Sul caso Sea Watch 3 e altre navi Ong

Che cosa nasconde la guerra che i governi borghesi, fra cui quello italiano, fanno ai migranti e alle Ong che salvano naufraghi nel Mediterraneo e a tutti coloro che li aiutano a varcare i “sacri confini”?

(«il comunista»; N° 160 ; Luglio 2019)

 Ritorne indice

 

 

Da anni, in tutti i paesi d’Europa, i vari governi conducono una vera e propria guerra contro i migranti che provengono dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia.

I portavoce delle classi dominanti borghesi, i difensori dello sfruttamento più bestiale delle masse lavoratrici dei paesi capitalisticamente più deboli, i propagandisti prezzolati dell’odio sociale e razziale, parlano di «invasione», di masse di «clandestini» che si accalcano ai confini dei paesi ricchi e civili portando malattie e delinquenza, di difesa con tutti mezzi legali a disposizione, pacifici e militari, del nostro vivere civile e delle nostre leggi, di alzare muri contro i barbari, di respingere con ogni mezzo le masse migranti che non vogliono morire a casa loro, e non hanno alcuno scrupolo a lasciarle morire nei tentativi di attraversare il mare o i confini di terra!

 

LA «PAURA DI CLASSE»

 

La borghesia, nella sua superba prepotenza di classe sfruttatrice del lavoro umano e delle risorse naturali, è classe dominante perché detiene in ogni paese il potere economico, politico e militare a difesa dei suoi interessi di classe in una società che è costruita sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sull’appropriazione privata dell’intera produzione sociale. Tutti i componenti della classe borghese, dall’azionista miliardario delle grandi multinazionali al più piccolo commerciante, sono guidati in ogni loro azione dalla spasmodica ricerca del guadagno personale, del profitto capitalistico, cercando di ritagliare per sé un guadagno sempre più grande e una quota di profitto sempre più consistente, o di difendere l’esistente, in termini di privilegio sociale e di benessere.

La ricchezza di un paese è prodotta dal lavoro salariato, perché è dal lavoro salariato che il capitale estorce il plusvalore; senza lavoro salariato non esisterebbe produzione capitalistica, senza capitale non esisterebbe lavoro salariato: vivono e muoiono insieme, e la fine di questo rapporto può decretarla soltanto la rivoluzione politica e sociale ad opera dell’unica classe sociale che non ha alcun interesse nel mantenere in vita il regime capitalistico di sfruttamento, la classe proletaria, la classe dei senza riserve, dei produttori che non possiedono nulla. E’ di questa classe, è della sua lotta contro l’ordine stabilito, è della sua rivoluzione che le classi borghesi di tutto il mondo hanno paura. E questa vera e propria «paura di classe» si esprime in tutte le leggi di tutti i paesi in difesa della sacra proprietà privata, del sacro capitale, del sacro Stato che li sostiene, e in tutta la propaganda e in tutte le azioni di odio sociale e razziale che infarciscono tutti i discorsi e tutte le azioni volte a piegare le masse proletarie al rispetto di quelle leggi; salvo stracciarle tutte le volte che gli interessi di classe borghesi sono messi in pericolo dalla concorrenza tra Stati e tra imperialismi volta a conquistare ulteriori territori economici per i propri capitali, o a difenderli dai tentativi di conquista di capitali e Stati stranieri.

La «paura di classe», che sta alla base dell’odio sociale e razziale delle borghesie di ogni paese, è il terreno su cui si impianta la paura dello straniero, la paura dell’invasione (invasione di merci, invasione di uomini, invasione di capitali), la paura di perdere i beni e i privilegi accumulati a causa di quell’invasione; i poteri borghesi, così, possono passare facilmente ad individuare, di volta in volta, gli Stati «nemici», gli Stati «aggressori» e gli strati sociali contro cui sguinzagliare i propri sgherri: si tratti di ebrei, di rom, di omosessuali, di drogati, di neri, di arabi, di migranti... o di comunisti. Che questo tipo di propaganda attecchisca soprattutto nelle masse piccoloborghesi e negli strati dell’aristocrazia operaia, che sono molto vicini, per stile di vita e mentalità alla piccola borghesia, è un dato storico inconfutabile. La «paura di classe» che esprimono la borghesia e la piccola borghesia, per le ragioni materiali che abbiamo appena ricordato, non attecchisce nelle masse proletarie, nelle masse dei senza riserve e dei diseredati, sempre per ragioni materiali, ma opposte: non hanno nulla da perdere in questa società! 

I borghesi si chiedono come mai queste masse, fuggendo da situazioni in cui si muore di fame e di guerra, si mettono in cammino attraversando montagne, deserti, fiumi e mari, rischiando comunque la vita ogni minuto di ogni giorno, senza la minima certezza di giungere vivi in un altro paese, ma non si danno mai una vera risposta, perché dovrebbero dire che la causa di queste migrazioni va cercata nel loro sistema economico capitalistico e che, se anche la causa talvolta fosse da cercare in particolari eventi naturali (terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, incendi, siccità, alluvioni o altro) questo stesso sistema economico non è fatto per prevenire le conseguenze di quegli eventi, perché su quegli eventi lucra in modo gigantesco, così come lucra sul bisogno di fuga dei migranti. Queste masse puntano a raggiungere i paesi ricchi perché sono i paesi in cui la fame non decima la popolazione, dove la repressione e la tortura non sono la norma, dove non c’è la guerra coi suoi bombardamenti e i suoi massacri, dove la sopravvivenza è meno terribile rispetto ai paesi da cui fuggono. I riformisti borghesi sanno perfettamente che le cause principali di queste massicce migrazioni vanno cercate nelle contraddizioni economiche e sociali del capitalismo che provocano, oltre alle ormai famose «diseguaglianze», l’impoverimento sempre più esteso tra le masse non solo nei paesi capitalisticamente deboli, ma anche nei paesi capitalisticamente forti. Essi pensano di poter porre rimedio attenuando in qualche modo le “diseguaglianze” con la carità e la distribuzione di qualche briciola, ma senza cambiare sistema economico e politico. Ma, in sostanza, il profitto capitalistico che guida ognia zione della borghesia, spinge la concorrenza che i regimi borghesi dei paesi ricchi alimentano sistematicamente tra i propri proletari, ad acutizzarsi ancor più drasticamente tra i proletari autoctoni e i proletari stranieri, tanto più se gli stranieri non sono presenti legalmente ma clandestinamente.

