Sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, il regolamento attuativo firmato da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria

La burocrazia collaborazionista sindacale ha il compito di incatenare sempre più i proletari al profitto capitalistico

(«il comunista»; N° 134; Aprile 2014)

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Ai proletari più combattivi poteva sembrare che le burocrazie collaborazioniste della triplice  sindacale tricolore avessero ormai toccato il fondo svendendo la loro pelle nelle forme più oscene, tanto che da anni si sono rivolti ad organizzazioni sindacali “alternative” (tipo Cobas, Usb ecc.) nel tentativo di sottrarsi all’abbraccio mortale di Cgil-Cisl-Uil. Queste organizzazioni, non solo il fondo non l’avevano ancora toccato, ma stanno assumendo sempre più dichiaratamente il compito di un controllo molto capillare del proletariato organizzato, trasformandosi in veri e propri poliziotti in difesa di ogni azienda e del suo benessere economico: la collaborazione interclassista che il sindacalismo tricolore ha assicurato al padronato e alla classe borghese dominante in tutti i decenni che hanno visto il trionfo della democrazia borghese sul classismo proletario si è prolungata nell’assunzione diretta della difesa del sistema di sfruttamento capitalistico e dello Stato centrale che lo organizza e protegge. Il processo di integrazione nello Stato borghese da parte delle organizzazioni sindacali, rinate sulle basi del partigianismo antifascista e mimetizzate da rappresentanti dei lavoratori e dei loro interessi nei confronti delle associazioni padronali e dello Stato, non può che avere un unico sbocco: quello di essere parti integranti del sistema di sfruttamento del lavoro salariato, dunque rappresentanti non dei lavoratori nei confronti delle associazioni padronali e dello Stato, ma rappresentanti del padronato e dello Stato borghese nei confronti delle masse lavoratrici.

Volendo mantenere in vita l’inganno democratico, e quindi l’avversione ideologica nei confronti del fascismo, i sindacati tricolore hanno bisogno che tutta la rete di relazioni stesa in tanti anni con le varie istituzioni rimanga ben lubrificata e giustifichi, nello stesso tempo, ogni sorta di meccanismo burocratico che dia l’impressione ai proletari di poter contare, per la difesa dei loro interessi, su veri “professionisti”. L’inganno democratico serve, oltre che ai borghesi, anche ai bonzi sindacali per poter illudere i proletari che attraverso i metodi democratici, legalitari e di negoziazione, essi possono ottenere una situazione migliorativa, anche in tempi di crisi profonda come gli attuali; non solo usando i metodi democratici dall’esterno delle istituzioni come da prassi del vecchio riformismo, ma entrando nelle istituzioni a pieno titolo, integrandosi sempre di più nello Stato borghese. In realtà i sindacati tricolore si dimostrano sempre più chiaramente come un’organizzzione di professionisti della sconfitta proletaria, della disorganizzazione e del disarmo proletario di fronte ad una borghesia sempre più avida e ferocemente cinica, interessata esclusivamente a difendere e a salvare i propri privilegi sociali, i profitti, le proprietà e, soprattutto, il sistema sociale capitalistico che le permette di continuare ad opprimere le grandi masse proletarie in ogni tempo, in qualsiasi congiuntura economica e in qualunque paese. E tutto ciò viene enormemente facilitato dalla sempre più acuta concorrenza fra proletari, tra giovani e anziani, tra fissi e precari, tra donne e uomini, tra nativi e immigrati, tra coloro che si ribellano alle condizioni di vita e di lavoro bestiali in cui sono costretti e coloro che accettano le condizioni anche più disumane per un tozzo di pane. La concorrenza tra proletari è il metodo da sempre più efficace che i borghesi usano per asservire ancor più le masse proletarie al sistema dello sfruttamento capitalistico. Nella società moderna capitalistica lo sviluppo delle lotte proletarie e del movimento di classe del proletariato ha fatto comprendere alle classi borghesi dominanti che l’organizzazione della difesa degli interessi proletari sul terreno immediato, dunque l’organizzazione sindacale, non può essere soppressa definitivamente; nel periodo storico di ascesa del movimento di classe proletario i sindacati di classe – ossia organizzati ad esclusiva difesa degli interessi proletari contro gli interessi borghesi, nella prospettiva socialista della lotta proletaria generale contro la borghesia e il capitalismo – potevano svolgere la funzione di cinghia di trasmissione tra il partito di classe, la preparazione rivoluzionaria e le grandi masse proletarie spinte alla lotta per la rivoluzione, ed in alcuni casi hanno effettivamente svolto questa funzione. Ma, come era previsto dai comunisti, l’opera opportunistica del riformismo intaccava in modo serio quella funzione, opera facilitata dagli obiettivi economici che l’attività inevitabilmente parziale dei sindacati poneva all’interno dei confini del sistema capitalistico e che, per uscire da quei confini non poteva che indirizzarsi sulla linea del programma rivoluzionario del partito di classe. Ciò nonostante, i sindacati di classe, per quanto potessero essere influenzati dal riformismo, mantenevano una caratteristica classista che li rendeva permeabili all’influenza delle correnti proletarie rivoluzionarie e questo pericolo fu motivo sufficiente per la classe dominante borghese per distruggerli, appena se ne presentò l’occasione, e per sostituirli con organizzazioni sindacali intrise di collaborazionismo. Infatti, il fascismo, una volta distrutti i sindacati di classe, li sostituì con i sindacati fascisti proprio perché la borghesia moderna trova molto più conveniente tacitare i bisogni elementari delle masse proletarie attraverso loro organizzazioni piuttosto che dover affrontare le lotte che improvvisamente i proletari, sottoposti a pressione sociale e a dispotismo di fabbrica sempre più forti, farebbero comunque scoppiare. L’organizzazione sindacale operaia, in mano al collaborazionismo interclassista, si è dimostrata un’ottimo strumento di controllo del movimento operaio da parte borghese, tanto che l’esperienza fascista si è prolungata successivamente sotto i governi democratici in tutti i paesi del mondo; la differenza tra metodo democratico e metodo fascista di governo, nel caso specifico, è che il sindacato fascista era unico e obbligatorio per legge, mentre le organizzazioni sindacali sorte, dopo il secondo macello imperialistico mondiale, sulle ceneri dei sindacati di classe dell’anteguerra, rispondevano ad una pluralità di soggetti ed erano “liberi” pur dovendo sottostare al riconoscimento da parte della legge dello Stato: la forma è cambiata, la sostanza collaborazionista è rimasta la stessa dei sindacati fascisti. 

