi in lotta rivoluzionaria per il potere.

Sono il movimento reale delle forze produttive e il loro sviluppo che pongono storicamente l'obiettivo di abolire lo stato di cose presente, il capitalismo, che per ragioni di sola propria conservazione ostacola quello sviluppo.

Il dominio della classe borghese sulla società poggia sul dominio economico e, quindi, sul potere politico e militare. La sua forza di classe non può essere scardinata sul piano economico dal proletariato che è classe economicamente sottomessa, senza riserve, completamente schiava. La classe borghese, per mantenere il dominio sulla società e, quindi, lo sfruttamento del lavoro salariato da cui estrarre il plusvalore capitalistico, deve esercitare sull'intera società la sua dittatura di classe attraverso la violenza, il potere politico e lo Stato. Ed è sul piano politico, come la storia delle lotte di classe e delle rivoluzioni ha dimostrato, che la borghesia può essere battuta. L'unica classe che può combattere e vincere la borghesia è il proletariato, unica classe realmente rivoluzionaria perché è l'unica classe che nel capitalismo non ha nulla da preservare: il capitalismo, per il proletariato, significa soltanto schiavitù salariale, sfruttamento dell'uomo sull'uomo, concorrenza tra proletari per un tozzo di pane, miseria crescente, fame, infortuni e morti sul lavoro, guerre. Mantenere la struttura economica capitalistica, al di là delle riforme che non intaccano i fondamenti dell'economia capitalistica (produzione di merci, denaro, mercato, legge del valore, lavoro salariato, proprietà privata e appropriazione privata della produzione sociale), significa mantenere il dominio borghese sulla società e, perciò, la condizione proletaria di schiavo salariato. Per emanciparsi dalla condizione di schiavo salariato i proletari devono eliminare la sua causa principale, ossia il sistema economico capitalistico. Ma, per giungere a questo risultato storico bisogna che la lotta del proletariato attraversi alcune fasi, la prima delle quali è la conquista rivoluzionaria del potere politico e l'instaurazione della propria dittatura di classe, spezzando lo Stato borghese che è l'organo di oppressione e repressione sociale principale in mano alla classe dominante borghese. Soltanto successivamente a questa prima fase della lotta rivoluzionaria del proletariato -  in cui il compito principale sarà quello di mantenere e difendere la dittatura proletaria dagli attacchi delle borghesie di tutto il mondo e, contemporaneamente, di appoggiare e organizzare la lotta rivoluzionaria del proletariato negli altri paesi - sarà possibile intervenire, soprattutto nei paesi a capitalismo maturo, con misure drastiche nel sistema economico per iniziare la trasformazione dell'economia capitalistica in economia socialista e, successivamente, in economia comunista. Il proletariato moderno è la vera e unica classe rivoluzionaria esistente nella società capitalistica perché emancipando se stessa dal giogo del lavoro salariato, e quindi dal modo di produzione capitalistico, emancipa l'intera specie umana dalla divisione in classi della società.

Il partito di classe del proletariato è l'unico organo che possiede la visione del processo storico generale dell'emancipazione del proletariato dal lavoro salariato, emancipazione che sboccherà nella scomparsa delle classi in cui è divisa la società borghese e, quindi, nella società di specie. Ma per giungere a questo sbocco storico, che i marxisti chiamano comunismo (Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, K. Marx) è necessario che la lotta fra le classi si sviluppi in modo da tale da rovesciare i rapporti di forza fra borghesia e proletariato a favore della classe proletaria, a favore del suo movimento rivoluzionario; e tale lotta potrà essere diretta verso il primo grande obiettivo rivoluzionario - la conquista violenta del potere e l'instaurazione della dittatura proletaria - solo se sarà di classe, ossia a favore degli interessi storici dell'intera classe proletaria internazionale e contro i veri nemici di classe, cioè le classi borghesi di ogni paese e i loro alleati.    

