Ferguson, USA

Un episodio della guerra fra le classi

(«il comunista»; N° 136; Ottobre 2014)

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Il 9 agosto a Ferguson, una cittadina nei dintorni di Saint Louis, un poliziotto uccise con sei proiettili Michael Brown, un giovane nero disarmato con le mani in alto che aveva avuto il torto di non ubbidire al suo ordine di camminare sul marciapiede. Il cadavere di Michael Brown fu lasciato parecchie ore sulla strada, come quello di un cane, senza che neppure i genitori potessero avvicinarsi.

L’indignazione della popolazione di fronte a questo crimine fu generale e per una decina di giorni si susseguirono violente manifestazioni. Le autorità locali risposero con dispiegamenti di poliziotti armati fino ai denti, l’imposizione del coprifuoco e addirittura inviando la Guardia Nazionale – un corpo militare composto da riservisti – come in occasione dei moti degli anni Sessanta; in effetti né i preti locali o nazionali (Jesse Jackson…), né i volontari “peacekeepers”  (membri del clero, responsabili di comunità ecc., che collaborano con la polizia), né il nuovo capo afroamericano della polizia di Ferguson (che si era unito a una manifestazione pacifista di commemorazione organizzata dalla chiesa) erano riusciti a calmare la popolazione. La polizia di Ferguson e i peacekeepers (che approvarono il coprifuoco) accusarono degli “elementi criminali” estranei di essere i responsabili dei moti: reazione classica in casi del genere, smentita dal fatto che il centinaio di manifestanti arrestati erano in assoluta maggioranza abitanti della città e dei dintorni.

Migliaia di persone assistettero ai funerali di Michael Brown, alla fine dei quali un parente della vittima invitò gli abitanti a iscriversi per le prossime elezioni di novembre (1), appello ripreso dai peacekeepers e dai democratici locali; va ricordato che nella popolazione nera e povera la percentuale dei partecipanti alle elezioni è molto bassa, mentre le prossime elezioni saranno decisive per l’amministrazione Obama. 

Nel corso delle settimane successive, democratici, preti delle diverse religioni e sedicenti “leader di comunità” si adoperarono per calmare l’instancabile collera attraverso manifestazioni pacifiste e azioni di “disubbidienza civile” (come il ridicolo “Moral Monday” – Lunedì morale – a metà ottobre). Ma la collera dei giovani e della popolazione scoppiò di nuovo e vi furono altri scontri con la polizia il 22 ottobre, quando vennero diffuse “indiscrezioni” sul rapporto ufficiale dell’autopsia nel tentativo di accreditare la versione ufficiale dell’omicidio secondo la quale il poliziotto avrebbe ucciso Michael Brown per “legittima difesa”!

 

L’ELEZIONE DI OBAMA NON HA FATTO SPARIRE IL RAZZISMO

 

L’elezione di un presidente Democratico nero non ha cambiato la situazione sociale negli Stati Uniti, né ha fatto sparire il razzismo che ne è la conseguenza. Ferguson non è quello che si definisce un ghetto, ma quasi un quinto della popolazione, in gran parte proletari, vive al di sotto della soglia di povertà e gli abitanti sono in maggioranza neri. I borghesi, al contrario, sono in maggioranza bianchi, come i politici locali e i poliziotti incaricati di difendere l’ordine: per loro, i neri fanno tutti parte delle “classi pericolose”, come nel XIX secolo venivano chiamati i proletari. Essi sono quindi vittime predestinate della brutalità e delle intimidazioni poliziesche che rappresentano un elemento importante della dominazione borghese nell’”America libera”.

In realtà, il dramma di Ferguson non è un caso isolato causato da poliziotti particolarmente brutali e razzisti (anche se, dopo questi avvenimenti, diversi poliziotti sono stati sospesi per atti o affermazioni razzisti); secondo le statistiche, negli Stati Uniti ogni 28 ore un nero viene ucciso dalla polizia (2). Le vittime della polizia non sono tutte nere (il 42,1% sono bianchi, il 31,8% neri, il 19,7% ispanici ecc.) (3), anche se questi ultimi rappresentano proporzionalmente la parte più numerosa della popolazione; ma sono soprattutto proletari. Il più delle volte i poliziotti non vengono condannati per i loro crimini e , quando lo sono, le pene sono generalmente leggere: questo dimostra che negli Stati Uniti la brutalità poliziesca è un elemento normale del mantenimento dell’ordine borghese e della “Giustizia” che lo fa rispettare. Gli Stati Uniti sono il paese in cui il tasso di detenzione è il più elevato al mondo (730 detenuti ogni centomila abitanti) (4) e un uomo nero su dieci nella fascia di età dai trent’anni in su è stato almeno una volta nella sua vita in prigione. Il tasso di carcerazione è aumentato fortemente dagli anni Settanta (a partire da quel periodo si è quasi decuplicato, passando da 240.000 del 1972 a quasi 2,3 milioni nel 2014) e sembra che continui ad aumentare (5), e contemporaneamente continua a inasprirsi il regime all’interno delle carceri. Il budget destinato alla costruzione di carceri ha superato da anni quello destinato agli alloggi popolari, tanto che si è potuto scrivere che la costruzione delle prigioni è diventato il principale programma di alloggi popolari del paese (6)!

