Lotta di classe contro il capitale!

Proletari contro borghesi, nelle fabbriche e nei campi, nella produzione e nella distribuzione, in ogni paese e nel mondo fino alla rivoluzione e alla conquista del potere politico: è la sola via dell’emancipazione proletaria dagli orrori della società capitalistica!

(«il comunista»; N° 134; Aprile 2014)

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Nella società presente, al di là delle mistificazioni con cui i miti dell’ideologia borghese: democrazia, libertà, progresso, ricoprono la brutalità dello sfruttamento capitalistico del lavoro salariato, i proletari, pur rappresentando la stragrande maggioranza della popolazione ed essendo i produttori della ricchezza sociale esistente, vivono nelle condizioni di vera e propria schiavitù moderna, una schiavitù peggiore di quella dell’antica Roma: se hanno un lavoro, quindi se il capitale li sfrutta, hanno la possibilità di vivere, se il capitale non li impiega sfruttandoli hanno di fronte una vita di stenti, di miseria, di fame.

Viviamo in una società in cui l’industria progredisce sempre di più, in cui il progresso dei trasporti e delle comunicazioni accorciano enormemente le distanze e avvicinano gli esseri umani in tempi rapidi da una all’altra parte del mondo, ma nella quale aumenta a dismisura la disoccupazione, la precarietà del lavoro e della vita, il pauperismo, gettando masse sempre crescenti nella disperazione, nell’indigenza, nella solitudine, nei tormenti delle malattie e delle guerre. Più l’industria progredisce, più cresce la ricchezza generale e mondiale e più aumenta la concorrenza sul mercato, e la violenza economica, sociale o militare invade quotidianamente ogni luogo di lavoro, ogni casa, ogni strada, ogni città, ogni paese.

Le condizioni materiali di vita potrebbero essere migliori per tutti, la fatica del lavoro potrebbe essere ridotta enormemente per ogni singolo essere umano, la vita sociale potrebbe essere vissuta in modo armonioso sotto ogni cielo, dati il gigantesco sviluppo delle forze produttive e il progredire incessante dell’industria e delle scoperte tecniche. Ma così non è! Il modo di produzione capitalistico e la società borghese eretta su di esso impediscono con ogni mezzo che lo sviluppo umana vada nella direzione del benessere per tutti. Il modo di produzione capitalistico e la società borghese, ai loro albori storici sono stati una rivoluzione economica e politica di grandissimo progresso storico, ma le contraddizioni congenite che li caratterizzano (produzione di merci, mercato, profitto capitalistico, denaro, dunque lavoro salariato e capitale), nel loro svilupparsi internazionalmente, costituiscono l’ostacolo principale allo sviluppo stesso delle forze produttive e, quindi, allo sviluppo dell’uomo come essere sociale.

La classe dei proletari, la classe dei lavoratori salariati, si contrappone oggettivamente, fin dalle origini della società moderna, alla classe dei capitalisti, alla classe dei proprietari dei mezzi di produzione che si appropria la ricchezza sociale prodotta, a cominciare dal terreno materiale degli interessi di vita: oppressi contro oppressori, sfruttati contro sfruttatori. Ma nello sviluppo storico successivo, la classe proletaria ha dimostrato con le sue lotte di possedere finalità superiori di qualsiasi altra classe sociale fino ad allora esistita e che tendeva, come la stessa borghesia, a conquistare il potere politico per garantirsi la posizione di vita economica e sociale già acquisita nella vecchia società, assoggettando l’intera società alle condizioni della loro acquisizione (Manifesto, 1848). La classe proletaria, non avendo nulla di acquisito nella società borghese, non ha nulla da salvaguardare in essa, perciò la sua finalità storica non può che essere l’abolizione del sistema di appropriazione borghese, la distruzione dei rapporti borghesi di proprietà e di produzione esistenti attraverso i quali la classe borghese continua ad assoggettare l’intera società ai propri e privati interessi.

Per il capitalismo i proletari rappresentano semplicemente una bruta forza lavoro da sfruttare al fine di produrre merci da vendere al mercato, estorcendo dal lavoro salariato un plusvalore (tempo di lavoro non pagato) grazie al potere politico e militare con cui la borghesia domina sulla società. Per il capitalismo la forza lavoro proletaria è semplicemente una merce che subisce le stesse leggi del mercato di ogni altra merce: se è sovrabbondante aumenta la concorrenza, perciò singolarmente diminuisce di valore, quindi la si può acquistare ad un prezzo inferiore e i salari vengono abbattuti. I proletari, per i capitalisti, sono nulla di più che il prolungamento delle macchine che producono merci, sono l’occasione per accumulare e aumentare i profitti sui capitali investiti e, quando la concorrenza sui mercati nazionali e internazionali si fa più acuta, la produzione cala, le fabbriche chiudono o diminuiscono la manodopera espellendo la merce-forza-lavoro dalla produzione gettandola sul lastrico. La società che ingrassa i borghesi sfruttando il lavoro salariato è costretta, in questo modo, a nutrire in qualche modo almeno una parte dei propri schiavi invece di farsi nutrire da loro, dimostrando di non essere in grado di garantire, nel presente e nel futuro, la vita a tutti gli esseri umani.

