Il partito di classe lavora nell'oggi per la rivoluzione di domani

(«il comunista»; N° 173 ; Aprile-Giugno 2022)

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Per Partito di classe i marxisti intendono il partito politico che rappresenta nell'oggi gli obiettivi storici della classe del proletariato a livello internazionale.

Il Partito di classe non può essere che rivoluzionario, comunista e internazionale. Non può basarsi che sull'unica teoria rivoluzionaria esistente dall'apparizione e dal consolidamento della società borghese - il marxismo -, quindi avere un unico programma che risponde a principi invarianti. Il Partito di classe ha una linea politica valida per tutto il periodo storico in cui si sviluppano le contraddizioni economiche, sociali e politiche della società borghese fino allo scontro storico definitivo tra la classe borghese dominante e la classe proletaria a livello internazionale, periodo di guerra o di rivoluzione, periodo in cui si accumulano i fattori delle crisi sociali sfociando nella maturazione dei fattori favorevoli alla rivoluzione proletaria. Una rivoluzione che può iniziare anche in un paese perfino più arretrato degli altri, come successe nel 1917 in Russia, ma che possiede una propulsione internazionale ad alta potenza spingendo le forze di classe presenti nella società a riunirsi in due grandi poli antagonisti.

La rivoluzione non è un atto insurrezionale che, una volta concluso, lascia il posto alla gestione del potere. E' un processo storico, estremamente contraddittorio, che sconvolge tutti gli equilibri e i semi-equilibri economici, sociali e politici esistenti, aprendo la via ad un nuovo posizionamento delle forze di classe, ad una fase per nulla breve, in cui le forze di conservazione sociale resisteranno con tutti i mezzi alla loro sconfitta, e in cui le forze rivoluzionarie utilizzeranno ogni mezzo per impedire la restaurazione del potere borghese e per estendere a livello internazionale la rivoluzione proletaria affinché il primo bastione conquistato non rimanga isolato, assediato dagli Stati capitalisti e imperialisti.

La rivoluzione proletaria, in realtà, non può vincere definitivamente se non a livello internazionale, se non conquistando, nel suo processo di sviluppo, il potere nei paesi capitalisti più avanzati. La forza positiva per la rivoluzione sta, nei paesi più avanzati, nei loro proletariati e nella loro economia sviluppata. Nel proletariato, perciò, organizzato in modo indipendente sul terreno di classe, influenzato e diretto dal partito di classe; nelle basi economiche che il capitalismo ha sviluppato (lavoro salariato associato, alta produttività del lavoro, alte tecniche produttive, concentrazione economica e finanziaria ecc.) e che il potere proletario userà per la trasformazione economica dei paesi in cui la rivoluzione proletaria vince.

La rivoluzione proletaria, d'altra parte, non è solo un grande atto di forza della classe lavoratrice, provocato dalla spinta materiale e spontanea delle contraddizioni capitalistiche e diretto ad abbattere il potere borghese; atto di forza che, una volta espressosi alla sua più alta potenza, metterebbe il proletariato stesso nelle condizioni di decidere come e quando sostituire gli obiettivi capitalistici in obiettivi comunisti,  sul piano politico, economico, sociale. La rivoluzione è una precisa fase storica della guerra di classe tra la classe borghese dominante e la classe proletaria, la classe dei lavoratori salariati.

E' la guerra di classe tra borghesia e proletariato che comincia molto prima dello scoppio della rivoluzione e che non finisce con la conquista del «Palazzo d'Inverno»; ed è una guerra che la classe borghese dominante conduce contro il proletariato tutti i giorni, in tutte le situazioni, in ogni paese e con i mezzi più disparati: con la democrazia elettorale e parlamentare, con l'autoritarismo o l'aperta dittatura, con la concorrenza tra proletari, con la repressione, con l'opportunismo e la collaborazione fra le classi, con  l'irreggimentazione delle masse nelle sue guerre di rapina, basando il tutto sul ricatto originario tipico del capitalismo: se non lavori secondo le regole del capitale non mangi, crepi semplicemente di fame.

Quando noi marxisti parliamo di guerra di classe parliamo di un proletariato che ha già raggiunto la capacità di riconoscersi come classe antagonista alla borghesia, come classe indipendente dalla borghesia e dalle forze opportuniste e collaborazioniste, come classe organizzata sul terreno della difesa immediata, influenzata e guidata dal partito di classe. Stiamo parlando di una fase già avanzata della lotta della classe proletaria contro la borghesia, una fase in cui gli obiettivi politici della lotta proletaria non sono più un «cambio di governo» preteso con violente manifestazioni di piazza, o una particolare «riforma», o un passo indietro nelle misure più drastiche attuate dal padronato in campo economico e sociale. Gli obiettivi politici di questa lotta sono più alti, più generali, e vanno conquistati con la violenza della lotta di classe in risposta alla violenza attuata dallo Stato borghese e da tutte le forze di conservazione della società. Sono obiettivi che, aldilà del fatto che si manifestano in un determinato paese, non sono confinabili all'interno di una nazione, ma hanno una valenza internazionale anche aldilà della «coscienza» che possono avere tutti i proletari mentre lottano.

