L’imperialismo fase suprema del capitalismo

(Prefazione alle edizioni francese e tedesca)

(«il comunista»; N° 158; Marzo 2019)

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Una prefazione di Lenin a L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo

Questa prefazione alle edizioni francese e tedesca, che Lenin scrisse nel 1920, fu pubblicata per la prima volta nella rivista “L’Internationale Communiste”, Organe du Comité Exécutif de l’Internationale Communiste (n. 18, ottobre 1921) col titolo: Impérialisme et capitalisme. Non è mai stata inserita nei volumi delle Opere complete di Lenin, in italiano, edite da Editori Riuniti. Lo facciamo noi ora, con nostra traduzione dal francese.

 

 

I

 

Questo opuscolo, come indicato nella prefazione all’edizione russa, è stato scritto nel 1916, mentre imperversava la censura zarista. Non abbiamo il tempo, ora,  per rimaneggiarlo; d’altronde sarebbe inutile perché lo scopo fondamentale dell’opera era e resta quello di dimostrare, sulla scorta di incontestabili dati statistici borghesi e delle ammissioni degli esperti borghesi di tutti i paesi, qual era il quadro complessivo dell’economia capitalistica mondiale, nei suoi rapporti internazionali all’inizio del XX secolo, alla vigilia della prima guerra imperialista mondiale.

Inoltre, non sarà inutile che molti comunisti dei paesi capitalisti più progrediti si convincano, attraverso questo libro, autorizzato dalla censura zarista, della possibilità, ma anche della necessità, di servirsi delle ultime garanzie legali che ancora esistono per i comunisti, in paesi come l’Inghilterra o la Francia dove tali garanzie sono state recentemente  soppresse, allo scopo di smascherare tutte le menzogne delle visioni socialpacifiste e delle speranze nella “democrazia mondiale”. In questa prefazione, mi limiterò a fornire le integrazioni indispensabili a questo libro scritto in regime di censura.

 

II

 

Questo libro dimostra che la guerra del 1914-1918 è stata, per i due belligeranti, imperialista (cioè guerra di conquista, di brigantaggio, di rapina), una guerra per la spartizione del mondo, per una nuova spartizione delle colonie, delle “sfere di influenza” del capitale finanziario ecc.

La dimostrazione del carattere eminentemente sociale o, più esattamente, del carattere classista della guerra, non è contenuta, naturalmente, nella storia diplomatica della medesima, ma nell’analisi della situazione obiettiva delle classi dirigenti in tutti i paesi belligeranti. Per rappresentare questa situazione oggettiva non bisogna prendere esempi o dati isolati (poiché nell’immensa  complessità dei fatti della vita sociale si possono sempre trovare sufficienti esempi e dati isolati per confermare qualunque tesi), ma l’insieme dei dati esistenti sulla base della vita economica di tutte le potenze belligeranti e di tutto il mondo.

Sono proprio questi dati irrefutabili che ho riportato nella tabella della spartizione del mondo nel 1876 e nel 1914 (vedi paragrafo VI) e della ripartizione delle ferrovie in tutto il mondo nel 1890 e nel 1913 (vedi paragrafo VII). Le ferrovie sono il risultato delle principali branche dell’industria capitalistica, rappresentate dall’industria carbonifera e da quella siderurgica, e sono gli indicatori più significativi dello sviluppo del commercio mondiale e della civiltà borghese democratica. In che modo le ferrovie siano legate alla grande industria, ai monopoli, ai sindacati, ai cartelli, ai trust, alle banche, all’oligarchia finanziaria, lo spiego nei capitoli precedenti del mio libro. La ripartizione della rete ferroviaria esistente, l’ineguaglianza di questa ripartizione, lo squilibrio nello sviluppo delle ferrovie sono il risultato del monopolio mondiale del capitalismo contemporaneo. E questi risultati dimostrano l’assoluta inevitabilità delle guerre imperialiste finché permarrà l’attuale base economica, cioè finché esisterà la proprietà privata dei mezzi di produzione.

La costruzione delle ferrovie sembra un’impresa semplice, naturale, democratica e civilizzatrice: tale appare infatti agli occhi dei professori borghesi, stipendiati per camuffare la schiavitù capitalistica, e allo spirito superficiale dei piccoloborghesi. In realtà, i legami capitalistici che a migliaia collegano queste imprese alla proprietà privata dei mezzi di produzione, hanno trasformato la costruzione delle linee ferroviarie in uno strumento di oppressione di un miliardo di uomini nei paesi asserviti (colonie e semicolonie), cioè di oltre la metà della popolazione dei paesi asserviti, e di tutti gli iloti del Capitale nei paesi “civilizzati”.

