«No green pass» - «No obbligo vaccinale», non sono rivendicazioni classiste in sé e per sé

(«il comunista»; N° 172 ; Marzo 2022)

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Gruppi ed elementi che si riferiscono alle posizioni della Sinistra comunista d’Italia hanno sostenuto e sostengono che le rivendicazioni «no green pass», «no obbligo vaccinale», aldilà del fatto che siano state lanciate da movimenti piccoloborghesi, sono classiste in sé e per sé, sostanzialmente perché vanno contro le misure governative. Per questo motivo, ammettendo che oggi il proletariato non si muove ancora sul terreno delle sue rivendicazioni classiche (inerenti all’aumento del salario, alla diminuzione dell’orario giornaliero, alle misure di sicurezza in fabbrica, ai licenziamenti, alla disoccupazione ecc.), ci sono rivendicazioni, come queste, che lo interessano direttamente sia perché riguardano la libertà di ogni singolo individuo, e quindi anche dei proletari, sia perché vanno a toccare direttamente il salario sottoposto, in questo caso, al ricatto di sospensione in assenza di esibizione del green pass per accedere ai posti di lavoro.

Dei movimenti interclassisti anti-green pass che hanno agitato queste rivendicazioni abbiamo già parlato nei numeri scorsi del giornale (ad esempio nell’articolo dello scorso novembre: «Qualche lezione da tirare rispetto ai movimenti interclassisti anti-green pass e alla lotta che la classe proletaria deve mettere in campo», n. 170 di questo giornale). Ma torniamo sull’argomento perché la posizione che abbiamo criticato si è trasformata dall’interesse che i comunisti rivoluzionari dovrebbero avere ad intervenire in questi movimenti per dare loro una direzione «classista», in una posizione che riconosce la caratteristica «classista» a queste rivendicazioni in quanto tali, in sé e per sé, anche se agitate da movimenti interclassisti.

Per fare chiarezza è necessario tornare ai concetti marxisti fondamentali: classe, lotta di classe, obiettivi di classe.

 

Per il marxismo, e per noi, classe indica moto storico, lotta, programma storico. Classe che deve ancora trovare il suo programma è frase vuota di senso: il programma determina la classe. Sono parole di Amadeo Bordiga che si leggono nel «filo del tempo» intitolato Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura (1953), in cui si rimettevano al loro posto i concetti fondamentali del marxismo contro gli aggiornatori alla «Socialisme ou barbarie». Questo «filo del tempo» si trova facilmente nella homepage del nostro sito.

E’ chiaro per noi che le singole rivendicazioni di classe del proletariato discendono dal programma e non viceversa; come è chiaro che non tutte le rivendicazioni che si oppongono agli interessi generali o particolari della borghesia sono o possono essere «classiste». La classe, e quindi gli obiettivi di classe e le rivendicazioni che danno sostanza alla lotta del proletariato, sono determinati dal programma rivoluzionario del proletariato e non viceversa.  

 

Qual è il «programma» del movimento della piccola borghesia? 

Certamente non l’abbattimento dello Stato borghese e tanto meno l’instaurazione della dittatura del proletariato, cioè tutti gli obiettivi della lotta della classe proletaria indirizzati – questi sì – frontalmente e direttamente contro l’insieme degli interessi del capitale nazionale e internazionale. Per i marxisti non esiste un programma «minimo» e un programma «massimo» della lotta di classe: il programma del comunismo rivoluzionario è unico, punta alle finalità storiche della lotta di classe del proletariato mondiale e comprende i livelli storicamente obbligatori perché la lotta di classe giunga ad elevare la lotta immediata del proletariato (lotta per gli interessi immediati dei proletari) a lotta politica generale per la conquista rivoluzionaria del potere politico, l’instaurazione della dittatura di classe nell’ambito della rivoluzione comunista mondiale.

 

Come fa il proletariato ad elevare la propria lotta dal terreno della difesa immediata dei suoi interessi classisti al terreno politico generale per l’abbattimento dello Stato borghese?  

I fattori materiali oggettivi che concorrono a questo processo rivoluzionario sono costituiti dalle contraddizioni economico-sociali del capitalismo che sboccano inevitabilmente nelle crisi economico- finanziarie, e quindi sociali che, a loro volta, costituiscono il detonatore della lotta classista; dalla pressione dell’ampia e decisa lotta proletaria sul terreno della difesa immediata supportata e organizzata da associazioni economiche classiste che riuniscono la gran parte del proletariato e basata su esperienze radicate di lotta classista; dall’attività e dall’influenza del partito comunista rivoluzionario nella lotta proletaria e nelle associazioni economiche del proletariato di cui tende a conquistare la direzione. Il fattore soggettivo, indispensabile perché questo trascrescere della lotta proletaria immediata in lotta politica generale si compia, è costituito dal partito comunista rivoluzionario, il partito di classe che guiderà la lotta rivoluzionaria, la conquista del potere politico ed eserciterà la dittatura di classe secondo il programma comunista internazionale pubblicamente propagandato da sempre.

E’ possibile per il proletariato lottare sul terreno di classe in assenza di organizzazioni sindacali classiste e in assenza dell’attività e dell’influenza del partito di classe all’interno del proletariato e delle sue organizzazioni classiste?  

No, ed è la storia del movimento proletario e della preminenza dell’opportunismo e del collaborazionismo nelle sue file e nelle sue organizzazioni che lo dimostra. Il proletariato non è una classe neutra, che può essere influenzata di volta in volta da gruppi di interessi contrastanti, ma sempre agenti nei limiti dell’attuale società. O è influenzato e diretto dalla classe borghese (e, per suo conto, dalle forze piccoloborghesi della conservazione sociale) e dalle sue istituzioni o è influenzato e diretto dal partito comunista rivoluzionario, i cui obiettivi sia immediati sia più generali e storici sono diametralmente opposti a quelli della borghesia. 

