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Grazie alla diga italiana in Etiopia, dove prima le terre erano piene di grano ora c'è solo la morte!

(«il comunista»; N° 160 ; Luglio 2019)

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Come avviene per le ex colonie francesi o inglesi, così avviene anche per le ex colonie italiane: l'imperialismo italiano moderno, come già il vecchio colonialismo italiano, è spinto a trarre i maggiori profitti possibili dallo sfruttamento delle risorse naturali, minerarie e umane delle vecchie colonie. E' il caso dell'Etiopia.

L'Etiopia è il secondo paese più popoloso dell'Africa, dopo la Nigeria, e negli ultimi anni ha registrato una crescita del Pil ad una media che supera l'8%. "Piatto ricco mi ci ficco", dicono i giocatori di poker. Ed è quel che ha fatto in Etiopia la Salini-Impregilo, un colosso delle costruzioni di infrastrutture. Dal 2000 sta realizzando un progetto, commissionato dal governo etiope, che prevede la costruzione di ben 5 dighe, 3 delle quali sul fiume Omo, nel sud del paese. Finora la Salini-Impregilo ha costruito le tre dighe lungo il fiume (nel 2016 ha inaugurato la terza, la Gibe III, che risulta essere finora la più grande di tutta l'Africa), ed è  passata alla fase successiva del piano di sviluppo idroelettrico con la costruzione di una quarta diga Gibe, a Koysha nel nord del paese (1). Ciò farà dell'Etiopia uno dei primi produttori energetici del continente; dunque, non solo potrà sviluppare il proprio apparato industriale, ma sarà in grado di esportare energia elettrica nei paesi confinanti (Sudan, Sud-Sudan, Kenya, Gibuti, Eritrea, Somalia e magari anche Arabia Saudita). Non per niente, naturalmente dopo la Cina, leader commerciale in tutti i paesi del Corno d'Africa, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele e Russia sono i paesi che hanno maggiori interessi nella vasta regione, seguiti a loro volta da Turchia e Qatar. Ciò significa che anche la particolare cerniera tra l'Africa e il Medio Oriente, costituita dal Canale di Suez, dal Mar Rosso, dallo stretto di Bab el Mandeb e dal Golfo di Aden che si apre sull'Oceano Indiano, è destinata a diventare una zona delle tempeste nella quale si concentreranno i contrasti sia tra i paesi della regione sia tra le potenze imperialistiche che si dividono l'influenza sull'intera area.

Greenreport.it ricorda che la Valle dell'Omo, in Etiopia, e del Lago Turkana, dove l'Omo sfocia, in Kenya, è la regione considerata la culla dell'evoluzione umana, ed è anche un'area di eccezionale biodiversità che conta due siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'Unesco e 5 grandi parchi nazionali. Vi hanno sempre abitato diverse tribù indigene, i Kwegu, i Bodi, i Daasanach, i Mursi che sono sempre vissute su un sistema agro-pastorizio basato sulle piene spontanee del fiume e sulla pesca nel lago Turkana. L'impatto degli impianti idroelettrici sulle popolazioni locali e sull'ambiente, secondo la Ong Survival International, è stato tale da mettere alla fame quasi un milione di abitanti della Valle dell'Omo, e la situazione peggiorerà. Naturalmente la Salini-Impregilo risponde che l'impatto imputabile alla costruzione delle dighe è minimo e viene largamente compensato dalla capacità produttiva di energia elettrica che deriva da quelle dighe. Come sempre, l'avanzata irrefrenabile del capitale guarda prima di tutto al profitto giustificandone i "danni collaterali".  Sta di fatto che dove prima c'erano campi di cereali e foraggio per il bestiame ora l'acqua è sparita. L'acqua dell'Omo non arriva più, oltretutto in una zona dal clima ostile e arido - anche se il governo aveva promesso di rilasciare periodicamente acqua dalle dighe per inondazioni controllate, cosa mai avvenuta. Infatti, la diga Gibe III impedisce la piena del fiume e le esondazioni stragionali grazie alle quali gli indigeni della Valle dell'Omo riuscivano un tempo a sopravvivere.

