Covid-19, controllo sociale e «ripresa economica»

(«il comunista»; N° 171 ; Dicembre 2021 - Gennaio 2022)

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L’epidemia Sars-CoV2 che, fin dalla sua prima apparizione nell’autunno del 2019, la borghesia non è stata in grado, né ha voluto, contenere, facendola invece diffondere nel mondo – come fosse un’arma chimica – si è trasformata nel giro di pochi mesi in una vera e propria pandemia. E’ noto, ormai, che la Cina, dove si è sviluppata per la seconda volta a sedici anni di distanza dalla prima apparizione di questo coronavirus, non ne fece parola per mesi temendo di avere dei contraccolpi economici negativi, già in parte sperimentati nel 2003 all’epoca della prima comparsa della Sars-CoV (Sindrome respiratoria acuta grave, causata da un agente patogeno denominato Coronavirus). Ed è noto che l’OMS, informata di questa epidemia, la rese pubblica il 30 dicembre 2019 e che solo alla fine di febbraio 2020 allarmò il mondo sulla sua alta contagiosità e letalità. Ciò non ha impedito a Gran Bretagna e Stati Uniti, seguiti poi dal Brasile, di considerare questa nuova polmonite come un’influenza stagionale verso la quale non era necessario prendere provvedimenti diversi da quelli abituali rispetto alla solita influenza che si presenta tutti gli anni in inverno. Nel frattempo, gli scambi commerciali tra la Cina, le Americhe, l’Europa hanno continuato come sempre per via aerea, marittima e terrestre. Ma quando gli ospedali italiani, tedeschi, britannici, americani hanno cominciato a riempirsi con numeri sempre più grandi di infettati dalla Sars-CoV-19, i vari governi non hanno più potuto nascondere la gravità della situazione. Una gravità, progressivamente aumentata, prodotta dalla combinazione di più fattori: innanzitutto il ritardo criminale con cui è stata riconosciuta l’epidemia da Sars-CoV (sindrome già nota grazie alla sua comparsa in Cina e nel Sud-Est asiatico nel 2003, con i suoi 812 morti su 8.439 infettati), poi una criticità cronica delle strutture sanitarie pubbliche in tutti i paesi industrializzati e, a seguire, l’attitudine dei governi borghesi ad intervenire con misure amministrative e sociali di confinamento e di repressione come se queste potessero sostituire le misure sanitarie all’altezza della gravità della situazione, d’altra parte idealmente prevista dall’OMS sulla base dell’esperienza della Sars-CoV del 2003.  

Una ricerca approfondita sui coronavirus della famiglia Sars era già stata avviata in Cina al tempo della prima epidemia di Sars-CoV del 2003 (scatenatasi in Cina, nella provincia del Guandong) (1); si temeva che questa malattia, sconosciuta fino ad allora, si diffondesse nel mondo in maniera pesante mettendo in crisi le economie di tutti i paesi colpiti. In effetti, questa epidemia si diffuse, all’epoca, in 32 paesi, soprattutto in Cina e Hong Kong, ma anche Canada, Taiwan, Singapore, Vietnam e Stati Uniti; furono rilevati un totale di 8.439 infettati, di cui 812 morirono. Il 5 luglio del 2003, in un suo Comunicato, l’OMS sosteneva che «la catena umana della trasmissione del virus della Sars sembra essere stata interrotta ovunque nel mondo», aggiungendo che «questo non segna la fine della Sars oggi, ma prendiamo atto di un importante risultato: l’epidemia di Sars globale è stata contenuta» (2). In realtà, data la cronica inadeguatezza delle strutture sanitarie pubbliche non solo nei paesi capitalisticamente deboli, ma anche nei paesi superavanzati, il contenimento di questa epidemia lo si deve più a quel particolare coronavirus che ha esaurito nel giro di 18 mesi la sua virulenza, che non all’intervento della scienza e dei poteri borghesi. L’epidemia di Sars-CoV andò scemando nella primavera del 2004, e le ricerche, avviate in vista della produzione di vaccini ad hoc, vista la scomparsa del coronavirus, furono interrotte. L’OMS ammonì, in ogni caso – vista l’abituale vendita di animali selvatici vivi, per mangiarli, negli affollatissimi, e di scarsa igiene, mercati cinesi e del sud-est asiatico – che questa tipologia di coronavirus si sarebbe potuta ripresentare negli anni a venire.