C’è un aspetto di questa concorrenza tra proletari che interessa molto ai capitalisti, e riguarda il prezzo della loro forza lavoro: per lo stesso tipo di lavoro vengono pagati molto meno dei proletari autoctoni e sono più ricattabili, anche se hanno i permessi di soggiorno in regola con le leggi, tanto più se sono clandestini e se vengono mantenuti appositamente nella situazione di clandestinità (come in agricoltura e nell’edilizia). Dal punto di vista politico, i borghesi hanno un’altra arma propagandistica a disposizione, in particolare nei confronti dei proletari autoctoni: mostrano in quali condizioni economiche e sociali questi possono precipitare se non si adeguano alle esigenze di produzione e di competitività delle aziende in cui lavorano. Al ricatto del posto di lavoro, che normalmente viene usato dai capitalisti per abbattere i salari e difendere le proprie quote di profitto, si aggiunge, così, un ulteriore ricatto, sul salario e sul tempo di lavoro giornaliero, mettendo ancor più gli uni contro gli altri i proletari autoctoni e i proletari immigrati. I lavoratori, per i capitalisti, sono sempre delle merci, hanno un valore d’uso e un valore di scambio, e oltre ad un certo limite non possono essere sfruttate adeguatamente  come da fonte di profitto ma diventano un costo puro e semplice. Ecco, quindi, che ogni governo borghese cerca di ridurre al minimo le risorse economiche da destinare alla sopravvivenza di proletari che non possono essere sfruttati nel lavoro; perciò è interessato a limitare l’afflusso dei migranti e quindi irrigidisce le pratiche burocratiche per il rilascio dei permessi di soggiorno e fa la guerra ai clandestini. La famosa legge della domanda e dell’offerta – in questo caso, di forza lavoro – segue la legge del profitto, non certo la legge della compassione umana...

 

DAGLI ALL’IMMIGRATO!

 

Allora ci si spiega quali sono i criteri con cui i governi dei paesi ricchi affrontano, in determinati periodi, i «flussi migratori», cercando di gestirli, da un lato, con un occhio all’interesse economico delle aziende e del paese e, dall’altro, con un occhio alla compassione verso degli esseri umani che, in tempo di pace sociale, ha interesse a nutrire in qualche modo per dimostrare che non tutto nella società borghese è sottoposto alla spietata legge del profitto (atteggiamento destinato a sparire non appena la pace sociale si rompe, aprendo la strada o alla guerra fra gli Stati o alla guerra fra le classi). Ma, in periodi in cui la concorrenza tra fazioni borghesi diventa molto acuta, mentre la situazione economica più generale, entrata in crisi da anni, non ne esce ancora, gli Stati si mettono uno contro l’altro nella lotta in difesa del proprio capitalismo nazionale, scaricando nei paesi concorrenti le conseguenze delle crisi e i loro effetti più gravi. I contrasti tra capitalisti e governi borghesi perciò aumentano, su ogni piano, e ogni classe dominante borghese tende a coinvolgere il proprio proletariato autoctono ancor più di quanto non abbia fatto finora, spingendolo a far proprio l’interesse nazionale sia contro gli altri Stati, sia contro gli altri popoli, comunque e sempre contro gli stranieri. La collaborazione di classe che la borghesia cerca dal proletariato non esclude che la concorrenza fra proletari continui a dare i vantaggi che i capitalisti si aspettano da essa, ma tende a indirizzare questa concorrenza verso un obiettivo sociale facile da identificare contro cui sfogare il disagio e l’insoddisfazione delle loro condizioni di esistenza. Ecco allora che i migranti, i senza patria, i senza lavoro, i senza famiglia, in una parola, i clandestini, vengono indicati come i ladri, gli stupratori, i criminali, la fonte di tutti i mali e di tutte le disgrazie da cui bisogna difendersi; e coloro che dimostrano compassione verso di loro (i cosiddetti «buonisti») o che li aiutano, li accolgono, li salvano dai naufragi, diventano fuorilegge, banditi, delinquenti e vanno incriminati, arrestati e condannati! La guerra di concorrenza tra fazioni borghesi si sviluppa, così, sul piano della repressione degli strati più deboli e indifesi della popolazione; si tenta così di esorcizzare l’atavica «paura di classe» nei confronti della classe proletaria che, al tempo della rivoluzione russa del 1917 -nella speranza di non doverla mai riprovare sul serio - fece tremare le vene di tutti i governanti del mondo.

 

LE NAVI DELLE ONG

 

I fatti degli ultimi anni che riguardano le navi delle Ong che salvano i naufraghi in mare sono un’ulteriore dimostrazione di come i poteri borghesi usino l’odio sociale e razziale sia come arma nella concorrenza tra Stati sia come arma contro il proletariato.

 Mediterraneo-Canale di Sicilia: tratto di mare diventato da trent’anni un vasto cimitero in cui sono spariti e continuano a essere inghiottiti migliaia di migranti che fuggono dalla miseria, dalla fame, dalla repressione, dalle torture, dalla guerra. Sono acque internazionali in cui scorrazzano motovedette della Guardia Costera italiana, maltese, libica e altro naviglio militare dell’operazione Frontex, che hanno il compito di difendere, con le armi, i confini delle rispettive acque territoriali e, quando proprio non ne possono fare a meno, il compito di salvare dal naufragio i migranti che, volenti o nolenti, intercettano nel loro pattugliamento. Tutti gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo (Italia, Malta, Grecia, Spagna, Francia, Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Israele, Siria, Turchia), che siano «in pace» o «in guerra», hanno interesse a difendere i propri confini sia dallo sfruttamento «illegale» dei fondali marini di esclusiva pertinenza degli Stati, sia dal commercio illegale di merci, sia dal traffico, ovviamente illegale, di esseri umani. Ma come succede per le merci, così per i migranti, qualsiasi confine non è mai chiuso ermeticamente. Solo che per gli esseri umani, soprattutto se naufraghi, esistono le leggi del mare, accettate formalmente da tutti gli Stati, che stabiliscono una priorità assoluta: qualsiasi naviglio che si trovi in prossimità di un naufragio è tenuto a portare immediato soccorso e a trasferire i naufraghi – non importa di che nazionalità, a quale strato sociale appartengano, di che età o di che sesso siano, e non importa se sono dotati di documenti o meno – nel porto più vicino e sicuro per la loro vita, sbarcandoli. Una volta a terra, la legge borghese obbliga le autorità del posto alla loro identificazione e a decidere della loro sorte, accogliendo o meno le loro richieste di asilo, di protezione, di rimpatrio o altro.