La proprietà privata, fondata sul lavoro del piccolo proprietario, sulla libera concorrenza, sulla democrazia, parole con cui i capitalisti e la loro stampa abbindolano  gli operai e i contadini non sono altro che parole prive di senso. Il capitalismo si è trasformato in un sistema mondiale di sfruttamento coloniale e di oppressione finanziaria della schiacciante maggioranza della popolazione del mondo da parte di alcuni paesi “avanzati”. E la spartizione del “bottino” avviene fra due o tre potenti rapaci (America, Inghilterra, Giappone) che, armati da capo a piedi, trascinano il mondo intero nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino.

 

III

 

La pace di Brest-Litovsk (1), imposta dalla Germania monarchica, così come la pace di Versailles (2), ancora più feroce e abietta, imposta dalle repubbliche “democratiche” americana e francese e dalla “libera Inghilterra”, hanno reso all’umanità un servigio fra i più preziosi, smascherando i mercenari al soldo dell’imperialismo e i piccoloborghesi reazionari, anche se si proclamavano pacifisti e socialisti inneggiando al “wilsonismo” (3), che si  davano da fare per dimostrare che pace e riforme sono possibili sotto il regime dell’imperialismo.

La guerra, con le sue decine di milioni di morti e di feriti, fatta per decidere a quale dei due gruppi di squali della finanza, tedesco o inglese, dovesse andare la parte più grossa del bottino, insieme ai due “trattati di pace” aprono gli occhi, con inaudita rapidità, a milioni e decine di milioni di uomini oppressi, umiliati, ingannati, imbrogliati dalla borghesia. E così, la rovina mondiale, frutto della guerra, genera una crisi rivoluzionaria mondiale che, quali che possano essere le sue fasi di sviluppo, non potrà che portare alla rivoluzione proletaria e alla sua vittoria.

Il Manifesto di Basilea della II Internazionale che, nel 1912 (4), caratterizzava giustamente non la guerra in generale (le guerre sono diverse, e ce ne sono anche di rivoluzionarie), ma la guerra che poi scoppiò nel 1914, è rimasto un monumento durevole, mettendo a nudo il vergognoso fallimento  dei rinnegati della II Internazionale.

Per questo motivo, ripropongo tale manifesto in appendice alla presente edizione e riporto ancora una volta all’attenzione del lettore il fatto che gli eroi della II Internazionale evitano accuratamente  – così come il ladro evita il luogo del furto – i passaggi di questo manifesto in cui si parla in modo chiaro, preciso, senza mezzi termini, del legame tra questa guerra imminente e la rivoluzione proletaria.

 

IV

 

In quest’opuscolo ho dedicato un’attenzione particolare alla critica del “kautskismo”, corrente ideologica internazionale rappresentata in tutti i partiti del mondo dai “teorici più in vista”, i capi della II Internazionale (in Austria Otto Bauer e i suoi adepti, in Inghilterra Ramsay MacDonald e altri, in Francia Albert Thomas ecc.) e da un gran numero di socialisti, riformisti, pacifisti, democratici borghesi e baciapile.

Questa corrente è, da una parte, il prodotto della rovina, della putrefazione della II Internazionale e, dall’altra, il risultato inevitabile dell’ideologia dei piccoloborghesi che per tutta la vita restano prigionieri dei pregiudizi borghesi e democratici.

I punti di vista di Kautsky e dei suoi simili rappresentano la completa negazione delle basi rivoluzionarie del marxismo difese dallo stesso Kautsky per decenni, specialmente, fra l’altro, nella lotta contro l’opportunismo socialista (Bernstein, Millerand, Hyndman, Gompers ecc.). Non è dunque un caso che i “kautskiani” in tutto il mondo si siano ora fusi politicamente con gli opportunisti dichiarati (attraverso la II Internazionale gialla) e con i governi borghesi (nei governi borghesi a cui partecipano i socialisti).