Il proletariato, per lottare sul terreno immediato e, tanto più, sul terreno politico generale, ha bisogno di organizzarsi in modo indipendente, mettendo al centro della sua lotta obiettivi di classe, cioè di difesa esclusiva dei propri interessi di classe, superando il livello primitivo di lotta per categoria, per azienda, per settore. Ha quindi bisogno di reimpossessarsi dei mezzi e dei metodi della lotta di classe che non sono condivisibili con nessun’altra classe sociale, né borghese né piccoloborghese.

 

E’ possibile che il proletariato riceva l’ossigeno classista da movimenti sociali non proletari, piccoloborghesi o borghesi che siano? 

No, gli interessi di classe della piccola borghesia e della borghesia, possono anche non coincidere tra di loro, e spesso non coincidono – e i movimenti contro il green pass e l’obbligo vaccinale lo dimostrano –, ma non possono e non potranno mai contenere o far germogliare interessi di classe del proletariato. Perché? Perché quando si parla di interessi «di classe» si parla di interessi che accomunano – aldisopra dei singoli componenti delle diverse classi – sia sul piano economico che sociale e, quindi, politico, i diversi strati in cui la società capitalista suddivide l’intera popolazione.

Se è vero, come sostiene il marxismo, che la società capitalistica trova il suo fondamento nella divisione in classi contrapposte e che tale divisione si esprime in interessi antagonistici, il proletariato non troverà mai la spinta emancipatrice se non nella sua lotta antagonista di classe, lotta che al suo apice rivoluzionario può attrarre anche elementi della borghesia e della piccola borghesia, ma che mai potrà sgorgare da movimenti apertamente borghesi o interclassisti.  

 

Può la classe del proletariato avere interessi immediati o storici comuni con la piccola borghesia o con la grande borghesia? 

Nei paesi capitalistici avanzati assolutamente no; nei paesi capitalisticamente arretrati in cui la storia aveva messo all’ordine del giorno la rivoluzione borghese, quindi antifeudale, l’interesse «comune» – vedi tesi dell’Internazionale Comunista 1920 – era quello di abbattere il vecchio sistema e il vecchio potere feudale, da parte dei movimenti borghesi nazionalrivoluzionari e da parte del proletariato organizzato in modo indipendente che però aveva un proprio programma politico nel quale prevedeva di battersi contro i vecchi sistemi feudali o addirittura schiavistici in alleanza con la borghesia rivoluzionaria, e di battersi contro la propria borghesia nazionale non appena questa saliva al potere. L’opposizione di classe del proletariato si esprimeva quindi sia contro le vecchie classi feudali o schiaviste, sia contro la classe borghese.

L’epoca delle rivoluzioni borghesi, ancora «attuali» nel secondo dopoguerra in Africa e in parte dell’Asia, è storicamente tramontata da più di quarant’anni. Ragione di più per affermare che il proletariato, anche nella gran parte dei paesi capitalisticamente arretrati, non ha alcun interesse da condividere con la piccola borghesia o con la borghesia.

 

Rimanendo sul terreno immediato, quali sono le rivendicazioni, gli obiettivi, della lotta classista del proletariato?  

Tutte quelle che difendono esclusivamente le condizioni di vita e di lavoro dei proletari. Possono essere rivendicazioni strettamente economiche, ma anche politiche. Tra le rivendicazioni economiche, vi sono quelle che «di per sé» tendono ad unificare i proletari al di sopra delle divisioni per categoria, età, genere, nazionalità, grado di istruzione, specializzazione ecc., e sono ad esempio: aumento dei salari più alto per le categorie peggio pagate, diminuzione drastica della giornata di lavoro, salario integrale ai disoccupati. I comunisti sostengono anche le rivendicazioni meno «generali», come ad esempio la lotta contro i licenziamenti, contro la nocività degli ambienti di lavoro, contro l’intensità dei ritmi di lavoro, contro la sospensione delle pause durante la giornata di lavoro, contro le multe, contro gli infortuni e le morti sul lavoro, contro la discriminazione di genere o di affiliazione politica, sindacale, religiosa ecc. ecc., ma sempre adottando mezzi e metodi della lotta di classe.

Nello stesso tempo, ci sono rivendicazioni immediate che hanno carattere politico e che anch’esse sono obiettivi della lotta classista: i diritti di organizzazione al di fuori delle organizzazioni collaborazioniste, i diritti di riunione, di manifestazione, di sciopero; rivendicazioni, queste, che hanno e avranno sempre più bisogno di essere sostenute con la forza, proprio perché la classe dominante borghese tende a rafforzare il suo controllo sociale, cosa che fa anche limitando sempre più le «libertà individuali», tanto più «di gruppo». Anche le rivendicazioni di carattere economico citate sopra possono assumere una valenza «politica» nella misura in cui anch’esse debbono essere sostenute mettendo in campo la forza e, perciò, con mezzi di lotta (come gli scioperi ad oltranza senza preavviso, i picchetti, le manifestazioni non autorizzate, la difesa dagli attacchi della polizia o degli sgherri dei padroni ecc.) che tendono ad oltrepassare le regole imposte dai padroni e i vincoli legali imposti dalle leggi dello Stato. Tutto questo fa parte della lotta classista del proletariato sul terreno immediato. 