La classe borghese, anche se rappresenta una estrema minoranza della popolazione in ogni paese, esercita il potere attraverso lo Stato e i suoi diversi apparati di controllo sociale, al fine di conservare i suoi privilegi sociali e il suo potere in ogni paese del mondo: il potere economico capitalistico può essere protetto solo dal potere politico e militare. La forza, non il “diritto”, decide le sorti dello scontro fra le classi, e questo la borghesia lo sa molto bene, ma sa anche che per mantenere il controllo sulle masse proletarie deve utilizzare non solo le armi della pressione economica e politica, ma anche quelle della propaganda, la più capillare possibile.

Infatti la borghesia usa le istituzioni scolastiche, i media, il parlamento, le varie istituzioni politiche e giudiziarie, il metodo delle elezioni e le più diverse religioni al fine di influenzare capillarmente le grandi masse proletarie e contadine abituandole a far dipendere la loro vita e il loro futuro dall’organizzazione attuale della società, come se al mondo non esistesse nessuna alternativa al capitalismo se non un capitalismo “riformato”.

Ma la storia delle lotte fra le classi dimostra invece che il capitalismo non è l’ultima società possibile: è certamente l’ultima società divisa in classi, ma sarà superata da una società in cui non esisteranno più le classi sociali contrapposte, non esisteranno più né proprietà privata né appropriazione privata della produzione sociale, non esisteranno più merce, denaro, mercato, profitto capitalistico, ma un’organizzazione razionale delle attività umane strutturata al fine di soddisfare i bisogni di vita attuali e futuri della specie umana, liberando le forze produttive al loro incessante sviluppo senza vincoli di concorrenza, di mercato, di tasso di profitto medio da rispettare, distruggendo il valore di scambio dei prodotti per riportarli al loro valore d’uso. Fine della concorrenza fra aziende e Stati, fine delle guerre commerciali, monetarie o guerreggiate; fine della divisione internazionale del lavoro, fine delle specializzazioni che obbligano gli uomini all’angustia di un mestiere per tutta la vita, fine delle carriere e delle professioni, quindi delle relative differenze economiche e sociali; fine dell’oppressione di classe, estinzione dello Stato: in poche parole, società di specie contro società divisa in classi, comunismo contro capitalismo.

L’umanità, una volta abbattuto il potere della borghesia e avviata la trasformazione socialista, creerà a poco a poco condizioni, regole e provvedimenti economici tali che renderanno possibile al singolo di sviluppare le proprie attitudini e disposizioni naturali a vantaggio proprio e della comunità, ma lo renderanno impotente a danneggiare altri o tutti, perché il danno dei terzi sarebbe pure danno suo. Questa condizione avrà tale efficacia sull’intelligenza e sul sentimento che l’idea di dominare sugli altri non germoglierà più nel cervello di alcuno (A. Bebel, La donna e il socialismo).

Per giungere al risultato storico della società senza classi, il proletariato deve imboccare una strada completamente opposta a quella in cui è stato portato dalle forze della conservazione borghese e dell’opportunismo politico e sindacale.

Oggi, dominato dai falsi miti della democrazia e della cosiddetta sovranità popolare, alimentati da un nazionalismo sempre risorgente, soprattutto in periodi di crisi economica e politica come l’attuale, il proletariato si lascia trascinare in movimenti che apparentemente danno una speranza di protagonismo e di indipendenza, un protagonismo sociale e politico, contro ceti politici ed economici corrotti fino al midollo e un’indipendenza dallo “straniero” che è visto tradizionalmente come causa della propria rovina.