E l’accordo sulle rappresentanze sindacali all’interno delle aziende, di cui trattiamo in questo articolo, è un’ulteriore conferma che gli attuali sindacati tricolori sono organizzati al servizio del capitale e non a difesa dei lavoratori salariati!

 

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Il testo unico, siglato dalla triplice Cgil-Cisl-Uil e Confindustria lo scorso 10 gennaio, prevede che la certificazione della “rappresentanza e rappresentatività” di ogni organizzazione sindacale sia fatta da un soggetto “terzo” (il CNEL, che è una istituzione statale), sulla base degli iscritti che vengono rilevati dall’INPS (che possiede i dati trasmessi dalle aziende) e dei voti ottenuti per le elezioni delle RSU (Rappresentaza Sindacale Unitaria nei luoghi di lavoro che ha sostituito nel 1993 il vecchio Consiglio di Fabbrica) attestati e certificati questi ultimi dai Comitati dei Garanti Provinciali. Una volta raccolti e certificati dal CNEL, questi dati saranno utili per:

1) stabilire il raggiungimento della soglia del 5% per partecipare alla contrattazione collettiva nazionale;

2) stabilire l’esigibilità dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50%+1 della rappresentanza certificata attraverso la ponderazione del dato associativo con quello elettorale (previa consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza semplice);

3) stabilire qual è l'organizzazione a maggioranza (almeno il 50%+1) per avviare la negoziazione delle piattaforme.

Sulla costituzione delle RSU va rilevato che esse saranno elette da tutti i lavoratori con il sistema proporzionale puro, esprimendo una sola preferenza per il candidato in lista (scompare la possibilità per le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e firmatarie dei CCNL di designare 1/3 dei delegati al di fuori delle elezioni come stabilito in precedenza dagli accordi del ’93).