Il partito politico di classe del proletariato è l'organo principale della lotta rivoluzionaria del proletariato ed è l'organo che esercita la dittatura di classe volgendo le forze rivoluzionarie verso gli obiettivi di emancipazione sociale generale. Questa è tesi marxista fondamentale ribadita nel tempo, dopo Marx ed Engels, da Lenin e dai bolscevichi, dall'Internazionale Comunista, dal Partito comunista d'Italia e dalla Sinistra comunista che lo ha diretto e che poi ha rappresentato, e rappresenta, la sola corrente al mondo che combatte contro ogni tipo di deviazione dal marxismo originario.

Il partito di classe non potrebbe essere l'organo principale della lotta rivoluzionaria e dell'esercizio della dittatura di classe se non possedesse la teoria del comunismo, ossia i fini, i principi, il programma e la tattica adeguata alla realizzazione del programma rivoluzionario. Teoria, fini, principi, programma, tattica e organizzazione formano nel loro insieme coerente ciò che definiamo "coscienza di classe" del proletariato che, in sintesi, per dirla con un concetto utilizzato da Amadeo Bordiga, è il partito storico, distinto, ma non opposto, dal partito formale che è, invece, la traduzione fisica in una struttura organizzativa coerente con il partito storico e in grado di adempiere ai compiti che dalla teoria marxista discendono nelle diverse fasi del corso storico della lotta fra le classi fino allo sbocco finale della società comunista.

Quando il Manifesto del 1848 afferma che l'organizzazione dei proletari in classe significa l'organizzazione in partito politico, richiama sia il concetto di classe nel senso del movimento e del combattimento del proletariato contro le classi nemiche, sia il concetto di unione finalizzata al rivoluzionamento completo della società esistente. E sottolinea che "i proletari possono conquistarsi le forze produttive della società soltanto abolendo il loro proprio sistema di appropriazione avuto sino a questo momento, e per ciò stesso l'intero sistema di appropriazione che c'è stato finora". Qui "i proletari" sono intesi come classe proletaria, nel concetto marxista di fondo che definisce la classe e i suoi interessi come "insieme di unità che agiscono nella stessa direzione e combattono lo stesso nemico", azione, volontà e direzione che solo un organo specifico, il partito di classe, può riunire superando le contraddizioni e le divisioni che la concorrenza fra proletari genera e alimenta costantemente. I proletari, in quanto lavoratori salariati sottoposti alla legge della concorrenza capitalistica che si traduce in concorrenza fra di loro grazie alla quale i capitalisti abbattono i salari, in quanto classe "per il capitale", non possono sviluppare la coscienza di classe, quella coscienza che definisce il percorso storico finalizzato all'abolizione del sistema del lavoro salariato di cui parlano Marx ed Engels nel Manifesto. Lenin, nel Che fare?, afferma senza mezzi termini che la "coscienza" non è un fatto spontaneo dei proletari, nemmeno quando lottano nella rivoluzione o a difesa dei loro interessi immediati. Al di fuori dell'influenza del partito non vi è attività cosciente dei lavoratori: "L'attività, la prassi, è diretta e spontanea, la coscienza è riflessa, ritardata, anticipata solo nel partito, e solo quando vi è questo, e questo opera, la classe cessa di essere un freddo episodio da censimento e diviene forza operante nella 'epoca di sovversione', e rovescia su un mondo nemico un'azione, che possiede un fine conosciuto e voluto. Conosciuto e voluto non da individui, siano gregari o capi, soldati o generali, ma dalla impersonale collettività del partito, che copre paesi lontani e generazioni in catena, e non è quindi patrimonio chiuso in una testa" (3), nemmeno nella testa di un Marx o di un Lenin, come essi stessi ebbero mille volte affermato.

Una delle battaglie più tenaci fatte dalla nostra corrente di sinistra comunista è senza alcun dubbio quella contro le tesi secondo cui il partito diventa progressivamente meno necessario alla classe, alla sua lotta rivoluzionaria e alla dittatura "del proletariato". La storia stessa del movimento operaio e del movimento rivoluzionario ha dimostrato e dimostra, invece, il contrario: che sempre più la classe proletaria ha necessità del suo partito politico rivoluzionario.