La corruzione, però, ad ogni livello, è parte integrante del mercantilismo borghese perché tutto è reso articolo di commercio, dai prodotti fisici che escono dalle fabbriche alle risorse naturali, dalla terra e dal sottosuolo alle idee e ai principi, all’essere umano reso merce sia nella veste di schiavo salariato sia nella veste di compagno, amante o procuratore di favori terreni o nell’aldilà religioso. Come la corruzione, così anche l’ideologia nazionalista è legata ai rapporti borghesi di proprietà e di produzione. Per la borghesia la nazione è prima di tutto un mercato nazionale in cui intervenire con i propri capitali, con le proprie merci da vendere e dove trovare la forza lavoro da sfruttare nelle proprie aziende; la stessa lingua parlata e scritta, per il borghese, facilita le relazioni economiche, gli affari, gli scambi; se poi viene usata per la poesia, la letteratura, il teatro e il cinema, insomma per i “prodotti” della cultura, dato che nella società borghese tutto è commerciabile, la lingua diventa soprattutto uno strumento di quella particolare branca del commercio. La lingua nazionale, perciò, se nei secoli passati costituiva una rivoluzione e un passo avanti nello sviluppo storico della società umana rispetto alle lingue e ai dialetti parlati nelle isole chiuse feudali e perciò impoverite rispetto ad esempio al latino o al greco, oggi è soprattutto la rappresentazione fonetica o scritta di relazioni commerciali, di notifiche giudiziarie, di contratti di vendita, di affitto, bancari o assicurativi, tanto che i vecchi dialetti, che mantengono espressioni colorite e detti provenienti dalla cosidetta “saggezza popolare”, talvolta riemergano come collante di relazioni interpersonali ridotte dal mercantilismo ad un misero individualismo derivante da una vita quotidiana abbrutita dalla fatica di vivere in una società burocratizzata e inaridita.

Ma la borghesia, se da un lato è interessata che la gran parte dei proletari precipitino nella grettezza ignorante dell’individualismo, è però allo stesso tempo interessata a nutrire il loro spirito e le loro speranze con miti ed illusioni che completino l’opera di deviazione e di rincoglionimento generale a cui si dedicano normalmente le forze religiose. Da questo punto di vista il richiamo alla patria, alla nazione e alla famiglia, diventa una necessità borghese per mantenere e rafforzare la propria influenza sul proletariato anche dal punto di vista ideologico.

E’ la storia stessa dello sviluppo capitalistico che dimostra la vacuità di questi supposti valori generali. La patria non è altro che il luogo segnato da confini di cui i capitali e le merci non sanno più che farsene perché intralciano i loro movimenti; confini che servono esclusivamente ai borghesi per delimitare il proprio dominio diretto e per trarre tasse e vincoli a protezione della proprietà privata. La patria, con lo sviluppo del capitalismo a livello mondiale, è ormai ridotta ad un valore di pura demagogia: la libertà di commercio, lo sviluppo industriale, la circolazione vorticosa di merci, di capitali e di uomini in ogni angolo del mondo e le corrispondenti condizioni di vita dipendenti dalle leggi generali del capitale, hanno in realtà già fatto saltare le ragioni storiche delle separazioni nazionali. Ma se tali separazioni esistono ancora, con l’aggiunta degli antagonismi nazionali, tutto ciò è dovuto alla lotta di concorrenza fra borghesie: la borghesia è in lotta costantemente, contro altre borghesie per la supremazia sul mercato mondiale e contro il proletariato, innanzitutto del proprio paese, per continuare a dominarlo e a sfruttarlo. Il richiamo alla patria serve alla borghesia nazionale nella sua lotta contro le borghesie degli altri paesi, lotta commerciale o militare a seconda del livello di contrasto raggiunto: ma la borghesia sa per esperienza storica che non può fare a meno di mobilitare a proprio vantaggio la massa proletaria per determinare la forza che le consente di affrontare la concorrenza con le borghesie degli altri paesi. Mentre all’interno dei confini della patria borghese, la classe borghese schiaccia nell’oppressione economica, politica e sociale il proprio proletariato, dimostrando chiaramente che il suo dominio sulla società è dominio di classe, è invece pronta a chiamarlo in suo aiuto per difendere i suoi capitali, le sue fabbriche, la sua proprietà privata, i suoi profitti, il suo sistema di sfruttamento, dal pericolo che borghesie straniere possano toglierle questi privilegi sottomettendola ad interessi privati più forti. E’ come se il boia chiedesse al condannato a morte di aiutarlo a tener lontani dal luogo dell’esecuzione i boia concorrenti per far sì che egli possa eseguire il suo compito fino in fondo!

E la famiglia? Questa istituzione, benedetta dalle chiese di tutto il mondo, è lacerata e distrutta dalle questioni economiche: non solo essa è, in sostanza, il prodotto di un contratto commerciale in cui primeggiano questioni di proprietà privata, a garanzia del suo benessere presente e futuro, perciò può essere sviluppata in modo completo solo per i possidenti, cioè per i borghesi; essa è anche l’istituzione che presiede la produzione dei figli che diventano proprietà privata dei genitori, mentre la moglie, per il borghese, è il semplice strumento di produzione dei propri eredi. Inneggiare alla famiglia borghese, in realtà, significa inneggiare alla proprietà privata prolungata sugli essere umani (mogli e figli), e rivestirla di valore morale, come fosse un principio di vita calato da un’entità divina, serve alla classe borghese solo per mascherare il suo cinico attaccamento alla proprietà privata. Nella famiglia, al di là dell’idealizzzzione che la borghesia ne ha fatto, si scontrano gli stessi fattori di contrasto e le stesse contraddizioni che caratterizzano l’intera società capitalistica, trasformandola, spesso, da luogo degli affetti, della protezione e della solidarietà in luogo di violenza e di degenerazione.

