Contro ogni campanilismo, ogni particolarismo, ogni nazionalismo:  Internazionalismo proletario e comunista

(«il comunista»; N° 134; Aprile 2014)

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Il capitalismo, pur sviluppando la propria economia a livello mondiale, e ponendo così le basi per una società senza separazioni e confini e senza classi, sviluppa nello stesso tempo i fattori che impediscono al suo progredire di sfociare in una società senza contrasti, senza contraddizioni. I fattori che determinano l'impossibilità per la società borghese di superare le proprie contraddizioni affondano le proprie radici nel modo di produzione capitalistico che, per svilupparsi, ha dovuto sì distruggere gli ordini e i vincoli dell'economia chiusa della società feudale per allargare al massimo la produzione sociale e il mercato in cui vendere le merci, ma sostituendoli con un sistema sociale in cui predominano la proprietà privata borghese e l'appropriazione privata della produzione sociale. L'antagonismo fra le classi esistente nella società feudale è stato sostituito dall'antagonismo fra le classi nella moderna società borghese: la civiltà capitalistica ha così creato una nuova classe sociale, il proletariato moderno, la classe dei lavoratori salariati, la classe dei senza riserve, degli espropriati di tutto salvo della propria forza lavoro che, per sopravvivere, sono però costretti a vendere ai capitalisti, ai possessori di tutti i mezzi di produzione, di distribuzione e della produzione sociale, nelle condizioni della schiavitù salariale.

L'economia capitalistica non produce solo merci, ma trasforma in merce qualsiasi risorsa naturale e l'uomo stesso; il regno mercantile domina sul regno vegetale e animale, sulla terra, sull'acqua, sull'aria: tutto, per la borghesia, ha un valore solo se è un articolo di commercio, se può essere scambiato contro denaro e se in questo scambio la quantità del capitale iniziale aumenta.

Così i grandi principi della civiltà borghese, sbandierati ai quattro venti come il raggiungimento di vette ideali mai toccate prima, si riducono in realtà ad una misera categoria commerciale.

Libertà?, sì libertà di commercio, libertà di sfruttare le risorse naturali, libertà di sfruttare la forza lavoro salariata, libertà di appropriarsi la produzione sociale, libertà di difendere la proprietà privata borghese con le leggi, la polizia, le carceri, gli eserciti.

Diritto?, sì diritto di opprimere i lavoratori salariati nello sfruttamento della loro forza lavoro, diritto di commerciare in patria e negli altri paesi, diritto di costringere le masse proletarie ad essere irreggimentate negli eserciti borghesi per difendere la proprietà privata delle aziende e dei capitali, diritto di sottomettere le popolazioni economicamente arretrate al dominio dei capitalisti più forti, diritto di intervento militare per salvaguardare gli interessi del capitalismo nazionale, diritto di fare la guerra a tutti coloro che possono mettere in pericolo gli interessi "nazionali".

Progresso?, sì, progresso dell'industria, della scienza, della tecnica al fine di aumentare e velocizzare la produzione e la circolazione delle merci e dei capitali, al fine di aumentare la produzione di profitto capitalistico e di ridurre i costi di produzione, al fine di aumentare il tasso di sfruttamento della forza lavoro dal quale soltanto i capitalisti traggono il loro profitto.

Sovranità popolare?, sì, nel senso demagogico di rappresentare gli interessi "nazionali" - di "tutto il popolo" - attraverso istituzioni statali e governative che non sono altro che espressione diretta del potere politico della classe dominante borghese.

Democrazia?, sì, come principio ideologico e metodo di governo utili solo a mimetizzare con un falso coinvolgimento del popolo elettore alle decisioni che riguardano la sua vita, la dittatura del capitale.

Patria?, sì, come territorio definito da confini entro i quali la classe dominante borghese esercita il suo dominio diretto sulla popolazione nazionale, e sul proletariato innanzitutto, garantendosi la libertà e il diritto di sfruttare la forza lavoro salariata a suo piacimento e secondo le esigenze della sua economia e dei suoi profitti; la patria borghese è innanzitutto un territorio economico che la borghesia difende contro le borghesie straniere come sua proprietà privata e nel quale territorio gestire la forza lavoro salariata, autoctona o immigrata, con le sue leggi e alle sue condizioni.

Indipendenza nazionale?, sì, certo, come unità di lingua e di territorio, ma indipendenza rispetto alle altre borghesie nazionali per poter trarre il maggior profitto possibile dallo sfruttamento del proprio proletariato nazionale; cosa che non impedisce alle borghesie economicamente e militarmente più forti di soggiogare popolazioni, nazionalità e territori economici altrui per allargare il proprio bacino di sfruttamento, alla faccia del rispetto delle "indipendenze" e delle "sovranità popolari" di altri paesi.

