La tragedia del proletariato tedesco nel primo dopoguerra

Il ritardo dell'avanguardia politica sulla dinamica delle lotte di classe in Germania e le posizioni della Sinistra comunista d'Italia

(«il comunista»; N° 169 ; Giugno / Agosto 2021)

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Pubblichiamo l'Introduzione all'opuscolo della serie Reprint "il comunista", n. 14, giugno 2021, 60 pp. Disponibile gratuitamente nel sito www.pcint.org il pdf; la versione cartacea costa euro 5,00; viene spedita con un sovraprezzo per le spese postali di 2 euro

 

 

Introduzione

 

All’inizio del secolo scorso, la Germania, per i marxisti, appariva come il paese destinato alla vittoria del socialismo. Nel maggio 1918, mentre era in corso ancora la guerra, Lenin scriveva:

«La storia (...) ha seguito un cammino così originale che ha generato nel 1918 le due metà separate del socialismo, l’una accanto all’altra, proprio come due futuri pulcini sotto l’unica chioccia dell’imperialismo internazionale. La Germania e la Russia incarnano nel 1918, nel modo più evidente, la realizzazione materiale, da una parte, delle condizioni economiche produttive e sociali, e dall’altra, delle condizioni politiche del socialismo.

«Una rivoluzione proletaria vittoriosa in Germania, spezzerebbe subito, con enorme facilità, il guscio dell’imperialismo (...), assicurerebbe senz’altro, senza difficoltà oppure con difficoltà insignificanti, la vittoria del socialismo mondiale» (1).

Nel corso dei decenni precedenti, è proprio in Germania che le forze produttive erano cresciute più velocemente, trasformando il paese, in precedenza dominato dal contadiname, dall’artigianato e dalla piccola industria produttrice di chincaglieria a buon mercato, in una grande potenza industriale in cui regnava un capitalismo di Stato (nel senso di interconnessione del capitale e dello Stato) dalle gigantesche imprese; questa espansione l’aveva piazzata ai primi posti degli imperialismi mondiali (e in una traiettoria di collisione con l’imperialismo ancora dominante, ma già sulla via del declino, la Gran Bretagna).

E’ così che in questo paese, un proletariato in piena crescita (circa 12 milioni e mezzo nel 1907, secondo alcune stime) (2) aveva costruito nello spazio di una generazione, nella legalità e nell’illegalità, il più potente partito socialista del mondo, il Socialdemokratische Partei Deutschlands (SPD). Alla vigilia del 1914, l’SPD contava circa un milione di aderenti, i sindacati che controllava ne avevano due milioni e mezzo (i sindacati cristiani e padronali ne avevano circa un milione). Era, inoltre, il pilastro della Seconda Internazionale e Karl Kautsky, il responsabile della sua rivista teorica Die Neue Zeit, prima di diventare al momento della guerra il “rinnegato” fustigato dai bolscevichi, era stato il puntiglioso guardiano della teoria marxista, al punto da essere soprannominato il “papa rosso”: i socialisti di tutti i paesi, si diceva, ricevevano il suo responso sulle questioni più difficili di teoria e di programma con lo stesso rispetto dei cattolici quando venivano a conoscenza delle bolle del papa di Roma.

Questo gigantesco accrescimento non poteva non essere accompagnato dal progresso delle tendenze piccoloborghesi e opportuniste nel partito, già denunciate qualche decennio prima da Engels (3), i cui responsabili del partito si reclutavano sempre più fra gli elementi piccoloborghesi o dell’aristocrazia operaia; a partire dall’inizio del secolo la burocrazia del partito aveva cominciato a svilupparsi rapidamente fino a raggiungere, alla viglia della guerra, i 15.000 dipendenti fissi; un decimo degli iscritti (100.000 persone) era, a quel tempo, impiegato nelle diverse amministrazioni sociali, cooperative, consigli dei probi viri ecc. (4). Questo consistente strato sociale era evidentemente il vivaio naturale di tutte le tendenze riformiste.