Più si sviluppa il capitalismo e più si formano masse di proletari, masse di senza riserve: la ricchezza sociale, aumentata di volume grazie allo sviluppo dell'industria, si accumula nelle mani dei capitalisti che rappresentano la minoranza della popolazione mondiale, mentre nella stragrande maggioranza della popolazione mondiale si accumulano miseria, fame e condizioni di sfruttamento sempre più insostenibili. Ma lo sviluppo del capitalismo genera inevitabilmente l'aumento parossisitico della concorrenza fra proletari rendendo i proletari sempre più assoggettati alla borghesia e al suo dominio. La palude dei rapporti tra operai e padroni, la palude della concorrenza tra proletari, sono ostacoli che i proletari non riescono a superare con la sola spinta spontanea a lottare sul terreno immediato perché questa lotta è limitata e non incide in modo determinante nei rapporti tra operai e padroni. Alle volte vincono gli operai, spessissimo vincono i padroni, tendendo ad azzerare o quasi i risultati della lotta operaia immediata; e gli operai sono costretti a "ripartire da zero", in una lotta che non risolve, e non può risolvere, l'antagonismo di classe fra proletariato e borghesia. Non per nulla nel Manifesto di Marx ed Engels si sottolinea che il vero e proprio risultato delle lotte degli operai non è il succeso immediato ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più, che gli operai nella lotta contro i capitalisti possono superare la concorrenza fra di loro e giungere alla solidarietà di classe, terreno fertile, questo, per sviluppare la lotta generale operaia e farla trascrescere, a condizioni sociali e politiche mature, in lotta politica per la conquista del potere.

E' indiscutibile che i proletari siano spinti materialmente dalle stesse condizioni di schiavitù salariale a lottare contro i borghesi, ma è inevitabile che essi, non solo nella lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro immediate, ma anche nel periodo della lotta rivoluzionaria per l'abbattimento del potere borghese, agiscano ancora sulle basi della vecchia società, e quindi tendano a dare al loro movimento di lotta e alle loro organizzazioni le forme che corrispondono ai metodi e ai mezzi borghesi (democrazia, individualismo, moralismo, burocratismo ecc.). Solo la determinante influenza del partito di classe, importando  dall'esterno della vita immediata dei lavoratori salariati, dall'esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni, la coscienza dei fini della lotta proletaria e le lezioni storiche delle lotte passate, e legando gli interessi del movimento generale e internazionale del proletariato ai suoi movimenti parziali e immediati, può far fare alla lotta proletaria anticapitalistica il salto di qualità: da lotta in difesa delle condizioni di vita e di lavoro sotto il capitalismo a lotta per abbattere il capitalismo, i suoi rapporti di produzione e sociali, insomma la vecchia società.

Per comprendere meglio il rapporto tra partito di classe e proletariato è bene partire dal concetto che la teoria marxista, il comunismo, non nasce dalla lotta di classe; comunismo, o socialismo scientifico, e lotta di classe nascono uno accanto all'altra. Il marxismo, come sottolinea sinteticamente Lenin, "è il successore legittimo di tutto ciò che l'umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX: la filosofia tedesca, l'economia politica inglese e il socialismo francese" (4). Dunque materialismo dialettico e storico, che supera ogni teoria filosofica;  dottrina del plusvalore, pietra angolare della teoria economica marxista, che supera la tesi degli economisti borghesi dei rapporti tra oggetti scoprendo i rapporti tra uomini; e dottrina della lotta di classe, che supera il socialismo utopistico incapace di spiegare l'essenza della schiavitù salariale e le leggi del suo sviluppo e di trovare la forza sociale in grado di diventare la creatrice di una nuova società, il proletariato per l'appunto. Il marxismo, la teoria del comunismo rivoluzionario, è "una teoria scientifica integrale e armonica, la quale mostra come da una forma di vita sociale, in seguito all'accrescimento delle forze produttive, si sviluppi un'altra forma più elevata, come, per esempio, dal feudalesimo nasca il capitalismo" e, come, il capitalismo costituisca necessariamente la base economica di una società superiore, più elevata, la società di specie. Il marxismo non fece che mettere in evidenza quel che le rivoluzioni in tutta Europa dimostravano, e cioè che "la base e la forza motrice di ogni sviluppo era la lotta di classe" (5).