Dato il fenomeno delle massicce migrazioni, via terra o via mare, gli Stati dell’Unione Europea, hanno stabilito delle leggi, per il proprio paese e per tutti gli altri, come il Regolamento di Dublino del 2014 (1), che impongono ai paesi di «primo ingresso» o di «primo sbarco» (quindi, via mare, per Italia, Malta, Grecia, Spagna), l’organizzazione dell’«accoglienza» per identificare i migranti e valutare le loro domande di asilo o protezione, verificare se i loro documenti permettono o no la permanenza nel paese o il proseguimento del «viaggio» verso altri paesi, le cure mediche e ospedaliere per coloro che ne hanno bisogno, il trattenimento e il rimpatrio per coloro che non rispondono ai requisiti richiesti, l’arresto dei trafficanti e degli scafisti ecc. ecc.; mentre per i minori non accompagnati vi è l’obbligo dell’accoglienza. Insomma, la legge borghese, da un lato, sembra andare incontro alle masse che fuggono dalla miseria, dalle guerre e dalle catastrofi «naturali» accogliendole, proteggendole e aiutandole, dall’altro lato, alza barriere non solo burocratiche, ma sociali, fisiche e militari. C’è stato chi, come il partito Fratelli d’Italia che rappresenta una destra virulenta e sovranista, che per bocca della sua leader Giorgia Meloni, oltre a chiedere il blocco militare navale ai confini delle acque territoriali italiane, ha anche proposto di affondare le navi delle Ong... 

La stragrande maggioranza dei migranti arriva in Europa da sud e sud-est, e i paesi coinvolti direttamente sono appunto quelli che si affacciano sul Mediterraneo meridionale, in primis l’Italia, dato che gli imbarchi vengono organizzati dai trafficanti soprattutto dalla costa libica, ma anche da quella maricchina, tunisina o algerina; mentre l’afflusso via terra – la famosa «rotta dei Balcani» –, interrotto nel 2016 per via della costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluto da Orban, è tornata ad esser battuta dai migranti vista la sempre maggior difficoltà di giungere vivi in Europa via mare. Era infatti la «rotta dei Balcani» – che iniziava dal confine tra Turchia e Grecia – la più battuta fino al 2016, sia per la relativa apertura dei paesi del centro e del nord Europa affamati di forza lavoro a basso costo, sia per la politica permissiva dei paesi dell’ex Jugoslavia. Ma la dura crisi economica che ha colpito i paesi europei e le grosse difficoltà che incontrano nell’uscirne, unite all’ascesa dei partiti nazionalisti e «sovranisti» – tendenzialmente anti-Unione Europea – hanno cambiato repentinamente la loro politica nei confronti dei flussi migratori. 

Così, per i governanti italiani, spagnoli, francesi, tedeschi, ungheresi, croati, serbi o sloveni, insomma per tutti i civilissimi europei, i migranti sono diventati un peso e una minaccia per il benessere del proprio «popolo» e per la stessa stabilità del proprio paese; sono diventati «portatori di crimini» e tutti coloro che ne facilitano l’arrivo e l’accoglienza diventano automaticamente delinquenti,  complici dei criminali e dei trafficanti di esseri umani. L’ipocrita politica borghese dell’accoglienza, dell’aiuto verso i più disperati e coloro che fuggono dalle guerre, dalle repressioni e dalla fame, mostra in questo modo il suo vero volto: se non servono come braccia da sfruttare bestialmente, non importa se legalmente o illegalmente, queste masse vengono trattate peggio delle bestie la cui vita perde qualsiasi valore. Muoiono di fame e di stenti nel tentativo di attraversare deserti, montagne, paesi inospitali? Se la sono cercata! Muoiono annegati nei fiumi o in mare nel tentativo di attraversarli con qualsiasi mezzo? Se la sono cercata! Finiscono nei campi di concentramento libici, obbligati a lavori forzati, percossi e violentati, depredati di ogni misero avere prima di essere imbarcati su navigli che per la maggior parte rischieranno di naufragare dopo poche decine di miglia? Se la sono cercata!

Si pattugliano con navi militari i tratti di mare per difendere i confini dall’immigrazione clandestina, si rallentano i soccorsi in mare o addirittura si rifiutano, si chiudono i porti e si impediscono gli sbarchi, si attaccano le imbarcazioni delle Ong che salvano i naufraghi che nessun'altra imbarcazione governativa si sogna di salvare, accusandole di complicità con i trafficanti e gli scafisti, ordinando loro di riportare i naufraghi in Libia riconsegnandoli così ai trafficanti e agli aguzzini. D’altra parte, la politica degli Stati europei sostanzialmente anti-immigrati, di criminalizzazione dei migranti, intimidisce anche tutte le navi mercantili che solcano quotidianamente il Mediterraneo e che potrebbero intervenire nel salvataggio dei naufraghi secondo l’antica legge del mare, ma non lo fanno perché non saprebbero dove sbarcare i naufraghi e perderebbero molto tempo che invece devono usare per i loro commerci.

Che la Libia sia un paese in guerra e che le sue coste e i suoi porti non siano sicuri, lo sanno anche i bambini. Da anni la stessa ONU ha dichiarato che i porti della Libia non sono porti sicuri, mentre la Tunisia ha i porti chiusi a tutti i migranti; esistono centinaia di reportage che, per la Libia, documentano le violenze, gli stupri, lo sfruttamento bestiale, le torture e le uccisioni nei campi in cui vengono concentrati i migranti africani e mediorientali che tentano di fuggire dai loro paesi, ma l’ordine di Roma, di Madrid, di Parigi è di respingere i migranti nel paese da cui sono partiti perché clandestini; vengono respinti  senza alcuno scrupolo i migranti cosiddetti «economici» (che migrano a causa della fame, della miseria o per mancanza di lavoro), mentre le leggi in vigore darebbero la possibilità di entrare in Italia, in Spagna, in Francia o in Germania solo ai migranti considerati rifugiati politici; ma basta indurire le leggi inerenti l’accoglienza dei rifugiati, come ha fatto di recente l’Italia, e così anche questa «condizione» si trasforma in un muro invalicabile.

 

MARINA MILITARE CONTROAMBULANZE DEL MARE

 

Ogni Stato prevede sanzioni sia per i soccorsi «non autorizzati» in mare che per l’aiuto a passare i confini. Ecco, tra i tanti, un paio di esempi.

La nave Open Arms, dell’associazione non governativa catalana Proactiva Open Arms, nota per i soccorsi nel 2015 dei rifugiati siriani all’isola di Lesbo, e poi per molti altri interventi di salvataggio di naufraghi che provenivano e provengono dalle coste della Libia, è stata fermata recentemente nel porto di Barcellona dal governo Sánchez e dovrà pagare una sanzione da 200 mila a 900 mila euro per aver forzato il blocco del governo «recandosi nelle acque internazionali di fronte alla Libia» (2). Nonostante i blocchi e i divieti, sulle coste spagnole in tutto il 2018 sono arrivate 56 mila persone – la cifra più alta dal 2006, che pone la Spagna al primo posto fra i paesi di primo ingresso nel 2018 – di cui 20 mila via mare. La Marina spagnola ha imposto, per il naviglio che batte bandiera spagnola, di non portare a termine salvataggi «o altre attività che derivino da tali operazioni» al di fuori della zona Sar spagnola (3), se la nave non dispone «dei permessi delle autorità predisposte», che sono quelle dell’Italia e di Malta, ossia dei paesi che hanno chiuso i porti (4). Se poi si considera che il reparto salvataggio in mare della Guardia Civil spagnola è in grossa difficoltà per mancanza di mezzi nelle operazioni di salvataggio nella propria zona Sar, si capisce come i gommoni dei migranti sono alla mercé della Guardia costiera marocchina che non si pone troppi problemi a sparare. Insomma, anche per la Spagna i migranti naufraghi non devono essere salvati o, se salvati, devono essere consegnati alle motovedette dei paesi da cui si sono imbarcati, marocchine, algerine, tunisine o libiche  che siano.

