Per non dimenticare

La Comune di Parigi, 18 marzo-28 maggio 1871

«Il filisteo socialdemocratico recentemente è stato preso da un salutare terrore sentendo pronunciare l’espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura?

Guardate la Comune di Parigi. Quella fu la dittatura del proletariato»

(dall’Introduzione di Engels del 1891 a «La guerra civile in Francia» di Marx)

(«il comunista»; N° 168 ; Aprile / Maggio 2021)

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L’attenzione che vogliamo riportare sulla Comune di Parigi del 1871 mira a rimettere in primo piano il metodo marxista di interpretazione dei movimenti storici e a confermare la previsione marxista del corso di sviluppo della società borghese non solo come ultima società divisa in classi, ma come la società le cui contraddizioni – originate principalmente dal contrasto insanabile tra forze di produzione e forme di produzione e sociali borghesi – conducono inevitabilmente alla lotta di classe del proletariato contro la borghesia, in ogni paese, il cui sbocco non può che essere la conquista del potere politico da parte della classe proletaria, l’instaurazione della sua dittatura di classe a livello internazionale allo scopo di trasformare l’economia della società da economia mercantile e capitalistica ad economia di specie, ad economia comunista. E la Comune di Parigi è la dimostrazione che questa prospettiva storica è la sola che può effettivamente condurre la società a superare definitivamente quella che Engels ha chiamato la preistoria umana (le società divise in classi contrapposte) per aprire all’uomo la sua storia di specie.

Il corso storico della lotta fra le classi sta alla base della formazione dei partiti politici, cioè di quelle organizzazioni politiche che rappresentano gli interessi di classe nazionali e generali  delle classi che si combattono; ogni classe sociale è determinata dallo sviluppo dell’economia che, attraverso lo sviluppo industriale si estende nei diversi paesi, nei continenti, nel mondo. Le caratteristiche delle condizioni sociali delle classi possidenti e, per conseguenza, delle classi sfruttate vengono trasmesse dallo stesso sviluppo economico da un paese all’altro, pur mantenendo aspetti specifici delle condizioni economiche, politiche, sociali e militari dei paesi in cui lo sviluppo economico fa i primi passi. E’ per questa ragione che la lotta di classe fra proletariato e borghesia – le due classi principali dell’era capitalistica – può iniziare in un determinato paese, con sue caratteristiche specifiche, ma è destinata ad estendersi agli altri paesi proprio in forza dello sviluppo del capitalismo, dello sviluppo della grande industria e, perciò, del mercato internazionale.

Crisi e rivoluzioni sono storicamente inevitabili, a dimostrazione che lo sviluppo storico della società umana non avviene gradualmente, né tanto meno per volontà di grandi uomini o di gruppi di potere, ma per rotture verticali, nella fattispecie rotture tra le forze di produzione e le forme di produzione e di proprietà esistenti. E l’esempio della Comune di Parigi è stato la traccia concreta di quel che la rivoluzione proletaria è obbligata oggettivamente a fare, di quel che deve fare e non deve fare, tanto da servire come esempio storico per tutte le rivoluzioni proletarie a seguire. Non per caso Marx scriverà a Kugelmann il 17 aprile 1871, un mese dopo la presa del potere a Parigi da parte dei comunardi, che «qualunque sia l’esito immediato, un punto di partenza di importanza storica universale è conquistato» (*).

Tra i vari lavori che il partito ha dedicato alla Comune di Parigi e alla questione della dittatura del proletariato, qui riprendiamo un testo pubblicato nel 1966 nel nostro giornale di allora, come resoconto della riunione generale di Firenze della fine del 1965, in cui veniva trattato il grande tema della «Questione militare». In questo caso si trattò della puntata dedicata alla Fase della costituzione del proletariato in classe dominante (Comune di Parigi 1871) (**).

Seguiranno, nei prossimi numeri de “il comunista”, altri testi come il Primo e il Secondo Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori sulla guerra franco-prussiana (detta Prima Internazionale) scritti da Marx, e degli estratti da varie lettere e appunti di Marx ed Engels sempre sulla Comune. Ciò che rivendichiamo è la continuità teorica e politica del marxismo in opposizione a qualsiasi interpretazione opportunista non solo della vicenda storica della Comune di Parigi, ma della rivoluzione proletaria e della dittatura del proletariato in generale.

 


 

(*) Cfr. Lettera di K. Marx a L. Kugelmann, 17 aprile 1871, in K. Marx, «Lettere a Kugelmann», Edizioni Rinascita, 1950,  p. 142. Ludwig Kugelmann, medico di Hannover, era membro dell’AIL (Associazione Internazionale dei Lavoratori, detta Prima Internazionale), e con lui Marx intratenne una importante corrispondenza tra il 1862 e il 1874, di cui riprenderemo degli estratti nelle prossime puntate.

(**) Cfr. “il programma comunista” nn. 3 e 4 del 1966. La riunione generale di partito citata (dal titolo “La profetica potenza della teoria rivoluzionaria marxista lega le sussultorie vicende del corso economico borghese alla riscossa coronante l’ardente ciclo 1848-1871-1919") si tenne a Firenze il 31/10-1/11 del 1965; tra i diversi rapporti c’è stato, per l’appunto, quello dedicato alla questione militare e, nello specifico, alla Comune di Parigi 1871.

 

 

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Fase della costituzione del proletariato in classe dominante: la Comune di Parigi 1871

 

 

PRIMA FASE DELLA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA

 

Non si può parlare della Comune senza comprendere gli aspetti di quella guerra franco-prussiana che segnò in Europa un vero e proprio svolto storico nelle relazioni fra gli Stati e fra le classi. I suoi caratteri cambiarono più volte durante il suo stesso sviluppo e in conseguenza mutò l’atteggiamento delle classi nei due paesi in lotta.

