Messico: La sanguinosa repressione borghese e la danza macabra dell’”estrema” sinistra

(«il comunista»; N° 145;  Settembre 2016)

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La borghesia messicana ha ancora una volta mostrato il suo volto sanguinario.

Domenica 19 giugno, a Nochixtlán, la polizia federale, armata fino ai denti, ha assassinato a sangue freddo una dozzina di insegnanti in sciopero e di contadini che li appoggiavano. Stavano bloccando un’autostrada nel sud del Paese per impedire alla polizia federale di raggiungere la capitale dello Stato di Oaxaca, dove gli insegnanti in sciopero avevano organizzato un accampamento.

Di fronte a manifestanti che non avevano altro che bastoni e pietre per difendersi, i poliziotti hanno usato gas lacrimogeni, proiettili di gomma, elicotteri e proiettili veri. La polizia ha impedito l’accesso delle ambulanze alla zona per tutte le ore degli scontri e ha bloccato i manifestanti che cercavano di portare i feriti all’ospedale.

Il massacro di Nochixtlán non è un errore o un avvenimento eccezionale, ma il sintomo dell’evoluzione delle lotte in Messico e della violenza borghese che cerca di contenerle.

 

Il Messico scosso dalla violenza borghese... e dalle lotte operaie

 

Questo assassinio si inserisce nel clima di violenza che colpisce il Messico da anni.

Questo paese di 120 milioni di abitanti ha conosciuto uno sviluppo capitalistico che ne fa oggi la seconda potenza economica dell’America Latina (dopo il Brasile), ma da anni è teatro di massacri. I proletari e i contadini subiscono un’oppressione violenta e sono anche vittime di scontri tra le forze borghesi (molte delle quali sono legate a trafficanti di droga). In Messico l’ultimo decennio è stato segnato da oltre 185.000 omicidi volontari (e più di 30.000 sparizioni). Ma la situazione interna non si limita alla criminalità.

Il proletariato messicano sta alzando la testa di fronte agli sfruttatori e molte lotte recenti lo testimoniano.

 

Ondata di scioperi nell’industria e nell’agricoltura

 

Nella Bassa California, nella valle di San Quintin, i lavoratori giornalieri agricoli hanno condotto un lungo sciopero durato dodici settimane contro i padroni che impongono loro salari da fame e giornate di lavoro che possono arrivare fino a 18 ore e che impiegano anche i bambini per la raccolta di frutta e pomodori, destinati soprattutto al mercato statunitense. Gli operai agricoli nella valle sono 80.000 e molti sono immigrati provenienti dagli Stati del sud, spesso di origine indigena. I lavoratori hanno bloccato la strada principale che collega la regione alla California, lasciando marcire le colture e causando milioni di dollari di perdite ai capitalisti dell’agrobusiness. Nonostante la brutale repressione poliziesca, i lavoratori hanno visto migliorare la loro situazione generale. BerryMex, il più grande produttore della regione, ha dovuto aumentare i salari che sono diventati i più alti del settore agricolo messicano. Altre aziende ora pagano delle assicurazioni sociali e offrono alcuni vantaggi ai loro salariati. Tuttavia, molti produttori continuano a rifiutare gli aumenti salariali. Lo sciopero ha anche permesso la creazione di due sindacati agricoli indipendenti dai padroni e dai sindacati charros ( “venduti” allo Stato e al PRI, il Partito Rivoluzionario Istituzionale).

L’agitazione operaia ha riguardato anche i maquiladoras di Ciudad Juarez. Le lotte sono iniziate alla Eaton Bussmann, fabbrica di trasformatori elettrici, con l’obiettivo di ottenere degli aumenti salariali e il miglioramento delle condizioni di lavoro (pagamento dei premi, installazione di aria condizionata nelle officine...). Poi, i lavoratori della fabbrica Scientific Atlanta, una filiale della Foxconn, si sono mobilitati per aumenti salariali, pause pranzo, fine della pressione dei capireparto, ferie pagate, il diritto di costituire un sindacato. Contemporaneamente i lavoratori della Lexmark, produttore di stampanti, hanno  iniziato a manifestare per pretendere salari più alti e a protestare contro le molestie sessuali da parte di rappresentanti della società. I lavoratori di Ciudad Juarez hanno subito una dura repressione padronale che ha portato al licenziamento degliu scioperanti.