Sulla titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva si afferma che:

- il CCNL ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale;

- sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni sindacali di categoria che abbiano una rappresentanza non inferiore al 5%, come risultante dalla ponderazione effettuata dal CNEL;

- ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 19 e della legge 20 maggio 1970, n. 300, si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano contribuito alla definizione della piattaforma facendo parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del CCNL definito secondo le regole del presente accordo;

- la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dal CCNL di categoria o dalla legge;

- i contratti aziendali hanno la finalità di assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi;

- i contratti aziendali possono definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei CCNL, nei limiti e con le procedure previste dai contratti nazionali stessi;

- tali intese modificative possono fare riferimento agli istituti del CCNL che disciplinano le prestazioni lavorative, gli orari e l’organizzazione del lavoro;

- i contratti collettivi aziendali, per le parti economiche e normative, sono efficaci ed esigibili per tutto il personale in organico e vincolano tutte le associazioni firmatarie, se approvati dalla maggioranza delle RSU (ciò significa che anche formalmente non è necessario passare da un voto vincolante dei lavoratori qualora un accordo con i padroni è firmato dalla maggioranza dell’RSU);

- i contratti collettivi aziendali approvati dalle RSA (Rappresentanze sindacali aziendali riesumate alla Fiat che le ha riprese dallo statuto dei lavoratori del 1970, ma che erano state modificate con gli accordi sindacali del ’93 e che servivano a scavalcare resistenze di carattere burocratico sindacale e a introdurre norme più flessibili per modificare orari, incentivi e a partecipare più strettamente alle esigenze di maggior sfruttamento dei lavoratori da parte dei delegati sindacali) devono essere sottoposti al voto dei lavoratori, entro 10 giorni, qualora venga richiesto da almeno una organizzazione firmataria o almeno dal 30% dei lavoratori dell’azienda.

 

Infine altre clausole prevedono che:

- i contratti nazionali dovranno determinare le conseguenze sanzionatorie per eventuali comportamenti omissivi che impediscano l’esigibilità dei contratti sottoscritti;

- le disposizioni sanzionatorie dovranno riguardare i comportamenti di tutte le parti contraenti e prevedere sanzioni, di natura pecuniaria ovvero la sospensione temporanea dei diritti sindacali contrattuali (è quel che il padronato voleva ottenere grazie alla stagione di modifica e pressione della Fiat sanciti negli accordi di Pomigliano e Mirafiori);

- i contratti collettivi aziendali che definiscano clausole di tregua sindacale (cioè periodi in cui i lavoratori non devono entrare in agitazione o scioperare) e sanzionatorie, hanno effetto vincolante per tutte le parti firmatarie;

- in attesa che singoli CCNL definiscano la materia, hanno concordato che eventuali comportamenti difformi agli accordi siano oggetto di una procedura arbitrale da svolgersi a livello nazionale (cioè una specie di commissione composta pariteticamente da rappresentanti dei sindacati e dei padroni dovrà intervenire per dirimere la questione).

Insomma, il nemico di classe - la borghesia dominante - dopo aver dettato le regole su come, quando e quanto i proletari possono lottare, le detta anche su chi può rappresentarli nelle istituzioni sindacali e sui comportamenti dei loro rappresentanti, sanzionabili "per legge".

 

 Questo accordo è in perfetta continuità con l’opera collaborazionista sempre più stretta svolta dalle organizzazioni sindacali tricolori tendente a difendere sopratutto le esigenze delle aziende, in crisi o meno, e dell’economia nazionale, sottomettendo le esigenze dei lavoratori ad esse e cioè: tendere ad eliminare qualsiasi perdita di tempo od ostacolo alla produzione estorcendo sempre più energie da ogni lavoratore riducendone il costo. In altre parole, mettere fine formalmente e burocraticamente ad un anche minimo coinvolgimento dei lavoratori attraverso assemblee e consultazioni, discussioni e critiche, perché dando spazio ad esse si allungherebbero i tempi delle decisioni, mentre, più velocemente si fanno digerire misure antioperaie e più i capitalisti guadagnano: il tempo è denaro!

Di fronte a questa situazione, i lavoratori più combattivi, volendo difendersi efficacemente, sono sempre più costretti ad organizzarsi autonomamente ed indipendentemente dal sindacato tricolore, cosa che di per sé è un passo avanti verso l’indipendenza di classe, ma devono sapere che, inevitabilmente, si troveranno contro, immediatamente, sia il padrone e i suoi sgherri che lo stesso sindacato tricolore che non coprirà più legalmente le lotte scoppiate fuori dal suo controllo, ma che collaborerà col padrone per spezzarle e reprimerle.