In merito alle cause, occorre distinguere quelle apparenti da quelle reali. Ufficialmente il conflitto scoppiò per una questione dinastica: si trattava di decidere a favore o contro la candidatura di un Hohenzollern al trono spagnolo. In effetti, la questione spagnola servì a Bismarck per creare il casus belli con la Francia, così come la questione dei ducati danesi gli era servita per creare quello con l’Austria nel 1866 (1).

Per completare l’unità nazionale tedesca, la guerra contro la Francia era divenuta una necessità: solo un bagno di sangue comune agli Stati del Nord e del Sud poteva lavare le antiche rivalità e costituire il saldo cemento della unificazione. Obbiettivamente, quindi, da parte tedesca, la guerra poteva essere considerata nazional-rivoluzionaria. Ma il motivo ufficiale dello scoppio della guerra faceva chiaramente intendere come la condotta del governo e della monarchia prussiana non volesse essere soggettivamente rivoluzionaria. La mira delle autorità prussiane non era di mettersi al servizio della nazione tedesca, ma di fare della necessità unitaria un mezzo per consolidare il predominio della Prussia in Germania.

Nel primo caso si sarebbe giunti alla germanizzazione della Prussia e ci si sarebbe dovuti appellare al popolo armato e in particolar modo alla classe preletaria. Ma Bismarck non voleva correre il rischio di spartire il successo che egli si attendeva da un esercito già sperimentato dalla vittoria di Sadowa (2) col proletariato tedesco che avrebbe potuto accampare dei diritti reclamandoli da una posizione autonoma. Proprio per continuare a tener soggetta la classe operaia e la stessa borghesia, come era avvenuto dalla controrivoluzione del 1848, Bismark intendeva realizzare l’unità tedesca dall’alto, ossia prussianizzando la Germania. Se questo era l’atteggiamento del potere politico in Prussia, e se la borghesia tedesca restava “vacillante” (Mehring) nella sua tradizionale viltà, qual era la posizione del proletariato?

In linea di principio si può dire che, in generale, la classe operaia tedesca avversava la guerra per la impostazione statalistica e non popolare che Bismarck aveva dato ad essa. Ma, in linea pratica gli operai tedeschi, valutando realisticamente le cose, non vollero osteggiare la guerra né sabotarla. Ritennero anzi doveroso prestare nervi e muscoli all’esercito. Non possedendo ancora la forza di abbattere Bismarck e condurre in porto dall’interno la rivoluzione democratica, e tenuto presente che neanche il proletariato francese era in grado di liquidare Bonaparte (3), il proletariato tedesco accettò la guerra come un male necessario e inevitabile. «Con profondo rammarico e con dolore ci vediamo costretti a sottostare a una guerra di difesa, come ad una sciagura inevitabile». Così si esprimeva il CC della sezione dell’Internazionale di Brunswick. Era in gioco la questione nazionale per cui solo la lotta armata consentiva di violare «il diritto ereditario della Francia e mantenere la Germania disunita» (Marx nell’Indirizzo sulla Guerra Civile).

Concorrere dunque a battere dall’esterno Napoleone era per gli operai tedeschi il solo modo pratico di dimostrare il loro internazionalismo, e il loro «essere lieti di stringere la mano fraterna offertaci dagli operai di Francia». In Francia, la sezione parigina dell’Internazionale, interpretando il sentimento e la volontà di tutta la classe operaia, si era pronunciata contro la guerra. La stessa borghesia francese, avvertendo il pericolo di una sconfitta, stentò a credere all’annuncio della guerra, ma, presa dalle sue contraddizioni, non seppe reagirvi. L’azione del Bonaparte era infatti da una parte l’espressione della spinta derivante dalla bramosia di profitto dei capitalisti francesi, dall’altra doveva servire a rialzare il prestigio, in netta fase di declino, del suo potere poliziesco per fiaccare la crescente minaccia dei proletari, di cui già aveva cercato di spezzare le organizzazioni sindacali e politiche e, più di tutte, la sezione parigina dell’Internazionale, con processi, condanne e simili.

La sua vittoria contro la Prussia avrebbe dunque significato una sconfitta non solo per i proletari tedeschi, ma anche per gli operai francesi. «La pretesa di riavere i confini del Primo Impero perduti nel 1814 o almeno quelli della prima repubblica» (Prefazione di Engels alla Guerra Civile) (4) mostrano a sufficienza la sua politica di conquista e il tratto imperialistico della sua guerra; e la forma sciovinistica («A Berlino!» gridavano a Parigi i figli di papà) con la quale essa era avviata ne metteva ancora più in luce il carattere reazionario e aggressivo.

 

LE PAROLE D’ORDINE POLITICHE NELLA STORIA

 

Nel momento in cui la guerra scoppiava non era nota ancora la trappola tesa da Bismarck col rimaneggiamento del famoso dispaccio di Ems, trappola in cui goffamente incappò Napoleone il Piccolo, sicché anche sul piano delle apparenze la Germania si trovava in posizione di difesa. Si aggiunga lo stato d’animo popolare che, alla minaccia di invasione da parte della Francia, riandava con la memoria alle aggressioni del Primo Impero ai tempi di Jena (5). E non basta. Di fronte alla necessità, Guglielmo I, in un suo proclama, aveva subito affermato il carattere difensivo della sua guerra, dichiarando di aver assunto il comando dell’esercito tedesco soltanto «per respingere l’aggressione» (vedi Indirizzo sulla Guerra Civile) (6). Considerato quindi che da una parte del fronte c’era un imperialismo sia sostanzialmente che formalmente aggressore, e dall’altra una nazione nella sua ultima e decisiva fase di formazione, l’Internazionale ritenne allora giusto dare agli operai tedeschi la parola della «difesa della Patria». 