Riconoscere, però, nella moderna società borghese che esistono le classi e lottano tra loro in difesa dei propri interessi, non basta per uscire dal campo borghese. A questo riconoscimento ci sono arrivati i borghesi e ci arriva anche il proletariato nella sua lotta quotidiana per il salario, ma lì si fermano. Il comunismo, il partito comunista - "storica manifestazione della dottrina propria di una classe" e "l'organizzazione politica di aderenti che possono provenire da qualunque classe" (6) -  partono dalla lotta fra le classi e dall'antagonismo tra classe e classe, ma li collegano ad "un fatto più profondo e determinante, che si estende a gran parte del mondo odierno e si svolge in una vicenda di decenni e secoli: la lotta tra un nuovo modo di produzione ben definibile, quello socialista, reso oramai possibile dallo sviluppo delle forze produttive, e quello attuale capitalista difeso dalle presenti forme di produzione, della proprietà, dello Stato" (7).

In sostanza, il partito politico della classe proletaria, il partito comunista rivoluzionario, a differenza di qualsiasi altra organizzazione proletaria, è il solo organo "indipendente e disciplinato, che agisce in modo organizzato e che, in tutti gli svolti delle situazioni - e quali che siano le forme del movimento - sia in grado di rappresentare gli interessi generali del comunismo" (8). E gli interessi generali del comunismo contengono, storicamente, gli interessi generali della lotta di classe del proletariato portata fino in fondo, ossia fino alla conquista del potere politico, alla instaurazione della dittatura proletaria, alla lotta rivoluzionaria mondiale contro il capitalismo e le classi borghesi che ne difendono la conservazione.

Il partito di classe del proletariato non vive al di sopra o al di fuori dello sviluppo reale e internazionale della lotta fra le classi; subisce anch'esso, nella sua compagine fisica e formale, gli effetti dei rapporti di forza fra le classi e delle situazioni in ogni loro svolto. La storia dei partiti proletari dimostra che essi possono avere, in dati periodi particolarmente favorevoli al movimento rivoluzionario del proletariato, sviluppi straordinari in termini di influenza sulle masse proletarie a livello non solo nazionale ma internazionale, come negli anni Venti del secolo scorso, o subire contraccolpi micidiali dovuti alla vittoria delle forze della controrivoluzione borghese in grado di stravolgere opportunisticamente programma, tattica e teoria del comunismo rivoluzionario (come avvenne con la vittoria dello stalinismo sul partito bolscevico russo e sull'Internazionale Comunista), e ridurre le forze rivoluzionarie internazionali ad un pugno di militanti comunisti tenacemente legati all'invariante teoria marxista e tesi ad un paziente ed impersonale lavoro di difesa del marxismo integrale sulle cui basi ricostitire il partito di classe, come è avvenuto per la corrente di sinistra comunista da cui noi proveniamo. In collegamento diretto con il programma del Partito Comunista d'Italia del 1921, le nostre Tesi caratteristiche del dicembre 1951, parte II, Compito del partito comunista, ridefiniscono, in perfetta coerenza con le tesi del 1920 dell'Internazionale Comunista, e collegati con i necessari bilanci dinamici delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni che la storia umana ha conosciuto, i punti centrali che distinguono, e devono distinguere, il partito comunista internazionale, organo della rivoluzione proletaria, della dittatura di classe e della trasformazione economica della società. Qui di seguito gli 8 punti che compongono questa parte delle Tesi:

"1. La emancipazione della classe lavoratrice dallo sfruttamento del capitalismo non può avvenire che con una lotta politica ed un organo politico della classe rivoluzionaria, il partito comunista.

