La COP 26 dimostra ancora una olta l’incapacità del capitalismo di prevenire le disastrose conseguenze del suo sviluppo

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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La “COP 26” che si è appena conclusa a Glasgow ha riunito rappresentanti di ben 195 stati e quasi 40.000 partecipanti, molti dei quali erano delegati di aziende venute a fare pressioni a favore dei propri interessi. 

Queste conferenze internazionali sono organizzate annualmente dalle Nazioni Unite nell’ambito di una “convenzione” sui cambiamenti climatici adottata nel 1992 e firmata ad oggi da 197 paesi. La convenzione si basava su 3 principi: il principio di precauzione, quello della responsabilità collettiva (“ma differenziato”) e quello del “diritto allo sviluppo”. Elaborata da esperti borghesi e firmata da Stati altrettanto borghesi, questa convenzione non poteva ovviamente mettere in discussione il ruolo del modo di produzione capitalistico. Al contrario, voleva proteggerlo dalle conseguenze dannose e dai disagi causati dal riscaldamento globale - ben altra cosa rispetto allo slogan borghese “salvare il pianeta” che mira solo a camuffare questo vero obiettivo dietro una richiesta comune a tutti, al disopra delle classi sociali e dei loro conflitti.

Nel corso delle successive COP, i partecipanti hanno cercato di allontanarsi da dichiarazioni d’intenti generali per darsi obiettivi concreti. A Parigi nel 2015, durante la COP 21, è stato firmato un accordo che prevedeva varie misure per limitare il riscaldamento globale a meno di 2 gradi, gli esperti dell’IPCC avevano concluso che questo era l’aumento della temperatura prevedibile se non fosse stato fatto nulla ( 1). Nonostante la natura vaga e non vincolante di questo accordo (2), l’amministrazione Trump se ne è ritirata nel 2020 prima che Joe Biden, dall’inizio della sua presidenza, reintegrasse gli Stati Uniti negli accordi di Parigi. Non dovrebbe sorprendere che quegli obiettivi non siano stati raggiunti, soprattutto dopo il fallimento della COP 25 nel 2019. Questa COP il cui slogan era “è tempo di agire” (!) avrebbe dovuto svolgersi in Cile, ma a causa dei moti sociali in questo paese è stata trasferita in Spagna: le rivolte sociali ovviamente non sono favorevoli alle discussioni tra Stati borghesi che le temono molto più del riscaldamento globale!

La COP 26, che si è svolta due anni più tardi a causa della pandemia, non ha conosciuto un fallimento come quella di Madrid; e il primo ministro britannico ha dichiarato che un “grande passo avanti” era stato compiuto dall’accordo firmato il 13 novembre al termine di 2 settimane di negoziati alla Conferenza, pur riconoscendo che c’era ancora “molto da fare negli anni venire”.

 

Ma per gli attivisti ambientalisti à la Greta Thunberg questo accordo non è che un “bla-bla”, opinione condivisa da Antonio Gutterez, segretario generale dell’Onu che ha denunciato le “promesse vuote” di questa conferenza. Basterà un esempio per dimostrarlo: l’India fatto ritirare in extremis dall’accordo finale chiedendo la frase che si appellava ad una “graduale eliminazione” dell’uso del carbone sostituendola con la sua “graduale riduzione”. I paesi capitalistici europei che hanno fatto la loro rivoluzione industriale grazie al carbone, hanno quasi tutti chiuso le loro miniere diventate ormai non redditizie (3); quindi non hanno difficoltà a fare una campagna per la fine dell’uso del carbone in altri paesi - mentre India, Cina e altri lo usano ancora ampiamente. “Siamo diventati la voce dei paesi in via di sviluppo”, ha affermato il ministro indiano del clima e dell’ambiente, commentando l’approccio del suo paese. L’India è il paese più inquinato al mondo (40% della popolazione, soprattutto urbana, soggetta a livelli “estremi” di inquinamento atmosferico, in particolare a causa dell’uso del carbone), ma il ministro dell’ambiente è particolarmente preoccupato per la salute del capitalismo: i bambini di Dehli (la città più inquinata del pianeta) (4) possono tranquillamente morire respirando l’aria avvelenata se i capitalisti indiani si arricchiscono producendo questo inquinamento!