E’ vero, noi sappiamo che questa parola d’ordine è stata sfruttata dai Kautsky e C. per tradire il proletariato internazionale allo scoppio della prima guerra imperialistica e perciò comprendiamo l’avversione psicologica del proletariato rivoluzionario verso di essa. Ma in politica non ci si deve far guidare da sentimentalismi e moralismi. Per digerire questa formula citeremo più avanti lo stesso Marx, e intanto ci richiamiamo a Lenin del 1916. «Non dobbiamo permettere che ci traggano in inganno con le parole. Il concetto di “difesa della patria”, per esempio, è per molti detestabile perché gli opportunisti dichiarati e i kautskiani se ne servono per camuffare e velare la menzogna della borghesia nella presente guerra di rapina. E’ un fatto. Ma da esso non consegue che noi dovremmo smettere di meditare sul significato delle parole d’ordine politiche. Ammettere la “difesa della patria” nella guerra in corso significa considerarla una guerra “giusta”, conforme agli interessi del proletariato, e nulla più, assolutamente nulla, poiché nessuna guerra esclude l’invasione. Sarebbe semplicemente sciocco negare “la difesa della patria” da parte dei popoli oppressi nella loro guerra contro le grandi potenze imperialistiche, o da parte del proletariato vittorioso nella sua guerra contro un qualsiasi Gallifet di uno Stato borghese» (da Il programma militare della rivoluzione proletaria) (7).

Deve essere dunque chiaro che «la classe operaia tedesca ha appoggiato risolutamente la guerra – che non aveva la possibilità di impedire – come guerra per l’indipendenza della Germania e per la liberazione della Francia e dell’Europa dall’incubo pestilenziale del Secondo Impero» (Marx, nel Secondo Indirizzo). In questo passo, Marx fa intendere che, avendone la “possibilità” (cioè la forza organizzata), il proletariato tedesco avrebbe potuto e dovuto disfarsi di tutti i principi tedeschi nonché di Bismarck e del suo sovrano, per realizzare l’unità del paese senza la guerra nazionale che, come egli dice, era «il più alto slancio di eroismo» di cui fosse capace la società borghese prima della Comune; divenendo dopo di questa una «semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi con una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono tutti uniti» (Indirizzo sulla Guerra Civile).

 

LA STRATEGIA RIVOLUZIONARIA DEL PARTITO

 

Qual era la condizione perché la guerra franco-prussiana si risolvesse in modo favorevole allo sviluppo storico europeo, in vista cioè dell’affermazione della rivoluzione proletaria nei paesi più progrediti dell’Occidente e della rivoluzione permanente nei paesi arretrati del centro-Europa e della Russia, ove «vulcaniche forze sociali minacciano di scuotere le basi stesse dell’autocrazia»? Essa era che la guerra da parte tedesca non perdesse il suo carattere difensivo e che, battuto Napoleone, si concludesse in una «pace dignitosa». Solo così i popoli francese e tedesco avrebbero potuto vivere per un lungo periodo in relazioni pacifiche e fruttuose, e con una conseguenza di straordinaria importanza: «Se invece [i vincitori tedeschi] concludono una pace onorevole con la Francia, la guerra libererà l’Europa dalla dittatura moscovita, porterà l’unificazione di Prussia e Germania, permetterà al continente occidentale di svilupparsi pacificamente e, infine, favorirà lo scoppio di una rivoluzione sociale in Russia, che attende solo una spinta esterna per svilupparsi – arrecando in tal modo beneficio anche al popolo russo» (Marx e Engels, Lettera al Comitato del Partito operaio socialdemocratico – Comitato di Braunschweig-Brunswick, 22 agosto 1870) (8).

Come si vede Marx non pensa minimamente a una pace imbelle. Il grande rivoluzionario vuol preparare il terreno affinché le forze sociali compresse si liberino, nuova energia se ne sprigioni e più presto e con minori sofferenze per l’umanità di giunga al traguardo della rivoluzione comunista nell’intera Europa. Come e più che nel 1848, egli affida la proletariato il compito di non far degenerare la guerra e di impedire così l’alleanza controrivoluzionaria borghese-feudale. A tal proposito val la pena di ricordare la lotta di Marx ed Engels per far liquidare il patto di Parigi del 1856 che legava l’Inghilterra alla Russia, entrambe interessate a vedere esaurirsi i contendenti francese e tedesco nella lotta fratricida. Ancora il 1° settembre Marx scriveva a Sorge sullo stesso argomento: «La guerra attuale condurrà a una guerra tra la Germania e la Russia così fatalmente come la guerra del 1866 ha condotto alla guerra tra la Prussia e la Francia... Questa guerra n. 2 genererà l’inevitabile rivoluzione sociale in Russia» (9). Purtroppo, il proletariato – come oggi sappiamo – non riuscì ad assolvere felicemente il grandioso compito assegnatogli. Se la sconfitta proletaria di giugno 1848 a Parigi aveva segnato l’inizio della controrivoluzione borghese-feudale, il «grande maggio insanguinato» (Lenin) del 1871, in cui cadde la gloriosa Comune di Parigi, segnerà il trionfo della nuova controrivoluzione iniziata per volontà della Prussia con il crollo del Secondo Impero.

 

IL CROLLO DEL SECONDO IMPERO – L’INSURREZIONE A PARIGI – LA REPUBBLICA

 

Nel Primo Indirizzo sulla guerra franco-prussiana Marx aveva profetizzato: «Qualunque cosa possa accadere nella guerra di Luigi Bonaparte con la Prussia, a Parigi la campana a morto del Secondo Impero è già suonata. Finirà com’è cominciato, con una parodia» (10).

