Siria: interessi borghesi e imperialistici contrapposti alimentano di continuo una guerra senza fine (Fine)

La macelleria mediorientale scatenata da tutti gli imperialisti e dalle potenze regionali è lo specchio di quel che offre il capitalismo in ogni paese

(«il comunista»; N° 163 ; Marzo 2020)

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QUALCHE PAROLA SULLA “QUESTIONE NAZIONALE” CURDA

 

Come abbiamo sempre sostenuto, lo sviluppo imperialistico del capitalismo non solo non ha risolto il problema dell’indipendenza nazionale di tutti i popoli esistenti al mondo, ma lo ha incancrenito, acutizzando ancor di più l’oppressione non solo dei popoli che non sono riusciti storicamente ad elevarsi a nazione e a Stato indipendente, ma anche di moltissimi popoli che questo Stato indipendente lo hanno conquistato attraverso durissime lotte di liberazione nazionale e rivoluzioni nazionali, ma che non hanno avuto lo sviluppo – e non potevano averlo per le stesse leggi di sviluppo del capitalismo – che ha caratterizzato i paesi di più vecchio e avanzato capitalismo. Sui casi rappresentati, ad esempio, dalle popolazioni palestinese e curda, per le quali abbiamo chiaramente affermato che il tempo storico della loro emancipazione nazionale è ormai passato, abbiamo anche ribadito che la posizione marxista non è quella di cancellare l’esistenza della “questione nazionale”, visto che quelle popolazioni continuano a subire una sistematica oppressione nazionale, di fronte alla quale la risposta non può che essere dialettica. I comunisti ribadiscono, con Lenin: incondizionato riconoscimento della lotta per la libertà di autodecisione da parte di una nazione che soffre sistematicamente l’oppressione nazionale – e spesso da parte di più potenze borghesi contemporaneamente – ma, nello stesso tempo, propugnano e lottano per l’unificazione dei proletari di ogni nazione, di ogni paese, per la lotta contro ogni borghesia nazionale e contro ogni classe possidente di tutte le nazionalità (3). Ciò non elimina, anzi rafforza la prospettiva del programma proletario comunista, che è un programma di classe e per il quale il partito di classe chiama i proletari di tutti i paesi ad unirsi aldisopra delle nazionalità. Ma sarebbe un grave errore politico, come lo era ai primi del Novecento quando Lenin scriveva sulla questione nazionale (4), se i comunisti rivoluzionari non tenessero conto “di tutte le possibili combinazioni, persino di quelle concepibili in generale” e non sostenessero “il riconoscimento del diritto delle nazioni all’autodecisione”, anche se quelle nazioni non hanno e non avranno mai la forza di attuarla prima dell’avvento della rivoluzione proletaria internazionale.

Annegare la lotta proletaria per i propri obiettivi di classe nella lotta di tutto il popolo perché questo “diritto delle nazioni all’autodecisione” venga riconosciuto da tutte le potenze capitalistiche e imperialiste, è posizione opportunista e traditrice della classe proletaria; ma lo è anche negare totalmente l’esistenza di una “questione nazionale” per tutti i popoli oppressi, negando perciò quel “diritto delle nazioni all’autodecisione”, perché, di fatto, si sosterrebbe che il programma rivoluzionario della dittatura proletaria instaurata a rivoluzione proletaria vittoriosa, sotto il vessillo di una unità “nazionale” del tutto falsa, continuerebbe la politica di oppressione borghese nei confronti di quelle popolazioni. L’esempio dato dalla dittatura bolscevica rispetto a tutti i popoli che lo zarismo opprimeva è emblematico: mentre si riconosceva il diritto delle nazioni all’autodecisione (perciò l’unione socialista delle repubbliche era il risultato non del formale “cambio di governo” al potere, ma di un’adesione reale della maggioranza della popolazione al sostegno delle repubbliche socialiste), si incitava il proletariato a lottare contro ogni oppressione borghese, contro ogni oppressione di una nazione su di un’altra, ma sulla base della sua lotta di classe, a livello nazionale come a livello internazionale, quindi contro ogni borghesia nazionale. Propagandare da parte dei comunisti rivoluzionari, contemporaneamente il diritto delle nazioni all’autodecisione e la necessità da parte dei proletari della nazione oppressa di unirsi con i proletari della nazione opprimente in un’unica lotta di classe contro la classe borghese di ogni nazionalità, significa voler dimostrare ai proletari della nazione oppressa e opprimente che il loro interesse di classe è nella lotta contro la propria borghesia nazionale, ma anche che il potere proletario rivoluzionario di domani non sarà un potere che opprime le nazioni più deboli, ma un potere che lotta senza tregua contro gli oppressori per eccellenza, i borghesi a qualsiasi nazionalità appartengano. Significa, inoltre, dare al proletariato della nazione oppressa una prospettiva di classe, allacciando la loro lotta contro l’oppressione alla lotta dei proletari della nazione opprimente, con l’obiettivo di contrastare la presa che la borghesia della nazione opprimente ha sul proprio proletariato attraverso il godimento di qualche piccolo privilegio sociale basato sull’oppressione del popolo dominato, e contrastare la presa che la borghesia della nazione oppressa ha sul proprio proletariato attraverso la politica dell’”interesse comune”, in quanto “oppressi” entrambi da un’altra nazione, sapendo che questa borghesia anela ad una indipendenza per poter sfruttare a pieno titolo il proprio proletariato. Posizione dialettica, dicevamo, che molti sedicenti comunisti non afferrano, come nel caso di coloro che continuano a stampare “il programma comunista”.

