Il Brasile tra crisi economica, rivalità politiche e lotta di classe

(«il comunista»; N° 150; Settembre 2017)

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Con una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti, il Brasile, gigante dell’America latina la cui superficie è il doppio di quella dell’Unione europea, era salito, secondo i dati del PIL (prodotto interno lordo ), al sesto posto  fra i paesi più ricchi del mondo. Da alcuni anni era stato incluso nei BRICS, una categoria giornalistica che aveva l’intento di raggruppare i paesi “emergenti” più dinamici, quelli inevitabilmente destinati, prima o poi, a divenire i primi violini dell’economia capitalista mondiale e che, nel frattempo, ne sono il motore: Brasile, Russia, India, Cina, ai quali è stato poi aggiunto il Sudafrica. Ma la crisi economica mondiale del 2008 ha rimescolato le carte; nessuno parla più dei BRICS, e oggi il Brasile, retrocesso all’8° posto nella scala mondiale, è al suo terzo anno di recessione – la più lunga e più profonda da decenni, cioè dagli anni Trenta del secolo scorso. Dal 2014, data d’inizio dell’ultima crisi, al principio di quest’anno, il PIL è sceso di oltre il 7%, il deficit di bilancio è esploso, il tasso ufficiale di disoccupazione ha raggiunto il livello record di oltre il 13%, che corrisponde a 14 milioni di disoccupati – ma il tasso ufficiale indica solo una parte della realtà, in quanto il vero tasso di disoccupazione (compresa la sottoccupazione) è molto più elevato.

Da una quindicina d’anni, il Brasile è guidato da governi del PT (Partito dei lavoratori), il principale partito della sinistra, il cui leader carismatico è l’ex sindacalista Lula. Il PT, che riunisce responsabili sindacali, cristiani di sinistra, correnti opportunistiche di “estrema” sinistra (trotzkisti e altri) ecc., è nato una trentina d’anni fa, alla fine della dittatura militare, come il partito della collaborazione di classe di cui aveva bisogno la democrazia della “nuova repubblica” per controllare la forte combattività della classe operaia (1).

Dopo avere regolarmente accresciuto i suoi successi elettorali (in particolare vincendo le elezioni comunali nelle grandi città e le elezioni regionali), nel 2002 il PT è arrivato a vincere le elezioni presidenziali. Per farsi eleggere, Lula aveva dovuto convincere la borghesia di possedere davvero la statura di un “uomo di Stato” – vale a dire, di qualcuno in grado di capire e difendere in modo responsabile gli interessi capitalistici, e non solo quella di un demagogo in grado di ingannare i lavoratori, e che si sarebbe inserito nella continuità dei governi precedenti. Fin dal suo arrivo al potere, Lula, alleatosi con partiti borghesi, ha preso delle misure che andavano nel senso desiderato dagli ambienti capitalisti e gradito al FMI: aumento dell’età di pensionamento dei funzionari pubblici da 55 a 60 anni, flessibilità del mercato del lavoro, indipendenza della Banca centrale, saldo del debito (che il PT in precedenza aveva affermato di voler respingere o almeno rinegoziare), abbandono della riforma agraria a vantaggio dello sviluppo dell’agro-businness ecc.

La presidenza di Lula corrispondeva al boom del prezzo delle materie prime sul mercato mondiale, che ha portato a una forte crescita economica del Brasile, che è un grosso esportatore. Ciò ha permesso al governo di finanziare delle misure sociali, fra cui, nel 2005, la Bolsa Familia, una erogazione da parte dello Stato di 30-40 euro al mese alle famiglie più povere (più di 20 milioni di persone ne hanno beneficiato). Queste misure non erano altro, in realtà, che briciole del boom economico vissuto allora dal Brasile (la crescita economica raggiunse, in quel periodo, il 4% all’anno) il cui principale beneficiario fu ovviamente la borghesia; ma questo spiega la popolarità di cui per molto tempo ha goduto, e ancora gode in parte, il PT presso alcuni strati proletari, nonostante la sua politica filocapitalista.tc "La presidenza di Lula corrispondeva al boom del prezzo delle materie prime sul mercato mondiale, che ha portato a una forte crescita economica del Brasile, che è un grosso esportatore. Ciò ha permesso al governo di finanziare delle misure sociali, fra cui, nel 2005, la Bolsa Familia, una erogazione da parte dello Stato di 30-40 euro al mese alle famiglie più povere (più di 20 milioni di persone ne hanno beneficiato). Queste misure non erano altro, in realtà, che briciole del boom economico vissuto allora dal Brasile (la crescita economica raggiunse, in quel periodo, il 4% all’anno) il cui principale beneficiario fu ovviamente la borghesia; ma questo spiega la popolarità di cui per molto tempo ha goduto, e ancora gode in parte, il PT presso alcuni strati proletari, nonostante la sua politica filocapitalista."