Il tono sicuro di Marx dimostra quanto egli conoscesse la situazione politica e militare della Francia, la struttura del suo Stato, la funzione del bonapartismo. Dice Lenin che «Il problema fondamentale di ogni rivoluzione è quello del potere dello Stato. Finché questo problema non è chiarito non si può nemmeno parlare di partecipare coscientemente alla rivoluzione e tanto meno di dirigerla». Per Marx il governo di Bonaparte «era l’unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia aveva già perduta la facoltà di governare e il proletariato non l’aveva ancora acquistata... Sotto il suo dominio, la società borghese, libera da preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non aveva mai sperato; la sua industria e il suo commercio assunsero proporzioni colossali; la truffa finanziaria celebrò orge cosmopolite; la miseria delle masse fu messa in rilievo da una ostentazione sfacciata di lusso esagerato, immorale, abietto. Il potere dello Stato, apparentemente librato al di sopra della società, era esso stesso lo scandalo più grande di questa società e in pari tempo il vero e proprio vivaio di tutta la sua corruzione». Qui le radici della sconfitta militare della Francia prevista da Marx. Engels, in uno studio militare, aveva aggiunto che in Francia «tutto era marcio: l’atmosfera di corruzione in cui viveva il Secondo Impero aveva finito per agire sul principale appoggio del regime: l’esercito». E la disfatta militare, sgombrando di colpo il terreno di lotta fra le classi di vecchi ostacoli polizieschi, mette in moto il popolo di Parigi. Esso insorge, armi alla mano e con alla testa internazionalisti e socialisti proudhoniani e blanquisti travolge gli sbarramenti di guardie di città davanti al palazzo del Corpo Legislativo ed entra nell’aula, dove il blanquista Granger intima ai deputati di decretare la caduta dell’Impero e la proclamazione della Repubblica. Si ripete la scena del febbraio 1848 in cui la seconda Repubblica veniva imposta dall’operaio Raspail avendo dietro a sé il popolo armato. Ma, come allora, anche questa volta il proletariato generoso e bonario, si lascia sfuggire il potere che pur gli apparteneva di pieno diritto, essendo questo fondato unicamente sulla forza. Se però nel 1848 ciò era accaduto a causa dello stato d’animo euforico di falsa fraternité che sempre si forma quando senza spargimento di sangue si riesce egualmente a spezzare la volontà nemica, questa volta vi influisce anche la situazione militare del paese. Così si spiega la formazione di un governo della Difesa Nazionale composto da orleanisti e repubblicani borghesi.

«Ma Parigi, nel turbamento della sorpresa, mentre i veri capi della classe operaia erano ancora nelle prigioni di Bonaparte e i prussiani già marciavano sulla città, tollerò che assumessero il potere, alla condizione espressa che questo sarebbe stato adoperato esclusivamente ai fini della difesa nazionale» (Indirizzo sulla Guerra Civile). Cinque giorni dopo l’insurrezione di Parigi, l’Internazionale lancia il suo Secondo Indirizzo sulla guerra franco-prussiana, si associa agli operai tedeschi nel salutare i nuovi avvenimenti, e mette in guardia gli operai francesi dal farsi delle illusioni sul nuovo governo.

«Come loro, noi salutiamo l’avvento della Repubblica in Francia, ma, al tempo stesso, nutriamo delle apprensioni che speriamo si rivelino infondate. Questa Repubblica non ha rovesciato il trono; ha semplicemente preso il suo posto rimasto vacante. E’ stata proclamata non come conquista sociale, ma come una misura nazionale di difesa. E’ nelle mani di un governo provvisorio composto in parte da noti orleanisti, in parte da repubblicani borghesi, su alcuni dei quali l’insurrezione del giugno 1848 ha impresso il suo indelebile marchio d’infamia» (11). In questo secondo Indirizzo c’è di più: ci sono direttive positive di tattica rivoluzionaria che si inquadrano nel piano di strategia visto innanzi. Da questo momento il partito, in Francia come in Germania, prende atto che la guerra in corso non ha più il significato storico che possedeva all’inizio e perciò la sua lotta non può non assumere lineamenti diversi.

 

LA SECONDA FASE DELLA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA

 

 Il mutato carattere della guerra non giunse inatteso al Partito. Già nel primo Indirizzo Marx aveva scritto: «Se la classe operaia tedesca permette che questa guerra perda il suo carattere strettamente difensivo e degeneri in una guerra contro il popolo francese, vittoria o sconfitta si dimostreranno ugualmente disastrose» (12). Il bonapartismo prussiano vale dunque per Marx quanto quello francese ai fini della rivoluzione borghese in Europa e del movimento operaio socialista.

  Il secondo Indirizzo è la risposta che l’Internazionale dà alla seconda fase della guerra. Anzitutto, si rileva che «come non ci eravamo sbagliati riguardo alla vitalità del Secondo Impero, così non abbiamo avuto torto quando temevamo che la guerra tedesca avrebbe “perso il suo carattere strettamente difensivo e sarebbe  degenerata in una guerra contro il popolo francese”. La guerra difensiva si è conclusa, in effetti, con la resa di Luigi Bonaparte, la capitolazione di Sedan e la proclamazione della Repubblica a Parigi» (13).

Le conseguenze controrivoluzionarie che Marx vede scaturire dal mutato carattere della guerra da parte tedesca sono disastrose. Il ruolo di Bonaparte sarà d’ora in poi assunto da Bismarck che già ne aveva imitato i metodi prima del 1870. Da difensore, sia pure alla maniera prussiana, di quel «principio di nazionalità» di cui allora si parlava tanto in Europa, egli ne diveniva l’affossatore, gettando così le basi di future reazionarie guerre imperialistiche. «Se la fortuna delle armi, l’arroganza del successo e gli intrighi dinastici condurranno la Germania allo smembramento della Francia, le rimarranno aperte solo due strade. O essa dovrà diventare, in ogni situazione, il burattino dichiarato dell’ingrandimento russo, oppure, dopo una breve tregua, dovrà prepararsi ad un’altra guerra “difensiva”, e non a una delle guerre “localizzate” di recente invenzione, ma ad una guerra di razze – una guerra contro le razze latine e slave coalizzate» (14). Grandiosa previsione che la storia ha, purtroppo, visto avverarsi con la masima precisione nella prima guerra mondiale. Ritornando per un momento sulla questione delle parole d’ordine e del loro uso appropriato al mutare delle circostanze storiche, facciamo notare che le virgolette apposte da Marx alla parola difensiva nel passo citato hanno un senso ben preciso. Vi è il monito ai futuri Kautsky, Stalin e C. che, come nella Germania dopo il 1870-71, non si potrà più parlare di «guerra per la difesa della patria»: il farlo costituirebbe puro e semplice tradimento!