La stampa ha fatto luce sull’accanimento poliziesco a Ferguson, che si manifesta fra l’altro con una valanga di multe con cui sono tartassati i più poveri (nel 2013 sono state elevate 24.500 contravvenzioni per 21.000 abitanti) il cui mancato pagamento può portare direttamente in galera. Questa è una pratica usata abitualmente dai comuni della regione per rastrellare soldi (7) e che corrisponde perfettamente ai principi su cui si fonda il capitalismo: estorcere più denaro possibile ai proletari!

 

LA MILITARIZZAZIONE DELLA POLIZIA RIFLETTE L’AGGRAVARSI DELLE TENSIONI SOCIALI

 

In occasione degli avvenimenti di Ferguson, le anime pie democratiche si sono di nuovo turbate a causa della militarizzazione delle forze di polizia e dell’”uso eccessivo della forza” da parte loro. Dopo i moti di Watts, nel 1968, a Los Angeles era stata creata un’unità speciale di polizia detta SWAT (Special Weapons and Tactics); dall’anno successivo venne impiegata in un sanguinoso combattimento contro un gruppo di Black Panthers. A partire dagli anni Ottanta queste unità speciali di polizia da guerra civile si sono lentamente diffuse, ma più velocemente dopo gli attentati del 2001. Ne esistono oggi nell’80% delle città con più di 25.000 abitanti e sono utilizzate più di 50.000 volte all’anno (contro le 3000 volte del 1980), nell’80% dei casi per banali operazioni di polizia. Nel solo 2011 più di 500 centrali di polizia sono state dotate di un veicolo blindato come quello messo in campo a Ferguson. Il rapporto dell’ACLU (American Civil Liberties Union) sulla “militarizzazione eccessiva (sic!) della polizia” si lamenta che “la militarizzazione della polizia americana è evidente tanto nell’addestramento ricevuto dagli ufficiali di polizia che li incoraggia ad adottare una mentalità da ‘guerrieri’ e a considerare come nemici la popolazione che dovrebbero servire, quanto nell’equipaggiamento usato, come arieti, granate assordanti e veicoli blindati. Questo cambiamento culturale è stato sostenuto dalla Corte suprema degli Stati Uniti (…)” (8).

Noi non pensiamo affatto che vi sia stato un “cambiamento culturale” nella politica americana; contrariamente a quello che credono o vogliono fare credere i democratici, il ruolo fondamentale della polizia, negli Stati Uniti come ovunque, non è quello di servire o proteggere la popolazione, ma di servire e proteggere un ordine politico, economico e sociale ben preciso: il capitalismo. E d’altronde la militarizzazione della polizia non è un fenomeno specifico degli Stati Uniti!

Certamente in alcuni momenti, in alcune epoche e in alcuni paesi la polizia mostra un volto più “umano”, si dichiara “vicina alla popolazione” (come, per esempio, il tradizionale “bobby” londinese che gira disarmato), ma lo fa per svolgere sempre lo stesso ruolo e servire gli stessi interessi borghesi. Il dominio della classe borghese e del modo di produzione capitalistico poggia sulla violenza, anche quando tale violenza è allo “stato potenziale”, cioè quando non si mostra apertamente (se non in alcuni fatti di cronaca) ma si esprime nella legge e in tutto l’apparato giuridico e poliziesco necessario per farla rispettare.