E’ questa lotta che prepara il proletariato alla lotta più generale, alla lotta politica per la propria emancipazione di classe; e in questa lotta il proletariato si trova contro non solo la grande borghesia – il che è ovvio – ma anche la piccola borghesia perché riconosce in questa lotta un pericolo anche per sé, per la propria posizione sociale, per i propri privilegi sociali; il fatto che una parte della piccola borghesia, rovinata dalle crisi del capitale, finisca per precipitare nella proletarizzazione è un fatto materiale inevitabile dello sviluppo dello stesso capitalismo, ma di per sé non contribuisce a rafforzare gli interessi del proletariato, semmai li ammorbidisce, li annacqua mescolandoli con le ambizioni di un proprio «riscatto» sociale.

 

In che cosa consistono fondamentalmente gli interessi della piccola borghesia?

Anche la piccola borghesia ha interessi contrastanti con quelli della grande borghesia; in questi casi si trova ad opporsi allo Stato e alle sue istituzioni di difesa degli interessi generali del capitale. La piccola borghesia ha interesse a mantenere e rafforzare i propri privilegi sociali. In che cosa consistono i privilegi sociali della piccola borghesia? Nella proprietà privata delle proprie botteghe, delle proprie attività commerciali e industriali, della propria terra da coltivare, dei propri immobili, dei propri mezzi di trasporto e nell’appropriazione della produzione per la quale vengono sfruttati lavoratori salariati. Ebbene, l’interesse dei piccoloborghesi è difendere questa loro posizione sociale che si distingue da quella del proletariato perché vive fondamentalmente sullo sfruttamento del lavoro salariato sia dei propri salariati, sia dei salariati in generale.

 

Che cosa lega lo sfruttatore di lavoro altrui e lo sfruttato?

Il sistema borghese capitalistico che permette al piccolo borghese di vivere sulle spalle dello sfruttamento generale del lavoro salariato. Il sistema borghese non è un sistema a misura della piccola borghesia; è un sistema che da quasi duecento anni si sviluppa grazie alla grande industria, al monopolio, ai trust, alla grande finanza e ai grandi Stati che difendono il grande capitale. Un sistema che tende a rovinare (ma non a cancellare) la piccola produzione, il piccolo commercio, i piccoli traffici che sussistono perché la grande industria e le grandi reti di distribuzione non sono in grado di risolvere tutte le esigenze contrastanti che emergono dall’anarchia del mercato e che diventano addirittura necessari bastioni di difesa del sistema mercantile e capitalistico nei periodi in cui le crisi economiche e finanziarie di sovraproduzione distruggono una gran parte dei prodotti e delle forze produttive (vedi Manifesto di Marx-Engels) riconducendo all’improvviso la società a uno stato di momentanea barbarie.  

Per questi motivi la piccola borghesia, quando la sua rovina si avvicina a passi da gigante, si sente «protagonista» della ribellione contro lo Stato dal quale pretende aiuti, sovvenzioni, protezione per non cadere per sempre in rovina e nella proletarizzazione. Ma la sua forza sociale non è stata e non è mai sufficiente per ottenere quella soddisfazione; dipende troppo dal grande capitale per metterglisi contro frontalmente. Rivolgendosi allo Stato, inteso falsamente come entità «super partes», perché difenda i suoi privilegi economici e sociali cerca di aumentare la propria forza di pressione attirando nella propria lotta i proletari, perché sa per esperienza che la lotta degli operai può essere più incisiva rispetto ai capitalisti e, quindi, rispetto allo Stato, in quanto va a toccare i loro profitti immediati.

 

E’ possibile che la piccola borghesia esprima rivendicazioni che, in parte, possono essere condivise dai proletari? 

In generale no. I piccoloborghesi, perché la loro attività artigianale, industriale e commerciale sia redditizia, in città come in campagna, contano sulla più ampia libertà di circolazione dei potenziali consumatori e sulla minore incidenza di restrizioni ai loro traffici. Ossia, vorrebbero la stessa libertà di movimento e d’azione che hanno la grande industria e il grande commercio, ma che, proprio in ragione dei rapporti di forza instaurati dalla classe borghese dominante, non possono avere. Perciò, quando la loro situazione si aggrava a tal punto da rischiare di perdere per sempre i loro privilegi sociali, i piccoloborghesi si ribellano individuando rivendicazioni non solo specifiche – come i vignaioli o i produttori di latte di anni fa – ma anche così generiche e popolari da essere oggettivamente fatte proprie da una larga parte della popolazione, come nel caso del movimento dei Gilets gialli in Francia contro l’aumento del prezzo del carburante. Il movimento contro il green pass è equiparabile, per caratteristiche interclassiste, a quello dei Gilets gialli, differenziandosi soltanto per il fatto di essersi esteso a molti paesi dove effettivamente l’imposizione del green pass ha limitato fortemente la libera circolazione dei consumatori, e non per caso è un movimento fatto proprio dalle organizzazioni politiche di destra, come d’altra parte le proteste dei camionisti canadesi. 

 

In Italia, la misura dell’obbligo del green pass estesa a tutti i lavoratori dal 15 ottobre 2021, con prevista sanzione di sospensione dal lavoro e del salario per tutti coloro che non ne erano in possesso, è stata una misura direttamente antiproletaria; ma, a dimostrazione dell’assenza di un movimento di classe del proletariato anche soltanto embrionale, non ha provocato una reazione classista da parte del proletariato.