Legalità?, sì, come principio di difesa  dei rapporti di proprietà e di produzione borghesi, dunque a difesa esclusiva del sistema economico e politico borghese con cui si ribadisce, per l'appunto, il dominio borghese sulla società intera.

Pace?, sì, la pace che i rapporti di concorrenza permettono e nella misura in cui i contrasti economici, politici, diplomatici, militari - che sono congeniti alla società capitalistica - non giungano al punto di rottura e si trasformino in contrasti armati.

Per il proletariato che cosa significano, nella società capitalistica, Libertà, Diritto, Progresso, Sovranità popolare, Democrazia, Patria, Legalità, Pace ecc.?

Libertà di vivere nella sola condizione di essere sfruttati dai capitalisti sia quando si viene impiegati come schiavi salariati sia quando si viene espulsi dalla produzione e precipitati nella miseria e nella fame. Libertà di organizzare le proprie forze, e di "lottare" in difesa dei propri interessi, solo alla condizione di sottomettersi alle esigenze dell'economia capitalistica e di osservare le leggi imposte dalla classe dominante borghese.

Diritto di vendere la propria forza lavoro al "miglior offerente" in una società in cui il "datore di lavoro" è sempre e comunque il capitalista - privato o pubblico che sia - alle condizioni di chi ha il potere di dare o meno un lavoro (quindi un salario), dunque il potere di vita e di morte su ogni proletario. Diritto di soddisfare le proprie esigenze di vita, di conoscenza, di ozio, di divertimento e di seguire le proprie attitudini pratiche? Sì, alla condizione di non essere un proletario, ma un borghese in posesso delle risorse economiche necessarie per perseguirle.

Progresso nella conduzione sociale e quotidiana di vita, singola o familiare, alla sola condizione di potersi recare al mercato ed acquistare i prodotti utili non solo alla pura sopravvivenza, ma ad una vita confortevole, sana, libera dai tormenti dei lavori nocivi, stressanti, insicuri, precari, saltuari, clandestini o dai tormenti di lavori non trovati: ai borghesi la vita confortevole, sana, libera dai tormenti del lavoro salariato e della disoccupazione, ai proletari la nocività, l'insicurezza, la precarietà del lavoro e della vita.

Sovranità popolare e democrazia vanno a braccetto: principi che hanno avuto una valenza positiva nella fase rivoluzionaria della storia della classe borghese, quando distrusse il potere feudale e nobiliare, rendendo protagoniste le classi sociali all'epoca sottomesse all'aristocrazia e radunate nel "popolo" (borghesi, artigiani, contadini, proletari), in nome del quale la classe borghese prese il potere e impose le leggi atte a liberare le forze produttive dagli stretti vincoli dell'economia feudale per lanciarle nello sviluppo dell'industria e del mercato. Principi che, sviluppatasi la società borghese, e sviluppatasi la lotta di classe fra le due classi fondamentali della società moderna, borghesia e proletariato,si sono dimostrati sempre più logori e non corrispondenti alla realtà materiale dei rapporti di proprietà e di produzione borghesi dominanti. La sovranità, cioè il potere reale, non è del popolo - massa informe di individui appartenenti ad ogni classe sociale - ma della classe dominante, dunque della borghesia. Democrazia, che, secondo l'origine greca della parola, significa "governo del popolo", non è che un metodo di governo "in nome del popolo" utilizzato dalla classe dominante borghese nelle forme delle rappresentanze elettive riunite nei parlamenti (democrazia repubblicana o monarchia costituzionale, poco importa), metodo attraverso il quale la classe dominante borghese dà l'impressione di coinvolgere tutte le classi e gli strati sociali nel decidere quali leggi, quali misure, quali decisioni prendere o meno nell'interesse "comune". Ideologicamente, col termine popolo, la borghesia intende superare la divisione della società in classi antagoniste, trasformando tutti gli abitanti di una nazione in "cittadini", individui uguali di fronte alla legge e il cui voto ha lo stesso peso aldilà della posizione sociale di ciascuno. Ma la realtà smentisce questi principi ideologici in ogni istante: sovranità popolare, democrazia, uguaglianza, nella società capitalistica sono solo principi ingannevoli perché la divisione della società in classi contrapposte non è il risultato di un atto di volontà o di un voto parlamentare, ma la base materiale dell'organizzazione sociale che ha per nome capitalismo.