La Francia, da parte sua, ha avuto parecchi casi di aiuti ai migranti incappati nelle dure sanzioni della legge francese. La legge francese stabilisce che chi aiuta chiunque si trovi «illegalmente» sul territorio francese rischia fino a 5 anni di prigione e 30 mila euro di multa, ma la stessa legge prevede la sospensione della pena nel caso venga dimostrato che la persona non ha guadagnato dalla sua attività di aiuto ai clandestini (5). E’ noto il caso di Cédric Herrou, il contadino di Breil-sur-Roya, sulle Alpi Marittime al di là del confine tra Ventimiglia e la Francia; dal 2011 ha dato passaggi ai migranti che transitavano per quella via di montagna; dal 2015, quando la Francia ha chiuso la frontiera con l’Italia, Herrou ha cominciato anche ad ospitarli, e naturalmente sono arrivati l’arresto, la prigione e il processo; nell’agosto del 2016 è stato condannato a 4 mesi di carcere per aver accompagnato alcuni migranti dalla frontiera alla sua fattoria; nel processo del febbraio del 2017 gli è stata comminata una multa di 3.000 euro per lo stesso motivo. Ma, alla fine, avendo dimostrato che non ci guadagnava assolutamente nulla da questa sua attività di solidarietà, è stato assolto dall’accusa di aver favorito la circolazione di migranti irregolari e di aver ospitato profughi in «centri non idonei»: la sua difesa è stata quella di aver attuato uno dei tre valori fondamentali della Repubblica francese, la fraternità senza che questa fraternità fosse occasione di lucro... e la Corte costituzionale non ha potuto che ingoiare la semplice lezione di un contadino di montagna. Ulteriore dimostrazione, questa, che le leggi borghesi si contraddicono continuamente perché da un lato elevano gli alti ideali di fraternità, uguaglianza e libertà a valori imperituri, ma nei fatti, dato che sono gli interessi economici e politici di classe a guidare l’opera di ogni governo, la fraternità, l’uguaglianza e la libertà vengono calpestate sistematicamente.

Ormai è evidente a tutti che i naufraghi che si salvano lo devono soprattutto alle navi delle Ong che pattugliano la vasta zona di mare in particolare di fronte alla Libia; talvolta lo devono a qualche peschereccio o a qualche motovedetta della Guardia costiera italiana o maltese che però non hanno il compito di salvare naufraghi, ma di impedire l’accesso alle acque territoriali del proprio paese a navi che trasportano “clandestini”, considerando i migranti come merce illegale (alla stessa stregua della droga o delle armi). Il migrante, per il borghese europeo ben pasciuto, economicamente ricco e ben difeso militarmente, è considerato un essere inferiore, utile da sfruttare come mano d’opera a basso costo da tenere in condizioni di schiavitù reale e di precarietà di vita, ma da tener lontano dalle proprie proprietà e dalle proprie case, abbandonandolo all’emarginazione e alla miseria. Allontanando i migranti, i borghesi pensano di allontanare da sé la miseria, le difficoltà di sopravvivere, la rabbia e la ribellione di essere umani che fuggono dalle conseguenze del sistema economico e politico capitalistico che, nei paesi ricchi, costituisce la base del benessere della borghesia e degli strati privilegiati piccoloborghesi, ma che, nei paesi capitalisticamente arretrati, costituisce la causa delle sofferenze, della miseria, della fame, delle distruzioni di guerra che spingono masse sempre più numerose a prendere la via della fuga, dell’emigrazione.

Ma dove emigrare?

L’Africa è il continente dalle migrazioni più grandi dell’epoca recente. Le guerre che gli imperialismi di tutto il mondo scatenano per accaparrarsi le risorse minerarie di cui l’Africa è ricca provocano da decenni distruzioni, massacri e deportazioni di intere popolazioni; alle guerre in cui gli imperialismi più forti del mondo intervengono direttamente si aggiungono le guerre per procura, condotte dalle fazioni borghesi formatesi nei paesi africani sotto la protezione di questo o quell’imperialismo, e che si combattono allo stesso tempo per interesse proprio e per interesse imperialistico. E, come in ogni guerra nell’epoca imperialistica, sono le popolazioni a subire le più grandi sofferenze. Quel che i nostri civilissimi governanti europei nascondono, non sono soltanto i loschi e sporchi interessi che stanno alla base di quelle guerre, ma anche il fatto che le conseguenti e massicce migrazioni provocate da quelle guerre si attuano all’interno degli stessi Stati africani confinanti: si tratta di milioni di persone (6), non di poche migliaia per le quali gli Stati ricchi europei litigano tra di loro perché nessuno se ne vuole accollare la sistemazione e i costi. E poi parlano di integrazione, di armonia tra i popoli, della ricchezza  delle più diverse culture che si incontrano..., mentre si assiste la vergognoso spettacolo della complicata distribuzione di poche decine di migranti tra i diversi paesi europei...

Per i ricchi Stati europei, in sostanza, la sorte dei migranti consiste nel morire nei campi di detenzione libici o nel morire nei tentativi di raggiungere un paese in cui assicurarsi la sopravvivenza.

 

LA RIBELLIONE DELLE ONG

 

Il fatto che la Sea Watch 3 si sia ribellata alle disposizioni delle autorità italiane circa i porti chiusi alle navi delle Ong, alle autorità libiche che le ordinavano di riportare in Libia i naufraghi imbarcati, e alle autorità maltesi che le facevano perdere tempo prezioso con false promesse di rifornimenti, ha segnato una reazione che i governanti non si aspettavano, mentre contavano sulle minacce previste nei vari decreti di sicurezza e rappresentate dalle navi militari delle rispettive Guardie costiere che pattugliano il Mediterraneo meridionale. Vale la pena tracciare una breve cronologia dei fatti (7).

12 giugno, la Sea Watch 3 imbarca 53 migranti alla deriva su un natante non in condizioni di tenere il mare ancora per molto, e chiede un porto sicuro per poterli sbarcare.