Prima di questa fase della lotta di classe - fase che prevede la presenza, l'attività e l'influenza del partito comunista rivoluzionario nelle masse proletarie e nei suoi organismi di lotta economica e politica immediata - il proletariato attraversa un periodo in cui svolge scioperi e manifestazioni di strada, tentando in diversi modi di ottenere soddisfazione alle sue rivendicazioni immediate, parziali, limitate anche ad una singola fabbrica o ad un singolo settore economico. E' la fase in cui i proletari fanno esperienza, sul piano pratico, di ogni mezzo e metodo di lotta che utilizzano, della tenuta o meno dei loro organismi, della funzione delle loro organizzazioni; in cui possono riconoscere i veri alleati, i falsi amici e i nemici attraverso i comportamenti che hanno nei confronti delle loro lotte. Fase in cui hanno la possibilità concreta di conoscere  realmente il partito di classe nei suoi atteggiamenti pratici, nelle sue azioni e nelle prospettive in cui si muove.

Questo periodo può essere anche molto lungo, può prendere decenni, come dimostrano i settant'anni e oltre che ci dividono dalla fine della seconda guerra imperialista. Periodo in cui la classe borghese dominante, di tutti i paesi e non di uno solo, non sta con le mani in mano, ma insiste nel suo sforzo di piegare le masse proletarie alle esigenze del suo potere e della sua economia

Attraverso le forze dell'opportunismo politico e sindacale, cioè della collaborazione tra le classi, la borghesia di ogni paese ha imparato che per piegare i proletari alle sue esigenze di classe deve combinare la pressione economica con il «confronto» politico, la repressione con la tolleranza; insomma, la democrazia con l'autoritarismo, la famosa carota con il bastone. Le più recenti esperienze dovute alla pandemia di Covid-19, alle quali si sono aggiunte quelle della partecipazione di tutti i grandi paesi democratici alla guerra russo-ucraina, dimostrano che ciò che sta a cuore alla borghesia non sono i cosiddetti valori della democrazia, della civiltà, del benessere per tutti e della pace, ma i profitti del capitale, la famosa «crescita economica» per la quale ogni potere borghese è disposto a calpestare le sue proprie leggi, ad infischiarsene dell'inedia in cui vivono milioni di persone, a stilare statistiche sui morti per Covid, morti sui luoghi di lavoro, morti di fame, di malattia o per le guerre.

In questi decenni di collaborazione fra le classi le crisi economiche, finanziarie e sociali non sono sparite né diminuite, ma sono aumentate non solo di numero, così come sono aumentati gli effetti disastrosi per centinaia di milioni di persone nel mondo; non sono sparite nemmeno le guerre locali, regionali o di più ampia partecipazione, anzi, sono aumentate le zone in cui le guerre si svolgono e si prolungano negli anni, vedendo la partecipazione diretta o indiretta delle diverse potenze imperialistiche del mondo. La stessa vita civile nei paesi di sbandierata democrazia e di alto tenore di vita rispetto ai paesi poveri e della periferia dell'imperialismo, è scossa continuamente da stragi, omicidi, violenze di ogni tipo, soprattutto contro le donne, le razze e le etnie considerate inferiori, e da forme di schiavitù che la borghesia si vantava di aver debellato una volta per sempre e che, invece, le utilizza per fare più profitti. Tutto questo è il portato naturale della vita sociale sotto il capitalismo, nella quale tutto è merce, tutto ha un prezzo, anche l'aria che respiriamo o l'acqua che beviamo. I padroni delle merci, i padroni del denaro sono i padroni della vita dei 7 miliardi e passa di persone che abitano il pianeta.

Ebbene, in un mondo così intossicato, così disastrato, zeppo di oppressioni di ogni tipo, l'unica forza sociale che ha  la possibilità di cambiare completamente la situazione, di capovolgerla a beneficio non delle merci, non del capitale, non del denaro, non della proprietà privata, ma del potere borghese, è il proletariato, è la classe dei lavoratori salariati perché è col loro lavoro pagato con salario che il capitale si valorizza, ossia aumenta il suo volume e il suo valore, aumentando in questo modo la sua potenza, la sua pressione sulla vita della stragrande maggioranza degli abitanti della terra. Il salario, in realtà, non corrisponde mai al valore della produzione capitalistica ottenuta con il lavoro salariato; è sempre inferiore, e molto inferiore a quel valore, ed è in questa differenza di valori che va cercato l'aumento della forza non solo economica e finanziaria, ma anche sociale e politica del capitalismo.