Questo atteggiamento non è fondamentalmente dovuto al carattere reazionario del governo Modi; l’approccio indiano alla COP non è eccezionale (a parte il momento in cui si è mostrato, sotto gli occhi di tutti, invece del clima discreto dei tavoli di negoziazione): per tutti gli Stati, ciò che prevale è l’interesse del capitalismo nazionale. Una promessa dell’accordo di Parigi era che i paesi ricchi avrebbero finanziato fino a 100 miliardi di dollari l’anno i paesi più poveri a partire dal 2020 per la loro conversione energetica; inutile dire che questa promessa non è stata mantenuta, poiché sono stati rilasciati trilioni di dollari per rilanciare l’economia capitalista in tutto il mondo...

Gli interessi generali e a lungo termine del capitalismo possono entrare in conflitto con gli interessi immediati di particolari capitalisti; allora lo Stato borghese nazionale, difensore dell’interesse generale... del capitalismo può essere portato ad imporlo a certi capitalisti riluttanti. Nulla di simile a livello internazionale, dove regna l’equilibrio dei poteri e dove ogni Stato difende la propria economia: sebbene le forze produttive del capitalismo si siano sviluppate al punto da avere conseguenze planetarie e richiedere oggettivamente un’azione internazionale, anche solo per temperarle, è l’organizzazione capitalista in Stati distinti e rivali che lo impedisce. E questo è ancora più vero quando si tratta non degli interessi generali del capitalismo, ma di quelli della popolazione in generale e del proletariato in particolare.

Gli ambientalisti che credono che la pressione della “società civile” sui governi possa costringerli ad “agire”, o che immaginano che la soluzione stia nella “consapevolezza” dei cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, e perché il cambiamento climatico colpisce tutti gli individui, si sbagliano gravemente. Si rifiutano di vedere che il funzionamento del capitalismo - la ricerca del profitto essenziale alla sua vita - è responsabile di tutti i problemi, di tutte le catastrofi ambientali o di altro tipo, così come è responsabile dello sfruttamento, dell’oppressione, della miseria e delle guerre che affliggono buona parte dell’umanità.

 

Questo modo di produzione non può essere riformato; se vogliamo porre fine alle sue conseguenze disastrose a tutti i livelli, dovrà essere distrutto e sostituito da un’economia comunista, senza denaro né mercato, senza classi sociali o Stati, senza guerre o oppressioni, dove l’umanità vivrà in armonia con sé stessa e con la natura. La condizione per ottenere ciò non è l’unione di tutti, capitalisti e proletari; è la lotta spietata dei proletari e delle masse oppresse di tutti i paesi contro la classe capitalista per distruggere il suo dominio, la sua organizzazione politica e statale, per erigere sulle sue rovine il potere totalitario degli sfruttati - la dittatura del proletariato – indispensabile per sradicare il capitalismo rivoluzionando l’intera organizzazione sociale.

L’emergenza per i proletari non è quindi l’emergenza climatica, ma l’emergenza politica e sociale per riprendere la lotta per la rivoluzione comunista internazionale!

 

15/11/2021


 

(1) Non stiamo entrando in discussione sulle previsioni dell’IPCC (International Group of Experts on Climate, comitato delle Nazioni Unite), contestate dagli “scettici del clima”.

(2) La delegazione americana ha minacciato all’ultimo momento di non firmare perché è stato scritto che gli Stati “devono” ridurre le loro emissioni di CO2 invece di “dovrebbero”. Il condizionale doveva essere ripristinato perché apponesse la sua firma; eppure questo era il tempo della presidenza Obama e non di Trump!

(3) Negli Stati Uniti, la produzione di carbone, in costante calo da decenni, dovrebbe tuttavia aumentare notevolmente quest’anno. E anche la delegazione americana, ma dietro le quinte, si è opposta a qualsiasi dichiarazione forte contro l’uso del carbone, sebbene Joe Biden abbia affermato durante la sua campagna elettorale la sua opposizione all’uso dei combustibili fossili...

(4) Il 13/11 le scuole di questa metropoli di venti milioni di abitanti sono state chiuse per una settimana, l’aria era irrespirabile.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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