Anche i 3.500 minatori dell’Arcelor Mittal, nello stato di Michoacan, hanno intrapreso uno sciopero di una settimana nel marzo 2016. I minatori sono entrati in lotta contro una serie di licenziamenti e la violazione del loro contratto collettivo.

I 1.700 lavoratori dello stabilimento Nissan nella “città industriale della valle di Cuernavaca” (Civac) nello Stato di Morelos hanno fatto uno sciopero di due giorni nel mese di aprile e hanno ottenuto un aumento del 4% a 500 assunzioni a tempo pieno.

I lavoratori del gigante della telefonia Telmex, grazie alla minaccia di uno sciopero, hanno ottenuto un aumento salariale, anche se la mobilitazione è stata sabotata dai sindacati gialli.

Nonostante la repressione e le manovre dei charros, è evidente che il giovane proletariato messicano si batte con coraggio in una situazione molto difficile che mescola precarietà, assenza di diritti e brutale repressione. È questo il caso anche dei lavoratori del settore della scuola.

 

Una lunga lotta contro la riforma scolastica

 

Dal 2013, il Coordinamento delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola (CNTE) lotta contro l’applicazione di una riforma dell’istruzione, che, come dappertutto, si traduce in tagli delle spese, concorrenza tra scuole (con la valutazione delle “performance” di ognuna) e caporalizzazione degli insegnanti con un nuovo sistema di valutazione (che permetterà di punire chi si oppone).

Questa riforma è una delle conseguenze del “Piano per il Messico” che il presidente Peña Nieto ha firmato con il suo partito (il PRI, Partito Rivoluzionario Istituzionale, membro dell’Internazionale socialista) e i suoi avversari/partner del PRD (Partito della Rivoluzione Democratica, anch’esso membro dell’Internazionale socialista) e il PAN (Partito di Azione nazionale, della destra clericale).

Da mesi, gli insegnanti, rompendo con il sindacato giallo SNTE, hanno dato battaglia al governo federale, ma anche ai governi regionali in mano all’opposizione. La lotta si è sviluppata soprattutto negli Stati del sud, le regioni più povere in cui prevale la popolazione indigena.

Gli scioperanti hanno attaccato le sedi delle partiti borghesi all’origine del “Piano per il Messico”, ma anche quelle dei sindacati apertamente gialli e ultra-corrotti, come la CTM (affiliata alla più che collaborazionista Confederazione Sindacale Internazionale) e il SNTE (affiliato all’altrettanto collaborazionista Internazionale dell’Educazione). Hanno bloccato l’attività economica (raffinerie, depositi di carburante, aeroporti, strade, centrali idroelettriche...) e hanno occupato luoghi simbolici, come la piazza principale di Città del Messico, lo Zocalo.

La repressione è stata molto feroce, anche prima del 19 giugno. I manifestanti hanno dovuto affrontare le orde di poliziotti. Migliaia di insegnanti sono stati licenziati per essersi rifiutati di consegnare i test di “valutazione” o per aver scioperato. Centinaia di sindacalisti sono in carcere. Come è successo, per esempio, a due dirigenti della CNTE che sono stati arrestati il 12 giugno a Città del Messico, all’uscita da una riunione della CNTE, da sei uomini ultra-armati e incappucciati, e poi trasferiti immediatamente nel carcere di massima sicurezza di Hermosillo.

 

LE RICETTE DELL’”ESTREMA” SINISTRA CONTRO LA LOTTA PROLETARIA

 

Nei confronti di questo sciopero, abbiamo potuto vedere tutte le componenti dell’”estrema” sinistra messicana prendere posizioni una più antiproletaria dell’altra. Questi “rivoluzionari” si dimenano in ogni direzione pur di non scontrarsi con la borghesia e per deviare i proletari dalla ripresa della lotta aperta.

