I profughi siriani vengono "accolti" dagli spari delle guardie di confine turche

(«il comunista»; N° 144;  Luglio 2016)

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L'associazione non governativa Human right wath rivela che gli spari e i colpi d'artiglieria al confine tra Turchia e Siria contro i profughi siriani che tentano di attraversarlo è "una pratica almeno dall'agosto 2015". Lo riprendiamo da un quotidiano provinciale (La Nuova Venezia, del 20/6/2016), che  riferisce di una sparatoria avvenuta nella notte precedente al confine tra Khirbet al-Joz, nel nord est della Siria e la provincia turca di Hatay. Il gruppo di profughi siriani scappavano dalla città di Jisr al-Shugour, controllata dal Califfato; gli spari hanno provocato otto morti, tra cui 4 bambini. Come ormai riportano tutte le cronache della guerra in Siria, i profughi scappano non solo dal terrore dei gruppi jihadisti, ma anche dai bombardamenti dell'alleanza occidentale e da quelli dell'aviazione russa. Dall'inizio dell'anno si parla di 60 morti tra i profughi, dovuti appunto agli spari delle guardie di confine. Un confine sorvegliato da carri armati e lungo il quale - tanto per non essere da meno di altri Stati dell'est Europa - per 900 chilometri, la Turchia sta costruendo un muro, per un terzo già completato!

Naturalmente le autorità turche confermano la loro politica... dell'accoglienza - per la quale ricevono miliardi di euro dall'Unione Europea al fine di impedire ai profughi siriani, e ai profughi di decine di altri paesi scossi da guerre, crisi economiche, fame e terrore, di raggiungere l'Europa. La Turchia, in effetti, sembra che finora abbia nel proprio territorio 2,7 milioni di rifugiati dalla Sira, "accolti" in campi di confine per nulla attrezzati di servizi igienici, di acqua, strade, case ecc. Altre notizie, diffuse soprattutto da radio locali e da siti internet, affermano che tra la massa di profughi siriani i capitalisti turchi del settore tessile, calzaturiero ecc. stanno sfruttando i bambini siriani facendoli lavorare per pochi centesimi all'ora.

Ma i migranti, rifugiati e profughi, vengono trattati come bestie anche nei civilissimi paesi europei, come l'Italia ad esempio. E' noto che a Lampedusa, e in tante altre località presso le quali sbarcano migliaia di migranti che scappano dalle guerre e dalla fame, la popolazione locale si è sempre dimostrata accogliente e pronta a dare loro un aiuto concreto. Ma lo Stato ha ben altro atteggiamento; con il pretesto della "clandestinità" e di un flusso non "regolamentato" da "accordi" tra l'Italia e i paesi d'origine dei migranti, questa massa di disperati viene rinchiusa nei tristemente famosi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo, dai quali non possono che cercare di scappare nuovamente. Per non parlare degli hot-spot, i nuovi centri per la registrazione dei migranti voluti dall'Unione Europea nei quali, come per i CIE e gli altri Centri di accoglienza, è impedito a qualunque associazione legalmente riconosciuta di accedervi per verificare le condizoni di vita degli "ospiti".

L'illusione di un'Europa che possa offrire loro una prospettiva di vita contro la prospettiva di morte certa e di miseria assicurata se rimanessero nel paese d'origine, muove comunque milioni di persone che spesso contano sulla pressione del numero per poter superare tutti gli ostacoli che ogni Stato che raggiungono e che attraverso frappone loro. Ma l'illusione resta tale e l'esempio della Turchia chiamata a svolgere il ruolo di guardia armata nei propri confini pur di non far toccare ai profughi i "sacri confini" d'Europa, è l'ulteriore dimostrazione che, per la gran massa di proletari che migrano forzatamente verso paesi anche molto lontani dal loro, il loro destino è segnato in ogni caso: se non muoiono di fame, se non muoiono sotto le bombe o sotto le torture, possono morire attraversando il Mediterraneo o un confine che sembra "amico"; e se ce la fanno a passare "in Europa", spoliati di ogni misero risparmio, li attendono i centri di accoglienza che sono di fatto dei campi di concentramento. Proletari sono e proletari restano, senza riserve e senza un futuro se non quello della schiavitù salariale, facili oggetti di razzismo e di emarginazione.

Il 20 di giugno di ogni anno, dal 2011, l'ONU celebra la "Giornata mondiale del rifugiato", una delle tante "giornate mondiali" dedicate a una delle tante contraddizioni irrisolte della società borghese, "giornate" nelle quali i borghesi di tutto il mondo si lavano temporaneamente la coscienza... E ci tengono così tanto a questa "giornata mondiale del rifugiato" che, per conto delle borghesie d'Europa, le guardie armate turche l'hanno onorata sparando sui profughi al confine con la Siria! 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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