Corrispondenze dalla Spagna

 

Nuova rivolta in un Centro di detenzione per immigrati di Barcellona

I proletari immigrati in lotta spontanea, lontani dalla farsa parlamentare

(«il comunista»; N° 146;  Dicembre 2016)

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A soli cinque giorni da quando il Parlamento ha nominato Mariano Rajoy come prossimo presidente spagnolo, è scoppiata un’altra rivolta in un CIE (Centro de Internamiento de Extranjeros), mostrando che dietro la normalità democratica tanto vantata dalla borghesia e dai suoi scagnozzi si nasconde il vero volto del mondo capitalista: incarcerazioni illegali, deportazioni e brutale repressione poliziesca colpiscono i proletari che, secondo la borghesia, sono “in soprannumero” nel paese.

Questa volta è successo a Barcellona,  dove, come riportano i media borghesi, nella notte fra l’1 e il 2 di novembre 50 immigrati si sono ribellati, dopo aver dato luogo nei giorni precedenti a proteste simboliche in solidarietà con i rivoltosi del CIE di Madrid. Sempre secondo i media, gli immigrati detenuti nel CIE di Barcellona avrebbero affrontato la polizia nazionale di guardia subito dopo la cena. Più tardi hanno manifestato la loro rabbia nel cortile principale, dove hanno resistito fino alle 11 di sera. Sembra che questa rivolta non sia stata l’unico atto di ribellione dei prigionieri del CIE: il 7 ottobre c’era stata una protesta nel cortile; il 16 ottobre un tentativo di fuga in gruppo e il 22 dello stesso mese uno sciopero della fame di 24 ore.

Questa volta, come è successo a Madrid, gli immigrati hanno interrotto la rivolta dopo alcune ore e dopo che le squadre antisommossa della polizia nazionale sono intervenute per “ristabilire la normalità”. Si può presumere che, come a Madrid, i prigionieri siano stati vittime di una repressione selvaggia.

Questi atti di rabbia spontanea, trasmessi da una prigione all’altra attraverso le sbarre, sono il risultato della situazione disperata in cui versano i proletari immigrati detenuti nei CIE. Ma anche se rispondono a una situazione disperata, non sono atti disperati che dovrebbero essere evitati, sono l’unico modo che i proletari immigrati detenuti in carceri illegali hanno per rispondere agli abusi cui sono sottoposti ogni giorno. Lungi dal considerare queste rivolte, scioperi e fughe come atti da condannare, noi comunisti vediamo in queste azioni la naturale risposta a una situazione in cui lo Stato borghese usa la repressione aperta per controllare la popolazione immigrata. E noi apertamente diciamo che questa è la via che, sempre più spesso e sfidando la repressione che inevitabilmente colpirà i rivoltosi, tutti i proletari, immigrati o spagnoli, dovranno imboccare per lottare contro la situazione che subiscono, fuori e dentro i centri di detenzione, nei luoghi di lavoro, nei quartieri operai, come reazione contro la repressione e l’oppressione quotidiana in tutti i settori della vita.

I proletari del CIE di Barcellona si sono ribellati, come pochi giorni prima quelli di Madrid, perché fino alle loro celle non arriva lo stupido circo parlamentare che pretende che per la classe operaia la scheda elettorale, la fiducia nei rappresentanti in Parlamento e il rispetto per il governo siano le uniche armi con cui combattere. Nei CIE sta la vera natura della democrazia: una guerra continua contro le condizioni di esistenza del proletariato. Per i proletari imprigionati questa è una verità evidente. Per i proletari sfruttati nel loro posto di lavoro o disoccupati, non lo è ancora. Contro di loro negli ultimi anni sono state dirette tutte le misure antioperaie della borghesia e dei suoi vari governi. Sono stati licenziati, hanno visto i loro salari decurtati, i servizi sociali sono  spariti e la repressione si è abbattuta su coloro che hanno cercato di lottare. Ma hanno anche ricevuto la forza concentrata di tutta la propaganda democratica, che cerca di identificare gli interessi della classe operaia con gli interessi della borghesia, il destino dei lavoratori con le esigenze dell’economia nazionale e i dettami degli affari. Hanno subito la pressione costante dei partiti e dei sindacati opportunisti, che agiscono come veri e propri agenti borghesi tra le file operaie, chiamandoli a mantenere la fiducia nei meccanismi democratici e costringendoli a rinunciare alla lotta diretta a favore di misure compromissorie che sono risultate totalmente dannose.