Quando poi la Prussia decide di annettersi l’Alsazia e la Lorena, Marx riprende con tono ancor più minaccioso e sicuro le sue previsioni sul funesto avvenire che attende l’Europa, allo scopo di infondere nelle direzioni dei partiti proletari dei paesi in guerra la più forte volontà ed energia e spingere i proletari ad afferrare nelle loro mani la sorte dei popoli in gioco. In un messaggio al Comitato di Brunswick, Marx ed Engels scrivono: annettere l’Alsazia e la Lorena sarebbe «il mezzo più efficace per trasformare la guerra in una istituzione europea. É, in effetti, il mezzo più sicuro per perpetuare nella Germania ringiovanita il dispotismo militare come una necessità per l’affermazione di una Polonia occidentale – l’Alsazia e la Lorena. È il mezzo più infallibile per trasformare l’imminente pace in un semplice armistizio, finché la Francia si sia ripresa al punto di rivendicare il territorio perduto. È il mezzo più infallibile per far rovinare Germania e Francia  in un dilaniarsi reciproco» (15). A Engels non fu dato di registrare l’avverarsi della profezia sulla guerra mondiale, ma egli poté constatare de visu il dispotismo bismarckiano e le sue leggi eccezionali contro i socialisti.

Dopo la repressione subita dal comitato di Brunswick [o, Braunschweig] per aver espresso in un manifesto il punto di vista del Partito, Marx insiste con più energia: «Chiunque non sia completamente stordito dalle grida del momento o non abbia interesse a stordire il popolo tedesco, è costretto ad ammettere che la guerra del 1870 porta in grembo una guerra tra Germania e Russia con la stessa necessità con cui la guerra del 1866 portò a quella del 1870. Dico necessariamente, inevitabilmente, salvo nel caso improbabile che si abbia prima lo scoppio di una rivoluzione in Russia. Se questo improbabile evento non si realizzasse, la guerra tra Germania e Russia dovrebbe essere considerata fin d’ora un fait accompli (un fatto compiuto)» (16).

Come si vede, mentre Marx era favorevole a una guerra di Francia e Germania unite contro la Russia, ora prevede che la conseguenza disastrosa della politica di conquista prussiana porterà alla guerra della Germania contro Francia e Russia unite, e cioè a una guerra reazionaria e imperialistica al posto di una rivoluzionaria.

E’ comprensibile quindi come, per evitare queste funeste eventualità, Marx abbia dato un nuovo indirizzo di lotta a tedeschi e francesi. In Germania gli operai non dovevano più appoggiare la guerra tedesca, dovevano anzi opporsi decisamente ad essa. Purtroppo, la pronta reazione prussiana soffocò l’agitazione contro l’annessione dell’Alsazia e della Lorena promossa dal partito in Germania. Molti dei suoi capi furono arrestati, processati e deportati. In Francia invece gli operai, ai quali, subito dopo il 4 settembre 1870 la borghesia aveva promesso di combattere solo per evitare lo smembramento del paese, e che non possedevano ancora un’organizzazione efficiente (il «partito formale») per prendere nelle mani tutto il potere e impiegarlo per costringere la Prussia ad una pace «giusta», non potevano far altro che prepararsi a questo ruolo di prim’ordine. E tale preparazione si poteva raggiungere solo nella pratica dell’azione: da una parte, spingere il governo ad armare il popolo per respingere Bismarck, dall’altra organizzarsi approfittando delle libertà repubblicane che gli stessi operai armati potevano imporre.

Certo, con la poca fiducia che si poteva riporre nel governo di difesa nazionale, la situazione si presentava difficile e piena di rischi che Marx valutava in tutta la loro portata. Ma altra via d’uscita non c’era: occorreva tentare a tutti i costi: lo imponeva l’obbiettivo finale previsto dal piano strategico generale, fisso e immutabile. O si riusciva a far trionfare questo piano, o ancora una volta, come nel 1849, la marea controrivoluzionaria avrebbe sommersa l’intera Europa. L’insieme dei compiti assegnati agli operai francesi risulta chiaro da questo importante passo del Secondo Indirizzo: «Le circostanze nelle quali si trova ad agire la classe operaia francese sono dunque estremamente difficili. Ogni tentativo di rovesciare il nuovo governo, nel corso della crisi attuale, con il nemico che quasi bussa alle porte di Parigi, sarebbe una follia disperata. I lavoratori francesi devono compiere il proprio dovere come cittadini; ma al tempo stesso, non devono lasciarsi illudere dai souvernirs [ricordi] nazionali del 1792, così come i contadini francesi si lasciarono ingannare dai souvenirs nazionali del Primo Impero. Non devono ripetere il passato, ma costruire il futuro. È bene che approfittino con calma e risolutezza delle opportunità offerte dalla libertà repubblicana, per dedicarsi alla propria organizzazione di classe. Ciò infonderà loro una nuova potenza erculea per la rigenerazione della Francia e per il nostro compito comune, l’emancipazione del proletariato. Dalle loro energie e dalla loro saggezza dipende il destino della Repubblica» (17).

In merito alla questione del partito come forza di preparazione e direzione della rivoluzione è ora chiaro che non esiste discordanza alcuna tra Marx e Trotsky, come affermavamo parlando dei rapporti fra la Comune e il Partito.