 

Ricetta n. 1: il fronte unico con la borghesia

 

In questo clima di agitazione, un nuovo partito borghese tenta di cavalcare il malcontento. È il Movimento di Rigenerazione Nazionale (Morena) di Andrés Manuel López Obrador (AMLO), ex dirigente del PRD ed ex capo del Distretto Federale del Messico (cioè di Città del Messico).

I dirigenti della CNTE, anche se conducono una lotta eroica, restano dei sostenitori della collaborazione di classe. Sperano innanzitutto nell’elezione di AMLO che ora suona la musichetta nazionalista e populista di stile Chavez. La CNTE ha organizzato insieme a Morena una grande manifestazione contro la repressione a Città del Messico. Questo ha dato la possibilità ad AMLO di avanzare le sue rivendicazioni, fra cui le dimissioni del ministro della Pubblica Istruzione, la punizione dei colpevoli, ma anche la formazione di un “governo di transizione”, con l’attuale presidente.

Naturalmente, i trotskisti hanno colto al volo l’occasione per trasformarsi in portatori d’acqua di questo demagogo populista. Questo è, in particolare, il caso della Sinistra Socialista (membro della Tendenza Marxista Internazionale) che promuove la costituzione di un “fronte nazionale di lotta dei lavoratori delle campagne e delle città” che unisca le “organizzazioni popolari, sociali, sindacali, studentesche, contadine e le organizzazioni che, come Morena, hanno scelto la via elettorale” (“Represión en Oaxaca, ¡debe caer la contrarreforma educativa y este gobierno de asesinos!”, www.laizquierdasocialista.org, 19 giugno 2016). Questo “fronte” mira apertamente a portare AMLO al potere, perché, secondo l’IS, sarà “impossibile vincere le elezioni presidenziali, senza un movimento di massa nelle strade” (“Movilización masiva en defensa de la CNTE, hace falta aterrizarla en la acción unitaria, balance de la marcha”,  27 giugno 2016).

Altri trotskisti non hanno ancora proclamato fedeltà a Morena, ma difendono la stessa linea nazionalista e populista. Come nel caso, in particolare, di ciò che resta delle due grandi correnti trotskiste a livello internazionale: la IV Internazionale e i Lambertisti.

Questi trotskisti hanno agito per decenni come ala sinistra dei partiti borghesi, per molto tempo come membri del PRD. Oggi stanno cercando di riconquistare la loro indipendenza organizzativa attraverso la creazione di un’Organizzazione Politica del Popolo e dei Lavoratori (OPT), sotto la spinta di militanti del sindacato degli elettricisti SME. Il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (PRT), affiliato alla IV Internazionale, l’Organizzazione Socialista dei Lavoratori (OST) lambertista e altri gruppi trotskisti, ma anche “degli attivisti del movimento degli utenti dell’energia elettrica, degli attivisti della CUT e persone provenienti dall’esperienza di auto-organizzazione comunitaria dei popoli di Guerrero” partecipano all’OPT. (“Au Mexique, avec ou sans reconnaissance légale, l’OPT est en marche”, europe-solidaire.org, europe-solidaire.org, 21 febbraio 2014).

L’OPT rivendica “una riapertura del dialogo”. È degna dei peggiori collaborazionisti, che piangono quando li si priva del sacrosanto “dialogo sociale”!

Anche se rivendica una “socializzazione dei mezzi di produzione”, l’OPT ha un programma integralmente borghese: difesa della sovranità nazionale, sviluppo dell’economia nazionale e una democrazia “partecipativa e popolare”. La parola d’ordine che troneggia nell’home page del suo sito internet (opt.org.mx) è sintomatica: “Per la liberazione nazionale e l’emancipazione sociale”. Il tutto accompagnato da una bandiera messicana!.

Il PRT, l’IS o l’OST sono totalmente estranei alla lotta proletaria, sono solo una componente del nazionalismo borghese.

Accanto a loro, altre correnti si pretendono più ortodosse, ma difendono posizioni altrettanto anticomuniste. È questo il caso, in particolare, degli eredi del Partito Comunista del Messico.