Fu un dirigente socialista, Bernstein, un tempo stretto collaboratore di Engels prima di diventarne l’esecutore testamentario, che portò, a cavallo del secolo, un attacco in tutta regola contro le fondamenta del programma marxista della SPD. Secondo Bernstein, lo sviluppo regolare e pacifico del capitalismo, la scomparsa delle sue crisi economiche, i miglioramenti delle condizioni operaie, avevano smentito le analisi catastrofiche di Marx. La SPD doveva quindi revisionare il suo programma e abbandonare le posizioni marxiste che non erano altro che dei residui arcaici dell’epoca quarantottesca, per diventare apertamente quel che era già di fatto: un partito che operava per migliorare il capitalismo attraverso le riforme, e non per rovesciarlo. Queste posizioni iconoclaste furono respinte come indegne: il revisionismo bersteiniano fu ufficialmente condannato e il programma rivoluzionario riaffermato nei congressi del partito.

Tuttavia l’”opportunismo”, cioè la tendenza ad abbandonare i principi rivoluzionari, continuò a svilupparsi rapidamente malgrado le proclamazioni ortodosse; queste erano, in effetti, suscitate dalla pressione borghese e alimentate dalla pratica del partito che si sviluppava all’insegna della rottura ufficializzata tra “programma massimo” (programma rivoluzionario) e “programma minimo” (lotta per le riforme). Le condizioni dell’epoca non permettevano la comparsa, nel partito, di una tendenza davvero di sinistra organizzata: gli elementi rivoluzionari come Rosa Luxemburg, Mehring, Liebknecht e altri, prigionieri della tradizione unitaria del partito, rimanevano delle personalità rispettabili e ascoltate, ma isolate nell’apparato della SPD.

Il tradimento della SPD, nell’agosto 1914, che, alla pari di quasi tutti gli altri partiti dell’Internazionale ad eccezione dei bolscevichi, del partito socialista italiano e di quello serbo, si schierò come un sol uomo dalla parte della classe nemica chiamando a partecipare alla guerra imperialista, per i lavoratori fu uno choc devastante di cui è difficile stimare la vera portata. Al momento decisivo, il proletariato, che aveva pazientemente, senza sprecare i suoi sforzi e i suoi sacrifici, costruito queste formidabili organizzazioni, si ritrovava senza organizzazione, senza partito, gettato nell’inferno della guerra mondiale senza poter opporre una reale resistenza.

Il proletariato tedesco, che nel corso degli anni seguenti, durante e dopo la guerra, diede innumerevoli prove di combattività e di eroismo e che affrontò rispondendo alla violenza delle truppe d’assalto della borghesia, non riuscì mai a superare questo colpo decisivo.

I rivoluzionari, più numerosi in Germania che in qualsiasi altro paese, rimasero preda della più grande confusione, indeboliti dalle correnti semilibertarie o spontaneiste. Quando un partito comunista di massa riuscì infine a ristabilirsi, oscillò tra il piombare in deviazioni destrorse o in spinte avventuriste.

In un raro momento di lucidità, Paul Levi, il dirigente di destra del Partito Comunista Unificato (VKPD), lo smargiasso dei settari, il critico della costituzione “troppo a sinistra”, “troppo minoritaria” del Partito Comunista d’Italia dopo la scissione di Livorno, riconobbe: “Non c’è un solo comunista oggi in Germania che non rimpianga il fatto che la fondazione di un partito comunista non si è realizzata da lungo tempo, prima della guerra, che i comunisti non si siano raggruppati, dal 1903, anche nella forma di una piccola setta, e che non abbiano costituito un gruppo anche ridotto, ma che avesse almeno espresso la chiarezza” (5).

Questa lezione, che Levi dimenticherà immediatamente, ha una portata universale; il partito deve prepararsi e deve costituirsi prima dello scoppio del periodo rivoluzionario, come era stato fatto in Russia, sennò è troppo tardi per rimediare. E’ in questo che risiede la tragedia del proletariato tedesco – e mondiale.