Secondo il marxismo, che si basa sulle esperienze storiche della lotta fra le classi,  per cambiare la società bisogna cambiare il modo di produzione. Il modo di produzione capitalistico è la base del potere politico e sociale della borghesia. I governi borghesi possono cambiare mille volte, possono essere gestiti da forze politiche di sinistra, di centro, di destra, ma finché la direzione della politica risponde alle necessità del capitalismo, la società intera non può che ripresentare le proprie contraddizioni e la gravità delle proprie crisi in forme sempre più acute.

D'altra parte, in tutte le società che si sono succedute nella storia, il nuovo modo di produzione si è imposto gradualmente all'interno delle forme di produzione precedenti che vengono difese strenuamente dal potere politico delle vecchie classi dominanti. Ad un certo punto del progresso della produzione, dei metodi di produzione e dei più alti risultati ottenuti nell'unità di tempo della produzione, la nuova classe che rappresenta il nuovo modo di produzione, per progredire, per sviluppare lo stesso meccanismo produttivo e il proprio potere sociale non ha altra alternativa che abbattere il vecchio potere politico, sostituendolo. Nel caso della società capitalistica, la borghesia, è la classe sociale che si è imposta non perché ha inventato di sana pianta un nuovo modo di produzione, ma perché il nuovo modo di produzione che si stava imponendo materialmente attraverso una serie interminabile di passaggi, di avanzate e di indietreggiamenti, richiedeva una libertà di sviluppo sia della produzione che dei produttori che le vecchie classi al potere impedivano.

In che cosa consisteva il nuovo modo di produzione? Le caratteristiche principali sono state: 1) associare nello stesso ciclo produttivo molti produttori, molti operai, distribuendoli  nelle diverse fasi di lavorazione dello stesso ciclo produttivo. Ma quella massa di operai non esisteva, bisognava crearla. E fu creata soprattutto espropriando i contadini che ormai con il loro fazzoletto di terra non potevano più sfamare se stessi e la propria famiglia; 2) pagare il lavoro degli ex contadini trasformati in operai con un salario col quale costringerli ad andare al mercato per acquistare i beni di prima necessità per sopravvivere; 3) sviluppare la produzione di merci - e qualsiasi prodotto diventava merce - che dovevano essere portate al mercato per la vendita, innestando così la prima e basilare trasformazione: merce-denaro-merce (M-D-M), per svilupparla poi in denaro-merce-denaro (D-M-D'), che è il vero movente della produzione capitalistica perché il denaro inziale per produrre un certo quantitativo di merci, alla fine del ciclo di vendita deve acquisire un valore superiore rispetto a quello iniziale. E' quello che Marx ha chiamato plusvalore, e il capitalismo è tutto indirizzato ad ottenerlo. Ogni prodotto ha un suo valore d'uso, ma quel che importa al capitalismo è il suo valore di scambio, perché è nello scambio (M-D') che il capitale si valorizza.

Con lo sviluppo del capitalismo, e quindi della grande industria, si sviluppano i mercati, ma l'iperfolle produzione capitalistica, che avviene azienda per azienda ed è sottoposta alla concorrenza tra aziende - e poi tra Stati che difendono le aziende nazionali nella concorrenza internazionale - provoca inevitabilmente un intasamento nei mercati tanto che, dalla produzione per lo smercio, si passa alla sovraproduzione, perché i prezzi di vendita delle diverse merci, sottoposti alla concorrenza sempre più sfrenata e a livello internazionale, non sono più adeguati per ricavarne il tasso medio di profitto per il quale sono stati investiti i capitali inizialmente.  

Dunque, sviluppo del capitalismo significa sviluppo della sovraproduzione; sovraproduzione significa crisi economica. Sviluppo del capitalismo significa sviluppo delle crisi, ed ogni crisi successiva incorpora i fattori di crisi precedenti e li esalta all'estremo.

Non si tratta, però, soltanto di sovraproduzione di prodotti, di merci, ma anche sovraproduzione di capitali; in questo caso alla crisi economica si sovrappone la crisi finanziaria; tutto il sistema capitalistico va in crisi e, come di norma, la borghesia scarica gli effetti più disastrosi della crisi della sua economia sugli strati inferiori della popolazione: proletari, piccola borghesia, contadini poveri, sottoproletari, e sui paesi più deboli.

In fase imperialista questo andamento è ormai noto a tutti. Il capitalismo non è produttore di benessere, ma di crisi; non è produttore di progresso, ma di recessione, di schiavizzazione sempre più allargata di masse di uomini costrette a sopravvivere nella fatica da lavoro, nella fame e nella miseria.