La Fiom-Cgil sostiene che l’accordo sulla rappresentatività non deve essere rigettato ma “modificato” secondo principi più “democratici” e rispettosi della volontà espressa dai lavoratori e delle “libertà” sindacali. In realtà, la Fiom sostiene che per quanto riguarda la prima parte dell’accordo è stata lei a "battersi" per averla, pretendendo che ci fossero regole precise per la conta di iscritti e voti, per poter stabilire chi può trattare e chi no e di sottoporre al voto vincolante (con referendum a scrutinio segreto) tutti gli accordi ai lavoratori!

Ma che disdetta!, in questo accordo del 10 gennaio 2014 proprio la Fiom-Cgil viene esclusa dalla contrattazione nazionale perché non ha firmato il contratto nazionale precedente. Inoltre, con il nuovo regolamento sulle RSU, si possono firmare accordi senza consultare i lavoratori con referendum vincolante e ci sono sanzioni ai delegati che non si attengono agli accordi sottoscritti e alle regole scritte in questo accordo. Questo è stato il  motivo perché la Fiom-Cgil  indicesse assemblee per un referendum interno al fine di ottenere un mandato dai lavoratori per... modificare l’accordo sottoscritto da Cgil-Cisl-Uil.  

Non sfugge a nessuno che, secondo le regole che si sono dati, il peso in percentuale di ciascun sindacato tricolore viene certificato da un ente esterno a loro, il CNEL che è un ente statale. E’ il CNEL che stabilirà, a seconda degli iscritti certificati nelle singole organizzazioni e dei voti ottenuti nelle elezioni sui posti di lavoro dai loro rappresentati, chi avrà il diritto a trattare con i padroni e a firmare accordi di contratto (ma prima è obbligatorio aver firmato i contratti nazionali precedenti, aver accettato il nuovo regolamento, aver ottenuto almeno il 5% a livello nazionale e avere il 50% + 1 per poter firmare contratti e accordi con i padroni); e, una volta firmato quel contratto, lo dovranno far rispettare in maniera ferrea  (sono previste sanzioni pecuniarie, privazione di diritti sindacali in caso di violazione, sia per i delegati che per le organizzazioni sindacali di cui fanno parte).

Come dicevamo, la sostanza era collaborazionista già prima di questo accordo sulla rappresentanza sindacale dei lavoratori nei luoghi di lavoro; adesso lo diventa anche nella forma: ci si sottomette alle esigenze dell’azienda perché questa sia nelle migliori condizioni di realizzare nel più breve tempo possibile e senza ostacoli il suo piano di misure per sfruttare più intensamente i proletari. Migliori condizioni per l’azienda, peggiori condizioni per i lavoratori! Ed ecco i passaggi:

 

1)    determinare ufficialmente chi rappresenta i lavoratori e contratta per essi,

2)    arrivare a stabilire le misure da imporre ai lavoratori,

3)    esigere il rispetto dei contratti stabiliti,

4)    prevedere delle sanzioni per le organizzazioni sindacali che non li fanno rispettare,

 

così da mettere automaticamente fuori dalla legittimità non solo qualsiasi organizzazione sindacale classista che abbia obiettivi di lotta e mezzi di lotta incompatibili con le esigenze dell’economia aziendale e nazionale, ma anche un’organizzazione sindacale di base che non applichi tale regolamento nelle elezioni-iscrizioni tra i lavoratori messo a punto dalle confederazioni di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Di fatto, si tratta di un meccanismo che mira a selezionare solo elementi filopadronali tra gli operai col compito di abbreviare i tempi di applicazione ed eliminare gli ostacoli nella messa in pratica delle misure prese nell’interesse dei padroni, elementi che si dedichino anche nell’opera di intimidazione caratteristica dei poliziotti per farle accettare agli operai più ribelli.

Già con le RSU, costituite nel 1993, si toglievano quei margini entro cui la contrattazione aziendale, sulla base della spinta della lotta operaia, poteva strappare miglioramenti contrattuali impossibili da ottenere a livello nazionale, dato il controllo molto più stretto del collaborazionismo sindacale tricolore. Gli operai e i rappresentanti eletti venivano ingabbiati e vincolati rigidamente attraverso regolamenti e strutture del collaborazionismo sindacale tesi a confinare le rcihieste operaie dentro le linee delle compatibilità, stabilite nazionalmente, con le esigenze  economiche delle aziende al fine di non contrastare la ricerca di maggiori profitti capitalistici. Di fatto, chi veniva eletto all’interno delle RSU, anche se era espressione della spinta di lotta degli operai per difendere i loro reali interessi immediati, e in grado di organizzare una certa combattività contro il padrone, aveva comunque vita breve perché doveva subire tutto l’impianto regolamentato e contrattuale costruito esclusivamente per sottomettere gli interessi operai alle esigenze delle aziende.