 

Ricetta n. 2: il “potere popolare”

 

Il Partito Comunista del Messico, PCM, che partecipa al “Meeting internazionale dei partiti comunisti e operai” con ciò che resta dei PC filosovietici, in particolare il Partito comunista greco (KKE), prende posizioni rivoluzionarie denunciando a casaccio il PRI, il PRD, il PAN e Morena descritto come “una nuova socialdemocrazia”, e affermando che il capitalismo “non si riforma”. Afferma, inoltre, che è necessario “porre fine al governo di Peña Nieto, ma non a favore di un governo anti-neoliberale che decanta i sostenitori della gestione keynesiana del capitalismo” e sostiene di respingere le “alleanze interclassiste” (“El PCM con los Trabajadores de la Educación”, elcomunista.nuevaradio.org, 23 giugno   2016).

Queste proclamazioni sono solo per i gonzi: il PCM è fedele alla vecchia linea piccolo-borghese della “lotta contro i monopoli”. La presidenza di Peña Nieto viene denunciata come un “potere dei monopoli”, contro il quale occorre costruire un “fronte anti-monopolista, anti-capitalista e anti-imperialista” (“El Estado mexicano: violencia organizada para garantizar la ganancia y el poder de los monopolios”, 31 maggio 2016). Questo fronte è, naturalmente, un’alleanza interclassista perché “il PCM è convinto che tale compito possa essere assunto dalla classe operaia, da tutti i dipendenti, i lavoratori disoccupati, i lavoratori immigrati, forgiando un’alleanza con i settori popolari, favorevole al potere dei lavoratori e a un’economia popolare” (“El PCM con los trabajadores de la educación”, 23 giugno 2016).

Un altro PC messicano, il PCdeM, difensore di Cuba, promuove una stessa linea interclassista. Il suo programma mette avanti la dittatura del proletariato, ma ma solo nei documenti del congresso. Non solo non difendere un orientamento di classe nella lotta attuale, mescolando “difesa dei diritti dei lavoratori” e “difesa della scuola pubblica” (nel “Pronunciamiento del PCdeM  sobre  la  represión  en  contra  del magisterio” - pubblicato nel sito:   partidocomunistademexico.wordpress. com, 23 giugno 2016), ma, per di più, il suo obiettivo è “costruire un’Assemblea nazionale del potere popolare” (“En lugar de votar, construir poder popular”, (30-30, aprile-maggio 2015). Questo “potere popolare” si ispira all’eredità di un capo contadino – e per nulla marxista – della rivoluzione messicana: “Il pensiero e l’esempio di Emiliano Zapata ci danno molte chiavi di lettura che oggi sono fondamentali per arrivare all’unità di tutti gli sfruttati, (...) e formare un solo e grande fronte classista [sic!] contro i capitalisti, in cui ogni settore di sfruttati, le donne, gli uomini, i giovani, i meticci, gli autoctoni, gli operai, i contadini ecc., hanno un posto nella lotta” (“Emiliano Zapata, su legado y su ejemplo a 97 años de su asesinato”, 10 aprile 2016).

Infine, anche i maoisti dell’Organizzazione Comunista Rivoluzionaria difendono la stessa prospettiva. Propongono una visione populista in cui il proletariato scompare, “lo sfruttamento e l’oppressione della stragrande maggioranza delle persone da parte di una piccola classe di grandi capitalisti, dominato dal sistema capitalista-imperialista nel mondo”  (“De Ayotzinapa los ‘Porkys’: crímenes de un Estado perverso al servicio de un sistema opressivo¡ Luchemos contra el poder y preparemos la revolución!”, aurora-roja.blogspot.fr). Per lottare contro questo, la loro risposta è una “nuova sintesi del comunismo sviluppata da Bob Avakian”, il caudillo del Partito Comunista Rivoluzionario degli Stati Uniti. Questa sintesi non è che un rimaneggiamento di una vecchia e indigesta minestra riscaldata: “la Repubblica popolar”” e il “fronte unito” operai/contadini/classi medie/media borghesia (La Revolución liberadora. Orientación estratégica y programa básico).