Se il Partito, dal lato organizzativo, fosse già stato pronto ed efficiente, avrebbe potuto e dovuto sferrare il suo attacco il 3 settembre 1870 anziché il 18 marzo 1871, perché il momento era più propizio in quanto la grande borghesia si trovava priva di appoggi politici in altre classi e senza forze armate ad essa fedeli. «La Comune venne troppo tardi. Essa avrebbe potuto prendere il potere il 4 settembre 1870 e permettere così al proletariato parigino, alla testa delle masse lavoratrici, di intraprendere la lotta contro tutte le forze del passato, contro Bismarck come contro Thiers. Invece il potere cadde nelle mani di democratici chiacchieroni, i deputati di Parigi» (Trotsky, Gli insegnamenti della Comune di Parigi) (18). E siccome tale organizzazione pienamente rivoluzionaria il proletariato non possedeva ancora, Marx giustamente considerò che sarebbe stata «disperata follia» battezzare col sangue della guerra civile la giovane repubblica per impedire l’usurpazione del potere da parte di quei deputati orleanisti e repubblicani che «per legittimare l’usurpato titolo di governanti della Francia, pensavano sufficiente presentare il loro mandato scaduto di deputati di Parigi» (Indirizzo sulla Guerra Civile).

 

VERSO LA TERZA FASE DELLA GUERRA

 

«Le sezioni dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori in ogni paese chiamino alla mobilitazione la classe dei lavoratori. Se essi trascurano il proprio dovere, se restano passivi, la tremenda guerra attuale  sarà soltanto l’annuncio di conflitti internazionali ancora più terribili, e porterà in ogni nazione ad un rinnovato trionfo sul lavoratore dei signori della spada, della terra e del capitale» (19).

L’Internazionale chiama dunque gli operai a compiere «il loro dovere» che è, lo ripetiamo, di fermare e respingere il prussiano e obbligarlo a concludere una pace «giusta» ossia – marxisticamente – nel senso favorevole allo sviluppo storico generale, e cioè conforme agli interessi immediati delle stesse borghesie tedesche e francesi (unità della Germania ma senza smembramento della Francia) come agli interessi immediati della rivoluzione democratica e permanente in Europa orientale e di quella proletaria in Francia, ove la lotta di classe, che già nel 1848 aveva conosciuto la sua forma estrema nella guerra civile, minacciava di riprendere aspetti militari risolutivi.

 

BORGHESI E PROLETARI IN GERMANIA

 

Abbiamo già detto che il proletariato tedesco aveva raccolto unanimemente l’appello dell’Internazionale. Ma, dato anche l’appoggio servile della borghesia a quel potere prussiano che l’aveva sempre presa a calci nel sedere, la classe operaia tedesca trovò ancor più difficile il compito di fermare «il vincitore in mezzo al fragore delle armi» di quanto il proletariato francese avesse trovato il compito di bloccare l’azione bellica dell’avventuriero Bonaparte. In Germania, la borghesia che «nella sua lotta per la libertà civile, aveva dato mostra, dal 1846 al 1870, di uno spettacolo senza precedenti d’inconcludenza, incapacità e vigliaccheria, si è sentita, naturalmente, quanto mai entusiasta di calcare la scena europea come leone ruggente del patriottismo tedesco» (20). Anziché, come sarebbe stato suo interesse, fermare Bismarck, aiutò quindi il suo governo a realizzare la sua reazionaria politica di conquista.

Marx svergogna i «coraggiosi patrioti teutonici» e denuncia i meschini pretesti addotti dal governo per far dimenticare il proclama del re di Prussia all’inizio della guerra e giustificare la sua nuova politica aggressiva. Con considerazioni di arte e storia militare, in cui si dimostrano maestri, Marx ed Engels demoliscono ogni «argomento» invocato dai professori prussiani per mascherare i piani di Bismarck.

 

LA PAURA DELLA BORGHESIA FRANCESE

 

In Francia la classe operaia non poteva prestare ciecamente fiducia ai membri del governo provvisorio. Non doveva lasciarsi incantare dalle frasi altisonanti. Il partito aveva messo subito in guardia i lavoratori. Nel Secondo Indirizzo Marx aveva scritto: «Alcuni dei loro primi atti indicano molto chiaramente che dall’Impero hanno ereditato non solo un cumulo di rovine, ma anche il suo terrore della classe operaia» (21).

Ma perché questa paura? Non offriva l’operaio francese il suo braccio armato alla «sua» borghesia per combattere quell’esercito prussiano che fin allora era stato considerato il suo nemico mortale? Il giornale di Blanqui «La Patria in pericolo» non doveva contribuire a quel compito di difesa nazionale per il quale gli operai trascurarono che il potere conquistato con la rivoluzione del 4 settembre restasse nelle mani della «sinistra» dell’ex Corpo legislativo? Se i membri del governo provvisorio, istintivamente guidati da un accanito pregiudizio di classe, imboccarono la via opposta a quella delle loro dichiarazioni ufficiali, noi abbiamo il dovere di chiarirne le ragioni. E solo la teoria rivoluzionaria ci dà la chiave per capire il segreto di quella «grande paura» e delle azioni che essa dettò a Trochu (22), capo del governo e autore di quel piano di difesa che fino alla capitolazione di Parigi fu oggetto di scherno popolare.

Si faccia mente locale e si rifletta sulla situazione politico-militare della Francia nel settembre 1870 e sui suoi sviluppi potenziali. Una difesa di Parigi e dell’intera Francia, che volesse essere una cosa seria, non poteva assolutamente affidarsi ai soli resti del vecchio esercito regolare e al suo corrotto ed incapace stato maggiore, vergognosamente sconfitto a Sedan. Del resto, anche a volerlo, ciò sarebbe stato impossibile, perché a Parigi e in parte a Lione, a Marsiglia e in altre città, il popolo, sotto la minaccia incombente dell’invasione, si era già armato e, accanto alle vecchie formazioni militari statali, vi era già un esercito popolare che preferiva ubbidire a uomini scelti nelle sue file in base a provate capacità e volontà politico-militari.

A Parigi, ove fino al 4 settembre i battaglioni di guardie nazionali erano appena 60 e formati da elementi borghesi di fiducia dell’Impero, erano subito saliti a 120, e a fine settembre raggiungevano il numero di 254. Specie questi ultimi battaglioni erano reclutati dai quartieri più popolari e proletari, e quindi più sospetti per il governo. Una guerra seriamente intesa, per raggiungere sicuri successi, aveva dunque una sola possibilità: mobilitare, armare, organizzare e incitare l’immensa forza popolare, favorirne le iniziative in quella forma di guerra invincibile che, come aveva dimostrato la guerra di liberazione tedesca del 1815, è la guerriglia.