14 giugno, mentre l’Italia non ha offerto alcuna disponibilità, il pagliaccesco governo di Tripoli offre di accoglierli in Libia, ma la Sea Watch non intende riportare i migranti in un paese in cui violenza, stupri,  sevizie, torture e uccisioni sono la norma, e dirige la prua a Nord, verso Lampedusa che di fatto è il porto sicuro più vicino (116 miglia nautiche), mentre Malta è a 160 miglia nautiche.

15 giugno, il ministro dell’interno italiano Salvini risponde via twitter: «Ho appena firmato il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nelle acque italiane, come previsto dal Nuovo Decreto Sicurezza. Ora il documento sarà alla firma dei colleghi ai Trasporti e alla Difesa: stop ai complici di scafisti e trafficanti». La sua posizione è: nessun aiuto ai naufraghi, sebbene la legge del mare e le convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto lo prevedano; la Ong è accusata di complicità con gli scafisti e i trafficanti, e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

16 giugno, dopo 4 giorni di mare, constatata la grave emergenza per 10 persone tra cui donne incinte e bambini, il Viminale ne autorizza lo sbarco. Ma l’emergenza per le altre 43 persone non è finita. Nella notte la Guardia di Finanza italiana notifica alla Sea Watch il Decreto Sicurezza bis, ma non contesta alcun reato. La Sea Watch rimane al largo di Lampedusa e continua a chiedere lo sbarco dei migranti.

19 giugno, la Sea Watch per il settimo giorno col suo carico di 43 migranti è ancora in attesa, al largo di Lampedusa, di una comunicazione per poterli sbarcare, e ribadisce la situazione di grave emergenza per i migranti.

20-21 giugno, Salvini scrive una lettera ufficiale al presidente del consiglio Giuseppe Conte e al ministro degli Esteri Moavero Milanesi con la quale lo sceriffo d’Italia chiede di intevenire presso il governo olandese, visto che la Sea Watch 3 batte bandiera olandese, perché eserciti i suoi poteri e si prenda direttemente la responsabiltà di questa nave e del suo carico di migranti, ribadendo che i porti italiani restano chiusi all’ingresso, al transito e alla sosta di questa nave: «la Sea Watch 3 batte bandiera olandese e là dovrebbe esser accolta. Io non mollo»!  Come sempre, nessun accenno ai naufraghi salvati, al loro stato di salute, al loro diritto di essere salvati e portati in un porto sicuro che non è certamente in Libia. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno la Sea Watch 3 risponde via twitter: «Con una motovedetta della guardia costiera, questa notte a Lampedusa sono sbarcate 81 persone, partite dalla Libia. Intanto i 43 naufraghi a bordo di Sea Watch rimangono bloccati in mare al 9° giorno dal soccorso. Quanto deve durare questa ipocrita e disumana messinscena?». E’ evidente che il bersaglio della propaganda anti-immigrati e anti-Ong rappresentato, ora dalla Sea Watch 3, come in precedenza dall'Acquarius, dalla Mare Jonio, dalla Sea Eye, è del tutto strumentale e nasconde la reale incapacità del governo italiano di attuare fino in fondo la sua proclamata politica contro l’immigrazione clandestina e il blocco dei flussi migratori illegali, visto che negli stessi giorni in cui Salvini faceva la guerra alla Sea Watch 3, sulle coste italiane, anche con piccoli barchini e barche a vela (provenienti soprattutto dalla Tunisia) che contenevano dieci, venti persone ciascuno, si attuavano i cosiddetti «sbarchi fantasma» grazie ai quali approdavano indisturbati quasi 1000 migranti (8). Ciò significa, come afferma lo stesso procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che «i migranti soccorsi dalle Ong rappresentano una porzione insignificante» (9). Ma dal punto di vista del clamore mediatico e dell’effetto propagandistico, puntare i riflettori sul «bersaglio grosso» ha un grande significato,dal punto di vista di chi se la prende con coloro che non nascondono le proprie operazioni di salvataggio.

23 giugno, i 43 naufraghi a bordo della Sea Watch 3 diventano 42, poiché uno di loro viene evacuato a causa del serio peggioramento delle sue condizioni di salute.

24-25 giugno, la Sea Watch 3 chiede alla Corte europea per i diritti dell’uomo di costringere le autorità italiane a far attraccare la nave a Lampedusa e sbarcare i naufraghi. La Corte europea boccia la richiesta, sostenendo che può intervenire soltanto quando i naufraghi sono effettivamente sbarcati a terra. La mitica Europa dei diritti, per l’ennesima volta, chiamata a sostenere le ragioni della Ong, mostra tutta la sua inconsistenza e la sua falsità.

26 giugno, i 42 migranti a bordo sono allo stremo delle forze, mancano acqua, cibo, medicinali; la comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete decide di forzare il divieto di entrare nelle acque territoriali italiane e si dirige verso il porto di Lampedusa; Matteo Salvini, da parte sua, twitta: «L’immigrazione non può essere gestita da navi fuorilegge: siamo pronti a bloccare qualunque tipo di illegalità. Chi sbaglia paga. L’Europa? Assente, come sempre», a muso duro contro la comandante, e contro l’Europa, questa volta chiamata a sostenere le ragioni dello Stato italiano contro le ragioni dei diritti al soccorso dei naufraghi.