E per i proletari, è la stessa cosa?. No, lo sviluppo del capitalismo lacera in modo crescente anche i vincoli familiari del proletariato, prolungando nella famiglia proletaria le conseguenze dei rapporti di produzione e sociali borghesi e trasformando i rapporti familiari in rapporti commerciali: mariti, mogli, figli delle famiglie proletarie sono tutti quanti forza lavoro per i capitalisti, costituiscono la razza degli schiavi salariati in balìa costantemente del “mercato del lavoro” e della possibilità o meno di tirare un salario a fine giornata in posti e luoghi di lavoro i più disparati.

Patria, nazione, famiglia, per i borghesi sono valori ideologici usati per influenzare le masse proletarie e poterle mobilitare, in pace e in guerra, a difesa dei loro interessi capitalistici; per i proletari sono, invece, una pura mistificazione, valori puramente demagogici che hanno il compito di nascondere l’antagonismo di classe esistente nella realtà materiale della società borghese e di deviare la forza di classe proletaria dai propri obiettivi di classe anticapitalistici immediati e futuri, per abbracciare la causa del nemico di classe, la causa della conservazione sociale borghese grazie alla quale perduri l’asservimento del proletariato alla classe dominante borghese.

Il proletariato non solo, fin dalle origini della società borghese, è in lotta contro la borghesia per difendersi dalle conseguenze opprimenti del modo di produzione capitalistico ed è spinto dalle sue stesse condizioni di esistenza a lottare ogni giorno per poter sopravvivere in un mondo in cui è gli è riconosciuto un ruolo solo se si fa sfruttare per aumentare i profitti capitalstici, ma risulta nuovamente al centro dell’interesse borghese nelle occasioni in cui la sua mobilitazione può servire a rafforzare la posizione della propria borghesia rispetto alle borghesie concorrenti, e per questo obiettivo vengono in aiuto alla classe dominante tutte le forze che vivono sullo sfruttamento del proletariato come gli strati di piccola e media borghesia e i ceti che si dedicano a diffondere la cultura borghese, a partire dagli intellettuali, forze queste che costituiscono il nucleo centrale dell’opportunismo politico e sindacale. E così, i proletari vengono indotti a sostenere sacrifici sempre maggiori per il successo economico delle aziende in cui sono sfruttati e per l’insieme delle aziende capitalistiche che formano la “economia nazionale”; a sacrificare la propria vita nelle lavorazioni più pericolose, spessissimo in assenza di protezioni adeguate, o a stremare le proprie forze in ritmi di lavoro estenuanti, e a consumare le proprie forze muscolari e nervose in attività quotidiane ripetitive e abbrutenti per ricevere in cambio un salario da fame. Strumenti di produzione di profitto capitalistico, i proletari non sono nemmeno garantiti di poter stentare la propria vita e la vita delle proprie famiglie perché possono essere espulsi dai posti di lavoro da un momento all’altro e la causa di questo dramma, per i borghesi, è un’entità superiore, indomabile e imperscrutabile: Sua Maestà il Mercato!

La classe borghese domina con la forza economica, politica e militare la società intera, obbligando la stragrande maggioranza della popolazione esistente a farsi sfruttare fino a morire, ma non domina il “mercato” che, in realtà, è il vero dominatore della società. La classe borghese dimostra, così, di non essere in grado di intervenire nella sua società, nei rapporti di produzione e sociali determinati dal suo modo di produzione capitalistico, di non essere in grado di volgere il formidabile progresso industriale al fine di sviluppare il benessere sociale per tutti gli essere umani. Il progresso industriale serve soltanto per il benessere della classe borghese dominante, mentre il proletariato, la cui forza lavoro è il motore di questo progresso, regredisce sempre più nelle proprie condizioni di esistenza. Finché esiste il capitalismo, esiste la divisione in classi della società, esiste l’oppressione da parte borghese delle grandi masse proletarie al solo scopo di soddisfare i bisogni del “mercato” perché è l’unica entità che grantisca alla classe borghese di continuare a trarre i suoi privilegi.

