Colombia

Masse proletarie in lotta: per un orientamento e un’organizzazione di classe!

(«il comunista»; N° 162 ; Dicembre 2019)

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Da una settimana, tocca alla Colombia essere teatro di grandi movimenti di lotta contro l’austerità capitalista imposta dal governo.

A  15 mesi dall’elezione di Duque, il malcontento nei confronti del governo si è generalizzato, soprattutto a causa della situazione di precarietà sociale vissuta dalle grandi masse; pertanto, non a caso, secondo alcuni sondaggi, il suo governo vede attualmente il 69% di contrari.

L’economia colombiana è aumentata nell’ultimo trimestre del 3,33% (a ritmo annuo), grazie a una più rigida legge fiscale. Tuttavia, la disoccupazione non diminuisce e tocca il 10,2%. Si aggiunga che la Colombia ha un esercito di 12 milioni di lavoratori informali, che non hanno nessuna protezione lavorativa o sociale. Il 40% dei lavoratori guadagna meno del salario minimo nazionale e, a meno che non provveda in proprio, non ha alcuna possibilità di ricevere una pensione pagata dallo Stato; degli 8 milioni di dipendenti, solo 3 milioni hanno diritto alla pensione di vecchiaia. Come scritto su uno striscione durante le recenti manifestazioni: «Lavoro dignitoso e pensioni dignitose», questi sono i motivi centrali delle mobilitazioni contro la disoccupazione nazionale. Tutto ciò avviene in un clima di terrorismo statale, con stragi di indigeni, persecuzione di leader sindacali e di vicinato, compreso l’omicidio di una candidata sindaco. Questa è oggi la situazione nel paese andino che ancora non riesce a chiudere le profonde ferite dell’ultima guerra civile. Ma la tensione èecentemente aumentata dopo il bombardamento in una presunta zona di guerriglia, dove 8 bambini sono stati trucidati, sebbene l’esercito sapesse che si trattava di bambini. Va notato che tra le rivendicazioni di coloro che hanno convocato lo sciopero nazionale c’è la richiesta di un maggiore impegno per l’attuazione dell’accordo di pace con le FARC firmato nel 2016.

Il governo aveva preparato una serie di misure antioperaie richieste dai capitalisti, come la riduzione delle pensioni di anzianità, la riduzione del 25%del salario minimo per i giovani, l’abolizione del salario minimo, l'abolizione dei contratti di lavoro, le riduzioni fiscali alle grandi aziende, le privatizzazioni ecc. È' in particolare contro questo «pacchetto» che i sindacati hanno annunciato uno sciopero nazionale, il secondo in pochi mesi (il primo ha avuto luogo il 25 aprile), e manifestazioni in tutto il paese.

Il giornale Semana del 15/11 ha così espresso le paure della borghesia: «Dopo aver visto in televisione come le folle sono scese in strada in diversi paesi per esprimere il loro sdegno, è arrivata la volta della Colombia. Le proteste lontane si stanno avvicinando. Dopo i “gilets gialli” in Francia e i libertari di Hong Kong, l’esplosione sociale è arrivata in America Latina. In Ecuador, con le drastiche misure del Fondo Monetario Internazionale, e in Bolivia, con le accuse di frode elettorale che si sono concluse con le dimissioni di Evo Morales. Ma la mobilitazione sociale che ha maggiormente colpito – così massiccia, aggressiva e sostenuta - è stata quella del Cile, fino ad allora considerato un paese modello, il cui esito è sfociato in un referendum per cambiare la Costituzione. Dato questo scenario, molti colombiani [leggi borghesi, NdR] hanno i brividi».

Il Comitato Nazionale di Sciopero, che riunisce organismi dalla CUT (Central Unitaria de los Trabajadores) ai vari sindacati professionali, organizzazioni studentesche, organizzazioni femminili e altre organizzazioni sociali, ha fatto di tutto per rassicurare la borghesia: lo sciopero sarebbe stato limitato a un tempo definito e la richiesta essenziale sarebbe stata l’apertura di negoziati con le autorità a proposito del «pacchetto».

Lo sciopero nazionale ha avuto luogo giovedì 21 novembre, con incidenti e violenze che hanno portato a un bilancio di almeno tre morti e più di 250 feriti, secondo i dati del Dipartimento della Difesa. Secondo gli organizzatori avrebbero partecipato 3 milioni di manifestanti, ma anche se questa cifra non è stata raggiunta, le manifestazioni sono state comunque immense; il ministro degli Interni indicava il numero di 400.000 partecipanti in tutto il paese, quando in realtà, secondo i calcoli di fonti indipendenti, nella sola città di Cali, i partecipanti hanno superato i 450 mila.

Queste gigantesche manifestazioni in diverse città come Medellín, Barranquilla, Cali, Bucaramanga, Cartagena e la capitale Bogotá, le prime che si ricordi da decenni, sono avvenute dopo gli appelli ad ampi settori della società colombiana, e, tra i più importanti, i lavoratori dell’istruzione, gli operai e i contadini. Le organizzazioni contadine indigene protestano, da quando Duque è salito al potere, innanzitutto per l’omicidio di 134 loro militanti per mano di sicari assoldati dai grandi proprietari terrieri. Agli appelli hanno aderito anche i difensori degli accordi di pace firmati con gli ex guerriglieri delle FARC. La relativa calma del primo giorno di sciopero è stata in parte determinata dalle misure preventive adottate dal governo che, in anticipo, aveva attuato una serie di misure tra cui la chiusura dei valichi di frontiera della Colombia con Venezuela, Brasile, Ecuador e Perù, la massima allerta delle forze militari, oltre a raid e arresti di alcuni leader, giornalisti e persino gruppi culturali, i più radicali nel fare appello allo sciopero.