Nel 2006 Lula fu tranquillamente rieletto nonostante i vari scandali di corruzione che avevano coinvolto membri eletti e dirigenti del PT, il principale dei quali fu quello del mensalão (la “mensilità” attribuita ai deputati!): il governo aveva comprato i voti di centinaia di parlamentari per far passare le sue leggi. Per formare il proprio governo, Lula si alleò con il partito borghese centrista PMBD (Partito del Movimento Brasiliano Democratico) a cui assegnò importanti ministeri.

La crisi economica internazionale del 2008-2009 è stata sentita anche in Brasile, dove è stata la più pesante dal 1990, particolarmente nella produzione industriale (-7,4% nel 2009). Ma la recessione sembrò non durare molto: nel 2010, infatti, l’economia del paese ha registrato un aumento del PIL del 7,5%! Ma questa fiammata della crescita economica è però ricaduta l’anno successivo.

Poiché la Costituzione brasiliana vieta più di due mandati presidenziali consecutivi, è stata Dilma Roussef, delfino di Lula, a candidarsi e a divenire presidente nel 2011. Data la recessione, le inevitabili misure anti-sociali del governo Roussef, insieme al rallentamento economico, hanno provocato grandi manifestazioni di piazza nel giugno 2013 contro l’aumento dei prezzi dei trasporti; i manifestanti contestavano anche le spese faraoniche per i Mondiali di calcio (nel paese in cui il calcio è sovrano), mentre i finanziamenti per il sistema sanitario e per quello scolastico sono stati carenti. La natura politica piccoloborghese di questo movimento interclassista di piazza emergeva dal divieto delle bandiere rosse e di tutto ciò che potesse evocare un orientamento di sinistra. Dopo aver ottenuto, con la sua pressione, una diminuzione del prezzo dei trasporti a San Paolo, Rio de Janeiro e altre grandi città, quel movimento rifluì, proprio quando cominciavano ad apparire gli scioperi operai.

Nell’ottobre 2014, mentre l’operazione giudiziaria detta Lava Jato (Operazione Autolavaggio) (2) cominciava a svelare l’entità della corruzione dei politici della coalizione governativa (PT,  PMBD) e il Brasile ricadeva nella crisi economica, la Roussef veniva faticosamente rieletta. Durante la campagna elettorale la Roussef aveva moltiplicato le promesse “di sinistra” (anche se aveva scelto come vicepresidente Michel Temer, il leader di PMBD); ma, fin dai primi giorni del suo nuovo mandato, adducendo come motivo la crisi economica e sotto la pressione degli ambienti capitalistici più potenti, lanciò una politica di austerità che, in precedenza, aveva costantemente denunciato per tutta la sua campagna elettorale!