Lo sciopero dei portuali di Trieste contro questa misura – unico caso pubblicizzato dai media – è rapidamente degenerato (1): era iniziato su una rivendicazione classista: abolizione dell’obbligo del green pass per entrare al lavoro, e vedeva uniti vaccinati e non vaccinati. E’ stato un caso isolato, e immediatamente deviato su istanze interclassiste del tipo, appunto, «no obbligo vaccinale». D’altra parte, non si può certo pretendere che il proletariato si rimetta a lottare di colpo sul terreno di classe, con mezzi e metodi di classe, senza che vi siano stati in precedenza molti tentativi in questa direzione, ossia di rottura con le pratiche e gli obiettivi interclassisti e collaborazionisti.

 Giorno verrà che i gruppi più avanzati del proletariato rialzeranno la testa e inizieranno a rompere drasticamente con le pratiche collaborazioniste; ma per ora, e per altro tempo ancora, questo purtroppo non succederà. Ed è illusorio, infantile e, in sostanza, deviante, credere che il proletariato esca da questo lungo periodo di intossicazione democratica e interclassista sull’onda di un movimento interclassista. La rottura sociale o avviene perché provocata dalla lotta di classe del proletariato, o non avviene, e il proletariato continuerà a rimanere ripiegato su se stesso e prigioniero delle false soluzioni che l’immediatismo – una caratteristica dell’ideologia degli strati piccoloborghesi – gli fornisce perché rimanga classe per il capitale, e solo per il capitale, classe sfruttata e oppressa. Gli oltre settant’anni di pratiche collaborazioniste e di interclassismo nazional-patriottico stanno a dimostrare quanta fatica fa, e deve ancora fare, il proletariato per scrollarsi di dosso queste pratiche e riconquistare il proprio terreno di lotta classista. Sono passate tre generazioni di proletari dalla seconda guerra imperialista mondiale e non è ancora apparsa sulla scena storica la generazione proletaria in grado di rompere quel «patto d’acciaio» con la borghesia poggiante soprattutto sulla politica degli ammortizzatori sociali, moneta di scambio usata dalle forze della conservazione borghese per comprare la pace sociale.

Ma la situazione generale dell’economia capitalistica, a livello mondiale, volge nuovamente verso una crisi che si prospetta più grave delle precedenti. Perciò le borghesie di ogni paese stanno adottando misure di controllo sociale sempre più strette, misure collegate attualmente ad una riduzione reale degli ammortizzatori sociali, e la pandemia è stata un buon pretesto per accelerare questo processo.   

E’ chiaro che il movimento di classe del proletariato dovrà lottare strenuamente contro le forze di conservazione sociale, contro ogni forza opportunista e collaborazionista; ma il processo di ripresa della lotta di classe non lo si accelera appiccicando ai movimenti interclassisti l’etichetta «classista» con il pretesto che una rivendicazione popolare come «No al green pass» interessa anche ai proletari. Altro discorso sarebbe se fosse la lotta proletaria – come aveva timidamente tentato all’inizio lo sciopero dei portuali di Trieste – in difesa non tanto del posto di lavoro (che non per niente, nel caso dei non vaccinati, è stato «garantito» dalla misura governativa), ma del salario (che invece è stato un attacco direttamente antiproletario), lotta allargata in molti luoghi di lavoro, ad accettare lo scontro con la borghesia e il suo Stato; allora, e solo a questa condizione, la rivendicazione «No green pass» avrebbe assunto un significato di classe, perché ad ogni rivendicazione proletaria il significato di classe non è dato dalla rivendicazione in sé (la borghesia, nel corso del suo dominio sulla società, ha in realtà soddisfatto una serie di rivendicazioni che il movimento proletario nella sua storia aveva sostenuto con la lotta, e gli ammortizzatori sociali sono lì a dimostrarlo), ma dalla lotta classista che la sostiene, quindi dai mezzi e dai metodi di classe adottati per ottenerla e che sono indirizzati oggettivamente, proprio perché di classe, verso la lotta politica rivoluzionaria. 

 

Prendiamo il caso di un sindacato di base nato di recente in alternativa ai sindacati collaborazionisti tradizionali, il SolCobas, e in alternativa anche ad altri cobas [come, ad es., il SìCobas che, rispetto alla chiusura dell’hub della Sda di Carpiano (Mi), l’ha accettata senza nemmeno tentare di lottare contro di essa].Il SolCobas ha alzato il vessillo del «No green pass», «No all’obbligo vaccinale», per due ragioni fondamentali: una ragione di carattere generale che riguarda la popolazione intera, «perché la salute pubblica non può essere né esposta a sperimentazioni inefficaci e rischiose, né a barbari e pretestuosi ricatti», e una ragione specifica che riguarda in particolare i lavoratori, ossia la discriminazione tra vaccinati e non vaccinati. Anche in questo caso, come a Trieste, queste rivendicazioni potevano avere un significato «classista» non di per sé, ma soltanto se sostenute dalla lotta operaia classista. Non conosciamo se nelle aziende in cui il SolCobas è presente e organizzato vi siano state delle agitazioni o degli scioperi; nel loro sito non appaiono notizie di questo genere. E anche questo va a confermare l’enorme difficoltà che hanno i proletari a muoversi sul terreno della difesa esclusiva dei propri interessi di classe e a riconoscere le rivendicazioni che esprimano non solo obiettivi classisti, ma che siano indirizzati all’unificazione della lotta classista tra le diverse categorie di proletari.   