Le condizioni materiali di vita della borghesia dipendono espressamente dal buon andamento dell’economia aziendale e nazionale e dai rapporti di forza che la borghesia nazionale intrattiene sul mercato mondiale con le altre borghesie nazionali; ma dipendono anche dal controllo che la borghesia esercita sulle proprie masse proletarie affinché esse continuino a farsi sfruttare secondo le esigenze del “mercato”, meglio se convinte di farlo per un interesse “comune”. Borghesia e forze opportuniste condividono sicuramente questo interesse, perché entrambe devono il proprio benessere e privilegio sociale allo sfruttamento della forza lavoro salariata. I proletari, al contrario, non hanno alcun interesse in comune con la borghesia perché non hanno nulla da guadagnare dal perdurare del loro sfruttamento, nulla da guadagnare né in tempo di pace né tantomeno in tempo di guerra: da massa sfruttata per il solo possesso di una forza lavoro da impiegare nelle galere capitalistiche, a carne da macello nelle guerre di rapina capitalistiche, questo è il futuro che il capitalismo offre ai proletari di tutto il mondo.

Le condizioni materiali di vita del proletariato, nella società capitalistica e, quindi, borghese, dipendono da un’economia indirizzata esclusivamente al mercato, da un’economia che ha per obiettivo la ricerca del maggior profitto capitalistico o, perlomeno, da un saggio di profitto medio accettabile da un sistema che basa il proprio funzionamento sulla preminenza del lavoro morto (mezzi di produzione e materie prime da trasformare) sul lavoro vivo (forza lavoro proletaria), quindi sullo sfruttamento del proletariato nella forma del tempo di lavoro non pagato (il salario non corrisponde mai al totale delle ore giornaliere lavorate, ma ad una quantità di mezzi di sussistenza utili per rimettere in forze il lavoratore perché torni al lavoro il giorno dopo), cosa che è consentita dal mercantilismo e dal fatto che ogni prodotto non è semplicemenete un valore d’uso, ma è soprattutto un valore di scambio. L’economia capitalistica ha le sue leggi e funziona solo ed esclusivamente in questo modo: non è riformabile, tantomeno trasformabile in un’economia non mercantile, non capitalistica. E’ un’economia che, però, ha messo le basi economiche per essere superata: lavoro associato e produzione sociale, sono la base dell’economia capitalistica ma sono anche la base dell’economia comunista, ossia di un’economia che per obiettivo non ha il mercato e non si basa sullo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, ma la soddisfazione dei bisogni di vita sociale della specie umana.

L’ostacolo allo sviluppo sociale, l’ostacolo allo sviluppo delle forze produttive e alla loro organizzazione a beneficio della specie, è la società borghese, ossia la forma politica e sociale che la classe borghese ha eretto a difesa dell’economia da cui trae tutti i privilegi. La storia delle società umane dimostra che gli ostacoli allo sviluppo delle forze produttive, prima o poi, vengono rimossi e distrutti dalle stesse forze produttive alla conclusione di un processo storico di lotte tra forze e forme produttive, tra la classe che rappresenta lo sviluppo delle forze produttive e le classi che rappresentano le forme in cui quelle forze sono costrette. La classe borghese è storicamente segnata: non ha futuro, e non può offrire un futuro alle altre classi sociali. La sua lotta per mantenersi al potere della società non è indirizzata al progredire della società ma a bloccarne il processo di sviluppo, e perciò – come è successo alle classi feudali e nobiliari un tempo, e alle classi patrizie e schiaviste un tempo ancora addietro – la sua esistenza storica è conclusa, è diventata una classe superflua che va semplicemente cancellata. Ma la borghesia non è stata soltanto una classe portatrice di una grande rivoluzione che ha universalizzato un modo di produzione e i rapporti di produzione e sociali che ne derivano: creando il proletariato, ossia la classe dei lavoratori salariati, la classe dei senza riserve, essa ha prodotto nello stesso tempo la classe dei suoi seppellitori. Il proletariato è l’unica classe rivoluzionaria nella società moderna perché non ha nulla da salvare in questa società, ma ha tutto da rivoluzionare.

Il proletariato dipende dalle condizioni materiali di esistenza in questa società, perciò vive nella sua quotidianità l’oppressione borghese e lo sfruttamento capitalistico da cui si difende secondo le esperienze che accumula nella sua vita. Nel tempo ha raggiunto, in determinati svolti storici, alcune vette – la Comune di Parigi, la Rivoluzione d’Ottobre – che dimostrano quanto il comunismo marxista aveva già descritto sviluppando la teoria della lotta di classe fino alla conquista del potere politico per trasformare da cima a fondo l’attuale società. Ma le sconfitte che il proletariato ha subito finora in questa lotta storica, contro la borghesia e contro le classi preborghesi, lo hanno fatto retrocedere dalle sue stesse esperienze vissute.

