Sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici siglato dalla Triplice sindacale tricolore

(«il comunista»; N° 147;  Dicembre 2016)

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Il 26 novembre scorso il collaborazionismo sindacale di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, di nuovo assieme, ha firmato l’ipotesi di accordo del contratto nazionale dei metalmeccanici con Federmeccanica e Assistal. In questo contratto, di fatto, si sancisce che il salario diventa sempre più una variabile dipendente dalle esigenze del mercato e dei profitti padronali, sempre più al ribasso e determinato da meccanismi messi a punto dalla collaborazione di classe tra padroni-sindacati-governo.

I proletari ne ignorano il funzionamento, ma lo verificheranno presto grazie ai miseri aumenti salariali, insufficienti a preservare anche solo la sopravvivenza.

 

In dettaglio la parte “economica” dell’accordo:

1) il contratto, scaduto alla fine del 2015, sarà  in vigore dal 1.1.2017 al 31.12.2019 (3 anni). A copertura dell’anno perso c’è una “una tantum” di 80 euro lordi che sarà oltretutto pagata a marzo del 2017;

2) a partire da giugno 2017 di ciascun anno di vigenza contrattuale, i minimi contrattuali per livello saranno adeguati sulla base della dinamica inflattiva consuntivata, misurata con “I’PCA al netto degli energetici importati” cosi come fornita dall’ISTAT, ma nell’applicazione effettiva le parti si incontreranno al maggio successivo dove si prenderà a riferimento il tasso medio di variazione dell’inflazione i due anni precedenti all’erogazione;

3) dal 2017 tutti gli aumenti fissi  eventualmente concordati in sede aziendale, verranno automaticamente assorbiti dagli aumenti del contratto nazionale, salvo che siano stati concessi con una clausola espressa di non assorbibilità;

4) dal 1° giugno 2017 le aziende attiveranno a beneficio di tutti i dipendenti piani di flexible benefits per un costo massimo di 100 euro, che diventeranno 150 nel 2018 e 200 nel 2019;

5) dal 1° giugno 2017 le aziende verseranno un’aliquota pari al 2% dei minimi contrattuali, mentre i lavoratori dovranno versare un’aliquota almeno dell’1,2% per avere la previdenza complementare;

6) dal 1° ottobre 2017 le aziende verseranno – fatta salva la facoltà di esercitare rinuncia scritta – per tutti i lavoratori una contribuzione pari a 156 euro annui per l’assistenza integrativa sanitaria;

7) i lavoratori non iscritti al sindacato, saranno chiamati a versare con la modalità silenzio/assenso una quota contratto di 35 euro. Il collaborazionismo sindacale, nelle assemblee, ha parlato di circa 50 euro lordi al 5° livello di eventuale aumento mensile; anche prendendo per buona questa cifra, tolte le tasse e tenendo conto che la maggioranza dei lavoratori è inquadrata ai livelli salariali più bassi, se si compara con gli aumenti già partiti da gennaio del 2017 (luce, gas, trasporti e senza contare i precedenti di tasse e tariffe e quelli futuri), praticamente si è già ben al di sotto di quello che i lavoratori andranno a percepire a giugno.

Si istituiscono l’assistenza sanitaria integrativa e il welfare contrattuale aziendale (una specie di servizio aziendale fornito al lavoratore al posto del salario), quote di salario sottratte all’aumento del salario in busta paga e defiscalizzate dallo Stato borghese e che non incidono più sulle voci della busta paga come ad esempio la pensione, il trattamento di fine rapporto ecc. Come, d’altra parte, si era già iniziato a fare con la previdenza complementare in precedenza, man mano che lo Stato borghese smantella e taglia su tutta una serie di settori (di cui gli operai hanno bisogno perché ormai vecchi o ammalati e non in grado di sostenere lo sforzo in produzione), i proletari dovranno arrangiarsi in qualche modo, solo che, in realtà, essi pagheranno più volte per vedere comunque peggiorare la loro condizione di vita: prima con i contributi versati in busta paga, poi con i ticket e i vari balzelli finalizzati a tenere in piedi i carrozzoni dello Stato borghese, infine con quote di salario che andranno a finanziare società private il cui interesse è, prima di tutto, difendere i loro profitti, nella gestione delle quali beneficeranno sicuramente anche il collaborazionismo sindacale e le sue “aziende”.