L’obiettivo del collaborazionismo, infatti, era ed è quello di sedare qualsiasi tensione di lotta, disperdere e dividere i lavoratori, perciò il rappresentante eletto da operai combattivi nelle RSU, di fatto era nell’impossibilità di coinvolgerli nelle decisioni per i loro obiettivi e i metodi della loro lotta perché, in realtà, non rispondeva a loro che lo avevano eletto, ma la sua azione dipendeva dalla fitta maglia di regole che lo imprigionava nella collaborazione obbligatoria con il padrone o i vertici aziendali. In definitiva, prima che contro il padrone, si trovava a dover lottare contro la burocrazia  sindacale e tutte le pratiche fatte apposta per mettere in concorrenza i lavoratori, dividerli, isolarli, renderli impotenti con metodi d’azione tesi soprattutto a svilire la forza operaia anziché aumentarla.

Per questo le RSU sono diventate niente di più che uffici di consulenza per le aziende ed il padrone; d’altra parte, inserite nell’apparato collaborazionista dei sindacati tricolore, erano  organismi attraverso cui i proletari non potevano difendersi nemmeno a livello elementare, mentre in realtà le condizioni di lavoro e di vita hanno continuato a peggiorare inesorabilmente.

 La morte della vita sindacale avviene nel momento in cui non si stimola più il coinvolgimento degli operai rispetto ai loro reali bisogni, ai loro reali interessi, di difesa dagli attacchi del padronato contro le loro condizioni di vita e di lavoro. Il sindacalismo tricolore è stato l’artefice della morte di una vita sindacale che negli anni  della prosperità capitalistica aveva invece alimentato per garantirsi la fiducia da parte degli operai e per rafforzare la propria influenza nelle loro file.

Ma quando la crisi economica capitalistica batte alle porte, e il tempo della prosperità cede il passo alla recessione e alla rovina di tante attività economiche, il padronato, e il suo Stato, chiedono al collaborazionismo sindacale un servizio in più: gestire la massa operaia sempre con l’obiettivo di garantire la pace sociale, ma senza avere a disposizione risorse economiche da distribuire; non aumenti di salario ma salario diminuito, non stabilità dell’occupazione ma aumento della precarietà; non diminuzione dello sforzo lavorativo ma aumento dei ritmi, delle mansioni e della giornata di lavoro per gli operai occupati; non stabilità e certezza negli ammortizzatori sociali ma drastici tagli e aumento dell’incertezza; non certezza di una pensione e quindi di un salario futuro ma incertezza aumentata anche per un futuro prossimo: insomma, se la crisi economica fa aumentare i rischi per i profitti capitalistici, i capitalisti aumentano l’incertezza del posto di lavoro, dunque del salario, e quindi della vita degli operai!  Il compito dei bonzi sindacali si fa più duro? Sì, perché devono tenere a bada masse di lavoratori che da un momento all’altro perdono lavoro e salario, ma possono sempre contare, almeno per una parte dei proletari, su di una rete, sebbene drasticamente diminuita, di ammortizzatori sociali che nonostante ciò continuano a svolgere una funzione di “garanzia” e in ogni caso di obiettivo visibile, ragggiungibile. Nello stesso tempo, alla diminuzione delle fasce di previdenza e di protezione per i lavoratori, soprattutto più giovani, fa da contraltare l’aumento forsennato della concorrenza tra proletari di cui si occupano ormai stabilmente e direttamente proprio i bonzi sindacali.