E su facebook, Luigi Di Maio, esaurite le belle parole in sostegno dei diritti usate in campagna elettorale nelle ormai dimenticate (e perse) elezioni europee, si allinea all’alleato di governo più forte: «Siamo diventati il palcoscenico del Mediterraneo. Come mai la Sea Watch neanche prova più ad avvicinarsi a Malta o alla Grecia? Non fa notizia. Hanno preferito restare 14 giorni al largo delle nostre coste anziché chiedere a La Valetta, Madrid o Atene lo sbarco. (...) La Sea Wtach si fa pubblicità e raccoglie più fondi, così può ripartire». Povero Di Maio, non ci arriva, non riesce a capire come mai i migranti che fuggono dalle torture e dalle orribili condizioni di detenzione subite in Libia, rischiando la vita nella traversata del Mediterraneo, non stanno facendo una crocera, ma, proseguendo la fuga dalle guerre, dalla fame e dalla repressione dei loro paesi, cercano un rifugio sicuro e la Ong che li ha soccorsi in mare sta svolgendo un compito che non svolge lo Stato italiano. Questo, al contrario, si vuol liberare del problema dei migranti per la soluzione del quale delega i libici, a cui fornisce motovedette della guardia costiera e sostegno politico ed economico, i quali, riportando i migranti su cui riescono a mettere le mani, li ridanno in pasto agli stessi aguzzini da cui sono scappati. Ma Di Maio non si lascia sfuggire l’occasione, dopo avere accusato le Ong di utilizzare i salvataggi in mare per farsi pubblicità e raccogliere fondi, per un suo particolare pianto greco, dimenticandosi per un attimo di essere al governo di un paese nel quale non fa null'altro che non difendere l’economia nazionale e le imprese, con un occhio di riguardo per le più piccole presso le quali raccatta la maggioranza dei voti: «In mezzo però ci sono le persone. Gli essere umani. Che sono comparse inconsapevoli di questo grande teatro che sono diventate le acque territoriali italiane. Persone che sono state illuse di trovare la terra promessa in Europa. Dove ci sono decine di milioni di poveri e l’1% della popolazione che possiede il 40% della ricchezza. Quello stesso 1% della popolazione che si commuove ogni volta che non facciamo sbarcare migranti in Italia, ma che trucida milioni di europei con le operazioni di finanza speculativa o con le loro banche che strozzano le imprese». Da gagliardo rappresentante della media e piccola borghesia, gli riesce facile prendersela con i “poteri della grande finanza” e con la “speculazione” quando questi poteri e questa speculazione non garantiscono più i privilegi e il benessere alla piccola e media borghesia, quando quell’1% della popolazione che possiede il 40% della ricchezza era indicato come modello di successo. Pretendere di salvare i privilegi sociali e il benessere della classe media quando l’economia capitalistica è in crisi spinge i piccolo-borghesi a prendersela, a parole, con il re, con i “poteri forti” e, nello stesso tempo, a prendersela nei fatti, usando tutta la forza di pressione sociale e repressione a disposizione, con gli strati della popolazione più deboli, emarginati, come i diseredati e i migranti, con i senza patria, in una parola, con i proletari.

27 giugno, in cerca di un palcoscenico anche per loro, una delegazione del Pd e di Leu arriva a Lampedusa in sostegno della Sea Watch 3, sale a bordo della nave con l’intenzione di testimoniare direttamente su tutto quel che succede da quel momento in poi e di convincere la comandante ad attenersi alle disposizioni di legge perché la loro presenza era una garanzia per lo svolgimento ordinato della trattativa con le autorità italiane per «una soluzione diplomatica»..., ma intanto i migranti stavano sempre peggio e la cosiddetta trattativa con le autorità italiane naufragava miseramente.

28 giugno, la procura di Agrigento procede contro la Sea Watch, la sua capitana e il suo equipaggio, per «favoreggiamento e violazione del codice della navigazione». La Sea Watch è ferma a mezzo miglio dal porto di Lampedusa. Perquisizioni a bordo, migranti allo stremo. Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e Finlandia si sono detti «pronti» (dopo 15 giorni dal salvataggio nella zona Sar libica, sai che sforzo!) a distribuirsi i 42 migranti una volta sbarcati a terra. Colpo di scena: il ministro degli Esteri Moavero Milanesi, alla domanda diretta di un giornalista, dichiara apertamente che «la Libia non è un porto sicuro»! Se ne è accorto anche lui...

29 giugno, dopo 17 giorni di mare, la situazione non si era ancora sbloccata. Verso le 2 di notte la capitana della Sea Watch 3, dichiarando forte e chiaro lo «stato di necessità» per i migranti, attracca di forza al molo commerciale di Lampedusa, ovviamente senza alcuna autorizzazione preventiva. Una motovedetta della Guardia di finanza prova ad ostacolare l’ingresso della Sea Watch 3 nel porto, andando avanti e indietro lungo la banchina per impedirle l’attracco, facendo in questo modo intenzionalmente una manovra molto rischiosa. La Sea Watch, non certo così agile come la motovedetta, proseguendo la sua manovra d’attacco, urta leggermente la motovedetta, ma  riesce a non schiacciarla contro la banchina. Naturalmente questa vicenda ha fatto alzare alte grida da parte dei governanti, e di Salvini in particolare che continuerà  ad accusare la capitana della Sea Watch di aver voluto uccidere i finanzieri italiani (la sua campagna elettorale, intrisa di dosi massicce di livore contro gli immigrati e le Ong, evidentemente, non finisce mai). Naturalmente la capitana Carola Rackete è stata arrestata; nella folla che si era radunata al molo d’attracco c’erano i sostenitori della Ong che la accoglievano con applausi e grida di incoraggiamento, e i sostenitori di Salvini che le lanciavano contro insulti di ogni genere gridando «manette, manette!» e augurando alla comandante Rackete e alle donne dell’equipaggio di subire violenze sessuali (10).

30 giugno, Sea Watch, la legge internazionale dà ragione alla capitana, così titola un suo articolo “la Repubblica” del 30 giugno, nel quale Gregorio De Falco, ex comandante della Guardia costiera di Livorno, noto per essere intervenuto nella vicenda del comandante Schettino e della Costa Concordia che, con una manovra azzardata, il 13 gennaio 2012 ha fatto incagliare e naufragare sugli scogli dell’isola del Giglio uccidendo 32 passeggeri (11), alla domanda dell’intervistatore: «La comandante ha commesso atti di resistenza o violenza contro una nave da guerra nazionale, come le viene contestato?», risponde così: «L’accusa non regge, la motovedetta della Guardia di finanza contro cui è finita la Sea Watch 3 non è una nave da guerra, che è un’altra cosa, è un’imbarcazione militare (...). Peraltro, la Sea Watch è un’ambulanza, ovvero un natante con a bordo un’emergenza: dunque non era tenuta a fermarsi. Piuttosto la nave militare avrebbe dovuto scortarla a terra». A un’altra domanda dell’intervistatore: «Di fronte al blocco dell’autorità italiana, quali opzioni aveva la comandante Rackete?», questa volta risponde Fabio Sabatini, professore associato di Politica Economica all’Università La Sapienza di Roma: «Secondo quanto scritto dall’Onu nella lettera inviata all’Italia sul decreto “Sicurezza bis”, il diritto alla vita e il principio di non respingimento, che sono stabiliti dai trattati internazionali, prevalgono sulla legislazione nazionale. Le Nazioni Unite ritengono che l’approccio del decreto “Sicurezza bis” sia fuorviante e non in linea con il rispetto dei diritti umani previsto dai trattati internazionali». Dunque, secondo l’Onu, è il governo italiano ad essere «fuorilegge», ad essere contro il rispetto dei diritti umani, mentre la comandante Rackete ha agito secondo quella priorità. Ma, come sempre, gli interessi borghesi e nazionali del momento vanno contro qualsiasi legge solennemente sottoscritta, che sia nazionale o internazionale; se poi si tratta di «diritti umani», gli scrupoli spariscono rapidamente...

2 luglio, il procuratore di Agrigento, in un’audizione alla Camera dei deputati, dichiara che: «Non è stato fino ad ora provato il preventivo accordo tra trafficanti di esseri umani ed Ong» (12).

