Attentati a Parigi

Il capitalismo è il responsabile

Guerra di classe contro il capitalismo!

(«il comunista»; N° 140-141;  Novembre 2015)

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«Noi siamo in guerra!», è stato il leitmotiv delle personalità del governo francese come dei politici dei diversi partiti dopo i sanguinosi attentati a Parigi e nella sua banlieue.

In realtà non è da ieri che l’imperialismo francese è in guerra, anche se la popolazione francese non ne ha risentito direttamente i contraccolpi in casa propria.

Poco più di un anno fa il presidente francese Hollande annunciava ai quattro venti la decisione di partecipare ai bombardamenti americani in Iraq, decisione che fu seguita dall’invio sul terreno di molte decine di commandos delle “Forze Speciali”; da qualche settimana il governo ha deciso di parteciparee ai bombardamenti in Siria; qualche giorno fa esso annunciava l’invio nel Golfo Persico di un gruppo aeronavale (portaerei, sottomarini nucleari e navi da guerra di protezione) per intensificare la sua partecipazione alla guerra in Iraq e in Siria. Sotto un governo detto “di sinistra”, l’imperialismo francese dimostra un’aggressività militare che non aveva conosciuto da tempo... dai governi del socialista Mitterrand.

Si tratta tuttavia di una vecchia e sinistra tradizione imperialista tricolore; sotto Sarkozy, i circoli imperialisti erano stati all’origine della guerra in Libia che ha fatto precipitare questo paese in un caos dal quale non è più uscito. Non si contano i numerosi interventi militari in Africa dopo la fine ufficiale delle colonie; ricordiamo solo le responsabilità francesi nel genocidio dei Tutsi in Ruanda che fece molte centinaia di migliaia di morti. Quanto alle guerre coloniali, esse stesse hanno causato centinaia e centinaia di migliaia di vittime.

L’imperialismo francese è senza dubbio uno dei più rapaci e sanguinosi rappresentanti dell’imperialismo, questo sistema di dominio del pianeta da parte di un pugno di grandi centri capitalisti e di Stati al loro servizio. Ma, come i suoi confratelli, esso è anche in guerra contro i propri proletari, e non esita ad usare la violenza più brutale per mantenere l’ordine borghese e i profitti capitalisti.

Senza riandare ai terribili massacri con i quali esso ha risposto alle rivolte operaie lungo tutto il diciannovesimo secolo, vogliamo ricordare l’eccidio nell’ottobre 1961 da parte della polizia di centinaia di lavoratori algerini che manifestavano pacificamente a Parigi. Oggi il governo sta per emettere un decreto per uno “stato d’emergenza”, una misura eccezionale creata ai tempi della guerra in Algeria e che era stata già utilizzata nel 2005 contro i moti delle banlieues...

Da quando ha deciso di partecipare ai bombardamenti in Iraq, il governo si è appellato all’“unione nazionale” per sostenere una guerra alla quale partecipava affermando che serviva a proteggere la popolazione francese come la popolazione irachena contro i crimini del terrorismo; gli appelli all’unione fra tutti i cittadini sono stati ripresi più volte e vengono rinnovati anche oggi.

In realtà, sono appelli ai proletari perché solidarizzino con “il proprio” imperialismo nazionale, cioè con i capitalisti che li sfruttano, che opprimono i proletari e le masse diseredate dei paesi dominati, che saccheggiano il pianeta e che provocano incessantemente guerre. L’unione nazionale non serve che alla borghesia, i proletari ne sono sempre le vittime, sia che vengano sfruttati sui luoghi di lavoro, sia che servano come carne da cannone.

Tutte le cosiddette misure di sicurezza che da anni sono costantemente rafforzate (mobilitazione dell’esercito, spionaggio massiccio delle comunicazioni, videosorveglianza ad ogni angolo di strada ecc.) non sono mai servite a proteggere la popolazione, come dimostrato una volta di più dagli ultimi attentati; esse non servono che a proteggere gli interessi dei borghesi e a difendere il sistema capitalistico attraverso l’intimidazione dei “provocatori di disordini” potenziali e in particolare dei proletari.