Il movimento proletario rivoluzionario, e specialmente il movimento comunista, in continua crescita in tutto il mondo, non possono lasciar passare, senza analizzarli e smascherarli, gli errori teorici del “kautskismo”. Tanto più che il pacifismo e il “democratismo”, che non si vantano di essere marxisti, ma che, come Kautsky e compagni, nascondono la profondità delle contraddizioni dell’imperialismo e l’inevitabilità della crisi rivoluzionaria che ne deriva, sono ancora estremamente diffusi in tutto il mondo. La lotta contro queste correnti è imprescindibile per il partito del proletariato, che ha il dovere di combatterle per strappare alla borghesia i milioni di piccoli proprietari e lavoratori ingannati, e che si trovano in condizioni di vita più o meno piccoloborghesi.

 

V

 

Occorre aggiungere qualche parola a proposito del capitolo 8: Parassitismo e putrefazione del capitalismo. Come segnalo in questo libro, Hilferding, ex marxista, oggi emulo di Kautsky e uno dei principali rappresentanti della politica borghese, riformista in seno al Partito socialdemocratico indipendente tedesco (5), resta indietro, su tale questione, rispetto all’inglese Hobson, pacifista e riformista dichiarato (6). La scissione internazionale del movimento operaio si è ormai manifestata in tutta la sua ampiezza (II e III Internazionale). Abbiamo assistito anche alla lotta armata e alla guerra civile tra le due correnti: in Russia, i menscevichi e i “socialisti-rivoluzionari” hanno combattuto con Kolchak e Denikin (7) contro i bolscevichi; in Germania, gli scheidemanniani e i Noske (8) si sono alleati con la borghesia contro gli Spartachisti; la stessa cosa è accaduta in Finlandia, in Polonia e in Ungheria. Su cosa poggia dunque la base economica di questo fenomeno di importanza storica mondiale?

Precisamente sul parassitismo e sulla putrefazione del capitalismo all’apice del suo sviluppo storico, vale a dire del capitalismo giunto all’imperialismo. Come dimostra questo libro, il capitalismo attualmente ha messo in primo piano un gruppetto (meno di un decimo della popolazione mondiale, o addirittura meno di un quinto) di Stati particolarmente ricchi e potenti che mediante la semplice operazione del “taglio delle cedole”, all’epoca fisse, depreda il mondo intero. L’esportazione dei capitali rende annualmente, secondo le statistiche borghesi precedenti la guerra, da 8 a 10 miliardi di franchi. Ora, naturalmente, queste cifre devono essere considerevolmente maggiori.

È evidente che è possibile contare su questo gigantesco plusvalore (in quanto non rientra nel profitto che i capitalisti ricavano spremendo gli operai del proprio paese) per comprare i capi operai. Questo è ciò che fanno i capitalisti dei paesi avanzati, che corrompono questi capi e questi operai con mille mezzi, diretti o indiretti, aperti o mascherati.

Questo strato di operai imborghesiti, questa aristocrazia operaia, borghese per il suo modo di vita, per i salari percepiti, per tutta la sua ideologia, costituisce il bastione della II Internazionale, e oggi,  il principale appoggio sociale (ma non militare) della borghesia. In quanto questi operai sono i veri agenti della borghesia nel movimento operaio, i luogotenenti della classe capitalista fra gli operai, i veri pionieri del riformismo e dello sciovinismo. Nella guerra civile del proletariato contro la borghesia, un gran numero di loro si pone inevitabilmente dalla parte della borghesia, dalla parte  dei “versagliesi” contro i “comunardi”.

Se non si comprendono le radici economiche di questo fenomeno, se non se ne valuta l’importanza politica e sociale, non è possibile fare nemmeno un passo verso la soluzione dei compiti pratici del movimento comunista e della rivoluzione sociale.

L’imperialismo è la vigilia della rivoluzione sociale del proletariato. A partire dal 1917, se n’è avuta conferma in tutto il mondo.

 

N. LENIN

 

6 luglio 1920

 


 

(1) La pace di Brest-Litovsk, tra la Germania e la Russia sovietica (conclusa il 3 marzo 1918),  che quest’ultima intendeva trattare per finirla con la guerra, fu costretta a lasciare che la Germania si annettesse molti territori della Russia zarista occidentale (Polonia, Lituania, Curlandia, Livonia, Estonia ecc.), in più, dovette riconoscere “l’indipendenza” dell’Ucraina che, di fatto, veniva inglobata nella sfera di influenza degli Imperi centrali, e dovette sottostare a durissime condizioni economiche.