Questa politica di rigore, che non è riuscita però a riequilibrare i bilanci né ad abbassare l’inflazione, è stata senza dubbio un fattore aggravante della recessione. Nel 2015 il PIL è diminuito del 3,8%, la produzione industriale è diminuita dell’8,3%, le esportazioni del 15% e le importazioni del 25%; l’inflazione, così come il deficit di bilancio, ha raggiunto il 10%, mentre il tasso ufficiale di disoccupazione è salito dal 4,84% all’8,5%. È su questo sfondo di crescente crisi economica che il gigantesco scandalo di corruzione riguardante la compagnia petrolifera Petrobras (3), portato alla luce da Lava Jato, ha assunto tutta la sua ampiezza, dimostrando che l’intero sistema politico brasiliano era coinvolto. In una situazione in cui il governo si mostrava incapace di far fronte alle difficoltà economiche, la crisi si è trasformata inevitabilmente in una crisi politica. Screditata agli occhi dei lavoratori, dovendo affrontare le massicce manifestazioni (4) degli strati piccoloborghesi colpiti duramente dalla crisi, paralizzata dalle rivalità politiche alimentate dagli scandali, la presidenza della Rousseff è diventata un fardello sempre più ingombrante per il capitalismo brasiliano. Venne, così, avviato in Parlamento un processo di destituzione della presidente, che, dopo una lunga procedura, si concluse infine nel maggio 2016 (nel frattempo Lula era entrato nel governo per ottenere l’immunità per le accuse di corruzione sollevate contro di lui), e Dilma Roussef fu sostituita dal suo vicepresidente Michel Temer.Il governo del nuovo presidente varò una serie di dure misure di austerità per risistemare le finanze (aumento delle tasse, riduzione delle spese sociali, emendamento della costituzione per congelare per 20 anni la spesa pubblica ecc.) e, contemporaneamente, varò anche l’apertura di linee di credito alle imprese, promettendo misure istituzionali per porre fine alla corruzione. Le riforme di Temer avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del governo, porre rapidamente fine alla crisi e ripristinare la competitività e la redditività del capitalismo brasiliano. Ma nel 2016 l’economia brasiliana ha continuato a peggiorare notevolmente su quasi tutti i piani (PIL -3,6%; produzione industriale -6,5%; deficit di bilancio -9%; esportazioni -3%; importazioni +19,8%;  disoccupazione +12%), ad eccezione dell’inflazione, che è scesa al 6% (a causa delle difficoltà a vendere le merci). Tuttavia, a metà del 2017, questo calo generale sembrava essersi fermato: il governo ha annunciato trionfalmente un tasso annuo di “crescita” leggermente superiore allo.... 0%.

Sono stati i proletari, e i lavoratori in generale, ad essere  presi di mira dalla politica del governo, sono loro ad essere chiaramente destinati a pagare il prezzo della ripresa del capitalismo brasiliano. In tempi di crisi, il capitalismo considera sempre insostenibili le spese sociali per la sanità,  l’istruzione, le pensioni e altro, e intollerabili le misure di “protezione” dei lavoratori e di molti ammortizzatori sociali istituiti in passato per comprare o rafforzare la pace sociale.

 

RIPOSTE DI CLASSE O MANOVRE PRE-ELETTORALI?

 

L’attacco al sistema pensionistico (aumento dell’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 62 per le donne, richiesta di 49 anni di contributi prima della pensione ecc.) era stata la misura più importante per la borghesia (5); ma è anche quella che ha provocato più reazioni, insieme alla riforma del codice del lavoro per aumentare la “flessibilità” del lavoro, vale a dire per piegare ulteriormente  i proletari alle esigenze capitalistiche. Alla metà di marzo, nelle grandi città contro queste riforme erano già avvenute grosse manifestazioni di protesta convocate dai sindacati. Ma è stato alla fine di aprile che le proteste hanno toccato l’apice con il successo dello sciopero generale del 28, convocato da tutti i sindacati, comprese le “pelegas” (i sindacati gialli legati alla destra), dai partiti di sinistra (tra cui il PT) e da molte organizzazioni, anche religiose.