Patria, nazione, sono termini anch'essi che, nella fase storica della rivoluzione borghese, hanno avuto una valenza positiva perché rappresentavano la lotta politica per l'unità nazionale contro lo spezzettamento in tanti staterelli ad economia chiusa, lotta nella quale tutte le classi sociali sottoposte al dominio dell'aristocrazia nobiliare - il famoso "popolo" - venivano violentamente coinvolte nella lotta armata per abbattere i vecchi poteri e per aprire la via alla nuova società borghese, allo sviluppo delle forze produttive, al libero commercio, al mercato nazionale, alla violenta  proletarizzazione delle masse contadine, insomma al capitalismo. Ma il progresso dell'industria, lo sviluppo del capitalismo in alcuni paesi prima che nel resto del mondo e la creazione del mercato mondiale - dunque lo sviluppo ineguale del capitalismo - ha ingigantito le differenze tra i diversi paesi, trasformando alcuni paesi, a cominciare dall'Inghilterra e la Francia, gli Stati Uniti, la Germania, l'Italia ecc. in paesi imperialisti nel senso leninista del termine, ossia paesi che avevano formato nel tempo, sullo sviluppo industriale e commerciale, una potenza economica in grado di conquistare, e dominare, i mercati esteri trasformando progressivamente il vecchio colonialismo con massiccia presenza militare nel nuovo colonialismo finanziario.

Ma per la borghesia inglese o tedesca, americana, russa o francese, italiana o spagnola, la propria patria imperialista ha lo stesso valore ideologico, morale, di principio di patria come l'India per la borghesia indiana, il Vietnam per la borghesia vietnamita, il Sudafrica per la borghesia sudafricana, la Cina per la borghesia cinese, l'Ucraìna per la borghesia ucraina e così per tutti i paesi del mondo. Ciò che cambia tra i paesi imperialisti, le grandi potenze che dominano il mercato mondiale e tutti gli altri paesi, non è nel concetto ideologico di patria, di nazione, che ad ogni borghesia nazionale serve come catalizzatore per attirare a sé le grandi masse proletarie e contadine, ma nella forza economica che li distingue: forza economica che fa da base alla forza politica e che si esprime nella forza militare.

Che la borghesia di ogni paese abbia cercato e cerchi sempre di attirare a sé il proletariato per poterlo mobilitare in tempo di pace, per combattere la concorrenza, a sostenete con i propri sacrifici lo sforzo economico nella crescita o nella recessione e nella crisi e, in tempo di guerra, a sostenere con i propri sacrifici lo scontro con le forze armate dei paesi nemici, è un fatto incontrovertibile. La classe borghese non riuscirebbe a sacrificare per i propri interessi di classe e di potere le masse proletarie contando soltanto sul ricatto economico; deve influenzarle ideologicamente, deve dare alle masse delle finalità ideali per le quali esse siano disposte a sacrificarsi molto ma molto di più che sotto il semplice e crudo scudiscio che il padrone usa sulla schiena dello schiavo. La borghesia, per raggiungere i propri fini politici deve mettere in movimento tutto il proletariato, come afferma il Manifesto di Marx ed Engels, perciò il proletariato acquisisce non solo forza perché diventa sempre più numeroso e concentrato nelle fabbriche, ma anche perché acquisisce esperienza politica. Dunque, la borghesia deve affinare l'arte dell'influenza ideologica e politica sulle masse proletarie per mantenere la possibilità di mobilitarle per i propri fini politici, dunque anche economici e militari, nelle diverse situazioni di concorrenza che si presentano. E il metodo democratico si è dimostrato, a questo scopo, il più efficace, tanto che a distanza di oltre centocinquant'anni dalle prime rivoluzioni, in cui il proletariato dimostrò di avere sue proprie finalità storiche, funziona ancora.

Nazione e democrazia, formidabile abbinata ideologica e, nello stesso tempo, demagogica, ancora carica, però, di forza, nonostante la successione tremenda di crisi economiche e di guerre che hanno punteggiato, e punteggiano ancora, il progresso del capitalismo. Due guerre mondiali con decine di milioni di morti, guerre locali nelle diverse zone di contrasti interimperialistici con altrettanti milioni di morti, crisi economiche micidiali con centinaia di migliaia di morti e profughi dalla miseria, dalla carestia, dalla fame: il capitalismo, dal folgorante sviluppo dell'Ottocento è passato ad immiserire in modo devastante  miliardi di esseri umani dal Novecento in poi. Quale futuro aveva propugnato la classe borghese quando alzò le bandiere della Libertà, dell'Eguaglianza, della Fraternità? Quali Diritti, quale Progresso? In quale Patria le masse proletarie dovrebbero trovare pace, libertà, eguaglianza?

La borghesia, dalla rivoluzione francese in poi, ha al suo attivo 225 anni di sviluppo capitalistico. Il progresso industriale in molti paesi c'è stato e le masse proletarie soffrono per troppo capitalismo; in moltissimi altri paesi le masse proletarie e contadine soffrono, invece, per mancanza di sviluppo capitalistico perché le economie precedenti distrutte dal dominio capitalistico nel mondo non sono state sostituite con un adeguato sviluppo industriale. La divisione internazionale del lavoro creata dal capitalismo produce sempre più diseguaglianze e sviluppo ineguale che, a causa delle crisi economiche capitalistiche, si acuiscono  perchè il capitalismo supera le sue crisi solo alla condizione di creare ulteriori fattori di crisi ancor più acuti e devastanti dei precedenti, fino alle crisi di guerra.