(2) Con la pace di Versailles (iniziata il 28 giugno 1919 e conclusa tra aprile e maggio del 1922) la Germania, persa la guerra, dovette subire condizioni durissime. Dal punto di vista economico, solo le riparazioni di guerra richieste dagli imperialismi vincitori (Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Italia) furono fissate a un totale di 132 milardi di marchi oro, che nel 1932 furono però ridotti a 3 miliardi di marchi oro, mai in realtà pagati dal Terzo Reich, e saldati totalmente nel 2010! Dal punto di vista politico e militare, ovviamente furono tolte alla Germania tutte le sue colonie africane e asiatiche e ridistribuite fra gli imperialismi vincitori, obbligandola a ridurre le proprie forze armate a 100.000 uomini, con drastici tagli dell’attrezzatura militare sia di terra che navale escludendo totalmente l’aviazione militare. Condizioni ritenute dalla Germania umilianti e che contribuirono, in parte, alla tentata rivincita dell’imperialismo tedesco rispetto agli imperialismi occidentali nella seconda guerra mondiale.

(3) Gli Stati Uniti all’inizio della prima guerra mondiale si mantennero neutrali, ma decisero di intervenire in alleanza con gli imperialisti dell’Intesa all’inizio di aprile 1917. Thomas Woodrow Wilson, presidente americano, è noto per i suoi 14 punti, proposti agli alleati prima della fine della guerra, con l’idea di attuare una politica mondiale con l’obiettivo di eliminare la possibilità di un’altra guerra mondiale, attraverso un consesso mondiale chiamato Società delle Nazioni nel quale i contrasti interimperialisti potessero essere sanati prima di giungere allo scontro militare. Uno dei punti caratteristici si riferiva all’autodeterminazione attraverso la quale i paesi più deboli si autogovernassero e fossero in ogni caso protetti dai paesi più forti in caso di aggressione. Il pacifismo wilsoniano fu presto smentito, non solo per l’impotenza assoluta della Società delle Nazioni a pacificare un mondo in cui dominava l’imperialismo, ma anche perché le ragioni economiche e politiche di ogni imperialismo non potevano che riproporre la messa in discussione della spartizione del mondo uscita dalla prima guerra mondiale, guarda caso, con la preparazione e lo scoppio della seconda guerra mondiale.

(4) A Basilea, il 24-25 novembre 1912, fu tenuto un congresso straordinario della Seconda Internazionale, sollecitato dalla guerra nei Blacani e dalla minaccia di una successiva guerra europea. Il Manifesto cui si riferisce Lenin fu sottoscritto da tutti i partiti socialisti membri dell’Internazionale. Esso denunciava chiaramente la caratteristica imperialista della guerra imminente e impegnava tutti i partiti socialisti alla lotta contro la guerra. Come sappiamo, la stragrande maggioranza dei partiti socialisti – salvo il partito bolscevico, il partito serbo e il partito socialista italiano – rinnegarono la propria storia e il proprio impegno, solidarizzando ognuno con la borghesia del proprio paese.

(5) Sul Partito socialista indipendente tedesco, l’USPD, vedi la nostra Storia della Sinistra comunista, vol. II, cap. VIII, in particolare da pag. 442 a pag. 478.

(6) Hobson era un fabiano, era infatti membro della Fabian Society fondata da intellettuali borghesi a Londra nel 1884. Questa associazione sosteneva che il proletariato potesse elevarsi e diventare classe dirigente della società adottando una tattica gradualistica e temporeggiatrice, tattica che ricordava la politica militare del console romano Quinto Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore, che nella guerra contro Annibale adottò una strategia attendista di lento logoramento, cosa che, alla fine, permise a Scipione l’Africano di battere il cartaginese nella battaglia decisiva.

(7) Kolciak, ammiraglio zarista a capo di truppe antisovietiche scatenate dal 1918 contro il potere bolscevico, si installò in Ucraina e in Siberia ma, alla fine fu sconfitto e venne fucilato nel 1920. Denikin, generale zarista, con le sue truppe bianche occupò parte della Russia meridionale, ma non riuscì a dirigersi verso Mosca e, alla fine, venne battuto dalle truppe bolsceviche di Budionny.

(8) Scheidemann fu capo della destra della socialdemocrazia tedesca, votò naturalmente i crediti di guerra a favore dell’entrata in guerra della Germania, partecipò al governo provvisorio dopo la proclamazione della repubblica e fu tra i promotori della repressione dell’insurrezione proletaria del gennaio 1919. Noske, anch’egli esponente della destra socialdemocratica tedesca, fu uno dei più risoluti repressori del movimento proletario e insurrezionale dell’ottobre 1918 a Kiel e uno dei sanguinari repressori del moto spartachiano del gennaio 1919 decidendo l’asassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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