2. L'aspetto più importante della lotta politica nel senso marxista è la guerra civile e la insurrezione armata con cui una classe rovescia il potere della opposta classe dominante e istituisce il proprio. Tale lotta non può avere successo senza essere diretta dalla organizzazione di partito.

3. Come la lotta contro il potere della classe sfruttatrice non può svolgersi senza il partito politico rivoluzionario, così non lo può la successiva opera di sradicamento degli istituti economici precedenti: la dittatura del proletariato, necessaria nel periodo storico di tale trapasso non breve, è esercitata dal partito apertamente.

4.  Compiti egualmente necessari del partito prima, durante e dopo la lotta armata per il potere sono la difesa e diffusione della teoria del movimento, la difesa e il rafforzamento della organizzazione interna col proselitismo, la propaganda della teoria e del programma comunista, e la costante attività nelle file del proletariato ovuunque questo è spinto dalle necessità e determinazioni economiche alla lotta per i suoi interessi.

5. Il partito non solo non comprende nelle sue file tutti gli individui che compongono la classe proletaria, ma nemmeno la maggioranza, bensì quella minoranza che acquista la preparazione e maturità collettiva teorica e di azione corrispondente alla visione generale e finale del movimento storico, in tutto il mondo e in tutto il corso che va dal formarsi del proletariato alla sua vittoria rivoluzionaria. La questione della coscienza individuale non è la base della formazione del partito: non solo ciascun proletario non può essere cosciente e tanto meno culturalmente padrone della dottrina di classe, ma nemmeno ciascun militante preso a sé, e tale garanzia non è data nemmeno dai capi. Essa consiste solo nella organica unità del partito. Come quindi è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo, così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, per essere sostituita da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della clase proletaria hanno organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi.

6. Il marxismo ha vigorosamente respinta, ogni volta che è apparsa, la teoria sindacalista, che dà alla classe organi economici nelle associazioni per mestiere, per industria o per azienda, ritenendoli capaci di sviluppare la lotta e la trasformazione sociale.

Mentre considera il sindacato organo insufficiente da solo alla rivoluzione, lo considera però organo indispensabile per la mobilitazione della classe sul piano politico e rivoluzionario, attuata con la presenza e la penetrazione del partito comunista nelle organizzazioni economiche di classe. Nelle difficili fasi che presenta il formarsi delle associazioni economiche, si considerano come quelle che si prestano all'opera del partito le associazioni che comprendono solo proletari e a cui gli stessi aderiscono spontaneamente senza l'obbligo di professare date opinioni politiche religiose e sociali. Tale carattere si perde nelle organizzazioni confessionali e coatte o divenute parte integrante dell'apparato di Stato.

7. Il partito non adotta mai il metodo di formare organizzazioni economiche parziali comprendenti i soli lavoratori che accettano i principi e la direzione del partito comunista. Ma il partito riconosce senza riserve che non solo la situazione che precede la lotta insurrezionale, ma anche ogni fase di deciso incremento dell'influenza del partito tra le masse non può delinearsi senza che tra il partito e la classe si stenda lo strato di organizzazioni a fine economico immediato e con alta partecipazione numerica, in seno alle quali vi sia una rete emanante dal partito (nuclei, gruppi e frazione comunista sindacale). Compito del partito nei periodi sfavorevoli e di passività della classe proletaria è di prevedere le forme e incoraggiare la apparizione delle organizzazioni a fine economico per la lotta immediata, che nell'avvenire potranno assumere anche aspetti del tutto nuovi, dopo i tipi ben noti di lega di mestiere, sindacato d'industria, consiglio d'azienda e così via. Il partito incoraggia sempre le forme d'organizzazione che facilitano il contatto e la comune azione tra lavoratori di varie località e di varia specialità professionale, respingendo le forme chiuse.