Dunque, nella società borghese, più progresso industriale, più sviluppo, più mercato, insomma più capitalismo significa più contrasti interborghesi, più contraddizioni sociali, rapporti più antagonisti tra le classi.

In questa curva di sviluppo delle contraddizioni, curva che tende ad innalzarsi verso apici sempre più insostenibili, aumenta  inevitabilmente la contraddizione fra la produzione per aziende - tipica del capitalismo anche il più sviluppato - e il necessario passaggio nel mercato per poter valorizzare i capitali investiti: si urtano in modo sempre più acuto la perfetta organizzazione della produzione nelle singole aziende e lo sbocco della produzione nel mercato dove vige la concorrenza più selvaggia. Tra i due fattori economici, è l'anarchia del mercato che la vince, decretando in pratica l'impossibilità da parte borghese di dominare un modo di produzione che in realtà sfugge completamente al suo controllo. E sfugge al suo controllo a tal punto che, in corrispondenza del massimo sviluppo industriale e nonostante le innovazioni tecniche applicate ad ogni sorta di produzione, sono le stesse crisi di mercato che spingono frazioni della stessa borghesia "nazionale" a scontrarsi fra di loro rivendicando il "diritto" a difendere localmente, settorialmente, in territori circoscritti, i propri interessi parziali contro gli interessi generali e "nazionali". I particolarismi, i campanilismi, cari all'epoca pre-capitalistica, che si davano per sconfitti per sempre una volta raggiunta la sistemazione nazionale, rinascono e si ripropongono pur nelle moderne forme borghesi. Il nazionalismo classico, unitario, indipendentista e repubblicano, che la borghesia rivoluzionaria contrapponeva ai regimi autocratici e monarchici, non solo si è trasformato nello sciovinismo, infettando in modo sensibile anche le grandi masse proletarie, ma ha fatto da base ideologica anche ai più meschini particolarismi. Per l'Italia basti pensare alla vecchia rivendicazione della popolazione dell'Alto Adige che si considera Sud Tirolo, perciò più austriaco che italiano, o alla più recente rivendicazione indipendentista del Veneto, se non quella più confusa e vuota della Padania.

Ogni rivendicazione di questo tipo si richiama alla democrazia, ad una "sovranità popolare", alla libertà di "decidere autonomamente" quale sistemazione accettare o cambiare; si richiama, quindi, allo stesso "diritto" al quale si richiamano coloro che rivendicano invece l'unità nazionale, la lingua nazionale, le stesse origini, la stessa razza, la stessa moneta, la comunanza di valori, la comunità di cittadini, il sangue versato nelle guerre per l'indipendenza nazionale ecc. ecc. In definitiva, i valori che la classe borghese propaganda come valori comuni,. valori, generali, valori che starebbero al di sopra di ogni differenza di classe e sociale, sono concezioni e idealità finalizzate esclusivamente a nobilitare la cruda e cinica realtà capitalistica fatta di antagonismi sociali, di miseria accumulatasi nella stragrande maggioranza della popolazione, e in particolare nel proletariato e di ricchezza posseduta, e difesa strenuamente, dalla minoranza borghese della popolazione.

Il proletariato, i senza riserve, i senza patria, i senza futuro nella società attaule se non quello di una perenne schiavitù sociale, nel suo movimento storico di lotta per emanciparsi da questa schiavitù, rappresenta già nella società borghese l'unica alternativa alla soluzione di tutte le sue contraddizioni e i suoi contrasti. E' proprio per la sua condizione materiale di senza riserve, di senza patria e di senza futuro nella società borghese, e di unico fattore della produzione che, grazie allo sfruttamento capitalistico della sua forza lavoro, valorizza il capitale investito producendo il profitto capitalistico che i borghesi intascano per il solo fatto di essere i proprietari dei mezzi di produzione, dei capitali investiti e della produzione sociale; è proprio per questa sua condizione materiale che il proletariato, immerso in rapporti sociali e di produzione che scavalcano sistematicamente i confini delle aziende e delle nazioni, è oggettivamente classe internazionale.

Il proletariatio è, perciò, l'unica classe che può assumersi il compito di indirizzare lo sviluppo delle forze produttive in una direzione completamente opposta a quella borghese, la direzione della soddisfazione dei bisogni di vita e di sviluppo della specie umana contro la direzione del capitalismo teso a soddisfare i bisogni del mercato e della valorizzazione del capitale!