Là dove una supposta vita sindacale esiste ancora, almeno formalmente, essa è ormai completamente burocratizzata (assemblee brevi dove interviene il sindacalista di turno e a distanza di qualche giorno viene svolto il referendum a scrutinio segreto); si sterilizzano le discussioni, isolandole fuori dall’assemblea (non viene diffuso nessun documento informativo prima dell’assemblea in modo che gli operai giungano all’assemblea del tutto ignari del problema che si tratterà, e durante l’assemblea i sindacalisti non rispondono mai direttamente alle critiche, quindi pochi intervengono sovrastati dai toni e dalle direttive dei bonzi); si svuota completamente la lotta operaia perché non incida sugli interessi dei padroni (i picchetti, lo sciopero senza preavviso o a oltranza, sono bestemmie per i bonzi sindacali) e non unisca i proletari su un fronte antagonistico perché la missione del collaborazionismo è di conciliare con gli nteressi padronali le scelte operaie e, se la conciliazione non è possibile – come succede nel  99% dei casi – gli interessi operai devono essere sottomettessi alle priorità delle aziende, che non sono altro che le esigenze di mercato, con tutto ciò che ne consegue (competitività, produttività, diminuzione dei costi di produzione, riduzione dell’organico e del monte salari ecc. ecc.).

Come ogni regolamento borghese che si rispetti, anche questo sulle rappresentanze sui luoghi di lavoro prevede delle sanzioni per coloro che non lo rispettano. Inserendo anche delle sanzioni (sembra pecuniarie e sui diritti sindacali come ad esempio i permessi per l’attività organizzativa, quindi l’agibilità stessa di carattere sindacale) nei confronti dei delegati “ribelli”, l’accordo è concepito come strumento di maggior controllo da parte dei padroni nei confronti dei lavoratori poiché il loro vero interesse è costituito dall’aumento della flessibilità lavorativa e dalla riduzione del costo della manodopera, dunque dei salari. E’ un ulteriore passo verso il metodo di blindare gli accordi presi con i sindacati, evitando ostacoli e tempi più lunghi per avere i risultati programmati dai padroni.

I lavoratori, spinti da una sana reazione classista e da maggiore combattività, non potranno più difendere i propri interessi anche minimi e parziali nel pieno rispetto del regolamento e dell’impostazione contrattuale dati dal collaborazionismo sindacale e dai padroni. Di fatto, dovranno mettersi materialmente fuori e contro questo impianto se vorranno difendere minimamente le loro condizioni di vita e lavoro.

Con l’acuirsi della crisi di sovrapproduzione del capitale, le esigenze del padronato di difendere un tasso di profitto soddisfacente e costi ridotti delle merci nella lotta di concorrenza internazionale per accaparrarsi una quota di mercato in una situazione di decisa contrazione degli scambi e delle vendite, pongono materialmente i proletari di fronte ad una scelta: o, fuori dal collaborazionismo sindacale tricolore, organizzando in modo indipendente e con metodi classisti la propria difesa immediata, unendosi su piattaforme di lotta che prevedano la difesa esclusiva degli interessi proletari, oppure rinunciando alla lotta e affidando la propria sorte alle decisioni padronali e, quindi, precipitando nella più cruda concorrenza con i propri compagni di lavoro e con i proletari di altre fabbriche e di altri siti o paesi.

Organizzarsi in modo indipendente dai padroni e dal collaborazionismo tricolore significa lottare contro forze oggi preponderanti perché, di fatto, è come ripartire da “zero”. Ma rimanere imprigionati nei meccanismi burocratici dei sindacati collaborazionisti significa arrendersi senza combattere al sistema opprimente dello sfruttamento capitalistico, arrendersi - mani e piedi legati - ai padroni, mettendo la propria vita e la vita delle proprie famiglie nelle loro mani!

Come è sempre successo, quando gli operai combattivi si staccano dalle forze collaborazioniste e opportuniste per organizzarsi indipendentemente da loro, l’opportunismo si ripresenta con altre sfaccettature. Non esiste, infatti, solo quello oramai tradizionale dei grandi sindacati tricolore Cgi-Cisl-Uil, ma anche quello più mimetizzato, formatosi in alternativa a questi sindacati, come nel caso dei Cobas, Usb ecc., che in realtà, pur adottando metodi e mezzi di lotta meno rinunciatari, a lungo andare riportano i lavoratori che li seguono verso gli obiettivi di compatibilità con l’economia aziendale e con l’economia nazionale che sono tipici del collaborazionismo tricolore.