Su “la Repubblica” si può leggere: «Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3 torna libera dopo quattro giorni trascorsi agli arresti domiciliari. (...) La Gip [Alessandra Vella] è andata ben oltre la richiesta dei pm, non convalidando l’arresto della comandante della Sea Watch, Carola Rackete, escludendo il reato di resistenza e violenza a nave da guerra e ritenendo che il reato di resistenza a pubblico ufficiale sia stato giustificato da una “scriminante” legata all’avere agito “nell’adempimento di un dovere”, quello di salvare vite umane in mare. Viene dunque meno la misura degli arresti domiciliari deciso dalla procura che aveva chiesto la convalida della misura restrittiva e il divieto di dimora in provincia di Agrigento. La gip sottolinea anche che la scelta del porto di Lampedusa non sia stata strumentale, ma obbligatoria perché i porti della Libia e della Tunisia non sono stati ritenuti porti sicuri». Ovvia la risposta acida di Salvini, condivisa dal suo compare Di Maio, che attacca per l’ennesima volta i magistrati che non fanno quello che decide lui: «Per la magistratura italiana ignorare le leggi e speronare una motovedetta della Guardia di finanza non sono motivi sufficienti per andare in galera. Nessun problema: per la comandante criminale Carola Rackete è pronto un provvedimento per rispedirla nel suo Paese perché pericolosa per la sicurezza nazionale» (13). Non importa se leggi volute da Salvini, condivise da tutto il governo, firmate dal presidente della Repubblica, sono state considerate di fatto contrarie alle leggi dello stesso Stato nazionale, alla sua costituzione e alle leggi internazionali; non importa se la magistratura ha smontato con i fatti l’accusa di speronamento volontario e che la comandante di una nave, che è un’ambulanza del mare, non è considerata una criminale; per il governo “del cambiamento” le ragioni dei diritti dei naufraghi, dei rifugiati e di chi li salva, non hanno valore. L’unica rivincita che rimane allo sceriffo d’Italia Salvini è di poter espellere dal paese una così pericolosa criminale... in attesa che  qualche altro magistrato cancelli la sentenza con cui è stata liberata la capitana Rackete e la condanni come vogliono i nostri governanti. Nel frattempo la Sea Watch 3 è stata scortata da Lampedusa a Licata dove resterà sotto sequestro insieme alla Mare Ionio della Ong Mediterranea. Quanto a questi migranti salvati dal naufragio, come a tutti gli altri già sbarcati o che sbarcheranno in un modo o nell'altro sulle nostre coste, non c'è dubbio che dovranno passare il solito tormento nei centri di detenzione per l'indentificazione, accusati del reato di «immigrazione clandestina», e con ogni probabilità rimpatriati (in Libia?) negando loro la condizione di rifugiati.

 

I PROLETARI CHE LEZIONE DEVONO TIRARE DA TUTTO QUESTO?

 

La borghesia da molto tempo ha delegato alle chiese, alle organizzazioni umanitarie e al volontariato la gestione degli strati sociali emarginati, dei diseredati, dei derelitti e, quando hanno iniziato a sbarcare centinaia e migliaia di profughi e migranti, ha ancor più allontanato dai compiti del proprio Stato il soccorso, l’accoglienza e l’integrazione delle masse di migranti in fuga da guerre, carestie, catastrofi naturali, miseria, fame. Allo Stato resta ben saldo il compito dell’ordine pubblico, della lotta contro l’illegalità, l’immigrazione clandestina, la delinquenza ecc. ecc. Ma l’interesse immediato della borghesia cambia col modificarsi delle situazioni: quando le braccia a basso costo servono per implementare la macchina economica ed aumentare nel breve i profitti, allora ben vengano gli immigrati, “economici” o “politici” che siano, e se sono clandestini la borghesia trova le misure di condono (sotto il governo Berlusconi ben 700mila migranti sono stati “regolarizzati”); quando invece non servono più, a causa della crisi economica o dell’abbondanza di “offerta di braccia a basso costo”, allora i migranti diventano un ingombro, una merce senza mercato, un “problema di ordine pubblico”. Vanno perciò respinti, imprigionati, rimpatriati e, se muoiono in mare o nei fiumi, negli spostamenti nei deserti, nei boschi, nelle montagne nei loro tentativi di traversata ci pensi il buon dio o la pietà delle organizzazioni umanitarie.

L’opera delle organizzazioni umanitarie è certamente utile per molti migranti, ma non può arrivare a soccorrerli tutti. Le stesse statistiche ufficiali affermano che i migranti che giungono via mare sono una piccolissima parte del totale di migranti che riescono a raggiungere il nostro paese; il che significa che il flusso migratorio preme talmente sui sacri confini da non poter essere controllato preventivamente. Nel mercato interno italiano, ma vale anche per quello francese, tedesco, spagnolo ecc., si registra, insieme una sovrabbondanza di merci che non si riescono a vendere per ricavarne un minimo di profitto, anche una sovrabbondanza di braccia da lavoro che non si riescono a sfruttare adeguatamente. Perciò merci invendute e migranti non sfruttabili sono destinati a fare la stessa fine: vengono abbandonati, come i rifiuti a Roma e le plastiche nel mare.

L’umanità del capitalismo, e della borghesia che ne rappresenta l’interesse, percorre la stessa strada del profitto: si combina con lo sfruttamento della forza lavoro salariata alla quale si permette di vivere finché viene sfruttata, e finisce quando il capitale non riesce a impiegare la forza lavoro salariata disponibile sul mercato. L’umanitarismo borghese non è che la copertura ideologica e pratica del sostanziale sfruttamento capitalistico: serve ad attenuare la rabbia e la reazione violenta degli sfruttati quando sono spinti a ribellarsi alle condizioni di vita insopportabili in cui li costringe il capitalismo.

Ai proletari serve ben altro che l’umanitarismo borghese che, spesso, è anch’esso fonte di guadagno per la picola borghesia che si impegna ad attenuare, anche in questo modo, gli effetti più drammatici dell’economia e della politica borghese, e del quale approfitta, come di ogni debolezza della sovrastruttura economica e politica, anche la criminalità organizzata.

Ai proletari, per difendersi dagli attacchi costanti alle loro condizioni di esistenza e di lavoro serve la lotta di classe, per la quale organizzarsi in modo indipendente e fuori da ogni complicità con le forze della conservazione borghese, umanitarie, laiche, religiose, sindacali o partitiche che siano. La posizione sociale che li caratterizza dà ai proletari una forza potenziale inestimabile: essi sono i veri produttori, senza il loro lavoro la borghesia sarebbe superflua. Ecco perché lo sciopero, cioè la sospensione dal lavoro, è la tipica arma del proletariato, anche se le giornate di sciopero corrispondono a giornate di salario perso. Come tutte le armi, però, può essere usata anche contro chi la usa, e infatti le organizzazioni collaborazioniste e opportuniste hanno il compito di depotenziare lo sciopero, disorganizzandolo, spezzandolo, isolandolo, ridicolizzandone la durata e sottoponendo i suoi obiettivi alla difesa delle esigenze aziendali.