Già nel 1994 “il programma comunista” aveva pubblicato un articolo, intitolato “Quali prospettive di emancipazione del torturato popolo curdo?, nel quale si sosteneva che la lotta nazionale curda era condannata storicamente, in quanto lotta puramente nazionale e che una soluzione reale a questo dramma storico poteva essere offerta soltanto da una rivoluzione anticapitalista estesa a tutto il Medio Oriente; una rivoluzione che sarebbe stata possibile grazie all’opera dei comunisti affinché “una punta avanzata dell’unica forza politica curda che si batta conseguentemente contro l’oppressore – il PKK – si sprigioni e, spingendosi oltre i limiti della lotta di resistenza nazionale, si ponga all’avanguardia della lotta rivoluzionaria proletaria e comunista per l’abbattimento dell’intero apparato borghese di dominio in tutto il Medio Oriente” (5), come se il partito proletario di classe, il partito comunista rivoluzionario, potesse formarsi dalla costola di un partito borghese; a questo articolo rispondemmo con l’articolo citato nella nota 3. Oggi, di fronte all’ennesimo massacro della popolazione curda, lo stesso giornale pubblica nel suo sito una presa di posizione molto sentimentale, ma politicamente egualmente disatrosa (6). Rivolgendosi direttamente ai proletari curdi, e dopo aver denunciato i misfatti delle borghesie imperialiste e delle stesse fazioni borghesi curde, “il programma comunista” alza la voce, come fa papa Francesco quando declama dalla famosa finestra di piazza San Pietro, affermando quello che la gente deve fare per salvare il mondo: “Sorelle e fratelli proletari, trasformate l’ormai inutile arma della rivolta nazionale nella lotta per la preparazione della rivoluzione proletaria internazionale” e via con una serie di indicazioni ultimatiste: -Distruggere lo Stato imperialista e democratico per edificare sulle sue macerie lo Stato senza frontiere del proletariato internazionale, -Opporre alla guerra fra gli Stati capitalisti e all’inganno delle patrie la guerra tra la nostra classe (i proletari internazionali, senza riserve) e tutte le borghesie nazionali, -Trasformare la guerra imperialista borghese in rivoluzione proletaria comunista...

Forse non ci siamo accorti di essere entrati in una situazione rivoluzionaria, in cui esistono – non solo tra i curdi – ma almeno nei diversi paesi del Medio Oriente e nei paesi europei, associazioni economiche proletarie di classe che organizzano la maggioranza dei proletari, un partito comunista rivoluzionario presente nei diversi paesi e con un’influenza significativa tra i vari proletariati, una situazione sociale tale per cui i proletari, avendo accumulato negli anni l’esperienza necessaria per organizzarsi per la guerra di classe contro la borghesia, siano già lanciati oggettivamente sul terreno della lotta di classe per il potere, e una situazione in cui i poteri borghesi esistenti almeno in un certo numero di paesi siano effettivamente indeboliti dalle crisi e dalle guerre! Le parole d’ordine rivoluzionarie, ammoniva Lenin, non vanno sprecate! Ma quali sono le forze politiche che dovrebbero condurre i proletari a “trasformare l’ormai inutile arma della rivolta nazionale nella lotta per la preparazione della rivoluzione proletaria internazionale”?. Un tempo “il programma comunista” aveva individuato nel PKK l’organizzazione politica da cui sarebbe nato, come Minerva dal cervello di Giove, il vero partito comunista rivoluzionario, ma oggi non se la sente di rifare lo stesso errore, e allora ne fa un altro, diverso: scende direttamente alla base ipotizzando che i proletari in quanto tali siano in grado spontaneamente, senza guida politica del partito di classe, di traformare la guerra “nazionale” in guerra “rivoluzionaria”. A che servirebbe, dunque, il partito comunista rivoluzionario?