Quanto all’obbligo vaccinale, non è secondaria la contraddizione che si evidenzia tra la costituzione repubblicana che non obbliga la popolazione a determinate misure di cura escludendone altre, lasciando ad ogni «cittadino» la libertà di «scegliere» come curarsi, e le misure che ha preso il governo fin dall’inizio formalmente rispettando il dettato costituzionale, pure nel caso in cui ha emesso l’obbligo del green pass anche per andare a lavorare e, recentemente, l’obbligo alla vaccinazione per tutti gli over50; la costituzione prevede che in caso di «emergenza sanitaria» il governo possa emettere questo ed altri obblighi. Basta decretare l’emergenza sanitaria e il gioco è fatto... Ma qui siamo in pieno campo politico, nel quale il proletariato dovrebbe ricollegarsi al programma politico generale della rivoluzione comunista e porsi sul terreno della effettiva lotta di classe rivoluzionaria per l’abbattimento dello Stato borghese e di tutte le sue costituzioni...

La realtà mostra che la grandissima parte della piccola borghesia e una parte considerevole della massa proletaria hanno seguito le misure prese dai governi in merito agli obblighi vaccinali. Hanno creduto che la vaccinazione fosse la soluzione del problema Covid e che rappresentasse il ritorno più veloce alla cosiddetta normalità, ossia alla normale attività protetta dai privilegi sociali messi in forse dalla crisi. Anche nel proletariato si sono radicati, negli strati di aristocrazia operaia, dei privilegi sociali; ma di questo parliamo più avanti.  

Il rumore che alcuni strati di piccola borghesia hanno alzato sul green pass – e quindi sull’obbligo vaccinale – fa parte della protesta dei piccoloborghesi che rischiano più di altri di andare in rovina per sempre a causa della crisi capitalistica che stava già maturando e che la pandemia di Covid-19 ha accelerato e aggravato; crisi capitalistica che, d’altra parte, non tocca in particolare un paese, ma tutti i paesi del mondo.

Come sempre, la borghesia ha tentato anche questa volta di correre ai ripari con le misure economiche che ormai conosciamo: da un lato centinaia di miliardi che l’Unione Europea, come gli Stati Uniti, il Giappone, la Gran Bretagna, hanno tirato fuori dal cappello per stimolare e sostenere la «ripresa economica» nei rispettivi paesi, dall’altro la fornitura di massicce dosi di vaccini con i quali tamponare la diffusione della Sars-CoV-2, cosa che, nello stesso tempo, ha facilitato i guadagni di tutta la filiera industriale e distributiva farmaceutica delle Big Pharma e di tutte le industrie che, nostante la pandemia e le restrizioni, hanno continuato a produrre ad alti ritmi; e, dall’altro ancora – ma non meno importante –, approfittare della pandemia per imporre, con una vasta campagna di paura sociale, misure di controllo sociale che in altre condizioni avrebbero richiesto molti anni e molti passaggi parlamentari e burocratici per essere varate. 

Non è secondario, per i poteri borghesi, affinare ulteriori strumenti di controllo sociale che la democrazia fascistizzata ha già finora applicato; non è secondario, per i poteri borghesi, saggiare la reazione del proletariato di fronte ad una vasta e più pesante pressione sociale che la situazione di pandemia le ha offerto, in vista di una situazione mondiale che sta andando verso una crisi generale molto più profonda e devastante di quelle che hanno scosso le cancellerie dei paesi più importanti nel 1975 o nel 2008.

Come ribadito dal marxismo ad ogni crisi capitalistica, la borghesia affronta le crisi della sua economia e della sua società con mezzi che riproducono fattori di crisi successive più vaste e violente. Ma la borghesia ha imparato, nella sua lunga esperienza di dominio politico e sociale, che le crisi metteranno sempre in moto gli strati di piccola borghesia che vanno in rovina, e gli strati proletari che subiscono più direttamente gli effetti delle crisi con i licenziamenti, la disoccupazione, l’impoverimento permanente. Mentre, rispetto alla piccola borghesia, non ha particolari preoccupazioni, se non eventualmente di ordine pubblico, rispetto al proletariato ha sempre presente che esso può sfuggire al controllo del collaborazionismo sindacale e politico delle forze opportuniste. Perciò ha tutto l’interesse di aumentare il controllo sociale anche gestendolo direttamente e non solo delegando le forze del collaborazionismo interclassista, come per la gran parte aveva fatto finora. Ecco che le restrizioni e i ricatti adottati con il pretesto dell’attuale pandemia sono il segnale che la borghesia – non importa se al governo ci sia un Draghi, un Macron, un Putin, un Biden, un Johnson o uno Scholtz – lancia alla società per dire: il nemico sociale di domani è il proletariato, perciò dobbiamo prevenire oggi le azioni che i proletari saranno spinti domani a mettere in campo quando la crisi non solo economica, ma di guerra, ci obbligherà ad irreggimentare l’intera popolazione, e il proletariato in particolare, in una unione nazionale a difesa degli interessi del capitalismo nazionale.

Lo Stato contro cui oggi protestano gli strati di piccola borghesia in rovina è lo stesso Stato che la piccola borghesia ha sostenuto, sostiene e sosterrà contro la lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato di domani; è lo stesso Stato da cui è spesso maltrattata in termini di tasse e di burocrazia, ma da cui può ottenere la difesa dei suoi privilegi sociali; è lo stesso Stato al cui servizio è da sempre legata semplicemente perché dipende totalmente dall’economia capitalistica e dai rapporti di produzione e di proprietà borghesi che definiscono questa società. La piccola borghesia sarà sempre un'alleata della grande borghesia contro il proletariato, perché la sua sopravvivenza è possibile soltanto nella società capitalistica. 

 

CONTRO L’ANNACQUAMENTO DEGLI INTERESSI ESCLUSIVI DI CLASSE DEL PROLETARIATO

 

Torniamo alla rivendicazione del «No green pass», «No all’obbligo vaccinale».