 Oggi, lo sciopero senza preavviso, senza limiti di tempo prefissati, ad oltranza, su rivendicazioni salariali semplici e unificanti, può sembrare una cosa lontana, addirittura impossibile da realizzare; ma la tradizione di lotta della classe proletaria si è radicata proprio attraverso i mezzi e i metodi della lotta di classe, anticapitalistica, in  difesa esclusiva degli interessi proletari contro gli interessi borghesi. I borghesi lottano tra di loro sul terreno della concorrenza, per primeggiare gli uni sugli altri assicurandosi quote di mercato più grandi e posizioni di forza più potenti, ma, contro i proletari, i borghesi lottano su un terreno completamente diverso perché è il terreno dello scontro fra le classi, ossia dello scontro fra interessi di classe incompatibili, inesorabilmente antagonistici sul quale non è il “diritto” a vincere ma la “forza”! Le classi antagoniste, nella lotta, provocano danni l’una all’altra: più danni la borghesia fa alla classe proletaria, più si rafforza; più danni la classe proletaria fa alla borghesia, più acquisisce forza: è una questione fisica, innanzitutto, poi è una questione di organizzazione, di programma e di tattica, quindi di obiettivi e di mezzi e metodi per raggiungerli.

Se i proletari sono determinati a lottare ad oltranza, e quindi a durare nel tempo, certamente creano un danno in termini di profitto al padrone, al di là delle leggi, dei regolamenti o degli accordi sottoscritti. E quanto più grave è il danno creato agli interessi dei padroni tanto più la lotta proletaria indebolisce i padroni  che, prima o poi, volendo far ripartire la produzione e quindi i profitti, saranno indotti forzatamente a trattare con una delegazione rappresentativa degli operai scesi unitariamente in lotta; implicitamente, essi dovranno riconoscere – anche se non previsto dalle leggi e dai regolamenti o dagli accordi sindacali – agli operai in lotta e ai loro rappresentanti un “diritto” a trattare le proprie rivendicazioni con l’azienda. Sono sempre i rapporti di forza fra le classi a determinare le condizioni di lavoro e di vita dei proletari, le condizioni della loro organizzazione di lotta e la possibilità di ottenere dei risultati immediati dalla lotta stessa. Leggi, regolamenti, accordi sindacali, non fanno altro che registrare il reale rapporto di forza fra borghesia e proletariato e tradurlo in documenti scritti. Se la lotta è favorevole alla borghesia, come in tutti questi decenni sostanzialmente è stato, il proletariato nel suo insieme è destinato a subire continui peggioramenti nelle condizioni di esistenza, come è facilemnte dimostrato dalla storia recente. Ma, a questa tendenza negativa che appare inevitabile, la classe proletaria ha la possibilità di porre un freno e di rovesciare i rapporti di forza da sfavorevoli a favorevoli: non attraverso la concertazione tra interessi proletari e borghesi, non attraverso le compatibilità fra di essi, non attraverso sedicenti riforme del mondo del lavoro o negoziati rispettosi della pace sociale e dei confini legalitari che la classe dominante borghese ha imposto, ma attraverso la rottura della pace sociale, la rottura dei legami e delle complicità delle politiche conciliatrici tra le classi e, peggio, delle politiche collaborazioniste che le forze dell’opportunismo politico e sindacale indicano costantemente ai proletari.

I proletari hanno un’unica strada da seguire: quella della riunificazione in una lotta diretta e aperta contro le misure che il padronato e il suo Stato intendono imporre peggiorando le loro condizioni di vita e di lavoro, e quella di riadottare metodi e mezzi di lotta classisti.

Una volta di più i proletari, se vorranno impedire che le proprie condizioni di vita e di lavoro precipitino sempre più nella disperazione, nello sfruttamento disumano, nei salari da fame, dovranno rompere tutte le gabbie costruite apposta sui diversi piani del collaborazionismo sindacale e politico che tende ad evitare che tutta la loro rabbia sia indirizzata a rompere con la politica conciliatrice e rinunciataria, organizzandosi invece in modo indipendente ed autonomo sulla base delle proprie reali esigenze di vita, di lavoro e di lotta.

La strada che i proletari dovranno intraprendere per riconoscersi non come merci sempre più svalutate, ma come esseri umani con precisi bisogni ed esigenze sociali, è quella della lotta aperta contro il capitale e le sue leggi che altro non fanno che difendere sul piano della giustizia borghese il profitto padronale. Essi dovranno necessariamente ricominciare a formare organizzazioni di difesa immediata classiste, espressione esclusiva dei loro reali interessi e, nello stesso tempo, anche della necessità di una lotta decisa a riprendere in mano tutte le esperienze fatte nel passato quanto a metodi e mezzi efficaci a coinvolgere, elevare, unificare e resistere contro la repressione borghese. Solo in questa prospettiva i proletari potranno tornare ad essere una classe che ha per obiettivo storico principale l’emancipazione generale dallo sfruttamento capitalistico, dalla società delle merci, del profitto, del denaro collegandosi finalmente con il programma rivoluzionario del comunismo e, quindi, con il partito politico di classe.