In modi diversi, questo figlioccio dello stalinismo sogna solo un capitalismo “popolare”, vale a dire un regime borghese che conceda qualche briciola ai proletari.

 

Ricetta n. 3: l’assemblea costituente

 

Altre organizzazioni riprendono un grande classico del riformismo: l’assemblea costituente.

Si tratta, in particolare, di due gruppi che tutto sembra contrapporre: il PCM (marxista-leninista) nato dalla corrente filoalbanese e membro della Conferenza internazionale dei Partiti e delle organizzazioni marxisti-leninisti, e il Movimento dei Lavoratori per il Socialismo (MTS) membro della Frazione trotskista-Quarta Internazionale, di cui uno dei principali componenti è il PTS argentino.

Il PCM(ml) e il MTS difendono un “sciopero generale politico” che sfocerebbe in un “governo provvisorio” basato su un’assemblea costituente “popolare democratica” per i marxisti-leninisti” (“De la Asamblea Nacional Popular a la Nueva Constituyente”, Vanguardia Proletaria, 15-31 gennaio 2015) o “libero e sovrano” (Tribuna Socialista, 14 novembre 2014).

L’assemblea costituente può solo servire a indirizzare le lotte operaie verso una soluzione parlamentare borghese e controrivoluzionaria. Come disse Lenin nel suo rapporto al Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista: “La Costituente  è per loro una parolaccia. Non solo per i comunisti coscienti, ma anche per i contadini. La vita ha insegnato loro che Assemblea costituente e guardie Bianche sono la stessa cosa; che la prima trascina inevitabilmente le seconde” (Rapporto sulla tattica del partito comunista di Russia, 5 luglio 1921).

Questa parola d’ordine democratica deve essere fermamente combattuta perché è un vicolo cieco per deviare la lotta rivoluzionaria per l’abbattimento dello Stato borghese. È quanto hanno fatto i bolscevichi nel 1917 e ciò ha permesso loro di rovesciare il potere borghese: senza rovesciamento violento del potere è impossibile che la borghesia lasci tranquillamente che si costituisca un altro potere: già risponde con brutale violenza agli scioperi, lo farà a maggior ragione quando si tratterà del potere!

 

Ricetta n. 4: il “governo operaio e contadino”

 

Alla fine, i fratelli coltelli del Gruppo spartachista del Messico (GEM) e il Gruppo internazionalista (IG) respingono l’Assemblea costituente per opporle il “governo operaio e contadino”.

Nell’Internazionale Comunista come nella Quarta Internazionale, il “governo operaio” o “operaio e contadino” è cosa ben diversa rispetto al potere rivoluzionario proletario, cioè rispetto alla dittatura del proletariato.

Basta citare il Programma di transizione di cui gli spartachisti si pretemdono i guardiani del tempio:

A tutti i partiti e le organizzazioni che si fondano su gli operai e i contadini e parlano a nome loro, noi chiediamo che rompano politicamente con la borghesia e imbocchino la via della lotta per il governo operaio e contadino. Su questa via, promettiamo loro pieno appoggio contro la reazione capitalista. Allo stesso tempo, portiamo avanti un’instancabile agitazione sulle rivendicazioni transitorie che dovrebbero, a nostro avviso, costituire il programma del ‘governo operaio e contadino’.

La creazione di un simile governo da parte delle organizzazioni operaie tradizionali è possibile? L’esperienza del passato dimostra, come abbiamo già detto, è per lo meno poco verosimile. È, tuttavia, impossibile negare categoricamente in anticipo la possibilità teorica che, sotto l’influenza di una combinazione di circostanze del tutto eccezionali (la guerra, la sconfitta, il crollo finanziario, l’offensiva rivoluzionaria delle masse ecc.), dei partiti piccolo borghese, compresi gli staliniani, possano andare più avanti di quanto essi stessi vogliano sulla via della rottura con la borghesia. In ogni caso, una cosa è fuor di dubbio: anche se questa variante, improbabile, si dovesse realizzare un giorno da qualche parte, e un ‘governo operaio e contadino’, nel senso sopra indicato, si verificasse nei fatti, rappresenterebbe solo un breve episodio sulla via della vera dittatura del proletariato”.