Oggi i proletari sono ancora succubi non solo dell’ideologia borghese dominante, ma anche degli effetti negativi delle sconfitte che hanno accumulato nei decenni, perdendo fiducia nelle proprie forze, scoraggiati e demoralizzati da una situazione in cui la loro stessa lotta elementare a difesa delle condizioni immediate di esistenza non riesce a fermare il loro continuo peggioramento. Le forze che i proletari hanno dovuto affrontare, e che devono sempre affrontare, non sono solo quelle dichiaratamente borghesi, distinte dai proletari e nemiche aperte. Vi sono forze molto più insidiose: le forze dell’opportunismo, della concliazione degli interessi, della concertazione, della collaborazione interclassista, forze sia esterne che interne al corpo sociale proletario. Uno degli ostacoli più duri da superare è senza dubbio quello rappresentato dalle forze opportuniste interne al corpo sociale proletario, perché sono portatrici dirette del virus dell’interclassismo, ossia della concezione secondo la quale i proletari hanno da spartire insieme coi loro padroni l’interesse a che l’azienda in cui lavorano funzioni, abbia successo nel mercato e perciò abbia sempre bisogno di lavoratori da sfruttare. E’, questa, una concezione del tutto borghese che fa perno sul posto di lavoro da cui fa dipende il salario: se hai un posto di lavoro hai un salario e puoi vivere, se non hai un posto di lavoro non hai salario e non puoi vivere, perciò devi darti da fare per trovare un posto di lavoro e se è difficile trovarlo ti devi adeguare ad un salario più basso; non sei il solo in questa situazione, ci sono molti altri proletari che stanno cercando un posto di lavoro a sono disposti ad accettarlo a condizioni svantagggiose, pur di averlo, pur di avere uno straccio di salario. La concorrenza tra proletari è parte integrante del sistema del lavoro salariato, come lo è la disoccupazione.

L’opportunismo collaborazionista non metterà mai al centro delle rivendicazioni operaie il salario, e quando parla di salario lo fa sempre facendolo dipendere dalla produttività, dalla compatibilità con i profitti aziendali, dall’operosità e dall’assiduità del lavoratore, dal merito e dalla diligenza con cui il lavoratore segue le direttive aziendali. Ma il proletario, costretto da questa società a vivere solo se sfruttato da un padrone e del salario che prende in cambio della forza lavoro che ha fornito, non dispone del posto di lavoro perché questo è solo il capitalista, privato o pubblico non importa, che lo può mettere a disposizione; i proletari sono quindi in completa balìa dei capitalisti, e possono affrontarli e porre rivendicazioni a difeasa delle proprie condizioni di esistenza solo togliendosi dalla situazione di singoli fornitori di forza lavoro il cui prezzo va trattato di volta in volta con il padrone di turno, e associandosi con tutti gli altri proletari che vivono nelle stesse condizioni.

Ma è proprio perché il capitalismo non darà mai la piena occupazione alle masse proletarie sempre più crescenti con lo stesso sviluppo capitalistico, che i proletari, per difendersi in modo efficace, non solo devono associarsi e lottare insieme, ma devono lottare per obiettivi davvero unificanti, obiettivi che non devono separare i lavoratori per età o sesso, né per categoria o settore, né per nazionalità o razza, né tantomeno tra occupati o precari o disoccupati, obiettivi che devono mettere al primo posto la vita e, dopo, l’attività lavorativa. E gli obiettivi di classe non possono essere peseguiti se non con metodi e mezzi di lotta classisti, ossia con metodi e mezzi che contemporaneamente unifichino le forze proletarie quanto più possibile ed esercitino nei confronti dei padroni e del loro Stato la necessaria pressione perché le rivendicazioni operaie abbiano successo.

Ai proletari non può bastare la rivendicazione di un salario aumentato, poiché questa rivendicazione riguarda soltanto i proletari occupati, ma devono sostenere anche la rivendicazione del salario da lavoro o di disoccupazione: quando questa rivendicazione diventerà il perno delle rivendicazioni operaie, allora i proletari si sentiranno davvero uniti e forti perché saranno riusciti a superare una delle maggiori cause della loro debolezza: la concorrenza fra proletari, la lotta di sopravvivenza condotta contro i propri fratelli di classe! Insieme a questa, i proletari devono riappropriarsi dell’altra rivendicazione della tradizione classista: diminuzione drastica della giornata di lavoro. Arginare e diminuire la pressione capitalistica sulla fatica quotidiana dei proletari, quindi diminuire le ore giornaliere di intensità dello sfruttamento della forza fisica e nervosa dei lavoratori, significa riconquistare tempo e forze per se stessi, per vivere e non farsi consumare anni di vita immolandosi ad un dio, il profitto capitalistico, che appartiene esclusivamente alla classe borghese.