Non è un caso, infatti, che Gro Harlem Brundtland, direttore generale dell’OMS, avesse dichiarato allora che «La Sars è un monito. (...) ha spinto anche i più avanzati sistemi sanitari pubblici verso un punto critico. Queste protezioni hanno tenuto, ma solo a mala pena.La prossima volta, potremmo non essere così fortunati. Abbiamo una opportunità ora, e vediamo chiaramente di cosa abbiamo bisogno, di ricostruire le difese della sanità pubblica. Saranno necessarie per la prossima epidemia globale, che sia di Sars o di qualunque altra infezione. (...) La Sars ci sta insegnando molte lezioni. Ora dobbiamo tradurre queste lezioni in azioni. Potremmo avere poco tempo, e dobbiamo usarlo nel modo più saggio» (3).

Se gli 8.439 infettati dalla Sars-CoV, di cui 812 sono morti, in gran parte oltre i 60 anni, hanno portato i più avanzati sistemi sanitari verso un punto critico – e Brundtland aggiungeva che «dovremmo ricordare tutti quei lavoratori in prima linea (operatori sanitari e ospedalieri) che sono morti di Sars. La loro dedizione quotidiana, coraggio e vigilanza ha evitato una catastrofe globale» – quanto oltre il punto critico sono andati i sistemi sanitari italiani, tedeschi, francesi, americani, inglesi, canadesi, israeliani ecc. ecc. a fronte di oltre 266 milioni di infettati nel mondo da inizio pandemia da Sars-CoV2, e di oltre 5 milioni di morti? Dal 2003 al 2019 sono passati 16 anni (certamente “poco tempo” come prevedeva Brundtland) e nessun passo avanti è stato fatto sul fronte dei sistemi sanitari pubblici, anzi, si è continuato a tagliare la sanità pubblica favorendo la sanità privata. Non solo, ma tutti i governi hanno puntato da subito alla produzione di milioni e milioni di dosi di vaccino, scartando ogni intervento di rafforzamento del sistema sanitario pubblico e della medicina territoriale, gettando gli ospedali e il personale medico e ospedaliero nella situazione peggiore mai vista: le difese della sanità pubblica, tanto reclamate dall’OMS nel 2003, rese necessarie per la prossima epidemia globale, sono state disattese totalmente. La sanità pubblica, per il capitalismo, è sicuramente un costo, mentre la sanità privata è per la maggior parte redditizia; ogni ospedale è un’azienda sottosta alla legge del profitto, perciò gli investimenti, anche statali, vanno sempre più verso la sanità privata. I ricchi, i benestanti, gli imprenditori, la classe medio-alta borghese si fanno curare nelle cliniche private; i proletari, il popolino non possono far altro che rivolgersi alla sanità pubblica, al “servizio sanitario nazionale” e non sono certo i “ticket” pagati all’Accettazione di ogni ospedale che salvano i suoi conti. La salute del profitto capitalistico innanzitutto! E che gli ospedali siano un costo e non un guadagno lo dimostra il fatto che – prendendo soltanto i dati italiani disponibili dell’ultimo decennio (2010-2019) – in dieci anni ne sono stati chiusi, tra pubblici e privati, ben 173. Tagliando gli ospedali si tagliano i posti letto e il personale sanitario: le strutture del settore pubblico, nel 2010, rappresentavano solo il 46,4% del totale; nel 2019 sono scese sl 41,3%. I posti letto disponibili, tra pubblico e privato, sono diminuiti di 43.471; il personale sanitario (medici, infermieri ecc.) è diminuito di 42.380 unità; e sono diminuiti anche i medici di famiglia: dai 45.878 del 2010 sono diventati 42.380 nel 2019 (4). E stiamo parlando soltanto degli ultimi dieci anni, ma i tagli sono iniziati nei decenni precedenti. E’ questa la saggezza del capitale che invocava l’OMS nel 2003... L’unico “saggio” che conta per la classe dominante borghese è il saggio medio di profitto su cui gira l’intera economia capitalistica!    

Ma sull’ipotesi di una successiva epidemia globale di Sars-CoV, per niente balzana, la Fondazione Bill e Melinda Gates (tra i principali finanziatori privati dell’OMS) ha continuato le ricerche sui coronavirus; una nuova pandemia di Sars CoV era data per molto probabile visto che i collegamenti tra la Cina (dove il salto di specie del virus dagli animali selvatici all’uomo è più probabile) e il resto del mondo – soprattutto dei paesi occidentali – erano destinati ad aumentare in progressione geometrica, tanto da ipotizzare (vedi “il comunista” n. 166, dicembre 2020, Diseguaglianze e lotte di classe, e n. 167, genn-marzo 2021, Covid-19: un anno di tremende conferme) che questa nuova pandemia avrebbe potuto provocare nel mondo, in 18 mesi, 65 milioni di morti...