Le due cose oggi sono state legate in occasione della pandemia, ma domani il green pass, questo lasciapassare, potrà essere utilizzato dal potere borghese per qualsiasi altro motivo, perché il suo uso reale è legato al controllo sociale. Un controllo, d’altra parte, che corre sempre più su dispositivi tecnologici inventati appositamente e che in buona misura facilitano il compito ai guardiani del potere borghese.

Ovvio che il controllo sociale riguardi la grandissima parte della popolazione, ma dato che il pericolo per il potere borghese potrà venire soltanto dalla lotta di classe del proletariato, la sua applicazione riguarda in particolare il proletariato. Solo che oggi il proletariato non se ne rende conto; ed anche quando se ne rende conto non ha la forza, così disgregato e frammentato com’è, di reagire in propria difesa mobilitandosi sul terreno della lotta classista. E’ talmente instupidito dalle abitudini di vita in una democrazia che lo illude di avere qualcosa da ottenere a suo beneficio senza uscire dal legalitarismo e dal pacifismo sociale, che non si accorge di essere non solo incatenato alle sorti del capitale, ma di incatenarsi esso stesso con le proprie mani.

E un modo di incatenarsi con le proprie mani è quello di mettersi alla coda dei movimenti piccoloborghesi, dei movimenti interclassisti, popolari, dove – secondo alcuni gruppi di estrema sinistra – per incanto sparirebbero le divisioni di classe, gli interessi antagonisti di classe, dove i proletari vengono confusi con qualsiasi altro componente della società perdendo la propria caratteristica di classe; dove i suoi interessi di classe esclusivi in quanto lavoratori salariati vengono annacquati nella brodaglia popolare in cui risultano, se va bene, uno dei tanti ingredienti, ma non l’ingrediente principale.

E’ contro questo annacquamento, questa brodaglia popolare in cui di volta in volta si mescolano interessi borghesi contrastanti, che i marxisti devono lottare, a contatto, secondo le loro forze, con la vita reale del proletariato e nel quadro della prospettiva rivoluzionaria con l’intransigenza dottrinaria e politica che la Sinistra comunista d’Italia ha applicato fin dalle sue origini.

Il proletariato non riuscirà mai a riconquistare il terreno della sua lotta classista se non distingue nettamente, fin dal terreno della lotta immediata, i propri interessi di classe; e li deve distinguere non soltanto da quelli dei padroni, dei grandi capitalisti, della classe borghese dominante, ma anche da quelli degli strati della piccola borghesia con i quali, per oggettiva posizione sociale, il proletariato è più contiguo. 

       Il piccoloborghese in rovina finisce per cadere nelle condizioni del proletario, è obbligato per sopravvivere a vendere la sua forza lavoro per un salario non potendo più contare sullo sfruttamento di salariati per la sua attività economica. Proletarizzandosi, il piccolo borghese si porta appresso abitudini, aspirazioni, velleità di quando non era caduto in rovina, e aspira a ritornare prima o poi il piccolo proprietario, il piccolo commerciante, il piccolo industriale, il piccolo artigiano di un tempo. L’inevitabile commistione con i proletari e con le loro condizioni di vita e di lavoro non trasforma automaticamente il piccoloborghese in proletario; esso è convinto di potersi togliere, prima o poi, da quelle condizioni in virtù della propria istruzione, delle propria esperienza come piccolo proprietario, della propria volontà individuale di rischiare, e diffonde tra i proletari l’idea che è possibile questa «promozione sociale» all’interno della società, all’interno del sistema economico e sociale capitalistico che è stato, d’altra parte, causa della sua rovina.

I proletari che nella loro vita di salariati hanno avuto la possibilità di specializzarsi, istruirsi a livelli superiori, di diventare capi e responsabili del lavoro di altri proletari, sono socialmente molto affini ai piccoloborghesi quanto a ideologia, aspirazioni, ambizioni sociali. E’ lo strato di proletari che Engels, fin dal 1845, definì aristocrazia operaia, e che con lo sviluppo del capitalismo si è ingrossato soprattutto nei paesi capitalistici avanzati. Sono sempre lavoratori salariati, ma pagati molto di più degli altri proletari, più protetti e assicurati dai capitalisti non solo perché svolgono un lavoro tecnicamente più complesso e perché fungono da controllori del lavoro degli altri operai, ma perché costituiscono un esempio di promozione sociale che parte dal basso; infatti, spesso questi proletari hanno iniziato a lavorare come semplici operai per poi salire gradatamente gli scalini della carriera all’interno delle aziende. E’ inevitabile che, proprio per le loro condizioni economiche privilegiate rispetto a tutti gli altri proletari, essi condividano ambizioni, ideologie, abitudini caratteristiche della piccola borghesia, e siano nello stesso tempo vettori di queste ideologie, ambizioni, abitudini all’interno della massa proletaria, oltre ad essere tra i vettori più insidiosi della concorrenza tra proletari. E’ l’aristocrazia operaia, d’altra parte, che fornisce alla borghesia la gran parte dei funzionari della collaborazione di classe, in campo sindacale, in campo politico, in campo amministrativo, cooperativo e sociale in generale.

Il proletariato, perciò, ossia la grande massa di lavoratori salariati che nei paesi capitalistici avanzati è sempre più spesso di nazionalità diverse e con esperienze tecniche anche molto diverse, si trova a dover fare i conti non solo con il governo borghese e i padroni delle aziende in cui lavorano, ma anche con gli strati di aristocrazia operaia e, nella vita quodiana, con la piccola borghesia che costituisce, insieme all’aristocrazia operaia, un tessuto sociale in cui i proletari sono oggettivamente immersi. Per liberarsi dell’influenza di questi strati, il proletariato non può affidarsi se non a se stesso facendo conto sulle condizioni materiali che rendono i suoi interessi immediati, ma non solo, antagonisti a quelli borghesi.