8. Nel succedersi delle situazione storiche, il partito si tiene lontano quindi: dalla visione idealista e utopista che affida il miglioramento sociale ad un'unione di eletti di coscienti di apostoli o di eroi - dalla visione libertaria che lo affida alla rivolta degli individui o di folla senza organizzazione - dalla visione sindacalista o economicista che lo affida all'azione di organismi economici ed apolitici, sia o non accompagnata dalla predicazione dell'uso della violenza - dalla visione volontaristica e settaria che, prescindendo dal reale processo deterministico per cui la ribellione di classe sorge da reazioni ed atti che precedono di gran lunga la coscienza teorica e la stessa chiara volontà, vuole un piccolo partito di élite che o si circonda di sindacati estremisti che sono un suo doppione, o cade nell'errore di isolarsi dalla rete associativa economico-sindacale del proletariato. Tale ultimo errore di 'ka-a-pe-disti' germanici e tribunisti olandesi (9) fu sempre combattuto in senso alla Terza Internazionale dalla Sinistra italiana. Questa si staccò per questioni di strategia e tattica della lotta proletaria, che non possono essere trattate se non in riferimento al tempo ed al succcedersi delle storiche fasi." (10).

Dalla sconfitta della rivoluzione, che datiamo 1926 perché, all'epoca, nell'Internazionale Comunista, che già nel suo terzo congresso aveva cominciato ad aprire fessure, che divennero poi voragini, a posizioni equivoche e transigenti (sul fronte unico, sull'apertura a partiti simpatizzanti ecc.), si impose la tesi controrivoluzionaria del socialismo in un solo paese, il movimento proletario ha subito un gravissimo processo di degenerazione a tal punto da far retrocedere di ventenni il movimento di classe anche solo sul terreno immediato di difesa elementare delle condizioni di vita e di lavoro proletarie; tanto più la ripresa del movimento rivoluzionario. La lunghezza del periodo di piena depressione del movimento di classe, affermano le Tesi caratteristiche, è in rapporto alla gravità dell'ondata degenerativa oltre che alla sempre maggior concentrazione delle forze avverse capitalistiche. Il movimento operaio, proprio per questa ragione, avrà bisogno ancor più del partito di classe, di un partito che non ha abdicato all'intransigenza marxista né in teoria né nei risultati delle esperienze passate.

Siamo perfettamente consapevoli che il movimento di classe del proletariato non può essere suscitato dalla volontà di lotta o da particolari espedienti tattici o organizzativi proposti da un sedicente partito proletario spinto ad accelerare il corso storico della lotta fra le classi. Finché gran parte del proletariato stenta la sua vita di schiavo salariato, schiacciato nelle condizioni di schiavo dal peso della maggior concentrazione delle forze capitalistiche, non riuscirà a trovare la forza di rompere il soffocante avvolgimento sociale in cui è tenuto prigioniero. Ma nemmeno le contraddizioni sociali del capitalismo che tendono ad acutizzarsi sempre più, come le crisi cicliche della sua economia e dei suoi regimi dimostrano, possono essere affrontate dai poteri borghesi con espedienti economici, finanziari o politici particolari tali da annullare l'antagonismo di classe che oppone il proletariato alla borghesia. I fattori economici che stanno alla base della società capitalistica, ad un certo punto di sviluppo delle forze produttive, spingeranno queste ultime a rompere le forme che le tengono costrette nell'involucro borghese: come magma vulcanico, il movimento della classe proletaria si aprirà un varco nella spessa crosta che lo imprigiona, esplodendo in tutta la sua potenza. Allora sarà ancora più evidente la necessità del partito di classe che avrà il compito di orientare e incanalare quella potente forza sociale verso gli obiettivi storici dell'emancipazione della specie umana dalle forme mercantili e capitalistiche in cui la società borghese la costringe.