Questa unanimità era legata al vasto malcontento suscitato tra i proletari e le masse popolari dalle “riforme” di Temer; ma si spiega anche con alcune misure che colpiscono direttamente gli apparati sindacali, come l’abolizione del pagamento obbligatorio delle quote sindacali. Successivamente a questo sciopero, il 24 maggio, è stata organizzata a Brasilia una grande marcia, a cui le autorità hanno risposto facendo intervenire l’esercito (che ha sparato proiettili veri, facendo decine di feriti) per mantenere l’ordine; poi, il 30 giugno, è stato indetto un nuovo sciopero generale. Ma si è trattato, in definitiva, solo di una giornata di manifestazioni, in cui hanno scioperato soltanto insegnanti e bancari. In effetti, le grandi centrali sindacali non hanno indetto scioperi o si sono mobilitate poco. È questo il caso della CUT (Centrale Unica dei Lavoratori), la più importante confederazione sindacale brasiliana, costituita una trentina d’anni fa sulla spinta delle lotte sindacali sotto la dittatura (durata dal 1964 al 1984). Da allora la CUT ha dimostrato la sua efficacia nella collaborazione di classe e rappresenta il principale  punto di sostegno del PT.

Alla testa dell’attuale movimento di opposizione alle riforme di Temer, la CUT cerca essenzialmente di evitare che questa opposizione si trasformi in una vera lotta di classe, ragion per cui ha di fatto sabotato lo sciopero generale del 30 giugno che era stata costretta a convocare. Preferisce ovviamente deviare il malcontento in un movimento con obiettivi elettorali, in altre parole, spingerlo verso il vicolo cieco del sistema politico borghese. Dietro agli slogan Fora Temer!  (fuori Temer!), Diretas já! (elezioni dirette immediate!) o alla denuncia della destituzione della Roussef come se si fosse trattato di un colpo di stato contro la Costituzione, la CUT e il PT, in realtà preparano le elezioni presidenziali del prossimo anno. Lula, recentemente condannato a 9 anni di carcere per corruzione, ha presentato appello contro questa sentenza ed ha già iniziato la campagna elettorale mentre i sondaggi gli danno un punteggio elevato (la sua elezione, fra l’altro, gli garantirebbe l’immunità!).

Nel momento in cui il governo Temer, indebolito dalle rivelazioni sulla corruzione anche di quest’ultimo (6) e al massimo grado di impopolarità (7), non è ancora riuscito a far passare, in un parlamento diviso, il suo attacco contro le pensioni, la CUT, giocando abilmente il suo ruolo di pompiere sociale, rende un ottimo servizio non solo all’ordine borghese in generale, ma al governo stesso, proteggendolo in pratica della rabbia proletaria. La CUT è aiutata nel suo sporco lavoro antiproletario dalle organizzazioni che si proclamano “rivoluzionarie” o “socialiste”; non parliamo solo dei neo-stalinisti nazionalisti del PC do B (Partito Comunista del Brasile) che faceva parte della coalizione di governo, ma del PSOL (Partito Socialismo e Libertà, scissione del PT, raggruppamento eterogeneo di diverse correnti riformiste, in particolare trotskisti), principale partito a sinistra del PT, che non va oltre la richiesta di elezioni dirette per espellere Temer; o del PSTU (Partito socialista unificato dei lavoratori, partito trotskista affiliato alla LIT-QI , Liga Internacional de los Trabajadores- Quarta Internazionale), che propone una “soluzione operaia e socialista per il Brasile”, mescolando la lotta contro gli attacchi antiproletari del governo con la difesa della “sovranità nazionale “(8) – rivendicazione quanto mai borghese! Parla di un “governo socialista dei lavoratori”, ma senza mai dire che un tale governo non può nascere che dalla rivoluzione…

La lotta contro la corruzione è stata innegabilmente utilizzata dalle forze borghesi nel quadro delle rivalità che lacerano la classe dirigente (il governo Temer sta attualmente cercando di fermare questa lotta) (9); ma il proletariato trova e troverà contro di sé una borghesia unita per accrescere il suo sfruttamento e per accentuare la repressione; trova e troverà contro di sé anche i falsi partiti operai e le centrali sindacali collaborazioniste. Il prossimo futuro vedrà raddoppiare gli attacchi contro le sue condizioni di esistenza e di lavoro; per poter resistere a questi attacchi, dovrà ritrovare, contro tutti i falsi amici, la via della lotta di classe, la via della ricostituzione delle sue organizzazioni di difesa immediata classiste, ma anche della ricostituzione del suo partito di classe. È un compito difficile ma indispensabile per poter passare domani al contrattacco contro il capitalismo, per poter rendere reali gli slogan antiriformisti e antielettorali:

 

Fora Capitalismo!, Revolução já!