Il proletariato di un paese potrà contare, come affermò Lenin cent’anni fa, sull’alleanza del proletariato degli altri paesi e, soprattutto, sul partito di classe che per sua caratteristica specifica è internazionalista e internazionale. Oggi un’affermazione di questo genere può apparire illusoria ed utopistica; come appariva d’altra parte illusoria ed effimera la possibilità e la capacità del proletariato della barbara Russia arretrata zarista non solo di fare la rivoluzione, ma di portarla fino alla dittatura di classe, difenderla con forza di sacrificio inimmaginabile agli occhi di qualsiasi borghese occidentale e di vincere una guerra civile nella quale il nemico era rappresentato non solo dai vecchi proprietari terrieri zaristi, ma dai paesi imperialisti più forti al mondo.

La borghesia ha educato il proletariato a pensare che senza il dialogo, il compromesso, l’accordo, la collaborazione tra lavoratori salariati e padroni, non riuscirà mai a migliorare la sua condizione sociale; lo ha educato a credere che nessuno, senza allearsi con qualche potere forte, senza raccomandazioni, senza punti d’appoggio nella burocrazia, nelle istituzioni esistenti, è in grado di migliorare la sua situazione personale; lo ha educato a considerarsi come un singolo individuo componente di una società nella quale conta soltanto la sua volontà di carriera, di promozione sociale, il suo sacrificio personale per raggiungere una briciola di benessere in più rispetto alla sua condizione di partenza; lo ha educato a delegare ad altri, ai partiti, alle organizzazioni sociali le più disparate, allo Stato, al parlamento, alla chiesa, la gestione della vita sociale, e la soluzione delle contraddizioni in cui tutti sono imprigionati.

La lotta classista del proletariato dimostrerà, come ha dimostrato nella storia passata, dalle rivoluzioni del 1848-49 e del 1871 a quelle del 1917 e del 1925-27, che il proletariato come classe sociale ha la forza non solo di difendere i propri interessi immediati nella società dominata dal capitale, e di difenderli come classe non solo nazionale ma internazionale, ma anche di superare la frammentazione sociale in tanti individui in concorrenza l’uno contro l’altro, di unire i proletari di tutti i paesi negli stessi obiettivi rivoluzionari, nella stessa lotta, nella stessa direzione, al di sopra dei confini, delle differenze nazionali, culturali, religiose. La lotta di classe dimostrerà che il proletariato sarà protagonista non soltanto della lotta contro tutto ciò che rappresenta il dominio del capitale, ma della rivoluzione sociale a livello mondiale in cui l’emancipazione della propria classe coinciderà con l’emancipazione dell’intera specie umana dalle catene che il capitalismo ha forgiato per mantenerla sottomessa all’anarchia del mercato, alla dittatura del capitale, alla schiavitù salariale; una emancipazione che significherà il trapasso dalla società divisa in classi antagoniste in una società senza classi in cui l’economia non sarà più l’arma per schiavizzare la grandissima parte dell’umanità, ma la semplice gestione razionale e armonica delle risorse positive sia della natura che della specie umana, in cui le forme della produzione e della riproduzione della vita non saranno più in contrasto con lo sviluppo delle forze produttive.

Ebbene, questo processo storico che il capitalismo può ritardare, come lo sta facendo da più di cent’anni, ma non può fermare, non può nemmeno essere accelerato per mezzo di espedienti, di scorciatoie, facendo aprire la strada alla lotta di classe e alla rivoluzione proletaria da contingenti ed effimeri movimenti interclassisti.

L’impazienza, il 99,9% delle volte, è cattiva consigliera. Porta fuori strada, riduce la capacità di valutare le situazioni e i rapporti di forza sociali per quelli che sono, sostituisce la critica marxista con teorizzazioni astratte, falsando la realtà, scorgendo nelle masse popolari in movimento l’illusoria occasione da prendere al volo per il mancato movimento di classe del proletariato. Noi, da talmudici, come diceva Amadeo Bordiga, seguiamo intransigentemente, e senza cedimenti ad illusorie occasioni di accelerazioni della ripresa della lotta di classe, gli insegnamenti che ci hanno consegnato i compagni della Sinistra comunista d’Italia, come il non farsi distrarre o abbagliare da una strada suppostamente meno ardua e più rapida per la ripresa di classe.  

Ribadiamo: la rivendicazione in sé, ammesso che sia coerente con gli interessi esclusivi del proletariato, non esprime un significato di classe se non è sostenuta dalla lotta classista. Perfino il famoso sciopero delle lancette di Torino nell’aprile 1920 (quando fu introdotta l’ora legale, e gli operai erano costretti a partire da casa per recarsi al lavoro quando era ancora buio anche in primavera ed estate), con la rivendicazione dell'abolizione dell'ora legale, di per sé interclassista, assunse un significato di classe perché si innestò in una lotta che si allargava su diversi piani e veniva condotta con i mezzi e i metodi della lotta di classe. Gli obiettivi possono essere importanti perché danno un traguardo da raggiungere, ma è la lotta proletaria condotta con mezzi e metodi di classe che dà alle rivendicazioni, anche minori, anche contingenti, il significato classista. 