Ma il partito di classe, non essendo il prodotto del graduale sviluppo della lotta di classe, ma il prodotto dell'esperienza delle lotte fra le classi nei secoli in cui lo sviluppo sociale umano l'ha cristallizzata nella scienza e nella conoscenza, in quella che sinteticamente si chiama civiltà mondiale, vive anch'esso in una contraddizione dialettica: come partito storico, dunque come teoria rivoluzionaria, come sistema di concezioni definite dal materialismo moderno e dal moderno socialismo scientifico, teoria invariante in quanto sistema di principi stabili per un lunghissimo periodo storico (come quello che va dal 1848 alla vittoria definitiva della rivoluzione proletaria nel mondo e al superamento del modo di produzione capitalistico); e come partito formale, quindi la traduzione della teoria della rivoluzione proletaria in un'organizzazione di battaglia sul piano della critica come su quello della lotta fisica, insurrezionale, rivoluzionaria con la quale la classe degli oppressi si oppone per vincerla alla classe degli oppressori. La teoria marxista, di cui difendiamo l'invarianza nel senso detto sopra, rappresenta lo zenit rivoluzionario rispetto al quale il partito formale ha il compito di segnare la rotta, verificarla costantemente nel mare in tempesta delle lotte fra le classi e riprenderla nei momenti in cui la perde a causa delle vicende sfavorevoli al corso rivoluzionario. Il partito formale è caduco, come la storia di tutti i partiti di classe dimostra, ma ha la possibilità di ricostituirsi, più forte di prima, tirando tutte le lezioni soprattutto dalle sconfitte, dalle controrivoluzioni.

La Sinistra comunista d'Italia ha rappresentato, nel movimento comunista internazionale, la corrente politica più coerente con il marxismo, costituendo il riferimento necessario perché il partito di classe di domani rinasca forte e compatto. E tale qualità le deriva dalla sua coerente attività di battaglie di classe condotte non solo nel limitato e in un certo senso periferico agone italiano, ma a livello internazionale, combattendo sempre e comunque tutti i revisionismi e tutti gli opportunismi. Il lavoro di demolizione dell'opportunismo e del deviazionismo, come nel 1951, è ancor oggi alla base dell'attività del partito che segue anche in questo la tradizione rivoluzionaria durante i periodi di riflusso rivoluzionario e di rigoglio di teorie opportuniste, non ultima quella che pretende che la caduta dell'URSS significhi la sconfitta definitiva del comunismo.

Con lo sviluppo del capitalismo, vien tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria dei prodotti.Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili (Manifesto del 1848).

 


 

(1) Vedi il testo di partito Forza Violenza Dittatura nella lotta di classe, uscito fra il 1946 e il 1948 nell'allora rivista di partito Prometeo, inserito poi nel n. 4 dei "testi del partito comunista internazionale", intitolato Partito e classe, Napoli 1972; p. 97.

(2) Vedi il "filo del tempo" Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura, pubblicato nel nr. 12 del 1953 dell'allora giornale di partito "il programma comunista", inserito poi nell'opuscoletto intitolato Classe, Partito, Stato nella teoria marxista, Milano 1972; p. 55.

(3) Cfr. i l "filo del tempo" Gracidamento della prassi, pubblicato nel nr. 11 del 1953 dell'allora giornale di partito "il programma comunista", inserito poi nell'opuscoletto intitolato Classe, Partito, Stato nella teoria marxista, Milano 1972; p. 49.

(4) Cfr. Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, Opere complete, vol. XIX, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 9-14.

(5) Ibidem.

(6) Cfr. il "filo del tempo" Gracidamento della prassi, cit., p. 47.

(7) Ibidem, p. 37.

(8) Cfr. Tesi sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria, II Congresso dell'Iinternazionale Comunista, 1920, punto 6.,  in Partito e classe, cit., p. 26.

(9) Ka-a-pe-disti: membri del Kommunistische Arbeiter partei Deutschlands (KAPD) in Germania; tribunisti: membri del gruppo olandese organizzato intorno alla rivista "Tribune", ispirato da Gorter e Pannekoek, staccatisi definitivamente dall'Internazionale Comunista nel 1921.

(10) Cfr. Tesi caratteristiche del partito, dicembre 1951, Parte II, Compito del partito comunista, in Partito e classe, cit., pp. 147-149.

 

 

Partito comunista internazionale

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