Una simile catastrofe, ben peggiore della “spagnola” degli anni 1919-1920, non poteva che essere musica per le orecchie dei capitalisti, non solo per i padroni delle Big Pharma – i loro profitti giganteschi grazie ai vaccini “anti-Covid” vengono pianificati da tempo –, ma per gli stessi governi borghesi che tendono ad approfittare sempre di ogni catastrofe su due direttrici fondamentali: lo stato d’emergenza, inevitabilmente dichiarato di fronte ad ogni catastrofe, rende le loro decisioni politiche ed economiche molto più rapide e con meno intralci burocratici e politico-parlamentari, e la paura prodotta dalla catastrofe sanitaria – alla pari di ogni “catastrofe naturale” come terremoti, maremoti, alluvioni, ecc. – per di più incolpando un nemico “invisibile” (il coronavirus), tende a paralizzare la popolazione, e in particolare il proletariato, rendendo più agevole l’opera borghese di controllo sociale, schiacciando ancor più le masse proletarie nelle condizioni di dipendenza assoluta dall’intervento di Sua Maestà lo Stato.

Come da sempre abbiamo sostenuto, il capitale preferisce la “cura”, la “ricostruzione”, il “rimedio” alla “prevenzione”. I governi borghesi non trovano mai i capitali per la prevenzione, ma ne trovano in quantità gigantesche per la ricostruzione dopo la catastrofe, che questa sia provocata da fenomeni “naturali” – in verità rari – o provocata dall’attività industriale capitalistica. E la vicenda dei vaccini anti-Covid lo dimostra chiaramente. Ogni potere borghese non ha fatto e non fa mistero del fatto che la cosa più importante in assoluto è ripristinare i cicli economici di produzione e di scambio interrotti dalla catastrofe, in questo caso “sanitaria”. Per ottenere questo obiettivo, la borghesia ha bisogno che i proletari siano convinti – con le buone e con le cattive – a sottoporsi ad un regime ancor più autoritario che giustifica con lo stato d’emergenza. Restrizioni, confinamenti, lockdown, zone rosse, arancioni o gialle, chiusure di attività, sospensioni dal lavoro e licenziamenti, imposizioni delle vaccinazioni e dei pass per lavorare, muoversi, vivere quotidianamente: tutto ciò fa parte del “pacchetto di misure” che la borghesia non può non adottare, aldilà della quantità e qualità delle misure che vengono scaglionate nel tempo. Come in tempo di guerra, così in tempo di crisi sanitaria, perdipiù globale, tutte le borghesie sono spinte a irreggimentare l’intera popolazione, e il proletariato in particolare, secondo le esigenze di difesa e di “ripresa” dell’economia di ogni paese, e secondo le esigenze degli scambi sui mercati internazionali da cui da tempo dipendono le economie di tutti i paesi, soprattutto dei paesi capitalisticamente più avanzati. Naturalmente, la menzognera politica borghese deve sempre trovare un “nemico esterno” al proprio potere al quale addossare la colpa della crisi: i fascismi e i regimi totalitari piuttosto che le plutocrazie, l’imperialismo occidentale piuttosto che l’imperialismo orientale, il vicino Stato più forte e prepotente piuttosto che la fede religiosa che muove le popolazioni le une contro le altre. Sebbene le classi borghesi, per loro natura, siano da sempre in lotta fra di loro, c’è un nemico che le unisce, e non è un nemico “invisibile” come può essere il coronavirus Sars-CoV-2: è un nemico visibilissimo, anche se oggi soltanto potenziale, ed è il proletariato, cioè la classe dei lavoratori salariati dal cui sfruttamento trae vita la borghesia di ogni paese.

La classe borghese, in duecento anni di dominio politico e sociale, è passata dalla sua fase rivoluzionaria euro-americana che è durata un’ottantina di anni (1789-1870), ad una fase di sviluppo mondiale di quarantacinque anni (1870-1915) che l’ha portata alla prima guerra imperialista mondiale periodo nel quale ha perso ogni possibilità storica di progresso reale della società, mentre la classe del proletariato, guidata dal suo partito di classe, dimostrava di essere l’unica classe rivoluzionaria rispetto a tutte le altre classi (feudali, borghesi, tribali e schiavistico-asiatiche) come prefigurato dal Manifesto di Marx-Engels del 1848. Nel passaggio dal capitalismo della libera concorrenza al capitalismo imperialista, confermato con più forza con la seconda guerra imperialista mondiale del 1939-45, la borghesia ha inevitabilmente seppellito il suo principale vanto politico: la democrazia liberale. L’inesorabile processo di concentrazione e di centralizzazione economica (caratteristica della fase imperialista del capitalismo) richiedeva una centralizzazione politica che – a causa dello sviluppo ineguale del capitalismo – trovava espressione sia nella democrazia formale (nei paesi a capitalismo superindustrializzato euro-americani), sia nelle forme autoritarie e totalitarie (nei paesi come la Russia e la Cina che uscivano a tappe forzate dal precapitalismo). Il periodo fascista della borghesia non è stato che l’espressione della più aperta dittatura politica che ha caratterizzato il potere borghese nei paesi capitalisti europei che più di altri hanno corso il “pericolo” della rivoluzione proletaria e comunista negli anni del primo dopoguerra mondiale, sull’onda della vittoria, nel 1917, della rivoluzione d’Ottobre in Russia e, tre anni dopo, della costituzione dell’Internazionale Comunista nel 1919-1920 che ambiva ad essere lo stato maggiore della rivoluzione proletaria mondiale. Nella seconda guerra mondiale vinsero militarmente le potenze cosiddette democratiche; ma la loro vittoria militare si trasformò in una vittoria politica sui rispettivi proletariati grazie all’innesto nella loro politica governativa delle politiche sociali adottate e messe in pratica dal fascismo, in particolare della collaborazione tra le classi istituzionalizzata attraverso il coinvolgimento istituzionale di tutte le organizzazioni politiche e sindacali del proletariato e la politica degli ammortizzatori sociali con la quale tacitare i bisogni più impellenti dei proletari. Questa democrazia fascistizzata sta dominando in Europa e nelle Americhe da settant’anni, nonostante la società borghese sia stata colpita da una crisi di grande portata come quella mondiale del 1975, e da una sequela di crisi economico-politiche che hanno punteggiato gli ultimi 45 anni facendo eruttare guerre locali in ogni continente in cui sono state sempre più presenti le più grandi potenze imperialistiche del mondo, salvo finora la Cina sul cui sviluppo imperialistico si stanno da tempo concentrando le preoccupazioni di tutte le altre potenze, e non solo a causa delle epidemie di coronavirus.

  

E’ logico che, nella loro opera di rincoglionimento di massa, le istituzioni democratiche borghesi abbiano il compito di propagandare la loro presunta propensione ad interessarsi del “bene comune” di quella che spudoratamente chiamano “comunità internazionale” (cioè l’insieme dei paesi riuniti nell’ONU, imperialisti compresi); nel caso dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie), essa ha il compito di raccogliere le informazioni da tutti i paesi sull’insorgenza delle malattie, sulle relative strutture sanitarie pubbliche e sui risultati delle ricerche mediche aggiornandoli costantemente per dare le indicazioni necessarie affinché ogni paese, a seconda della forza della propria economia e del controllo sociale del potere nazionale, si prepari ad affrontare epidemie e pandemie allo scopo di abbassare al minimo possibile le conseguenze economiche negative. Dall’altro lato, il potere politico borghese di ogni paese ha il compito di salvaguardare e difendere con tutti i mezzi a sua disposizione (politici, diplomatici, economici, finanziari, militari) l’economia nazionale rispetto ad ogni attacco “interno” o “esterno”, e soprattutto alla concorrenza straniera. Da più di un secolo, da quando il capitalismo ha sviluppato la sua fase imperialista, cioè la fase in cui l’economia di ogni paese è dominata dai monopoli, dai grandi trust, dalle famose multinazionali che condizionano ogni settore economico, nella produzione, nella distribuzione, nelle risorse finanziarie, ogni potere borghese nazionale è sempre più il braccio armato del capitalismo imperialista. Perciò, aldilà della propaganda con cui la borghesia inneggia, a livello internazionale, alla cooperazione, alla cultura e alla scienza per le quali l’umanità non dovrebbe avere confini, la cruda realtà della struttura capitalistica dell’attuale società svela che i rapporti di produzione e di proprietà borghesi portano esattamente in direzione opposta, cioè nella direzione dell’acutizzazione dei contrasti interimperialistici e della pressione sociale contro i proletariati in ogni paese. Ed è proprio nella prospettiva dell’aumento del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro proletarie e delle inevitabili reazioni a livello sociale – cosa che la borghesia di ogni paese tiene sempre sotto stretta osservazione – che ogni governo è spinto ad aumentare il proprio controllo sociale aumentando e raffinando le proprie forme autoritarie (sempre rivestite del democratico “bene comune”) nelle quali imbrigliare le masse proletarie.

Le manifestazioni che si susseguono da mesi contro il mascherato obbligo vaccinale e l’aperto ricatto antiproletario dell’obbligo del green pass anche per andare a lavorare, nella loro illusoria rivendicazione di democrazia e di diritti costituzionali, sono in ogni caso espressione di un malcontento che serpeggia da anni nella società. Con le chiusure, i confinamenti, i lockdown e le molteplici restrizioni emanate dai governi nella loro “guerra al Covid-19”, non ci sono andati di mezzo solo i proletari, ma anche gli strati più deboli della piccola borghesia che, ovviamente, si ribellano per la loro rovina e perché non vogliono precipitare nella loro proletarizzazione. Dai dati recenti dell’Istat, in Italia 6 milioni circa di abitanti sono in povertà assoluta: il 10% della popolazione! Ed è certo che questi 6 milioni non sono costituiti soltanto da disoccupati cronici, anziani senza pensione ed emarginati, ma anche da piccoli borghesi andati in rovina per aver perso ogni riserva patrimoniale personale.

Oltre ad essere un segnale di un malcontento diffuso, queste manifestazioni sono anche una valvola di sfogo di questo disagio, che la borghesia dominante preferisce mille volte agli scioperi e alle mobilitazioni operaie. Le preferisce perché sa, per esperienza, che queste manifestazioni non solo non metteranno mai in pericolo il potere dominante della borghesia, ma possono invece convogliare anche forze proletarie distraendole e deviandole dalla loro potenziale lotta classista. E’ un fatto, però, che i proletari non si siano ancora ribellati con forza al ricatto del green pass per andare a lavorare: dal salario dipende la vita di ogni proletario; sospenderlo o toglierlo fino a quando non si presentano sul luogo di lavoro con il lasciapassare vaccinale, vuol dire che subiscono un doppio ricatto. Infatti al ricatto di base costituito già dal lavoro salariato – ossia da un salario offerto dal padrone capitalista, a condizioni vantaggiose solo per sé – si aggiunge il ricatto dell’obbligo vaccinale su cui, oltretutto, nessun comitato scientifico scommette sulla sua effettiva “immunizzazione”, come dimostrato dai continui richiami presentati come necessari nel giro di poche settimane e pochi mesi.

Aldilà degli effetti positivi che possono o non possono avere i vaccini anti-Covid, è evidente che la vera prevenzione dall’insorgenza di epidemie come quella di Sars-CoV2, di Hiv, di Ebola o simili, non sta nei vaccini, ma in un rapporto con l’ambiente naturale completamente diverso da quello che ha instaurato la società capitalistica. Basti pensare alla distruzione degli ecosistemi nei vari continenti, e sono gli stessi borghesi ad affermarlo: deforestazione, costruzione di strade e infrastrutture, aumento del terreno agricolo e dei pascoli, attività minerarie, insediamenti urbani sempre più ampi, inquinamento sempre più devastante ecc. ecc. Le foreste tropicali, ad esempio, sono ambienti molto complessi e ricchi di vita, e «in questi ecosistemi vivono milioni di specie, in gran parte sconosciute alla scienza moderna, non classificate o a malapena etichettate e poco comprese», e tra queste specie ci sono virus, batteri, funghi ecc. molti dei quali parassiti (5). Come si sa i virus riescono a moltiplicarsi solo all’interno delle cellule vive di qualche altro organismo, animale o pianta, e, per quello che si sa, nella maggioranza dei casi sono parassiti “benevoli” che non riescono a vivere fuori del loro ospite; ma se l’ambiente nei limiti del quale essi vivono e prosperano viene completamente sbriciolato, sono naturalmente spinti a cercare altri ospiti, pena l’estinzione, per evitare la quale questi parassiti tentano il salto di specie arrivando all’animale uomo. Può il capitalismo sopravvivere senza distruggere l’ambiente in cui si è radicato e sviluppato? E’ impossibile. La società borghese è condannata dalla sua stessa struttura economica e sociale, perché il capitalismo guadagna nella distruzione, e guadagna di più nella ricostruzione. Il problema è che l’attività industriale produce di tutto in tempi rapidi; in tempi strettissimi si costruiscono grattacieli, autostrade, aeroporti, ponti, palazzi di ogni tipo, si deviano e canalizzano fiumi, e in tempi altrettanto stretti si distruggono foreste, si spianano colline, si bucano montagne, si cementificano interi territori. Una crisi economica a livello mondiale può fermare in parte questa iperattività industriale, mandando distrutta una parte della produzione e una parte della forza lavoro salariata impiegata nella produzione e nella distribuzione. Ma, se in questa crisi non maturano i fattori che portano alla rivoluzione proletaria e all’instaurazione vittoriosa della dittatura proletaria, la borghesia capitalistica riesce a superarla, a prezzo di catastrofi gigantesche sia materiali che umane, utilizzando mezzi che non fanno altro che preparare crisi più profonde e più devastanti. La dimostrazione è data dallo stesso corso di sviluppo del capitalismo che procede di crisi in crisi da almeno centottant’anni: crisi commerciali, economiche, bancarie, monetarie, finanziarie, politiche, di guerra che si susseguono una all’altra senza soluzione di continuità. La borghesia, ad ogni crisi della sua economia e della sua società, ha sempre annunciato di poterla superare grazie a manovre economico-finanziarie, a “cambi di governo” e alla “ripresa” economica stimolata dall’intervento dello Stato per la quale si richiama alla più forte “coesione nazionale”: dunque, il proletariato è chiamato in causa per sostenere i sacrifici più duri per il bene della ripresa economica capitalistica, dalla quale la borghesia trae il massimo vantaggio sociale e i massimi profitti, rafforza il proprio dominio sulla società e piega ancor più spietatamente le masse proletarie nella schiavitù salariale, nelle diseguaglianze, nella miseria e nella fame. Il “bene comune” per i borghesi è semplicemente il bene dei borghesi a spese del proletariato e delle popolazioni più deboli: proletariato e popolazioni che devono sottomettersi a Sua Maestà il Capitale.

L’atteggiamento borghese non cambia di fronte ad una crisi sanitaria  come quella del Covid-19: il “bene comune” invocato nell’appellarsi al proletariato, maschera in realtà la vera manovra sottostante, ossia impedire al proletariato di occuparsi dei propri interessi di classe e della propria vita quotidiana.

Gli interessi di classe del proletariato sono inevitabilmente legati alla condizione del lavoro salariato che lo caratterizza. E’ questo il nodo che il proletariato deve sciogliere. Finché accettano, come loro destino, di essere lavoratori salariati, pur facendo parte della classe dei lavoratori contrapposta alla classe dei borghesi (estorsori di plusvalore), i proletari non usciranno mai dalla sudditanza ideologica e politica della borghesia; saranno sempre una parte del meccanismo economico e sociale che produce profitto capitalistico, saranno sempre un accessorio della macchina industriale capitalistica. Il proletariato potrà sciogliere il nodo che lo lega alla macchina industriale capitalistica e alla sua conservazione se si ribella come classe alla sua condizione di vita che diventa sempre più insopportabile, rompendo il legame che lo avvince allo sfruttamento capitalistico. I proletari dovranno riconoscersi non solo come lavoratori salariati di questa società, ma come gli unici veri produttori dell’intera ricchezza sociale, una ricchezza che la borghesia si appropria escludendo completamente il proletariato dal poterne godere anche una sola piccola parte se non al prezzo di sottomettersi alla schiavitù salariale. E, in quanto produttori della vera ricchezza sociale, riconoscersi come la classe portatrice di un futuro rivoluzionario in cui tutte le categorie capitalistiche (capitale, salario, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, produzione mercantile, denaro, proprietà privata) insieme a tutta la simbologia culturale e politica borghese (nazionalismo, razzismo, oppressione sociale, patriottismo, confessionalismo) verranno eliminate, perché verrà eliminata la divisione della società in classi, e superate da un’organizzazione sociale mondiale razionale e armonica in cui il lavoro sarà una gioia e non un tormento, e i rapporti umani saranno caratterizzati dalla libera espressione delle capacità di ciascuno nella piena e naturale cooperazione generale: quel che noi, in una parola, chiamiamo comunismo, la società di specie in cui la conoscenza e la scienza, finalmente, non saranno più al servizio  del profitto capitalistico, ma al servizio della vita sociale umana in un rapporto positivo, e non di contrasto, con la natura.  

Da questa prospettiva si può facilmente comprendere che l’obbligo del green pass per andare a sputare sangue e sudore nei luoghi di lavoro non è solo una forzatura autoritaria applicata per il “bene comune”, per “proteggere” la popolazione dal contagio e dalla eventuale morte a causa del Covid-19, ma fa parte del macabro gioco che la borghesia fa sulla pelle dei proletari. All’inizio non ha fatto nulla per prevenire un’epidemia di questo tipo, sebbene ne avesse una sufficiente conoscenza se non altro per limitare la sua diffusione; poi ha dimostrato di non avere né la volontà, né i metodi e i mezzi per limitarla nelle aree in cui è comparsa; in seguito ha lasciato che questa epidemia si diffondesse in tutto il mondo, giocando sui possibili vantaggi di un paese o dell’altro nella concorrenza internazionale; infine, puntando esclusivamente sui vaccini, mortificando e debilitando la medicina territoriale e offrendo al Covid-19 centinaia di miloni di infettati e milioni di morti, si è eretta a salvatrice dell’umanità contro un “nemico” al quale ha in realtà facilitato la sua avanzata, la sua sopravvivenza e le sue mutazioni. Inoltre, in due anni dall’inizio della pandemia, le strutture sanitarie pubbliche non solo non sono state rafforzate, sia come strutture che come personale medico e ospedaliero, ma sono state obbligate a dare priorità ai ricoveri degli infettati dal Covid-19 lasciando indietro la massa di malati di altre patologie gravi. Si tamponava un problema da un lato, se ne aprivano altri altrettanto gravi dall’altro. La campagna vaccinale, iniziata già a metà dello scorso anno, è diventata l’alfa e l’omega del problema Covid-19, ed è diventato il pretesto perché i proletari si sentissero in colpa se non si vaccinavano; la scappatoia dei tamponi molecolari e antigenici, utilizzati per dimostrare di non essere positivi al Covid-19, è stata adottata per non alzare troppo la tensione sociale e per costringere, per altra via (quella del costo economico non indifferente da sostenere individualmente ogni due giorni), i lavoratori a vaccinarsi.

Come era prevedibile, i governi, dopo aver decretato la campagna vaccinale anche per gli under dodicenni, stanno considerando di passare all’obbligo vaccinale dichiarato ufficialmente (alcuni l’hanno già fatto come in Austria) e al prolungamento dello stato di emergenza dovuto ad una pandemia – ma guarda un po’! – che non è per nulla sconfitta. La “ripresa economica” detta legge, soprattutto in quei paesi, come in Italia, in cui quest’anno il Pil supererà il 6% sullo scorso anno – “occasione che non può essere gettata al vento”, come continuano a sostenere imprenditori e politicanti. Una ripresa che è costata un aumento della disoccupazione in generale e delle donne e dei giovani in particolare, della precarietà, della povertà assoluta, dei morti sul lavoro!

E’ contro tutto questo che i proletari devono alzare lo sguardo, guardando in faccia una realtà che li sta opprimendo, soffocando, uccidendo, e lottare contro di essa e contro le forze della conservazione sociale, soprattutto quelle mimetizzate da “rappresentanti dei lavoratori” mentre sistematicamente sabotano ogni reazione di classe, anche minima e isolata.

CGIL e UIL hanno proclamato uno sciopero “generale” per il 16 dicembre perché il governo Draghi non ha concordato con loro alcune misure di supporto ai lavoratori minacciati di licenziamento, in cassa integrazione o in cerca di lavoro. L’altro sindacato della trinità collaborazionista, la CISL, si è dissociato perché in questa delicata fase di ripresa economica non ritiene di dover mettere i bastoni tra le ruote al governo che sta gestendo i miliardi dei fondi europei. Uno sciopero da cui i grandi sindacati tradizionali cercano di trarre nuova fiducia da parte dei propri iscritti, ma che si presenta come ormai da decenni come una burla perché, anche se dovesse avere una partecipazione consistente, sarà uno spreco di energie vigliaccamente preparato da organizzazioni che si sono votate da sempre e completamente alle esigenze dell’economia nazionale, al suo buon andamento, alla sua redditività, alla sua capacita concorrenziale a livello internazionale, inginocchiandosi sistematicamente a Sua Maestà il Capitale, contrastando gli interessi reali della classe proletaria.

Lo sciopero, perdipiù generale, è una potente arma nel conflitto di classe alla condizione di essere preparato, organizzato, diretto e svolto sul terreno dello scontro di classe, con metodi e mezzi di classe,  in difesa esclusiva degli interessi di classe proletari. Chiedere al governo di essere trattati come una parte attiva nelle politiche di bilancio, relativamente agli investimenti, alla riforma fiscale, alla riforma del lavoro ecc., come fanno anche in questa occasione i sindacati collaborazionisti, e farsi sostenere in questa investitura dalla mobilitazione di sciopero del proletariato, è un ulteriore attacco al proletariato, non solo sul piano della difesa economica e sociale, ma anche sul piano della sua lotta.

I proletari non possono aspettarsi nulla di buono dalla politica dei governi borghesi; e non possono aspettarsi nulla di buono nemmeno dalle politiche e dalle pratiche dei sindacati collaborazionisti che svolgono, per conto della classe borghese dominante, il compito dei pompieri quando la mobilitazione operaia si fa dura, dei guardiani affinché i proletari in fabbrica non oltrepassino i limiti delle regole imposte dai padroni, degli aguzzini quando si tratta di decidere chi deve andare in cassa integrazione, chi deve essere licenziato. Meno ancora possono aspettarsi qualcosa di buono da parte dei partiti che hanno ancora la faccia di dirsi “di sinistra”, ormai platealmente pappa e ciccia con i poteri borghesi sia in campo parlamentare, sia nelle istituzioni, sia nei consigli di amministrazione delle più diverse società.

I proletari devono tornare ad organizzarsi al di fuori di tutte le istituzioni, in modo del tutto indipendente e sul terreno di classe. Non hanno altra via che quella di rompere con la collaborazione di classe e con tutte le organizzazioni che la sostengono e la attuano. Non hanno altra via che quella di riconoscere che la forza che possiedono potenzialmente può essere messa a frutto a difesa dei propri interessi soltanto alla condizione di considerarsi una classe antagonista alla classe borghese, organizzandosi quindi come classe antagonista. Allora anche di fronte ai ricatti che la classe dominante borghese mette in pratica contro il proletariato, Covid o non Covid, la risposta non può che essere di classe.

La borghesia ha proclamato la “guerra alla Sars-CoV2”, chiamando i proletari all’unità nazionale, ad una forte coesione nazionale grazie alla quale questa “guerra” potrà essere vinta. Ma, nella realtà, la guerra che la borghesia conduce è una guerra non contro il coronavirus ma contro il proletariato; una guerra non dichiarata ufficialmente, anzi, mistificata con misure che passano per essere la migliore protezione contro l’infezione e la morte da Covid, quando, nello stesso tempo, le misure di sicurezza sul lavoro sono sistematicamente assenti, gli infortuni e le morti sul lavoro sono all’ordine del giorno, la nocività nei luoghi di lavoro è la norma, allo stesso modo dell’intensificazione dei ritmi di lavoro, della precarietà del lavoro, dell’aumento delle ore giornaliere di lavoro. Come è possibile che la borghesia dominante, che ha sempre trattato e tratta i proletari come forza da lavoro da sfruttare bestialmente in pace e come carne da macello in guerra per ragioni strettamente economiche e di potere, di colpo si metta a “proteggere” i proletari da un’epidemia che lei stessa ha diffuso nel mondo, guadagnandoci pure sopra? In realtà non è possibile: la borghesia cambia il pelo, ma non il vizio. Ha tutto l’interesse di trasformare i proletari in automi, in macchine da lavoro, e se per ottenere questo risultato deve usare misure autoritarie, non si fa alcun problema: la pandemia di Covid-19 le ha dato l’occasione di mettere in campo una colossale campagna di paura, seguita da una colossale campagna vaccinale, creando in questo modo una vera e propria dipendenza – come nel caso delle droghe – dal vaccino anti-Covid. E così, oltre agli antinfiammatori, antidepressivi, ai medicinali contro l’ipertensione, calmanti, antibiotici ecc. si aggiungono anche i vaccini contro l’influenza, contro il fuoco di sant’antonio, contro il Covid e chissà contro cos’altro un domani... In questo modo il sistema immunitario umano, naturale, viene sistematicamente depotenziato e, quindi, bisognoso di essere sostituito da farmaci inventati appositamente

Ebbene, i proletari non si sono resi conto in tutti questi decenni, rimbecilliti dalle sirene della democrazia  parlamentare e dall’elezionismo, che la borghesia ha sempre manovrato per renderli inoffensivi, incapaci di iniziative se non nel recinto delle regole borghesi, illudendoli di giungere ad un benessere generalizzato e ad una sicurezza di vita che nella realtà ogni crisi economica ha fatto sistematicamente crollare. Le diseguaglianze sociali sono aumentate, l’insicurezza del lavoro e della vita è aumentata, ma è aumentata anche la concorrenza tra proletari che la borghesia alimenta con ogni mezzo, perché più i proletari si fanno concorrenza e più si allontanano dal terreno di lotta classista.

Il problema, quindi, per i proletari, non è solo se vaccinarsi o no, con Pfizer pittosto che con Moderna, ma è di riconquistare l’indipendenza di lotta e organizzativa. E se la riconquista di questa indipendenza classista passa attraverso la lotta contro il green pass, e quindi contro l’obbligo vaccinale, ben venga, a condizione che per questa rivendicazione si lotti con metodi e mezzi di classe, dunque contro la concorrenza tra proletari vaccinati e non, e contro la concorrenza tra proletari in generale e contro la collaborazione di classe coi padroni e i governanti. Sarà la lotta stessa, sul terreno classista, che darà vita all’organizzazione di classe, indipendente da ogni forza borghese.

 


 

(1) Cfr. D. Quammen, Spillover, Animal Infections and the Next Human Pandemic, by W.W. Norton & Company Inc., 2012; Spillover, Adelphi Edizioni, Milano, 2014.

(2) Cfr. https://www.epicentro.iss.it/focus/sars/sars-fine

(3) Ibidem.

(4) Cfr. http://www. quotidianosanita.it/ studi-e-analisi/ articolo.php? articolo_id=96379.

Ultimi dati, fonte Dashboard ECDC, 9 Dicembre 2021: Francia casi confermati 8.048.931 morti 120.032; Spagna casi confermati 5.246.766 morti 88.237; Italia casi confermati 5.152.264  morti 134.472; Germania casi confermati 6.362.232  morti 104.512. https://www.salute.gov.it/portale/nuovo coronavirus/ dettaglio Contenuti NuovoCoro navirus.jsp? lingua= italiano&id= 5338 &area= nuovoCoronavirus&menu=vuoto

(5) Cfr. D. Quammen, Spillover, cit. pp.41-49.

 

 

Partito comunista internazionale

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