“Il programma comunista” è in ogni caso coerente con la posizione antileninista che aveva già assunto venticinque anni fa: la “questione nazionale” per i curdi, come per i palestinesi? Non esiste. Il diritto delle nazioni all’autodecisione, nel senso di Lenin? Decaduto. I proletari sia delle nazioni oppresse che delle nazioni che opprimono devono rendersi conto (ci pensa “il programma comunista” a ricordarlo) che, ormai, l’unica cosa che devono fare è unirsi internazionalmente (il fatto che non riescano ad unirsi sul terreno di classe nemmeno nazionalmente, non conta evidentemente, con buona pace di Marx ed Engels e del Manifesto). E, ovviamente, non importa se i proletari curdi, siriani, iracheni, turchi, iraniani, palestinesi, libanesi, giordani, israeliani – tanto per rimanere nell’area Mediorientale nella quale dovrebbe nascere la rivoluzione proletaria internazionale – non sono ancora riusciti a rompere con le proprie borghesie, e quindi non sono riusciti a superare la stessa concorrenza tra proletari che, partendo dalla base economica delle loro condizioni, è uno degli inciampi più difficili da eliminare, ma che produce i vincoli interclassisti che impediscono ai proletari di riconoscersi come classe distinta e antagonista alla classe borghese prima di tutto della propria nazione. Basta declamare grandi parole rivoluzionarie...  e ci si mette a posto la coscienza. Non solo, ma ci si prende anche il lusso di squalificare completamente, in quattro parole, la lotta curda per l’indipendenza nazionale. Come si sarebbe rivolto Lenin ai curdi, e ai proletari curdi in particolare, se non ribadendo la posizione sulla quale ha combattuto per anni all’interno stesso del partito bolscevico, e che abbiamo ricordato velocemente prima? “Il programma comunista” ha cancellato Lenin? Anche se non l’ha fatto formalmente, comunque non l’ha capito.

Il “nazionalismo” di un popolo (proletariato compreso) oppresso da sempre è ben diverso dal nazionalismo della borghesia dei paesi capitalistici già formati da tempo. E’ di quel “nazionalismo” che si occupava Lenin quando trattava la questione del diritto delle nazioni all’autodecisione. Noi, come accennavamo sopra, sappiamo che la strada che i proletari dei paesi del Medio Oriente, e in particolare i proletari delle popolazioni oppresse come i curdi e i palestinesi, devono percorrere è irta di difficoltà oggi ancora insormontabili a maggior ragione in quanto è proprio il proletariato dei paesi capitalistici più avanzati che è fermo, che non ha ancora nemmeno accennato ad una sana rottura con l’interclassismo e con le pratiche democratiche. E’ possibile che la rinascita del movimento proletario rivoluzionario venga dai paesi della cosiddetta periferia dell’imperialismo? Che venga addirittura da proletariati che non sono nemmeno inseriti in una nazione riconosciuta e formata con un suo Stato indipendente? Davvero difficile, ma, come diceva Lenin, il partito rivoluzionario “non si lega affatto le mani. Esso tiene conto di tutte le possibili combinazioni, persino di tutte quelle concepibili in generale, quando sostiene nel suo programma  il riconoscimento del diritto delle nazioni all’autodecisione (...) Esso esige solo che un partito effettivamente socialista [socialista, allora era sinonimo di comunista, marxista, NdR] non corrompa la coscienza proletaria, non offuschi la lotta di classe, non lusinghi la classe operaia con frasi democratiche borghesi, non violi l’unità dell’odierna lotta politica del proletariato. Proprio questa condizione, che è l’unica in base alla quale noi riconosciamo l’autodecisione, è la più importante” (7).

Oggi potremmo aggiungere che un partito effettivamente comunista rivoluzionario non deve lusingare la classe operaia, e i proletari in generale, con frasi formalmente rivoluzionarie, appese soltanto al desiderio di essere verbalmente più rivoluzionari di Lenin, ma di fatto affascinati romanticamente soltanto da un combattentismo armato che è caratteristico degli strati piccoloborghesi che influenzano e dirigono buona parte delle milizie curde. I proletari curdi, oggi come ieri, sono ancora invischiati nelle illusioni democratiche borghesi e continuano ad offrire alla propria borghesia “nazionale” le loro braccia e le loro vite a difesa di interessi che sono esclusivamente borghesi, anche nella situazione di etnia oppressa. Il primo passo che devono fare per acquisire una prospettiva di lotta e di vita del tutto opposta è quello di rompere i legami con la propria borghesia, di lottare contro le illusioni democratiche e interclassiste veicolate dalle forze di conservazione borghese, e di organizzarsi in modo indipendente da ogni apparato legato agli interessi della propria borghesia e degli imperialismi ai quali essa si affitta di volta in volta.

Se non compie questo passo, non potrà mai aspirare a lottare per trasformare la guerra borghese in guerra di classe, non potrà mai aspirare a lottare fianco a fianco con i proletari delle altre nazionalità sullo stesso terreno di classe e internazionale.

 


 

(3) Cfr. Curdi: emancipazione del popolo curdo, o del proletariato curdo?, in “il comunista” n, 43-44, ottobre 1994-gennaio1995. Vedi in www.pcint.org, il comunista.

(4) Vedi, ad esempio, Lenin, “La questione nazionale nel nostro programma”, 1903, in Opere, vol. 6, pp. 420-428.

(5) Cfr. “il programma comunista”, n. 1, gennaio 1994.

(6) Vedi Rabbia, commozione e solidarietà per le proletarie e i proletari kurdi sotto il fuoco degli imperialismi, ottobre, “il programma comunista”, www.internationalcommunist party. org.

(7) Vedi nota 4.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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