In questo ultimo periodo i partiti parlamentari sono tornati a parlare di «salario minimo», rivendicazione che interessa certamente i proletari. Se il governo italiano, come è già successo in qualche altro paese, giungesse a decretare per legge la definizione di un salario minimo sotto il quale nessuna azienda sarebbe autorizzata ad assumere i propri dipendenti, sarebbe una vittoria del proletariato?

In realtà, in assenza della lotta di classe, non sarebbe una vittoria proletaria; sarebbe uno dei tanti ammortizzatori sociali che la borghesia metterebbe in campo per spuntare ulteriormente l’arma dello sciopero operaio, per frenare la lotta operaia in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro, una lotta che potenzialmente potrebbe segnare un’evoluzione alla lotta classista, alla solidarietà di classe, all’indipendenza organizzativa dei proletari, e darebbe un'arma in più alle organizzazioni collaborazioniste per rimandare alle calende greche la lotta per gli aumenti salariali, ammesso che questi aumenti diventino un loro obiettivo. Il salario minimo non diminuirebbe la disoccupazione, tanto meno la cancellerebbe; non risolverebbe il problema delle mille forme di contratti di lavoro esistenti e le mille forme a disposizione delle aziende per aggirare le riforme verbalmente favorevoli al proletariato, come sarebbe quella del salario minimo. Sarebbe, in realtà, una vittoria ulteriore della borghesia sul proletariato al quale toglierebbe un motivo per scendere in lotta contro i salari da fame, che d’altra parte non sparirebbero, come non sono spariti il cottimo, il caporalato, il lavoro nero. Per l’ennesima volta, la rivendicazione in sé, pur di interesse proletario, se non è sostenuta dalla lotta classista assume un significato per la classe avversa. 

 

Oggi più di ieri, proprio perché il proletariato è ancora inabissato nell’impotenza di classe, il partito comunista rivoluzionario, ridotto – come non abbiamo mai nascosto – ad un embrione composto da pochissimi elementi a livello mondiale, ha ancor più il compito di battersi intransigentemente in difesa delle posizioni fondamentali non solo teoriche e programmatiche, ma anche pratiche e d’azione che spettano ai comunisti. E una di queste battaglie è sicuramente quella di tenerci ben separati da ogni movimento interclassista anche se, ammesso e non concesso, dovesse impossessarsi – al fine di attirare dei proletari nella sua sfera di influenza e nei suoi ranghi – di rivendicazioni formalmente «classiste». L’atteggiamento del Partito Comunista d’Italia nei primi anni Venti del secolo scorso, quando era costituito da qualche decina di migliaia di militanti, era altrettanto intransigente, come la vicenda dell’Alleanza del Lavoro ha dimostrato. Oggi abbiamo, semmai, motivo di essere ancor più intransigenti. 

Non ci possiamo permettere, né lo vogliamo, di ammorbidire la nostra intransigenza al fine di essere più aperti a elementi, se non addirittura a movimenti, confusi e imbastarditi dall’ideologia e dalle pratiche della democrazia borghese, credendo con ciò di poter pescare da quei movimenti forze numeriche per la nostra organizzazione e di poter diffondere con più successo il programma e le finalità del comunismo rivoluzionario. Teoria, principi, programma, linea politica, tattica e organizzazione formano dialetticamente un’unità inscindibile; separando uno dall’altro si uccide il partito.

Ma il partito lo si uccide anche in altro modo, ad esempio teorizzando che il partito di classe sarà il prodotto di un crogiuolo di forze distinte che interpretano il marxismo in modo diverso le une dalle altre, ma che, sulla base di alcuni concetti condivisi, si mettono a discutere fra loro per trovare, come si dice oggi, una «sintesi», dei punti «in comune» convinti di far parte di un unico «movimento di classe» o di un unico «milieu révolutionnaire». Facendo lo spezzatino della teoria marxista, e quindi del suo programma e della sua unicità monolitica, la si distrugge e, ovviamente si distrugge il partito di classe prima ancora che nasca. Questo atteggiamento è tipico di organizzazioni che dicono di «far riferimento alla Sinistra Comunista», come la Corrente Comunista Internazionale o l’OCI (2). Ciò non esclude che organizzazioni di questo tipo condividano testi o parte di essi della Sinistra Comunista d’Italia, o che nobilitino la loro letteratura con citazioni da Bordiga, oltre che da Marx, Engels e Lenin. Ma la loro attitudine non è quella di studiare e assimilare la teoria marxista per quella che è, ma quella di interpretarla per poterla poi «aggiornare», adattandola di volta in volta alla situazione contingente.

E non esclude che sbandierino rivendicazioni, come appunto ha fatto il «Nucleo comunista internazionalista», ad esempio contro il green pass e l’obbligo vaccinale anti-Covid, ritenendole di per sé classiste se non addirittura rivoluzionarie, come se bastasse agitarle per far risorgere il movimento di classe del proletariato.

 


 

(1) Vedi, ad es., le nostre prese di posizione, su www.pcint.org: Sullo sciopero dei portuali (Clpt) di Trieste e Monfalcone contro l’obbligo del green pass per i lavoratori (22/10/2021) – Contro il green pass obbligatorio per tutti i lavoratori! (13/10/2021) – Contro la sospensione del salario per i lavoratori che non si sono vaccinati!!! Contro il dispotismo sociale attuato dal governo!!! Contro il collaborazionismo dei sindacati tricolore che si genuflettono di fronte al governo e al padronato!!! (1/10/2021).

(2) La CCI pubblica la rivista “Rivoluzione Internazionale”. L’OCI (Organizzazione comunista internazionalista) pubblica il giornale “Che fare”.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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