Perciò i proletari hanno interesse a lottare contro ogni forma di collaborazione di classe che nega la loro indipendenza, e a lottare contro ogni forma di concorrenza tra proletari che facilita la loro divisione, la loro frammentazione, il loro isolamento, quindi il loro asservimento agli interessi della borghesia.

I proletari immigrati sono fratelli di classe dei proletari autoctoni e, sebbene giungano spinti dal bisogno estremo di sopravvivenza per il quale sono disposti a farsi sfruttare a qualsiasi prezzo, possono rappresentare in realtà una forza in più nella lotta contro i capitalisti a condizione di trovare nei proletari autoctoni la solidarietà di classe. Ed è alla solidarietà di classe che chiamiamo i proletari italiani perché le condizioni di esistenza in cui sono costretti oggi i proletari immigrati sono le condizioni di esistenza in cui saranno gettati, prima o poi, loro stessi, quando la crisi economica si ripresenterà ancor più acuta di quanto non siano state le crisi precedenti.

La via d’uscita dallo sfruttamento capitalistico non sta nel concordare coi capitalisti la dose di sfruttamento che si è disposti ad accettare. Il potere economico, sociale, politico e militare è in mano totalmente alla borghesia e la dose di sfruttamento che la borghesia impone al proletariato può essere diminuita, all’immediato, solo attraverso la lotta di classe. Ma questa lotta non basta ad eliminare lo sfruttamento capitalistico né, tanto meno, ad eliminare il potere borghese che ne difende il mantenimento. Per eliminarlo dalla faccia della terra il proletariato deve incamminarsi nella via della rivoluzione di classe, e a questa rivoluzione sono chiamati tutti i proletari, di tutti i paesi.

Riconquistare il terreno della lotta di classe è il passo decisivo che farà risalire il proletariato dall’abisso in cui lo ha fatto precipitare la borghesia con l’aiuto di tutte le forze collaborazioniste. La lotta di classe, portata avanti con mezzi e metodi di classe, è la base per riconquistare la solidarietà di classe che unisce i proletari di qualsiasi nazionalità di qualsiasi categoria, settore, sesso, età. Col tempo, la borghesia ha imparato a utilizzare tutti i mezzi possibili per mantenere il suo potere, dai classici mezzi repressivi ai più sofisticati e opportunisti mezzi politici veicolati dalla democrazia e dalla collaborazione interclassista. I proletari potranno contare, però, su due punti di forza che la borghesia può sì contrastare, contenere, deviare, ma non può eliminare: il numero, che diventa una forza se unito e compatto, e il partito di classe, che diventa una forza se il proletariato in lotta lo segue e si fa guidare fino alla conquista rivoluzionaria del potere e all’instaurazione della sua dittatura di classe. Allora avrà la forza di avviare tutte le misure, già anticipate dalla Comune di Parigi e dalla Rivoluzione d’Ottobre russa, che per scopo hanno la trasformazione completa della società e l’eliminazione definitiva dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 


 

(1) Cfr. https://openmigration.org > Politiche di frontiera;  https://theitaliantimes.it > Politica.

(2) Cfr. il fatto quotidiano, 6 luglio 2019; vedi anche www.open.online/2019/07/06. 

(3) Col termine Sar (Search and Rescue), ossia Ricerca e Soccorso si identifica una serie di operazioni di salvataggio condotte da personale addestrato a tale scopo e all’impiego di specifici mezzi navali, aerei o terrestri volti alla salvaguardia della vita umana in particolari situazioni di pericolo e ambienti ostili quali montagna, gole o mare (www.iusinitinere.it/le-zone-sar-18324); per quel che riguarda il mare,  gli Stati rispondono a tre convenzioni: la SOLAS (Safety of Life at Sea), del 1974, la Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione dell'ONU sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS). Ogni Stato che possiede una costa decide qual è la propria zona Sar, ossia la zona, oltre le  proprie acque territoriali, nella quale si impegna direttamente delle operazioni di salvataggio. La Libia, d’accordo con la UE, nel 2018, ha definito una sua zona Sar molto vasta rispetto alle sue effettive possibilità di garantire il salvataggio in mare, sia per mancanza di mezzi, strutture e personale adeguati, sia perché è un paese in guerra spaccato in due con un governo a Tripoli e un governo a Tobruk, guerra nella quale sguazzano le più diverse milizie che si affittano di volta in volta a uno o all’altro dei contendenti.

(4) Cfr. www.internazionale.it/notizie/mathilde-fremois/2017/02/10/cedric-herrou.

(5) Cfr. www.ilpost.it/2018/07/06/cedric-herrou-fraternita/.

(6) Cfr. la Repubblica, 27/09/2018, Africa, la contronarrazione: nel 2017, sono stati 19,4 milioni le persone emigrate all’interno dello stesso continente.

(7) Cfr. htpps://notizie.virgilio.it/duello-sea-watch-3-salvini-la-foto-ricostruzione-della- vicenda/arrivano-i-politici-di-sinistra-570630/.

(8) Cfr. www.ilsole24ore.com/art/migranti-sbarchi-fantasma- valgono- come- 31- sea- -ma- nessuno- ne- parla- AC14snU.

(9) Cfr. il fatto quotidiano, 2 luglio 2019.

(10) Cfr. www.repubblica.it/cronaca/2019/06/29/news/sea_watch_attracca-porto-lampedusa_229893050/, ed anche www. ilpost.it/2019/06/29/sea-watch-attraccato-lampedusa/.

(11) Cfr. “il comunista”, n. 123-124, novembre 2011-febbraio 2012, Le navi da crociera, questi mezzi-grattacieli galleggianti. Non sfuggono alle tragiche contraddizioni della società capitalistica. La Costa Concordia, naufragata sugli scogli di fronte al porto dell’isola del Giglio, ne è l’ennesima dimostrazione.  

(12) Cfr. www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2019/06/29/sea- watch- carola- ai- domiciliari- sullisola.- francia- e- germania- all’attacco_ 87f04a83-1a78-47ba-b33a- d7c4ff0a3007.html

(13) Cfr. www.repubblica.it/cronaca/2019/07/02/news/inchiesta_carola_sea_watch_ agrigento-230128225/;  per il testo dell’ordinanza vedi: 9218- gip- agrigento- 2- luglio- 2019-sea-watch.pdf

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice