Sullo sciopero dei portuali di Trieste e Monfalcone

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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Ha fatto molto rumore lo sciopero dei portuali di Trieste e Monfalcone che aderiscono al Clpt soprattutto per la ragione che il porto di Trieste è diventato uno dei porti più importanti del Mediterraneo, in particolare per la distribuzione di prodotti petroliferi per l’Europa. Nel 2019 il porto di Trieste ha avuto un traffico di merci per 62 milioni di tonn., il porto di Genova per quasi 53 milioni di tonn., il porto di Taranto per poco più di 18 milioni di tonn.; situazione molto cambiata rispetto al 2005 che vedeva Genova prima, con oltre 55 milioni di tonn., e Trieste e Taranto quasi alla pari, con poco più di 47 milioni di tonn. L’importanza del porto di Trieste si confermerà anche negli anni prossimi visto che è stato varato un progetto che riguarda una nuova rete ferroviaria che avrà il compito di facilitare il trasporto merci dal porto alle diverse destinazioni sia in Italia che nei paesi europei. Ebbene, il blocco del porto di Trieste minacciato dallo sciopero dei portuali perché fosse abolito l’obbligo del green pass per i lavoratori decretato a partire dal 15 ottobre scorso, avrebbe provocato un serio danno non solo all’economia della città e dell’Italia, ma anche a quella dei paesi europei destinatari dei prodotti petroliferi e delle altre merci che transitano da Trieste. Su questo sciopero si è concentrata l’attenzione e l’azione di governo, Stato, partiti, sindacati, associazioni padronali e anche dei movimenti no-green-pass che hanno trovato nella lotta dei portuali di Trieste un focus importante per l’immediata notorietà mediatica e come occasione per uscire dal “ghetto” in cui i media li avevano confinati, dimostrando così che le loro rivendicazioni e le loro aspirazioni erano condivise anche dagli operai... Nessuno di questi movimenti si è mosso con tanta volontà e velocità nel concentrarsi in questa città provenendo da cento città diverse e lontane, nei casi delle lotte dei licenziati della Whirlpool, della GKN o le lotte degli operai della logistica o dei braccianti. Ma, d’altra parte, va considerato che lo stesso sciopero dei portuali di Trieste si era aperto, fin dalla sua preparazione nelle settimane precedenti, alla “solidarietà” dei movimenti no-green-pass, no-obbligo-vaccinale, e ciò ha costituito un punto di debolezza e non di forza.

Il Clpt, dichiarando lo sciopero dal 15 al 20 ottobre, ha cercato una “protezione legale” appoggiandosi alla FISI (Federazione italiana sindacati intercategoriali), organizzazione sindacale di destra che negli ultimi anni si è fatto conoscere soprattutto per qualche iniziativa sindacale nelle scuole e per avere degli iscritti anche in alcuni ospedali. Alla dichiarazione di “sciopero illegittimo” da parte della Commissione di garanzia, il Clpt, per bocca del suo portavoce Stefano Puzzer, aveva risposto che lo sciopero si sarebbe fatto in ogni caso, che vi avrebbero partecipato vaccinati e non vaccinati, che si sarebbero radunati soprattutto al varco 4, ma che avrebbero lasciato passare tutti i lavoratori che volevano andare al lavoro. Non è un caso, quindi, che l’Autorità portuale abbia dichiarato che il blocco del porto non c’era stato, ma al massimo un rallentamento nelle operazioni di scarico e carico, anche se qualche compagnia di navigazione, preoccupata di non poter attraccare a Trieste, nei giorni dello sciopero aveva deciso di servirsi di altri porti. Di fatto, nello stesso del Clpt era sorto un contrasto; un altro portavoce, Sandi Volk, aveva dichiarato che lo sciopero sarebbe terminato immediatamente se il governo avesse accettato di spostare l’inzio dell’obbligo del green pass per i lavoratori dal 15 al 30 ottobre (il manifesto, 15.10.2021), ossia al giorno in cui, durante la sua visita a Trieste e l’incontro con i rappresentanti del Clpt, il ministro Patuanelli aveva promesso un incontro a Roma  per il 30 ottobre. Si sa come sono andate le cose: il governo non è indietreggiato di un millimetro, l’obbligo del green pass è scattato dal 15 come da decreto, e lunedì 17 il Clpt ha invitato ufficialmente gli scioperanti a rientrare al lavoro; alcuni degli scioperanti sono rimasti ancora a presidiare il varco 4, mentre un folto gruppo di “no-vax” e “no-obbligo vaccinale” presente ai varchi del porto per manifestare contro il governo Draghi, contro la campagna vaccinale e l’obbligo del green-pass, si scontrava con la polizia che era intervenuta con gli idranti e le cariche per disperdere i manifestanti.

Lo sciopero, che nelle dichiarazioni iniziali sembrava dovesse costituire un esempio per tutti gli altri lavoratori, è in realtà fallito. Invece di stimolare altri lavoratori, e non solo dei porti, a scendere in sciopero contro la sospensione dal lavoro e del salario per coloro che non presentavano il certificato verde, l’iniziativa dei portuali di Trieste si è dimostrata un boomerang. Non solo ha deluso gli stessi lavoratori del porto, ma ha aggravato lo scoramento che già da anni si è impossessato delle masse proletarie grazie all’opera collaborazionista e sabotatrice dei sindacali confederali.

La cosiddetta solidarietà che i movimenti interclassiti dei no-vax e no-green-pass – di cui fa parte anche la FISI a cui si era rivolto il Clpt – dicevano di voler portare allo sciopero dei portuali di Trieste si è rivelata, in realtà un’azione che ha soffocato, sul nascere, la lotta che gli operai pensavano di portare avanti in difesa del proprio salario e contro un obbligo/ricatto considerato un atto dispotico intollerabile. Questo fallimento va a carico non soltanto dell’opera sabotatrice e collaborazionista dei sindacati tricolore, ma anche dell’azione – di fatto congiunta – di movimenti interclassisti come quelli dei no-vax e dei no-green-pass, che hanno teso a rafforzarsi a spese della lotta operaia.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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