Ma mettere in moto questa potentissima macchina bellica e le sue inesauribili risorse energetiche, avrebbe avuto per conseguenza inevitabile l’assimilazione totale del vecchio esercito permanente dello Stato di classe borghese nel nuovo esercito del popolo armato, cioè la catastrofe per il potere della borghesia. La guerra avrebbe acquistato un carattere sempre più rivoluzionario e la classe più attiva e più risoluta della società, il proletariato, per quel fenomeno di decantazione delle forze politiche e sociali che si registra in ogni processo rivoluzionario, avrebbe finito per afferrare tutto il potere e lo avrebbe impiegato per gli scopi fissati dall’Internazionale, favorendola nel rafforzarsi e disciplinarsi organizzativamente secondo la stessa logica delle cose.

La guerra rivoluzionaria non era soltanto l’unico mezzo per respingere l’orgoglioso invasore prussiano. Essa sarebbe anche stata lo sviluppo della rivoluzione del 4 settembre 1870 che, con la demolizione della macchina militare del vecchio apparato statale, avrebbe spazzato via il governo degli usurpatori. L’intuizione di queste disastrose prospettive, alimentata dal ricordo del 1848, era più che sufficiente a riempire di paura il governo borghese e fargli battere la strada del tradimento e del disonore. Nulla di più vivace, di più incisivo e sintetico, che questo passo di Marx: «Parigi, tuttavia, non poteva essere difesa senza armare la sua classe operaia, organizzandola come forza effettiva ed addestrando le sue fila attraverso la guerra stessa. Ma Parigi armata era la rivoluzione armata. Una vittoria di Parigi sull’aggressore prussiano sarebbe stata la vittoria dell’operaio francese sul capitalista francese e i suoi parassitidi Stato. In questo conflitto tra dovere nazionale ed interesse di classe il Governo di Difesa nazionale non ha esitato un istante a trasformarsi in un Governo di Diserzione nazionale» (sottolineatura nostra) (23).

Nel calcolo astuto dei Trochu, Favre e C. (24), solo per mezzo del tradimento teso ad ottenere una pace all’esterno doveva essere possibile ritogliere le armi agli operai e riconsegnare alla borghesia l’effettivo potere politico.

Possiamo concludere per ora che tanto la borghesia tedesca quanto quella francese, in modo diverso, spingono nella stessa direzione; cioè, per dirla con Marx, introducono la rivoluzione sulla scena storica. La loro guerra assume il carattere opposto a quello desiderato dal proletariato: è l’azione con la quale si realizza il complotto controrivoluzionario, e spinge verso la guerra civile. Prima di parlare di questa conviene seguire gli ultimi sviluppi della guerra franco-prussiana dal settembre 1870, che la cospirazione antiproletaria franco-prussiana vuole contro il proletariato. Potremo così vedere come in pratica si andasse realizzando il piano di Trochu che, tenuto segreto per mesi, lasciò cadere la «maschera» dell’impostura il giorno della resa incondizionata agli junkers prussiani.

 

(1- continua) 

 


 

1) La guerra austro-prussiana si svolse dal 14 giugno al 23 agosto 1866. Il pretesto per il casus belli con l’Austria ebbe per base la cosiddetta questione dei ducati danesi, ossia la questione delle regioni dello Schleswig e dell’Holstein che separano la Danimarca dalla Germania e che sono abitate sia da tedeschi che da danesi. Con la guerra tedesco-danese del 1864, che vide contrapposti la Confederazione germanica (Prussia e Impero austriaco) e il Regno di Danimarca, lo Schleswig-Holstein è stato ceduto alla Prussia e all’Austria; la Danimarca, infatti, per evitare che la guerra scatenata dagli austrotedeschi si spostasse nel proprio territorio, e in mancanza dell’appoggio dell’Inghilterra, dopo nove mesi di combattimenti si arrese. Ma tra la Prussia e l’Impero asburgico, vinta la guerra contro la Danimarca per quei territori, si rinnovarono i contrasti poiché in ballo c’era il dominio e la gestione delle terre conquistate. L’Impero asburgico mirava a sottomettere la Germania al proprio controllo, la Prussia – soprattutto da quando nel 1862 divenne primo ministro il barone Otto von Bismarck – tendeva, invece, all’unificazione tedesca separata dagli Asburgo. La pressione prussiana sugli austriaci era favorita anche dal fatto che i territori dello Schleswig-Holstein erano molto lontani da Vienna, il che, per essere controllati, avrebbe comportato uno sforzo militare notevole da parte degli austriaci e una divisione delle proprie forze armate visto già il loro impegno verso l’Ungheria, l’Italia e i territori slavi. Nella stessa guerra austro-prussiana vi fu il coinvolgimento anche del Regno d’Italia che volle approfittare delle forze prussiane, sia di terra che di mare, per progredire nell’unificazione nazionale della penisola e ottenere dalla presunta sconfitta dell’Impero austriaco, almeno il Veneto.

2) La battaglia di Sadowa (in Boemia, oggi Repubblica Ceca) si tenne il 3 luglio 1866 e fu decisiva per la vittoria prussiana nella guerra. La strategia militare prussiana, che poteva contare su nuovi fucili a retrocarica, molto più agili e facili da ricaricare rispetto a quelli ad avancarica, applicò con grande abilità la tattica già sperimentata da Napoleone I, “marciare separati e colpire uniti”, sorprendendo in questo modo l’armata austriaca che, dopo essere stata accerchiata, veniva attaccata contemporaneamente di fronte e ai lati.