Questo governo è il governo del “fronte unico”, cioè di una coalizione tra comunisti e partiti borghesi che supplicano di “rompere con la borghesia” per mettere in atto il controllo statale dell’economia, l’apertura dei libri contabili o il credito popolare. Questa prospettiva che Trotsky avanzata con molte riserve, ma che i suoi discepoli ripetono in continuazione, è illusoria nella migliore delle ipotesi, nella peggiore del tutto suicida!

La storia ha dimostrato che si tratta di una parole d’ordine che genera confusione, che rafforza la convinzione dei proletari di potersi appoggiare alle organizzazioni collaborazioniste per lottare contro il capitalismo. Ma questa non è che un’illusione mortale! Mai sostenitori della collaborazione di classe lotteranno contro il capitalismo: si sono sempre opposti e sempre si opporranno agli attacchi contro il sistema borghese. In realtà, questa parola d’ordine serve solo a evitare che gli elementi d’avanguardia che emergono nelle lotte proletarie rompano con il dominio del riformismo controrivoluzionario.

 

In Messico, come in qualunque altro luogo, una sola via d’uscita: la rivoluzione proletaria contro tutti i vicoli ciechi riformisti

 

Tutti gli imbonitori dell’"estrema" sinistra cercano di rifilare le loro patacche ai proletari: liberazione nazionale, assemblea costituente, potere popolare, governo operaio...

Rivendicare, per lottare contro il terrore borghese, la democratizzazione del potere e le varie menzogne riformiste, significa legarsi da soli la camicia di forza che la borghesia vuole imporre per evitare lotte operaie. Lanciare simili appelli al proletariato significa chiedergli di suicidarsi per evitare di essere assassinato, significa comportarsi come il suo peggior nemico.

Il ciclo delle lotte di emancipazione nazionale si è concluso in tutto il mondo, e la giovane classe operaia deve puntare direttamente alla rivoluzione esclusivamente proletaria. Cosa che si può fare solo contro la borghesia democratica e i suoi sostenitori. Il proletariato ha indubbiamente anche il compito storico di spingere fino in fondo, specialmente nell’agricoltura, i compiti “democratici borghesi”, cioè la liquidazione dei vecchi resti di oppressione precapitalista, quando la borghesia non è riuscita a compierli. Ma questo secondo compito dev’essere assunto senza attenuare o rinunciare al primo obiettivo, in quanto è transitorio e subordinato alla rivoluzione proletaria, per la quale i proletari delle città non avranno altri alleati affidabili se non gli operai agricoli. I piccoli contadini proprietari, come tutti i piccoli borghesi, non saranno mai altro, nella migliore delle ipotesi, che incerti compagni di strada, sempre pronti ad abbandonarli per volgersi verso la borghesia.

I comunisti, quindi, chiamano gli operai del Messico, come di tutti gli altri paesi, a respingere le dannose illusioni riformiste e ad evitare il grave errore di considerare chi le diffonde come possibili alleati.

I rivoluzionari dicono ai proletari che devono accettare la lotta sul terreno sul quale la borghesia li sfida, e preparare la risposta, che richiederà forze operaie di autodifesa in grado di rispondere alla violenza con la violenza e alle armi con le armi. Questa risposta può avere senso solo se è indissolubilmente legata alla prospettiva dell’offensiva rivoluzionaria, a più o meno lungo termine, contro la borghesia e il suo Stato, per instaurare il potere dittatoriale dei proletari. I rivoluzionari chiamano i proletari più coscienti e combattivi a partecipare al duro lavoro della costituzione di un partito autenticamente rivoluzionario e marxista, internazionalista e internazionale, l’unico in grado di realizzare questa preparazione e dirigere questa battaglia, il partito che tanto crudelmente manca al proletariato da decenni.

Non esiste, e non può esistere, altra via!

10.7.2016

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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