E’ previsto un accordo per neutralizzare, con clausole specifiche, eventuali lotte di proletari che volessero uscire dalla formula degli aumenti di salario completamente variabile, per fissarne una quota in busta paga, cancellando di fatto gli aumenti o gli incentivi ottenuti nel passato con le lotte a livello aziendale e che si aggiungevano a quelli del contratto nazionale.

Tenendo conto che già con gli accordi precedenti il contratto nazionale derogava la possibilità a livello aziendale di modificare orari di lavoro, turnazioni, pause a seconda delle esigenze di mercato con meno “ostacoli” nei tempi burocratici di consultazione sindacale e dei lavoratori, certamente il salario e le condizioni di lavoro saranno sempre più differenziate azienda per azienda. Quindi, dall’andamento dell’azienda e dalle necessità del profitto padronale dipenderanno quasi esclusivamente il salario e le condizioni di lavoro. E’ esattamente questo, nella sostanza, che i padroni chiedevano al sindacato collaborazionista anche se, formalmente, rimane ancora in piedi la formula del “contratto nazionale”. A questo proposito, è interessante notare che la Fiom-Cgil firma oggi un accordo che per due contratti separati non aveva firmato perché “in contrasto formale” con le altre due sigle sindacali proprio per “difendere” la contrattazione nazionale.

Per finire, i funzionari dei sindacati tricolore, per questo servizio, si fanno pagare una quota sostanziale del salario di un proletario, servizio che è a totale beneficio dei padroni e del governo borghese, con un meccanismo che non risponde ad una adesione volontaria e si basa spesso sulla voluta disinformazione.

Va anche detto che la consultazione con referendum a scrutinio segreto, svolta dai sindacati tricolore dei metalmeccanici (come d’abitudine ormai da anni) nei giorni 19-20-21 dicembre, non dimostra certamente la volontà di coinvolgere i proletari, ma semplicemente di avere un qualsiasi dato formalmente “democratico” da esibire. Infatti hanno consultato 5.986 aziende per un totale di 678.328 dipendenti, dei quali però solo 350.749 hanno votato e “ben” 276.627 hanno approvato l’accordo (dati esposti in bacheca sindacale e rintracciabili nel sito ufficiale della Fiom-Cgil nazionale), ma i metalmeccanici ai quali verrà applicato il contratto sono circa 1.600.000, il ché significa che circa il 16% è d’accordo… mentre la maggior parte (molti probabilmente schifati da questo sindacato, altri sicuramente indifferenti) ha disertato o non è stata proprio consultata.

Nella maggior parte dei casi i proletari non hanno capito nulla di ciò che spetterà loro con questi accordi, proprio perché sono confezionati con dei meccanismi talmente ingarbugliati che solo gli addetti ai lavori – padronato e sindacati tricolore – possono conoscere. E’ stata così del tutto cancellata, anche a livello nazionale, la pratica per cui si sapeva in anticipo qual era l’aumento salariale richiesto, quanto si era ottenuto al termine della lotta, da quale data decorreva, rimanendo valido fino alla pensione; ora tutto è variabile e viene concordato di volta in volta.

La crisi di sovrapproduzione del capitale, la concorrenza dei mercati internazionali spingono il padronato a ridurre il costo-salario e, contemporaneamente, ad aumentare i ritmi, gli orari e i carichi di lavoro dei proletari, allo scopo di mantenere più alto possibile il loro tasso di profitto. Il collaborazionismo sindacale, avendo acuore, nel suo DNA, il buon andamento dell’economia nazionale e aziendale, prima ancora dei bisogni dei proletari, corre in aiuto al padronato e straccia tutto ciò che era stato ottenuto con le lotte passate.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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