3) Si tratta di Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, ossia Napoleone III, detto anche  “Napoleone il piccolo” da Victor Hugo; dal popolo veniva soprannominato Badingue,come un famoso nano dell’epoca (il termine dialettale è della Piccardia e della Vallonia, che voleva dire in senso generalmente dispregiativo, sventato, bighellone). E, come ricorda Louise Michel, la presa in giro di Napoleone III finiva anche nelle canzoni popolari (vedi La Comune, di L. Michel, 1898, Edizioni Clichy, gennaio 2021, pp. 27-28).

4) L’Introduzione di Engels al testo di Marx «La guerra civile in Francia», è stata scritta per il ventesimo anniversario della Comune di Parigi, Londra, 18 marzo 1891, e pubblicata nella rivista Die Neue Zeit. Cfr. 1871 La Comune di Parigi, Ed. International, Savona / Ed. La vecchia talpa, Napoli, 1971; anche in Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 11-28. Pubblicata anche nel Reprint “il comunista”, n. 5, aprile 2011, dal titolo La Comune fu grande in quello che dovette essere non in ciò che i suoi esponenti vollero fosse, pp. 30-33.

5) Il Primo Impero francese corrisponde al periodo che va dal maggio 1804 al luglio 1815, in cui Napoleone Bonaparte fu consacrato imperatore (col nome di Napoleone I); con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, nel giugno 1815, il primo Impero cessò e si impose la Restaurazione (ossia la restaurazione del potere dei sovrani assoluti in Europa). Il Primo Impero francese, sull’onda delle conseguenze della rivoluzione francese e delle battaglie vittoriose delle truppe napoleoniche alla conquista dell’Europa, estese direttamente il suo dominio sul Regno d’Italia, sul Regno di Napoli, sul Regno d’Olanda, sulle Province illiriche, riducendo fortemente le ambizioni di dominio europeo sia dell’Impero austriaco, sia della Prussia e, nella forma di “protettorato”, su alcuni staterelli tedeschi (Baviera, Baden, Wurttemberg, Hesse-Darmstadt e Sassonia) costituendo la Confederazione del Reno, e poi sul Ducato di Varsavia, sulla Repubblica di Danzica e sul Regno di Spagna, spartendosi praticamente l’Europa continentale con la Russia.

La battaglia di Jena si svolse a metà ottobre del 1806 nel corso della guerra tra l’Armata napoleonica e l’esercito prussiano; si risolse con una totale vittoria francese e con la disgregazione dell’esercito prussiano; questa vittoria aprì la strada a Napoleone verso la Polonia dove l’armata napoleonica affrontò l’esercito russo sconfiggendolo, nella primavera del 1807, nella battaglia di Friedland.

6) Il Primo Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori sulla guerra franco-prussiana del 23 luglio 1870, e il Secondo Indirizzo, del 9 settembre 1870, scritti entrambi da Marx, in 1871 La Comune di Parigi, Ed. International, Savona / Ed. La vecchia talpa, Napoli, 1971; anche in Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma 1977; nel vol. XXII delle Opere complete di Marx-Engels edito da La Città del Sole, Napoli 2008. Anche in F. Engels, Note sulla guerra franco-prussiana 1870-1871, Appendice, pp. 267-271 e 286-289, Ed. Lotta comunista, Milano 1997.

7)  Cfr. Lenin, Il programma militare della rivoluzione proletaria, settembre 1916, Opere, vol. 23, pp. 77-78.

8) Cfr. Marx e Engels: Lettera  al Comitato del Partito operaio socialdemocratico [Comitato di Braunschweig-Brunswick], in F. Engels, Note sulla guerra franco-prussiana del 1870-1871, cit., Appendice, pp. 282-283.

9) Lettera di Marx a Sorge, traduzione dal tedesco di "programma comunista"

10) Cfr. Marx, Primo Indirizzo, cit., p.5.

11) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, cit., p. 237.

12) Cfr. Marx, Primo Indirizzo, p.6.

13) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 230.

14) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 236.

15) Cfr. K. Marx e F. Engels, Lettera al Comitato del Partito operaio socialdemocratico (di Braunschweig), 22-30 agosto 1870, Opere complete, Vol. XXII, La Città del Sole-Editori Riuniti, Napoli 2008, p. 228.

16) Ibidem, p. 229.

17) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 237-8.

18) Cfr. L. Trotsky, Gli insegnamenti della Comune di Parigi, reprint “il comunista”, 1989, in appendice al testo di Trotsky, 1917, Insegnamenti dell’Ottobre; ripreso e pubblicato nel Reprint “il comunista”, n. 5, aprile 2011, intitolato: La Comune fu grande in quello che dovette essere non in ciò che i suoi esponenti vollero fosse.

19) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 238.

20) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 232.

21) Cfr. Marx, Secondo Indirizzo, p. 237.

22) Louis-Jules Trochu, generale orleanista, dopo che Napoleone III fu fatto prigioniero dai prussiani, dal fatidico 4 settembre 1870 al 22 gennaio 1871 fu a capo del Governo di Difesa nazionale e comandante delle forze armate di Parigi dal settembre 1870 al gennaio 1871; di fatto, fu il capo di Stato della Francia repubblicana; fu sostituito da Adolphe Thiers dal febbraio 1871, fu a capo dei versagliesi, firmò l’armistizio con la Prussia e represse nel sangue la Comune di Parigi.

23) Cfr. K. Marx, La guerra civile in Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, giugno 1871, Opere complete, Vol. XXII, cit., p. 275-276.

Vedi anche Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 52, e il già citato 1871. La Comune di Parigi, Savona-Napoli 1971.

24) Per Trochu vedi nota 22. Claude Gabriel Jules Favre, repubblicano, nel 1848 era segretario generale del ministero degli Interni, poi viceministro degli Esteri; deputato all’Assemblea nazionale e poi al Corpo Legislativo; ministro degli Esteri nel Governo di Difesa nazionale e nel governo Thiers del 1870-1871, negoziò la capitolazione di Parigi e il trattato di pace con la Prussia.

 

 

Partito comunista internazionale

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