La classe borghese dominante vive e sviluppa la sua forza e il suo potere negli antagonismi sociali: non cessa mai di lottare contro la borghesia concorrente o contro la classe contrapposta. Essa diventa più forte nei confronti delle borghesie straniere nella misura in cui riesce a farsi sostenere dalla classe del proletariato. Perciò investe risorse ed energie sociali nelle forze che possono influenzare il proletariato a proprio favore. L'opportunismo, infatti, gode dell'influenza sul proletariato non perché abbia trovato il modo di aprire le coscienze proletarie ai valori borghesi della libertà, della democrazia, della pace, della patria, ma perché, in genere, ottiene determinati risultati economici a favore del proletariato o di sue frazioni costituendo su di essi la base materiale della sua influenza. Gli ammortizzatori sociali, ossia quel sistema di protezioni e di "garanzie" - come la pensione, la cassa integrazione, la maternità, la previdenza sugli infortuni e sulle malattie, le ferie ecc. - su cui i proletari dei paesi industrializzati possono ancora contare, costituiscono certamente una base materiale che in qualche modo li lega all'andamento economico delle aziende e dell'economia nazionale; difendendo il buon andamento dell'economia aziendale e dell'economia nazionale, l'opportunismo fa credere ai proletari che essi difendono la propria vita solo col  salario e il sistema di ammortizzatori sociali che intervengono nelle situazioni critiche. L'opportunismo opera quindi per la conservazione del sistema salariale, quindi del capitalismo a tutto beneficio degli interessi borghesi e dell'economia nazionale. In pratica, questa "lotta" viene opposta alla lotta operaia che deve invece difendere gli interessi proletari immediati, con metodi che non tengano in alcun conto gli interessi delle aziende semplicemente perché sono gli interessi dei capitalisti, perciò con metodi che non dipendono dalla conciliazione delle esigenze padronali e proletarie.

Con la stessa impostazione della conciliazione degli interessi padronali e proletari, l'opportunismo raccoglie le indicazioni borghesi a difesa dei valori più generali come appunto la patria, l'indipendenza nazionale, la legalità, la democrazia ecc., mantenendo o  riportando il proletariato sotto la tutela dello Stato e della classe dominante borghese, attuando in questo modo la sua opera di asservimento del proletariato alle forze della conservazione capitalistica.

Il proletariato, in realtà, seguendo la spinta materiale che riceve dalle sue stesse condizioni di esistenza, dalle sue condizioni di schiavitù salariale, ha trovato nel passato la forza non solo di lottare per difendersi dagli attacchi sistematici della classe borghese, ma anche la forza di portarsi sul terreno dello scontro di classe a livello politico, e perciò sul terreno della lotta per l'emancipazione dal giogo capitalistico.

La forza del proletariato è nell'essere una classe sociale internazionale, perché sotto ogni cielo è nelle stesse condizioni di senza riserve, senza patria, senza futuro nella società borghese. La storia stessa delle sue lotte dimostra che, giunta la situazione ad un certo livello di tensione e di crisi sociale, il proletariato rompe il "patto di solidarietà" con la borghesia che le forze opportuniste e collaborazioniste hanno sottoscritto in suo nome, costringendolo con il ricatto economico e sociale a rispettarlo, e agisce come classe indipendente dalla borghesia e dalle forze di conservazione, come classe per sé che lotta per la propria emancipazione dal capitalismo contro tutte le altre classi e gli altri strati sociali che invece hanno interesse al mantenimento del regime borghese e del lavoro salariato perché vivono esclusivamente sullo sfruttamento del lavoro salariato.

Allora, gli antagonismi nazionali su cui giocano sistematicamente le borghesie di ogni paese, sia quelle che colonizzano sia quelle che vengono colonizzate, possono trovare una soluzione alla quale solo il proletariato può portare: l'unione dei proletari di ogni nazione, di ogni nazionalità, di ogni razza, nell'unica lotta che ha per obiettivo il superamento di ogni antagonismo sociale, la lotta di classe che apre la via alla rivoluzione proletaria, all'abbattimento del potere politico borghese con il quale il capitalismo si mantiene in vita, e alla dittatura del proletariato che serve sia per combattere e vincere i tentativi della borghesia di riprendersi il potere sia per iniziare a distruggere i rapporti di proprietà e di produzione borghesi pur continuando la lotta rivoluzionaria a livello internazionale.

La rottura della "solidarietà nazionale", tanto cara ai borghesi e agli opportunisti, è un  passo decisivo nella direzione dell'indipendenza di classe proletaria. Il proletariato giungerà a questa rottura attraverso una lunga serie di esperienze negative e di sconfitte parziali; dovrà superare ostacoli notevoli di ordine sociale e politico perché deve scardinare l'opera pluridecennale delle forze opportuniste e le abitudini a genuflettersi sistematicamente alle esigenze dei capitalisti prima di avanzare anche una semplice ed elementare rivendicazione per sé. Dovrà lottare anche nelle proprie file, contro gli strati arretrati ma anche contro gli strati più privilegiati dell'aristocrazia operaia che sono i più legati alla borghesia e i più interessati al mantenimento della "solidarietà nazionale" da cui essi traggono, a spese del resto del proletariato, i loro piccoli privilegi.