Bibala, della comunità Mursi, dichiarava all'Oakland Institute che, prima della costruzione della diga, "la terra era piena di grano (...). Ora l'acqua è sparita e siamo tutti affamati. Dopo ci sarà la morte" (2).

Che ha fatto il governo etiope? Ha spinto le popolazioni locali a spostarsi in villaggi prefabbricati o a emigrare in altre parti del paese o in altri paesi perché le terre in cui abitavano sono state trasformate in piantagioni industriali di cotone e di canna da zucchero da esportazione o per la produzione di biocarburante.

Che ha fatto la Salini-Impregilo? Si è attenuta strettamente ai contratti stipulati con il governo etiope, ben sapendo che i suoi impianti avrebbero tolto completamente l'acqua alle popolazioni locali. Ciò che è importante è che l'impianto idroelettrico di Gibe III e il prossimo del Grand Ethiopian renaissance Dam sul Nilo Azzurro (a nord della capitale, vicino al lago Tana) permetterà all'Etiopia di imporsi come leader nella produzione di energia nel panorama africano (3). Solo la diga di Kyosha frutterà al colosso italiano delle costruzioni 2,5 miliardi di euro.

Che importa se, da quando sono iniziate le fasi di riempimento del bacino della diga Gibe III, agli inizi del 2015, sono state fermate per sempre le esondazioni naturali del fiume Omo, da cui dipendono la straordinaria biodiversità del territorio e la sicurezza alimentare di almeno 100.000 indigeni in Etiopia e di circa 300.000 indigeni kenioti attorno al lago Turkana - che rischia prima o poi di prosciugarsi del tutto -? A partire dal 2011 molte comunità etiopi hanno perso l'accesso a parte dei loro territori, da cui sono stati sfrattati a forza dal governo senza essere state nemmeno consultate preventivamente, come previsto per legge. Così dichiarava la Ong Survival International nel novembre 2017 (4).

Al capitale italiano importa fare affari e lucrare sulla debolezza delle popolazioni indigene che non hanno avuto la forza di opporsi; al capitale etiope importa svilupparsi, con il contributo del capitale estero,  per avere più forza nel dominare il proprio paese ed aumentare il proprio peso economico e politico nel Corno d'Africa del quale è la nazione più grande, più popolosa, più forte e le cui mire di influenza vengono ancor più rafforzate dalla potenza energetica che sta raggiungendo. Senza energia elettrica non c'è sviluppo capitalistico, questo ormai lo sanno anche i sassi.

Ci vanno di mezzo centinaia di migliaia di esseri umani, intere popolazioni vengono violentemente proletarizzate e precipitate nella fame o nel lavoro salariato che può essere dato solo i capitalisti; non hanno molte vie d'uscita: o piegarsi allo sfruttamento capitalistico, sia che restino nel paese sia che emigrino, o ribellarsi, organizzandosi come classe salariata contro la classe capitalistica, in Etiopia o in qualsiasi altro paese.

 


 

(1) Cfr. 23.11.2017, www. greereport.it/ news/ energia/ etiopia- un-anno- l'inaugurazione- della-diga- gibe-iii- arriva-linchiesta-rai/. Cfr anche www. repubblica.it/ solidarieta/ diritti-umani/ 2016/03/25/news/etiopia-136266761

 (2) Cfr. www.greenme.it/informarsi/ambiente/diga-italiana-etiopia-ha-annientato-indigeni/, 29 giugno 2019.

(3) Cfr. www.salini-impregilo.com/lavori/in-corso/dighe-impianti-idroelettrici/Koysha-hydroelectric-project.html

(4) Cfr. www.greenreport.it/news/energia/etiopia, cit.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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