I proletari immigrati subiscono la versione più estrema di una situazione che è comune, nel mondo capitalista, a tutti i proletari, indipendentemente dall’origine, dal sesso, dalla religione e dall’età. Durante i periodi di prosperità economica sono sfruttati sul posto di lavoro, con ritmi infernali che, quando non causano malattie da scontare in vecchiaia, finiscono direttamente con l’nfortunio o la morte di molti lavoratori. Tutto questo, per alimentare il buon funzionamento dell’economia, in modo che il paese possa competere nella Champions League del capitalismo internazionale, alla quale cinicamente faceva riferimento il governo socialista di Zapatero. E quando la crisi economica blocca bruscamente il corso del mercato, quando le aziende non sono più redditizie, arrivano le imposizioni più dure per i proletari: fare a meno del lavoro, cioè dell’unico mezzo di sostentamento, fino a quando verrà recuperato il tasso medio di profitto; veder tagliare i servizi sociali affinché lo Stato non fallisca; sopportare mille e una difficoltà in nome della nazione. E per i proletari immigrati, doppia razione: arresti arbitrari, incarcerazioni “amministrative”, deportazioni... Loro sono la manodopera di cui si può più facilmente fare a meno, e le forze di sicurezza dello Stato hanno il compito di sbarazzarsi delle eccedenze. Ma quello che tocca a loro è semplicemente la versione più avanzata di quella patita dai proletari spagnoli, che in essa devono vedere un avvertimento di ciò che sarà il loro futuro.

La verità che appare sempre più evidente ai proletari immigrati non tarderà a divenire altrettanto ovvia per i proletari spagnoli. Pertanto saranno inevitabilmente spinti a rompere con briglie democratiche e a seguire anch’essi la via della lotta. Una lotta che sarà bollata dalla borghesia come incivile, violenta, antidemocratica... e che in realtà lo è davvero, ma che soprattutto è la naturale risposta alla pressione che la stessa borghesia esercita ed eserciterà sul proletariato.

I proletari immigrati non hanno alleati. Nelle loro prigioni non entrano le promesse del governo, né i circhi parlamentari di opposizione. Essi hanno falsi amici che dicono di porsi dalla loro parte per poter meglio lavorare per la borghesia e il suo Stato. Si tratta di coloro che, come Podemos, le giunte di Madrid e Barcellona, chiedono ipocritamente, in occasione delle rivolte dei CIE di queste due città, e di “chiudere i CIE”, affermando che queste prigioni extragiudiziarie sono un “problema amministrativo “che può essere risolto con “provvedimenti amministrativi “. Ma pensare che i CIE possano scomparire è come pensare che possano scomparire le carceri. I CIE, a prescindere dal loro ruolo nell’ordinamento giuridico-legale spagnolo, sono misure repressive che la borghesia assume per arrivare a mettere in atto le misure di controllo della manodopera, per tenere a bada attraverso la repressione e il terrore la popolazione proletaria in eccesso. E questo non è un “problema amministrativo”, ma politico, della politica che la borghesia nel suo insieme inevitabilmente adotta per imporre il suo dominio di classe. Chiudere i CIE non significherà nulla, ammesso che accada. Lo sanno bene le giunte comunali di Carmena e Colau, sostenitrici di queste chiusure, ma mandano le loro polizie locali contro i venditori ambulanti, immigrati, che finiscono nei CIE. Chiudere i CIE senza che venga abolita la Legge sugli stranieri, senza che spariscano le decine di misure repressive contro gli immigrati ecc. significherà aprire un altro meccanismo repressivo.

Più di un decennio fa, le lotte dei prigionieri sociali nelle carceri spagnole avevano come obiettivo prioritario la chiusura dei moduli FIES, creati apposta per reprimere e far fuori i prigionieri più combattivi che, durante gli anni ’90 avevano preso parte alle rivolte e alle proteste di massa contro le spaventose condizioni di vita nelle carceri. Il FIES (Fichero Interno de Especial Seguimiento) era un carcere dentro al carcere ed era stato istituito mediante regolamenti interni delle prigioni, senza alcuna base legale. Quando finalmente il FIES venne chiuso, fu semplicemente cancellato dal regolamento interno ma certificato nella legislazione carceraria. I FIES esistono ancora e continuano ad annientare i prigionieri che si distinguono nella difesa delle loro condizioni di vita.

I “Comuni del cambiamento” (Madrid, Barcellona) vogliono che accada la stessa cosa con i CIE: ne propongono la chiusura, ma tacciono sulla realtà dei proletari immigrati e sul loro sfruttamento quotidiano. Ed è proprio questa realtà che rende necessari alla borghesia i CIE.

Di fronte a questa realtà, di fronte all’oppressione quotidiana che sempre più intensamente subiscono, i proletari immigrati non devono fidarsi di nessuna delle bugie proposte dai partiti del nuovo opportunismo politico. Essi devono imboccare la via della lotta quotidiana, cercando l’unione con proletari autoctoni, rompendo le cinghie con le quali si vuole legarli al rispetto dei mezzi democratici. Solo questa via può garantire loro una possibilità di successo.

 

Viva la lotta degli immigrati in rivolta a Madrid e a Barcellona!

Per il ritorno del proletariato sul terreno della lotta di classe, senza distinzione di razza, sesso, età o nazionalità!

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita della classe operaia!

 

[Questa presa di posizione è stata pubblicata nel sito www.pcint.org il 2/11/2016] 

 


 

(1) E’ detto “periodo di Transizione” il periodo che seguì la caduta del franchismo e la formazione della repubblica democratica con la sua nuova costituzione, il suo parlamento, le sue elezioni, i suoi parlamentari ecc.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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