A queste, si aggiungono tutta una serie di rivendicazioni più parziali interessanti le particolari caratteristiche di lavoro in cui sono divisi i lavoratori nelle varie branche industriali, agricole e dei servizi, ma sempre rispondenti alla difesa esclusiva delle condizioni di vita, di lavoro e di lotta del proletariato. 

E’ ovvio che le forze dell’opportunismo collaborazionista non mettano al centro delle lotte operaie queste rivendicazioni, e tanto meno i metodi e i mezzi di lotta classisti, ossia quei metodi e quei mezzi di lotta che rafforzano l’unificazione proletaria sulla base dell’antagonismo di classe e che incidono, all’immediato e nel tempo, sugli interessi borghesi. E anche quando le forze collaborazioniste includono nelle loro piattaforme rivendicative, sotto la pressione della base operaia,  delle richieste di difesa delle condizioni di vita e di lavoro operaie, queste vengono immerse in un sistema di priorità che nulla hanno a che fare con gli interessi immediati dei proletari ma molto a che fare con gli interessi immediati dei padroni: efficienza lavorativa, produttività, compatibilità con il profitto capitalistico, benessere dell’azienda o del settore economico. Così, il ricatto tradizionale dei padroni sul mantenimento o meno dei posti di lavoro, alle condizioni dettate da loro, viene fatto proprio dai bonzi sindacali che lo mimetizzano da interesse principale per i lavoratori perché ad ogni “posto di lavoro” corrisponde “un salario”, per quanto misero esso sia, trasformando una rivendicazione e una lotta legittime contro i licenziamenti in un cappio al collo per ogni lavoratore, aumentando in questo modo la concorrenza fra i proletari e il loro asservimento ai capitalisti. I sindacati tricolore, nelle loro politiche sociali e nella loro azione pratica, nel loro processo di integrazione nelle istituzioni statali borghesi, sono diventati delle associazioni di professionisti delle disfatte operaie: seminano sfiducia e demoralizzazione, alimentano la concorrenza fra proletari, organizzano la difesa degli interessi padronali facendola passare per difesa delle condizioni operaie, gestiscono con i padroni, o per loro conto, l’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende, gestiscono meriti e demeriti da riconoscere o meno ai singoli lavoratori, i loro spostamenti di mansione e i loro avanzamenti di carriera, insomma svolgono al servizio dei padroni il compito degli aguzzini e se ottengono qualche risultato per i lavoratori lo ottengono solo per una minoranza, perlopiù per le categorie di aristocrazia operaia che sono nei fatti le meglio pagate e più influenzabili dall’ideologia borghese. La classe borghese dominante potrebbe fare senza le forze dell’opportunismo collaborazionismo e gestire le masse proletarie direttamente, senza l’intermediazione di questi professionisti del sabotaggio degli interessi e delle lotte degli operai? NO, la storia dei rapporti di forza fra borghesia e proletariato dimostra che, soprattutto nei paesi industrialmente avanzati, la classe dominante borghese per costringere il proletariato a rendersi complice delle sue azioni, in pace come in guerra, ha bisogno dell’opera costante e capillare dell’opportunismo operaio ed è per questa ragione che finanzia le burocrazie sindacali privilegiandone la posizione sociale!

I proletari, lavoratori costretti a vivere solo se vengono sfruttati dal capitale contro un salario o a morire di fame o di guerra, hanno una sola prospettiva futura: rivoluzionare da cima a fondo la società borghese, abbattere il regime politico ed economico che si nutre di sudore e sangue proletario al solo scopo di riempire gli stomaci dei capitalisti e il mercato di merci da vendere, trasformare la società della proprietà privata e dell’appropriazione privata dell’intera produzione sociale in una società di specie in cui ogni oppressione ed ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo sia completamente scomparsi.

I proletari devono risalire dall’abisso in cui sono precipitati a causa soprattutto dell’opera demoralizzatrice e sabotatrice delle loro lotte messa in atto dalle forze dell’opportunismo collaborazionista: il loro nemico principale, la borghesia dominante, ha un decisivo alleato nelle forze opportuniste, a livello sindacale come a livello politico. I proletari non potranno mai riprendere la strada della lotta di classe se non scontrandosi con entrambi. La ripresa di classe, date le condizioni attuali di estrema debolezza del proletariato, spesso incapace di intraprendere la lotta di difesa anche solo a livello elementare, può apparire come un’utopia; la forza totalitaria della borghesia, e l’opera di influenzamento dell’opportunismo, inducono i proletari a credere che l’unico modo per riuscire a difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro sia quello di non lottare, ma quello di utilizzare pacificamente gli strumenti della democrazia e della negoziazione ideati dagli stessi borghesi che li sfruttano, li schiacciano nel pauperismo, li mettono gli uni contro gli altri, li trattano come schiavi che vengono gettati sul lastrico quando non servono più a produrre profitto.