La lotta di classe, per il proletariato, si svolgerà contro molti nemici, dichiarati e ben mimetizzati, ma chiarirà inevitabilmente il ruolo di tutti gli strati sociali e delle classi che sono le vere protagoniste: la classe borghese, la classe dei capitalisti e dei proprietari fondiari e la classe del proletariato. Classe contro classe, non nazione contro nazione, non  guerra tra Stati.

Nella lotta di classe, il proletariato di un paese riconosce qualsiasi proletariato di ogni altro paese come proprio alleato, come proprio fratello di classe, perché ciascuno di loro combatte la stessa classe nemica, la classe borghese, partendo dalle stesse condizioni materiali di vita. Il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels afferma che la lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. Lotta nazionale non per l'indipendenza nazionale, non per portare al potere la borghesia o per conservarle il potere; lotta, in un primo tempo, nei confini nazionali, lotta contro la propria borghesia nazionale, contro gli sfruttatori diretti, che hanno immediato potere di vita e di morte sui lavoratori salariati che sfruttano, che mettono uno contro l'altro, che puniscono e sanzionano se vanno contro gli interessi padronali, che licenziano, che reprimono nelle aziende in cui li sfruttano o che li fanno reprimere dalle forze del loro ordine quando lottano e manifestano con vigore a propria difesa, che mettono in carcere se non rispettano le leggi borghesi, che irreggimentano negli eserciti mandandoli a morire nelle guerre di rapina che le borghesie si fanno per la supremazia nel mercato mondiale. E' naturale, continua il Manifesto, che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.

Infatti la lotta di classe del proletariato ha le sue basi nella lotta in difesa delle sue condizioni di esistenza immediate, partendo quindi dalla lotta nella singola azienda  o nel singolo settore per poi ampliarla, dalla lotta per il salario, per la diminuzione della giornata lavorativa, contro gli infortuni, contro la nocività, contro i licenziamenti ecc., fino alla lotta insieme ai proletari di tutte le categorie, occupati e disoccupati, autoctoni e immigrati; dunque in un crescendo, lottando contro la reazione dei padroni e contro la repressione poliziesca; la lotta proletaria, basata su organizzazioni classiste e portata avanti con metodi e mezzi classisti per obiettivi proletari di classe,  si scontra inevitabilmente con lo Stato borghese, diventa lotta politica. La lotta di classe è lotta politica, e trova la sua rotta nell'indirizzo programmatico dato dal partito politico di classe del proletariato, il partito comunista, quel partito per il quale Marx ed Engels hanno scritto il Manifesto nel 1848.

Il proletariato, come classe per il capitale, difende con la lotta le sue condizioni di lavoratore salariato per migliorarle all'interno della società borghese. Ma è proprio questa lotta, se condotta con mezzi e metodi di classe, quindi a difesa esclusiva dei suoi interessi immediati di classe, che incontra la resistenza e la reazione violenta della classe borghese che non intende perdere il controllo, l'influenza e il dominio sul proletariato, alzando il livello dello scontro e accettandolo come scontro tra classi contrapposte, portandolo inesorabilmente sul terreno politico.

Il proletariato impara dalla sua lotta, si educa alla lotta lottando, sbagliando, subendo sconfitte, riorganizzandosi per lottare con più efficacia e con più forza. La sua lotta per la sopravvivenza diventa più dura nella misura in cui le condizioni di sopravvivenza si fanno più dure e pesanti; non è automatico che la durezza della lotta faccia fare dei passi avanti al proletariato, ma lo mette nelle condizioni di cercare una guida,un indirizzo politico più generale, in grado di chiarirgli la strada da imboccare per utilizzare al meglio la sua forza sociale. Il partito comunista rivoluzionario è la guida che il proletariato cerca per dare alla sua lotta di emancipazione un obiettivo visibile, una certezza politica sui passaggi da attraversare, una risposta anticipata ai problemi che incontrerà nella guerra di classe scatenata contro la borghesia.