Tuttavia, il secondo giorno, la situazione si è fatta più rovente e gli scontri con la polizia sono aumentati diventando più violenti. Saccheggi, barricate, incendi si sono moltiplicati nella capitale, Bogotá, colpendo 75 stazioni della metropolitana, 79 autobus di trasporto pubblico, e diversi supermercati sono stati assaltati. Come c’era da aspettarsi, il governo ultrarepressivo di Duque ha decretato il coprifuoco a Bogotà (il primo dagli anni ’70) dopo una «legge secca» [simile alla legge sul proibizionismo, NdR] emessa la mattina e ha schierato i militari nelle strade. La violenza virtuale è stata naturalmente accompagnata da un appello del presidente colombiano... al dialogo.

Ma i manifestanti hanno violato il coprifuoco con nuove manifestazioni e, per la prima volta in Colombia, con i cacerolazos. I leader sindacali che avevano già condannato la violenza delle manifestazioni a Bogotà, prendono le distanze anche da queste manifestazioni spontanee.

Tuttavia, l’agitazione si rafforza e, dopo l’omicidio di un manifestante, la rabbia si amplifica, costringendo il Comitato a convocare un nuovo sciopero nazionale per il 27 novembre, ma cercando, nello stesso tempo, di riprendere il controllo del movimento.

Sebbene a Bogotà l’esercito e la polizia abbiano impedito la chiusura dei negozi, lo sciopero sembrava essersi esteso e, a una settimana dallo scoppio delle rivolte, le manifestazioni erano ancora massicce, e vi partecipavano centinaia di migliaia di persone.

Il governo ha cercato di rispondere a questa mobilitazione un po’ come Macron in Francia contro i gilet gialli: ha annunciato l’apertura di “colloqui”, per 4 mesi, in tutto il paese grazie ai quali la popolazione si sarebbe espressa attraverso funzionari eletti e organizzazioni della società civile; questa iniziativa ufficialmente era sostenuta addirittura dall’amministrazione americana.

I borghesi conoscono bene il valore tranquillizzante dell’oppio democratico (nell’articolo di Semana sopra citato, parlando delle recenti elezioni comunali e regionali, il quotidiano ha scritto che «la democrazia ha attivato le sue valvole di sfogo che senza dubbio aiuteranno a mitigare la rabbia»). Sarà difficile che l’annuncio di “colloqui” possa calmare il malcontento delle masse che si sono mobilitate per ottenere soddisfazione alle loro esigenze di base.

Da parte sua, il Comitato Nazionale di Sciopero ha aggiunto al suo elenco di richieste, tra le altre cose, lo scioglimento dell’ESMAD (polizia antisommossa) e l'epurazione della polizia. Come se lo Stato colombiano, particolarmente repressivo e brutale, fosse tranquillamente disposto ad ammorbidire i suoi metodi per mantenere l’ordine!

Soprattutto dal momento che, secondo una dichiarazione di Fonseca, leader della CUT, il giorno dello sciopero mirava solo a «chiedere al governo di negoziare il “pacchetto”»: l’obiettivo è solo la negoziazione! Invece di opporsi alla forza con la forza, rispondendo alla caparbietà del governo con il rafforzamento del movimento, il Comitato moltiplica le dichiarazioni legalitarie e pacifiste per evitare che lo sciopero sia illimitato (come alcuni studenti hanno fatto in alcune università); e, mentre invitava il governo a negoziare «in uno spirito patriottico e democratico», annunciava una nuova giornata di sciopero per il 4 dicembre: tattiche classiche di collaborazione sindacale per spezzare un movimento di lotta in forte crescita.

Come nel vicino Cile, dove l’apparato sindacale ha indetto uno sciopero generale il 12 novembre, non per la difesa degli interessi proletari, ma per l’obiettivo riformista di stabilire una nuova Costituzione attraverso un’assemblea costituente, le organizzazioni collaborazioniste colombiane tradiscono la lotta delle masse proletarie che pretendono di dirigere.

In Colombia e in Cile, come in tutta l’America Latina e in tutto il mondo, la crisi del capitalismo spinge i proletari alla lotta. Per avere una possibilità di vittoria, essi dovranno prima rompere con tutti i falsi amici che li allontanano dalla lotta di classe proponendo false alternative democratiche. Contro questi partiti e sindacati, che in realtà sono difensori dell’ordine borghese, i proletari devono recuperare le armi della lotta di classe indipendente e dotarsi della loro organizzazione politica di classe - il partito comunista rivoluzionario, internazionalista e internazionale. Questo non può essere fatto dall’oggi al domani, ma è il percorso oggettivamente indicato dagli scontri di oggi.

 

Classe contro classe!

Il capitalismo non si riforma, lo si combatte prima di avere la forza per abbatterlo. In questa lotta, i proletari non hanno altro da perdere se non le loro catene, hanno un mondo da guadagnare!

 

29/11/2019

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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