 

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Pubblichiamo in questo Reprint il testo di un rapporto tenuto alla Riunione Generale del partito del 12-13 febbraio 1972, “La tragedia del primo dopoguerra proletario tedesco”, sintesi di studi precedenti (pubblicato nei numeri 13, 14, 15, 16, 17 e 20 del 1972 de “il programma comunista”, sotto il titolo generale “Nell’immutabile solco della dottrina marxista”) .

L’opuscolo è suddiviso in tre parti: La parte generale è dedicata al rapporto della RG sopra citata; una prima Appendice contiene una serie di scritti ripresi da Il Soviet tra l’aprile e il luglio 1920 sulla nascita del KPD, sul KAPD e naturalmente sugli Indipendenti (USPD), assimilabili ai massimalisti italiani di Serrati e compagnia; una seconda Appendice è riservata alla ripresa di tre capitoletti dalla nostra Storia della Sinistra comunista, vol. II, dedicati per l’appunto al movimento comunista tedesco, alla ferma critica di ogni cedimento al mito dell’unitarismo delle tendenze in cui si dibatteva il partito comunista in Germania e alla lotta, non solo teorica e programmatica, contro ogni tesi non rigorosamente e intransigentemente collegata al marxismo e all’esperienza concreta della stessa rivoluzione comunista in Russia sotto la guida bolscevica che vide Lenin come suo esponente più coerente.

Gli anni 1919-1920 furono davvero gli anni cruciali per la rivoluzione proletaria e comunista non solo in Russia, ma in tutto l’Occidente capitalistico avanzato e nei quali alla grande forza teorica, programmatica, politica, tattica e organizzativa del bolscevismo di Lenin non corrispose altrettanta forza teorica, programmatica, politica, tattica e organizzativa da parte delle correnti di sinistra dei partiti socialisti europei. Il fallimento della II Internazionale di fronte alla prima guerra imperialistica lacerò in profondità tutto il movimento socialista europeo e mondiale. E l’esempio tragico del movimento rivoluzionario in Germania ne fu la conferma. Non bastò la ricostituzione dell’Internazionale per mano del partito di Lenin e delle correnti di sinistra che combatterono contro il socialsciovinismo e contro il centrismo kautskiano, per ricondurre il movimento comunista sulla giusta rotta marxista.

Da quei tragici eventi Lenin e i bolscevichi seppero tirare lezioni vitali, ma non così intransigenti come l’Occidente democratico borghese aveva bisogno, cosa che la Sinistra comunista d’Italia aveva capito fin dal 1912 e, in particolare, tra il 1918 e il 1919. A quelle lezioni vitali la Sinistra comunista d’Italia dedicò le sue migliori forze e su di loro fu possibile ricostituire il partito comunista internazionale anche se, forzatamente, nella forma di embrione.

 


 

(1) Cfr. Lenin, Sull’infantilismo di sinistra e sullo spirito piccoloborghese, primi di maggio 1918, Opere, vol. 27, Editori Riuniti, Roma 1967, p . 309.

(2) Secondo Sombart, che considera il proletariato nel senso ampio del termine, contando anche le famiglie, costituiva il 67-68% della popolazione. Cfr. Broué “Révolution en Allemagne (1917-1923)”, p. 18.

(3) “I piccoloborghesi apportano con sé tutti i loro pregiudizi di classe. In Germania ne abbiamo fin troppi, e sono loro che costituiscono questo peso morto che ostacola la marcia del partito”. Cfr. Engels-Lafargue, corrispondenza, vol. I, p. 392.

(4) Cfr. G. Badia, “Histoire de l’Allemagne contemporaine”, vol. I, p. 35.

(5) “Die Internationale” n. 26, 1/12/1920, citato in Broué, op. cit., p. 418.

 

 

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