Lo Stato borghese è cento volte più efficace nell’arrestare dei lavoratori che se la prendono con i loro padroni piuttosto che nell’impedire degli attentati contro gli abitanti di Parigi: dimostrazione che le vittime civili non sono altro che dei “danni collaterali” delle imprese imperialistiche, sotto le bombe in Siria e in Iraq come nelle strade o nei luoghi di ritrovo della capitale.

Ma i cadaveri delle vittime sono cinicamente utilizzati per alimentare le campagne di unione nazionale e di sostegno allo Stato, alle sue forze di repressione e per suscitare l’adesione alle sue campagne militari. E così i rappresentanti politici dei partiti di destra e di sinistra moltiplicano le loro dichiarazioni marziali. Niente di sorprendente: da fedeli partigiani dell’imperialismo, essi avevano già approvato i recenti interventi militari francesi in Libia, in Africa e nel Medio Oriente e sono egualmenti unanimi nel sostenere le azioni del governo e nel fare appello all’unione interclassista.

I proletari non devono lasciarsi ingannare da questi loro “rappresentanti”, in realtà veri servitori della borghesia dominante; essi non devono accordare alcuna fiducia al governo e alle istituzioni dello Stato borghese perché questi sono al servizio esclusivo dei loro nemici di classe. I sanguinosi attacchi a Parigi e a Saint Denis sono la conseguenza degli atti criminali della borghesia dominante, e i djihadisti non fanno che rispondere con atti terroristici individuali al terrorismo a grande scala degli imperialisti.

Volersi proteggere dal terrorismo djihadista o combattere radunandosi dietro lo Stato borghese, per i proletari non significherebbe soltanto accettare di rendersi complice del terrorismo imperialista, ma accettare, nello stesso tempo, di rimanere l’eterna vittima consenziente del capitalismo.

Gli attentati di Parigi e di Ankara, quelli di Beirut o nel Ciad, come le guerre in Ucraina o nel Medio Oriente, sono la prefigurazione dell’avvenire di miseria, di massacri e di guerra generalizzata che il capitalismo in crisi riserva al proletariato e alle masse del mondo intero.

Per sfuggire a questa realtà non vi è un campo borghese da scegliere contro un altro; non vi è altra soluzione che la distruzione del capitalismo, distruzione che non può compiersi che attraverso la rivoluzione comunista internazionale.

Per il fatto di essere la classe sociale il cui sfruttamento fa vivere il capitalismo, il proletariato possiede in se stesso la capacità potenziale di porre fine al modo di produzione capitalistico e alla società di ingiustizie e di oppressione, di guerre e di massacri, costruita sulle sue basi: basterebbe che esso rifiutasse di continuare a lasciarsi sfruttare per far crollare questo gigantesco edificio.

Per ottenere ciò bisogna passare per la via della ripresa della lotta proletaria, della guerra di classe rivoluzionaria contro tutte le borghesie e tutti gli Stati borghesi, a cominciare dalla propria borghesia nazionale e dal proprio Stato nazionale. La ripresa della lotta di classe implica la rottura di tutti i legami pazientemente tessuti da decenni per tenere il proletariato rinchiuso nell’interclassismo, la rottura con le molteplici forze e istituzioni della collaborazione di classe, abbandonando le illusioni dell’unione nazionale, della democrazia e dello Stato democratico parlamentare, illusioni alimentate da tutto un insieme di ammortizzatori sociali; rottura indispensabile per trovare le forze e le armi di classe e per ricostituire l’organizzazione politica che guidi lo scontro di classe.

Questa non è una via facile, rapida e senza rischi; ma il proletariato, nel passato, si è già storicamente indirizzato verso l’attacco alle cittadelle capitaliste. Dovrà necessariamente impegnarsi nuovamente domani, sulla base di posizioni politiche, programmatiche e teoriche marxiste intransigentemente difese dalla Sinistra Comunista, senza lasciarsi bloccare né intimidire dai colpi dell’avversario. Esso troverà allora la forza di vendicare tutte le vittime del capitalismo mettendo fine una volta per tutte al suo infame sistema.

 

No alle guerre capitaliste!

No all’unione nazionale!

Per la ripresa della lotta di classe!

Per la rivoluzione comunista internazionale!

 

14/11/2015

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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