La “cultura” poliziesca varia in funzione della gravità delle tensioni sociali: abbiamo visto che le prime unità SWAT sono state create dopo i moti degli anni  Sessanta nei quartieri neri. Le riforme avviate allora, in un periodo di prosperità economica, per eliminare le forme più intollerabili e più arcaiche della segregazione razziale e per creare una classe media nera, hanno indubbiamente fatto calare la tensione; ma non hanno potuto far sparire il razzismo, che è storicamente legato allo sviluppo del capitalismo americano, e ancor meno hanno potuto far sparire le ineguaglianze sociali generate dal capitalismo. Queste non hanno fatto che acutizzarsi dagli anni di Reagan, e il fenomeno si è accelerato dopo l’ultima crisi. I borghesi, che ne sono ben consci, hanno usato il pretesto della “guerra contro il terrorismo” per mettere in campo misure di guerra contro i proletari.

Secondo l’OCSE, gli Stati Uniti sono, subito dopo il Cile, il paese in cui le ineguaglianze sono più forti! (9) Secondo l’economista Thomas Piketty “l’ineguaglianza dei redditi negli Stati Uniti è probabilmente maggiore che in ogni altra società, in un qualunque momento storico e in qualunque altro luogo del mondo” (10). Il tasso di povertà è il più elevato fra i paesi capitalistici più sviluppati (17,1% contro l’11,4% dell’Italia, l’11% della Germania, l’8,3% della Gran Bretagna, il 7,1% della Francia ecc.); e benché, in valore assoluto, i poveri di razza bianca siano più numerosi, i neri lo sono in proporzione (11). I salari reali del 20% dei lavoratori peggio pagati sono oggi inferiori a quelli del 1973 (12), e la differenza di reddito medio fra bianchi e neri (proporzionalmente più numerosi fra i lavoratori mal pagati) che si era leggermente ridotta nel corso degli anni, si è riavvicinata a quella di 50 anni fa (13). Il tasso di disoccupazione dei neri è nettamente superiore a quello dei bianchi: 12,2% contro 5,6% nel luglio di quest’anno. A Ferguson, dove il numero dei poveri in città è raddoppiato da una decina d’anni e dove i lavoratori ancora impiegati hanno visto i loro redditi scendere di un terzo dallo scoppio della crisi del 2007, è del 26% (14).

I democratici di ogni sorta si lamentano che l’uso “eccessivo” della forza da parte della polizia scavi un fossato fra questa e la popolazione; e propongono diverse misure perché la polizia sia effettivamente al servizio e sotto il controllo dei cittadini, invitando i manifestanti a ubbidire a questa polizia assassina e sforzandosi di deviare la collera delle masse e dei giovani verso il vicolo cieco elettorale, e così non fanno altro che servire il capitalismo di cui la polizia è strumento. Ma a Ferguson non sono riusciti a impedire le manifestazioni e gli scontro con la polizia. Parlando di questa gente, un giovane manifestante ha dichiarato a un giornalista: “Sono arrivati qui con i loro ‘Oh, siamo pacifici! Preghiamo, marciamo, votiamo’. Ma noi abbiamo dannatamente bisogno di ribellarci, fino a quando non otterremo ciò che vogliamo. Di esercitare pressione su di loro fino a quando non otterremo ciò che vogliamo. Abbiamo bisogno di essere pronti a morire per questo. (…) Combattere fino alla morte perché in ogni caso loro stanno per ucciderci (…). Potete votare per chi volete, ma non ci sarà lavoro (…). Non importa per chi votate, il sistema non cambierà. È il sistema stesso che va cambiato” (15).

I tragici avvenimenti di Ferguson sono un episodio della guerra di classe permanente che la classe dominante conduce contro i proletari e le masse sfruttate, negli Stati Uniti come in qualunque altro luogo. I giovani della città hanno dato l’esempio che è possibile rispondere con la rivolta; di colpo hanno trasformato quello che avrebbe potuto restare un tragico fatto di cronaca in una periferia arretrata in un avvenimento politico nazionale. Questa è la dimostrazione che i borghesi temono che l’inesorabile aggravarsi delle tensioni sociali trasformi a poco a poco gli Stati Uniti in un barile di polvere. I giovani manifestanti di Ferguson hanno capito che la via della rassegnazione, delle proteste pacifiche e delle elezioni non porta a nulla. Sono i fatti a dimostrarlo e a dimostrare la necessità della rivolta.

Saranno i fatti a dimostrare anche la necessità dell’organizzazione di classe e del partito rivoluzionario per organizzare e dirigere la lotta per cambiare il sistema. Quando i proletari ne saranno convinti, allora non sarà più l’ora dei moti, delle rivolte isolate, a suonare, ma sarà quella della rivoluzione. Non ci siamo ancora, ma è questa la prospettiva che Ferguson indica.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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