India: milioni di lavoratori in sciopero per il salario e le pensioni

(«il comunista»; N° 163 ; Marzo 2020)

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Si tratterebbe (secondo il manifesto dell'11 gennaio 2020) di 200/250 milioni di lavoratori delle industrie, delle banche, dei trasporti, delle miniere, dei porti, degli uffici governativi e dell’agricoltura, guidati da una decina di sigle sindacali, che scioperano per protestare contro le politiche antioperaie del governo di Narendra Modi. In particolare, nel Bengala occidentale e nel Kerala, le agitazioni hanno anche bloccato le linee ferroviarie e le strade. E’ lo sciopero più numeroso della storia dell’India.

L’India rappresenta la terza economia asiatica (dopo Giappone e Cina), ma negli ultimi tempi è un’economia in netto rallentamento e ciò ha provocato un rialzo dei prezzi al dettaglio, in particolare dei generi di prima necessità, ed ha aumentato anche la disoccupazione (dal 3,5% del 2017 all’8% nello scorso dicembre, mentre la disoccupazione femminile era già del 29% nel 2017). Di fatto, il settore manifatturiero crescerà del 2%, record negativo dal 2006; il settore edile del 6,8%, dato peggiore dal 2011; gli investimenti non arriveranno nemmeno all’1% di crescita, record negativo degli ultimi 15 anni.

Come per la Cina, così per l’India, queste percentuali segnalano una difficoltà economica reale che il governo Modi – come ogni governo borghese che si rispetti – cerca di scaricare sulle spalle dei proletari e dei contadini (che in India rappresentano una massa ancora cospicua di lavoratori; il 44% circa della forza lavoro indiana è occupato in agricoltura).

Evidentemente la situazione generale del proletariato e del contadiname è peggiorata sensibilmente nel giro di pochissimi anni e ciò ha portato ad una tensione sociale che i sindacati cercano di scaricare anche con uno sciopero come questo; da buoni collaborazionisti, i sindacati indiani protestano contro il governo per l’ampio piano di privatizzazioni (tra cui Air India e Bharat Petroleum) che ha intenzione di realizzare.

Ma, per mobilitare i lavoratori, i sindacati hanno dovuto avanzare richieste come: il salario minimo garantito (di 15mila rupie mensili, circa 190 euro) e un sistema pensionistico per tutti i lavoratori indiani, stimati in poco più di 520 milioni. Richieste che molto difficilmente il governo accoglierà anche solo parzialmente e la cui discussione coi sindacati verrà rimandata sicuramente ai prossimi anni. I proletari indiani dovranno lottare molto più duramente di quanto non facciano ora, e molto meno pacificamente, se vorranno ottenere qualcosa che non sia una miseria e anche solo per non vedere peggiorate le loro condizioni di vita e di lavoro.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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