L’alternativa dei negri d’America

(«il comunista»; N° 165 ; Luglio-Ottobre 2020)

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L’assassinio del leader negro Malcom X e i più recenti fatti dell’Alabama hanno bruscamente riportato sulla ribalta la drammaticità del problema razziale in America. La facile previsione che la legge sui diritti civili approvata nel giugno scorso non potesse costituire la soluzione del grave problema dei rapporti fra minoranza negra e maggioranza bianca, è ancora una volta confermata dal primo fatto di sangue e dall’altro episodio di violenza ad esso seguito: l’incendio della moschea musulmana di Harlem, di cui Malcom X era il capo religioso, prima di separarsi dai musulmani neri di Elijah Muhammad e di contrapporsi alla loro politica come capo dell’«Organizzazione per l’unità afro-americana». I fatti dimostrano appunto che la conquistata (non dono grazioso di un Kennedy) legge dei «civil rights» non doveva costituire per i negri d’America che un nuovo punto di partenza per altre lotte violente, anche solo per la sua applicazione pratica.

Urlino pure i timorati di Dio e i predicatori della non violenza, unicamente ansiosi di gettare acqua sul fuoco per evitare grossi grattacapi alla macchina statale americana e facilitarle il controllo di ogni movimento rivendicativo negro. Nessuno si illuda; meno che mai gli interessati: i principi gandhisti di non-violenza nei quali la maggioranza dei capi delle organizzazioni negre mostrano di avere tanta fede suonano sempre più anacronistici. Ostinarsi a ignorare la realtà, o a rappresentarsela secondo ingenui e pii desideri, significa solo voler far versare un maggior contributo di sangue e ritardare il raggiungimento di ogni meta futura.

Ciò perché i principi pacifisti disarmano gli oppressi e li rassegnano al loro stato di inferiorità e di soggezione, mentre essi hanno bisogno di quella virilità e di quel coraggio che solo la lotta e lo spirito della lotta ispirano e che si nutrono del santo odio degli sfruttati. Ma, odiare il bianco in genere e in modo indiscriminato e qualunquistico, benché comprensibile, significa odiare ciecamente. Occorre invece l’odio cosciente: l’odio di classe contro i capitalisti di qualunque paese e di qualunque colore.

Non dimentichino gli sfruttatissimi negri d’America che alla base del loro problema c’è il fondamento classista  della società borghese, c’è tutta la storia del capitalismo yankee, e che da questo hanno poi tratto origine le altre manifestazioni di violenza alle quali il composito ambiente sociale americano ha spesso dato un’impronta gangsteristica di cronaca nera e il tono fanatico delle lotte religiose e xenofobe.

 

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Sono state soprattutto le necessità di difesa di classe, in campo sia negro che bianco, che hanno spinto alla ricerca della miglior tattica da usare e del miglior modo di organizzarsi. Di qui sono nate le divisioni e anche le lotte interne in ciascun campo. Poco prima dell’approvazione della legge sui diritti civili, si è vista la stessa borghesia imperante dividersi tra integrazionisti e razzisti. La prima di tali frazioni, quella progressista di Kennedy, ha levato la bandiera della «nuova frontiera» ed è riuscita a far approvare la legge sui diritti civili. Ma nessuno s’inganni: l’umanitarismo non ha nulla a che vedere col decantato progressismo riformista kennediano, poiché tale legge, per i meno retrivi dirigenti politici, non faceva che prendere atto di una conquista già strappata dai negri con la lotta e non mirava che a scopi di conservazione di classe. Ebbene, nonostante ciò, Kennedy doveva essere ucciso dalla mano di bianchi al servizio di pur sempre potentissimi interessi razzisti.

L’assassinio di Malcom X è a sua volta il prodotto della divisione e delle lotte interne tra gli sfruttati negri, complicate da motivi religiosi estranei. Ma – come mostra proprio ora la vanità del pacifismo razziale – la catena della violenza non finirà qui, e purtroppo chi pagherà di più sarà la gente di colore, le cui fratture interne non sono soltanto il risultato di una contesa tra gruppi aspiranti ad assumere la guida del movimento per imprimerle un corso o pacifista o violento, ma sono anche favorite ad arte dalla classe dominante.

 

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L’effettiva uguaglianza civile e politica delle razze in America, se non la si vuol ridurre alla semplice «libertà di voto» per tutti i cittadini, non sarà mai pienamente raggiunta finché la «grande società» rimarrà borghese. Una società multirazziale, considerata perfetta solo perché offre l’eguaglianza di fronte alla scheda, può essere l’ideale del democratico convinto; non sarà mai, se pur si realizzasse, l’ideale del proletariato rivoluzionario. Al massimo, varrebbe ad aprire gli occhi delle grandi masse dei proletari negri sulla necessità di abbatterne tutte le finzioni, di distruggerne la realtà di classe. Allora la realizzazione dei «diritti civili» apparirebbe solo come  una tappa nel processo di liberazione sociale che il proletariato non solo d’America ma di tutto il mondo attende dall’azione violenta e dalla guida rivoluzionaria del suo partito mondiale unico, il Partito Comunista.

 

(da «il programma comunista» n. 6, 25 marzo 1965)

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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