Fuori il capitalismo, rivoluzione ora!

 

10/9/2017


      

(1) Cfr “A função do PT”, Proletario n° 1 (maggio 1982), consultabile sul nostro sito.

(2) Partito da un’inchiesta sul riciclaggio di denaro, il caso ha rivelato una vasta rete di tangenti che coinvolgevano importanti gruppi delle costruzioni e dei lavori pubblici (BTP, Bâtiment et travaux publics) e la società Pretrobras. Questa operazione detta di “Autolavaggio” può essere assimilata a quella italiana detta delle “Mani Pulite”. Nel giugno 2015 l’inchiesta è stata estesa al gruppo del BTP Odebrecht, il cui proprietario sarà condannato a 19 anni di carcere. Le confessioni dei dirigenti della società coinvolgeranno l’intero orizzonte politico brasiliano (tra cui Lula) e si estenderanno all’estero: al Venezuela, ma anche alla Francia, dove nell’ottobre 2016 è stata ufficialmente aperta un’inchiesta per fatti di corruzione nella vendita di sommergibili in Brasile. Ma questa inchiesta francese è particolarmente degna di nota... per la sua discrezione.

(3) La Petrobras è un’impresa petrolifera di proprietà dello Stato tra le più grandi compagnie del settore al mondo. Come tutte le imprese di questo tipo, serve come mucca da mungere per tutta una serie di parassiti, di politici, di piccole grandi imprese ecc.

(4) Nel marzo 2015 quasi due milioni di persone manifestavano contro la corruzione e chiedevano le dimissioni della Roussef. Un anno dopo, nel marzo del 2016, erano più di tre milioni a chiedere la sua destituzione. L’indecente livello di  corruzione delle élite indigna giustamente i proletari e i piccoloborghesi; ma la corruzione è figlia legittima del capitalismo, un sistema in cui tutto si compra e tutto si vende, ed è presente in tutti i paesi: un capitalismo pulito e onesto è un pio desiderio. In alcuni paesi, però,la corruzione raggiunge livelli tali da pregiudicare il buon funzionamento del capitalismo aumentando a dismisura i costi dei suoi meccanismi. Ciò spiega la necessità per i capitalisti, non di eradicare la corruzione, ma almeno di limitarla.

(5) La media attuale era di 54 anni, ora portata a 65, mentre gli anni di contributi prima erano 30, ora dovrebbero diventare 49! Cfr. “il fatto quotidiano”, 8/5/2017. Secondo la Banca Mondiale, le pensioni rappresenterebbero quasi un terzo della spesa pubblica del Brasile. Per un capitalismo in difficoltà, tagliare queste spese è dunque, per usare le parole della Banca Mondiale: “necessario e urgente”. Cfr. World Bank Staff Note, 13/4/2017.

(6) Gli organi di informazione del gruppo Globo (gruppo leader dei media brasiliani) hanno rivelato, nel mese di maggio, che l’indagine su fatti di corruzione che coinvolgevano la società JBS (colosso dell’agroalimentare e principale impresa mondiale nella trasformazione della carne), coinvolgeva Temer. La società aveva comprato dei funzionari per agevolare la produzione di carne avariata; il suo padrone ha riconosciuto aver pagato quasi 2000 politici.

(7) Secondo i sondaggi, Temer ha avuto solo il 5% di pareri favorevoli, mentre più dell’80% degli intervistati erano favorevoli al fatto che venisse processato.

(8) Editoriale di Opinião Socialista,  n. 542 (6/9/17).

(9) All’inizio di agosto il parlamento ha respinto la destituzione di Temer; in giugno il suo governo aveva deciso di rimuovere il gruppo di giudici anti-corruzione noto come “Lava Jato”. Questa tregua ottenuta da Temer dovrebbe permettergli di dedicarsi a far passare le sue riforme.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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