Il proletariato, lottando per la propria esistenza contro la borghesia si accorge facilmente che le sue condizioni di schiavo salariato sono le stesse in ogni paese, in America come in Russia, in Germania come in Sudafrica, in Brasile come in Francia o in Gran Bretagna, in Algeria come in Spagna, in Iran come in Cina o in India, in Giappone come nelle Filippine o in  Argentina e così in ogni paese. Ma, in ogni paese, oltre a subire lo stesso tipo di violenza economica e di dispotismo sociale, subisce l'opera opportunista di partiti e sindacati che lo legano alle caratteristiche e agli interessi nazionali della propria borghesia, e di questo legame si fanno forti per costringerlo a sacrificarsi a favore dell'economia e dello Stato nazionale. E' proprio lo sviluppo dell'industria e, quindi, del capitalismo che annulla del tutto ogni carattere nazionale al lavoro salariato; l'unica differenza tra paese e paese che ci può essere è nel prezzo della forza lavoro, non nel rapporto di produzione tra capitale e lavoro salariato. Perciò il proletariato, spogliato del carattere nazionale grazie al rapporto tra capitale e lavoro salariato, è di fatto classe internazionale. Per la prima volta nelle società divise in classi si è creata una classe la cui caratteristica principale è di essere internazionale, opposta alla classe borghese che, pur avendo diffuso il modo di produzione capitalistico dall'Europa in tutto il mondo, resta però una classe nazionale, i cui rapporti di proprietà e di produzione la legano soprattutto al territorio nazionale e allo Stato nazionale che ne difende gli interessi con le leggi e con le armi, sia contro le borghesia straniere, sia contro le frazioni borghesi nazionali più deboli e contro gli strati della piccola e media borghesia, sia contro il proletariato.

L'ideologia borghese è fondamentalmente un'ideologia nazionale e si serve del concetto di patria, di difesa della patria, sia in periodi di pace sia in periodi di guerra al fine di influenzare e mobilitare le masse proletarie a sostenere le lotta di concorrenza della borghesia nazionale contro le borghesie straniere, lotta di concorrenza che sfociano, ad un certo punto di tensione e quando i mezzi politici, diplomatici ed economici non sono sufficienti a difendere gli interessi borghesi nazionali, inevitabil mente in guerre guerreggiate. L'epoca moderna, superato il periodo storico delle guerre borghesi contro le forze feudali e volte a dare il massimo sviluppo alle forze produttive, e delle guerre di sistemazione nazionale dei paesi più importanti, è l'epoca delle guerre imperialiste, l'epoca delle guerre di rapina, delle guerre, come affermava Lenin, di padroni di schiavi per il mantenimento della schiavitù, della schiavitù salariale.

Con la guerra franco-prussiana del 1870, nella quale la borghesia francese, per salvare il proprio privilegio di classe, manovrava di noscosto con il nemico prussiano per schiacciare "la canaglia rivoluzionaria di Parigi", e l'insurrezione del proletariato parigino con la Comune di Parigi, dirà Marx: il predominio di classe non è più in condizione di nascondersi sotto un'uniforme nazionale. I governi nazionali sotto tutti confederati contro il proletariato. Con la guerra mondiale del 1914-18, ogni guerra imperialista, sia essa regionale o mondiale, non è che una guerra di rapina, una guerra con la quale le borghesie cercano di risolvere le crisi del loro sistema sociale a spese del proletariato e dei popoli oppressi.

Il mondo, nell'epoca dell'imperialismo borghese, è un mondo in cui la lotta di concorrenza, e i contrasti per la conquista e il mantenimento dei mercati di sbocco delle merci e dei capitali nazionali, invece di diminuire e appianarsi sono aumentati a tal punto che, dalla fine della seconda guerra mondiale, è diventato normale che in qualche parte del pianeta scoppiasse una guerra, tanto da non far passare mai un anno intero di pace generale in tutto il mondo. Vi sono state guerre di "liberazione nazionale" volte a liberarsi dei vecchi colonialismi e per l'agognata indipendenza nazionale, dall'Egitto all'Algeria, dal Congo al Vietnam; guerre che hanno aperto economie naturali, di tipo asiatico e precapitalistiche all'incedere del capitalismo moderno il quale, pur nel suo sviluppo parziale e frenato, ha comunque trasformato enormi masse di contadini e di artigiani in enormi masse di proletari.

Il cammino inesorabile del capitalismo non può non produrre i moderni schiavi, i lavoratori salariati, i senza riserve, i senza patria, i senza futuro nella società borghese. Se il proletariato era classe internazionale già a metà dell'Ottocento, lo è ancor più oggi che lo sviluppo industriale, del commercio, dei trasporti, delle comunicazioni  e del capitale finanziario ha ridotto moltissimo le distanze fra i paesi e le loro popolazioni. E queste distanze vengono ancor più ridotte a causa delle crisi economiche che il capitalismo non può risolvere e che, anzi, acutizza e allarga sempre più; se nella borsa di Chicago le azioni dei grandi trust dei cereali perdono alcuni punti, ne risente il mondo intero e soprattutto i paesi produttori di cereali, così come se nella borsa di New York le azioni dei grandi trust industriali o delle grandi banche cedono anche solo di mezzo punto ne risente l'economia mondiale. Che vuol dire questo se non che la classe borghese di ogni nazione, anche delle nazioni più potenti, è succube delle leggi del mercato, di quel mercato nazionale e, soprattutto, mondiale, al quale affida la sorte della sua economia?