La ripresa di classe proletaria ci sarà quando le massi proletarie, raggiunto il punto di rottura nelle condizioni di esistenza diventate intollerabili, romperanno i vincoli che li legano alle sorti dell’economia aziendale e dell’economia nazionale, romperanno con i metodi e i mezzi di lotta che le dividono e le deprimono invece di rafforzarle, si riorganizzeranno sul terreno del riconosciuto antagonismo di classe tra proletari e borghesi e intorno a obiettivi classisti immediati e futuri nella prospettiva della lotta di emancipazione dal capitalismo, da questo sistema che produce benessere e ricchezza per la minoranza borghese e miseria, fame, morte per le grandi masse proletarie.

Il proletariato, che oggi sembra impotente e votato alla schiavitù permanente, rialzerà la testa non perché avrà compreso che il comunismo è migliore del capitalismo, ma perché non sopporterà più di morire di fatica nelle galere capitalistiche e di sacrificare la propria vita, in pace e in guerra, ad esclusivo beneficio della classe borghese. Nella storia passata il proletariato, in determinate situazioni storiche, ha già dimostrato di muovere le proprie forze nella direzione rivoluzionaria fino alla conquista del potere politico; l’inesperienza, l’arretratezza economica e il condizionamento ideologico della democrazia borghese hanno giocato contro, facilitando le sue sconfitte. Ma le contraddizioni stesse che il capitalismo sviluppa e acuisce, mentre sviluppa se stesso, riporteranno materialmente le masse proletarie sullo stesso terreno di scontro che videro i proletari parigini durante la Comune e i proletari russi durante la Rivoluzione d’ottobre e, con loro, i proletari d’Europa, d’America e d’Asia negli anni Venti del secolo scorso, a dare l’assalto al cielo!

Certo, senza organizzazioni di difesa immediata classiste, senza esperienza nella lotta di classe grazie alla quale riconoscere gli amici dai nemici, senza la guida di un partito politico di classe che abbia avuto la possibilità di influenzare in modo determinante i suoi  reparti più avanzati e combattivi, il proletariato non riuscirà ad elevarsi ai compiti che la storia gli ha assegnato in quanto unica classe rivoluzionaria della società moderna.

La strada da fare per giungere all’altezza dei suoi compiti storici è ardua, tortuosa, difficile e lunga, ma la storia non pone date di scadenza: la classe borghese e la sua società basata sullo sfruttamento del lavoro salariato sono destinate a finire, perché lo sviluppo delle forze produttive che vede il proletariato come protagonista inconsapevole del processo rivoluzionario che distruggerà i limiti capitalistici al suo libero svolgersi è più forte di qualsiasi ostacolo formale che la classe borghese dominante possa creare allo scopo di mantenersi al potere. Processo rivoluzionario che in teoria è già stato definito dal marxismo, dotando in questo modo la classe del proletariato del suo programma rivoluzionario e dei suoi fini storici.

Oggi il proletariato, mettendo al centro dei suoi obiettivi la lotta contro la concorrenza tra proletari, allo scopo di difendersi con più efficacia sul terreno delle condizioni di esistenza, riprenderà il suo cammino di classe sapendo che dovrà lottare duramente anche nelle proprie file contro ogni cedimento alla conciliazione degli interessi con la borghesia, contro ogni particolarismo e corporativismo attraverso i quali si insinuano la divisione e la contrapposizione tra specializzazioni e carriere, tra sessi ed età, tra nazionalità e religioni, utili soltanto a schiacciare i proletari ancor più sotto il tallone capitalistico.

La lotta per migliori condizioni di esistenza deve attuarsi con metodi e mezzi di classe, e lo sciopero, per ridiventare un’arma efficace nelle mani del proletariato, deve tornare ad essere usato per danneggiare gli interessi dei capitalisti, a partire dallo sciopero ad oltranza, senza limiti di tempo prefissati e in atto durante le trattative.

Le forze dell’opportunismo collaborazionista conducono i proletari in lotta sistematicamente alla resa, e quasi sempre senza condizioni. I proletari devono riprendere in mano le sorti della propria lotta, riorganizzandosi in associazioni economiche classiste per la difesa esclusiva dei propri interessi immediati: solo ripartendo da queste basi il proletariato potrà lottare anche sul terreno politico più generale, indirizzandosi verso la lotta rivoluzionaria per seppellire finalmente un sistema economico e una società capaci solo di nutrirsi di sudore e sangue proletari.

Ed è su questa strada che il proletariato incontrerà il suo partito politico di classe, il partito comunista rivoluzionario, l’unica forza che rappresenta nell’oggi l’emancipazione futura non solo della classe proletaria, ma dell’intera società umana.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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