Essi, perciò, sono obbligati a passare per forme che prevedano ad esempio:

- assemblee di lavoratori anche fuori dai luoghi dove esiste il monopolio del controllo padronale e del sindacato collaborazionista, nelle quali discutere ampiamente delle loro esigenze materiali, formulando le rivendicazioni necessarie a difendere le condizioni di lavoro e di vita di tutti i proletari – occupati, precari e disoccupati,

- adozione dei mezzi più efficaci di lotta contro il padronato e le sue associazioni, sulla base di piattaforme di lotta intorno alle quali ci si è organizzati,

- adozione delle votazioni per alzata di mano dove tutti i lavoratori si prendano in carico una decisione e lo facciano responsabilmente e apertamente di fronte ai loro compagni di lavoro e di lotta,

- elezione di delegati che vanno di volta in volta a trattare con i padroni sulla base di una fiducia espressa direttamente nell’assemblea dei lavoratori che può essere revocata immediatamente qualora essi si dimostrassero incapaci di difendere gli interessi dei lavoratori o si lasciassero corrompere dai padroni.

E gli obiettivi della lotta non possono che essere incompatibili con gli interessi del profitto aziendale o nazionale.

Poche e decise indicazioni, come queste che abbiamo riportato, servono per combattere contemporaneamente sia i metodi burocratici che la caduta nell’illusione di potere sfruttare appieno le strutture sindacali collaborazioniste per obiettivi classisti.

I proletari non hanno alcun interesse da condividere con le aziende e i loro padroni: essi ricevono un salario, in realtà sempre più basso rispetto al costo della vita, solo se la loro forza lavoro viene effettivamente impiegata e sfruttata al fine di aggiungere un plus-valore al valore delle merci prodotte e distribuite; essi perciò sono in totale balìa delle leggi del mercato, alla pari di qualsiasi altra merce che i capitalisti vendono e comprano, e quindi vengono ridotti ad oggetti utili solo nel caso in cui la loro opera faccia guadagnare il capitalista da cui dipendono, capitalista privato o pubblico, poco importa. La collaborazione che i capitalisti cercano, e che i sindacati tricolore garantiscono a nome dei proletari organizzati, è la condanna all’asservimento dei proletari al carro borghese per tutta la loro esistenza, è una condanna al suicidio proletario, come classe sociale e come esseri umani. Prima di morire a causa di infortuni, intossicazioni, inquinamenti e malattie professionali o a causa di una guerra guerreggiata locale o mondiale, i proletari, attraverso la collaborazione interclassista, muoiono come componenti di una classe sociale che ha storicamente in mano la soluzione di tutte le contraddizioni sociali; e la soluzione non sta nella conciliazione degli interessi fra proletariato e borghesia, ma nella rivoluzione proletaria che va alla conquista del potere politico centrale, mette fuori combattimento la borghesia, instaura la propria dittatura di classe facendola esercitare dal proprio partito politico di classe per poter finalmente iniziare a distruggere i rapporti borghesi di proprietà e di produzione attraverso i quali la classe borghese domina tuttora sull’intera società assicurandosi lo sfruttamento del proletariato in permanenza.

I proletari, per riconoscersi come componenti della classe rivoluzionaria per eccellenza della società moderna, e per combattere come classe contro la borghesia capitalistica, devono lottare contro la concorrenza fra di loro alimentata dagli stessi rapporti di proprietà e di produzione borghesi perché è proprio la concorrenza fra proletari una delle cause principali della estrema debolezza del proletariato attualmente. All’unità di interessi fra proletari e borghesi che il collaborazionismo sindacale e politico propagandano, i proletari devono rispondere con l’unità di classe, ossia con l’unione dei proletari, non solo a livello di fabbrica, di settore o di nazione, per la difesa comune contro la classe dei borghesi e i loro alleati. Ma l’unità di classe non è un risultato automatico della lotta operaia; essa è il risultato di un lotta svolta contro la concorrenza fra proletari e, quindi, contro gli obiettivi, i metodi e i mezzi imposti dal collaborazionismo tricolore che strangolano ogni potenziale reazione proletaria agli attacchi del capitale.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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