La borghesia, da un lato, è costretta dal movimento storico delle forze produttive a svilupparle sempre più, dall'altro, a causa dei suoi rapporti di proprietà e di produzione, per mantenere il potere politico e sociale sulla società intera, e in particolare sulla classe proletaria, è costretta a frenare, chiudere, inaridire questo sviluppo. Ma ogni tentativo che la borghesia mette in opera per rimediare alle contraddizioni del suo sistema economico e sociale, se tampona nell'immediato la situazione di crisi non riesce però ad evitare che si costituiscano fattori di crisi più potenti che la faranno scoppiare  successivamente.

Il proletariato non ha coscienza di questa situazione, non è nemmeno consapevole della forza sociale che possiede intossicato com'è di democrazia, solidarietà nazionale, collaborazione di classe. Ma è una forza che esiste e che, nonostante l'opera sistematica di frammentazione e divisione condotta dalle classi borghesi e dalle forze di conservazione tra cui primeggiano le forze opportuniste, tende ad unirsi per difendersi più efficacemente dalla pressione e dalla repressione delle forze borghesi.

La coscienza del movimento storico delle classi, della loro lotta e dello sbocco storico della lotta fra le classi, non ce l'ha il proletariato in quanto classe per il capitale, e non ce l'ha nemmeno la borghesia in quanto classe dominante; ce l'ha soltanto il partito politico del proletariato, il partito comunista che basa la sua azione e la sua esistenza sulla teoria marxista, sulla teoria della rivoluzione e della dittatura proletarie portate fino in fondo, fino alla completa distruzione del capitalismo come modo di produzione e delle forme di potere della borghesia a partire dallo Stato centrale.

Se la classe proletaria ha perso il suo carattere nazionale diventando materialmente classe internazionale, il suo partito politico di classe non può rispondere ad una identità nazionale, non è caratterizzato da un programma nazionale. Come il proletariato, il partito si organizza e lotta, in un primo momento e solo formalmente, nell'ambito nazionale in cui si è formato, ma è il programma politico che lo definisce e la teoria del comunismo rivoluzionario da cui questo programma discende che lo pone sul piano internazionale.

Non a caso il Manifesto del partito comunista è stato scritto per la Prima Internazionale degli operai, non a caso il Manifesto si chiude con l'appello Proletari di tutti paesi, unitevi!, in realtà più un grido di guerra, della guerra di classe contro le classi borghesi di tutto il mondo, che un appello organizzativo. I governi nazionali, gli Stati nazionali, le classi borghesi nazionali hanno dimostrato con i fatti - come insegna la Comune di Parigi - che il nazionalismo di cui impregnano la loro propaganda e l'opera di influenza delle masse proletarie, è un inganno usato al solo scopo di soggiogare il proletariato ai propri interessi e di deviarlo dalla linea politica comunista, e  internazionalista, che risponde invece agli interessi storici della classe del proletariato perché dal rovesciamento violento dell'attuale ordinamento sociale, dunque della società borghese, esso ha da perdervi solo le sue catene e ha un mondo da guadagnare.

La borghesia sa che le crisi economiche capitalistiche la porteranno inevitabilmente alla guerra, e alla guerra ogni borghesia nazionale ha interesse ad arrivarci preparata per uscirne vincente o, comunque, per poterne trarre il maggior profitto possibile. Perciò essa, debilitandolo politicamente e sindacalmente, cerca di ottenere dal proletariato l'accettazione più o meno convinta, più o meno forzata, della difesa della patria che oggi la si attua difendendo le aziende e l'economia nazionale, domani sui campi di battaglia continuando a sacrificare la propria vita dopo averla sacrificata nelle fabbriche e nei campi.

Contro il nazionalismo, il particolarismo, il campanilismo, i proletari non hanno bisogno di una ideologia diversa: devono semplicemente riconoscere le proprie condizioni di schiavi salariati, condizioni uguali per ogni proletario di qualsiasi paese, e lottare contro i borghesi, a partire dal paese in cui vengono sfruttati, per strappare loro il potere con cui li schiacciano opprimendoli. Organizzarsi per questa lotta significa organizzarsi con mezzi e metodi di classe, dandosi obiettivi di classe e, quindi, mettersi nelle condizioni di incontrare il partito politico di classe.

L'internazionalismo proletario affonda le sue radici nella lotta di classe che il proletariato conduce contro la borghesia, fin dalla fabbrica in cui viene sfruttato, ma nella prospettiva dell'emancipazione dal capitalismo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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