Ciò nonostante il capitalismo da solo, a causa delle sue crisi, e delle sue guerre, che  negli anni producono milioni di disoccupati, di mendicanti, di morti, non crolla, non appassisce. Nonostante la sua evidente decadenza, nonostante la sua società vada in putrefazione, nonostante la barbarie in cui cade ad ogni crisi, il capitalismo resiste, si riprende e continua a macinare sfruttamento, dominio politico e sociale.

Che cosa impedisce al capitalismo, e alla classe borghese che lo rappresenta, di morire di vecchiaia?

Due cose, soprattutto: il saldo potere politico con cui domina sulla società, e il proletariato piegato alle sue esigenze.

Rispetto alla storia delle società precedenti, e del capitalismo stesso, il futuro della stessa umanità è nelle mani di un'unica classe sociale, la classe dei produttori, la classe dei lavoratori salariati, la classe dei senza riserve, senza proprietà, senza patria.  E' vero, senza capitale, senza imprenditori, senza borghesia non ci sarebbe grande industria, non ci sarebbero lavoratori salariati, non ci sarebbe la classe operaia. Ma questa verità fa parte di un'altra verità: capitale, imprenditoria, borghesia, lavoratori salariati sono parte integrante della società capitalistica, e solo della società capitalistica, una società che si esprime soltanto attraverso il denaro, il mercato, la proprietà privata e, soprattutto, l'appropriazione privata dell'intera ricchezza prodotta.   

Nel corso dello sviluppo del movimento proletario, e del movimento comunista in particolare, è stato dimostrato che la classe proletaria possiede una potenziale energia sociale che, se indirizzata verso obiettivi del tutto contrari da quelli borghesi e capitalistici, può davvero cambiare completamente lo sviluppo del genere umano. Il cambiamento consisterebbe nel mettere al centro della produzione e della distribuzione non il capitale e la sua valorizzazione, ma le esigenze di vita e di progresso dell'uomo al di fuori di ogni forma di produzione che impedisca la libera e completa espressione della sua vitalità.

Il comunismo, per Marx ed Engels, «non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà deve conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (1).

Il movimento reale di che cosa? Delle forze produttive, perché è lo sviluppo delle forze produttive che genera la necessità di superare i limiti in cui tutte le forme di produzione le chiudono in ragione degli interessi politici ed economici delle classi dominanti. Ogni classe dominante che è succeduta al potere nelle diverse società divise in classi, finora, ha poggiato il proprio dominio politico sul dominio di un'economia che esprimeva sì uno sviluppo delle forze produttive, ma all'interno di rapporti di produzione che lo stesso sviluppo delle forze produttive tendeva a far saltare. Succederà così anche per il capitalismo che, mentre sviluppa le forze produttive tendenzialmente all'infinito, le frena, le limita, le distrugge, perché i rapporti di produzione e di proprietà borghesi non si adeguano a quello sviluppo, ma tendono appunto a frenarlo, a limitarlo a certi settori e ad alcuni paesi; limiti ai quali la borghesia ricorre perché ne va della sua sopravvivenza come classe dominante, come dominio politico.

Contro la borghesia si erge la classe proletaria che è, nello stesso tempo, la classe che non possiede nulla se non la sua forza-lavoro, ma che produce tutta la ricchezza esistente. Una classe che è stata creata proprio come classe salariata - e in questa forma è soltanto classe per il capitale - e piegata alle esigenze del capitale (e quindi della borghesia); ma, proprio perché rappresenta lo sviluppo positivo delle forze produttive, slegato dalla proprietà privata e dai rapporti mercantili della società borghese, essa rappresenta il futuro delle forze produttive, quindi il futuro della specie umana. Per rappresentare effettivamente questo movimento reale delle forze produttive, il proletariato si deve scontrare con la classe dominante borghese che ha invece interesse a mantenere vivi quei rapporti di produzione e di proprietà che le consentono di essere classe dominante e di continuare a sfruttare il lavoro salariato a beneficio esclusivo del capitale e dei privilegi di cui essa, e solo essa, gode.

Questo lungo corso di sviluppo storico procede, inevitabilmente, attraverso le più acute contraddizioni della società, attraverso le sue crisi e le sue guerre. Non può essere diversamente. Ma la classe proletaria ha già dimostrato di essere l'unica classe rivoluzionaria della società capitalistica. Lo ha dimostrato con la Comune di Parigi del 1871 e con la Rivoluzione d'Ottobre del 1917, e con tutti i tentativi rivoluzionari effettuati fin dal 1848 e anche successivi al 1917.

La classe proletaria, nella sua lotta, ha, in realtà, un punto debole: non può basare la sua lotta contro i vecchi rapporti di produzione e di proprietà su un nuovo modo di produzione che già va sviluppandosi all'interno della vecchia società, come è successo per lo schiavismo, il feudalesimo e il capitalismo. Dunque non sarà una rivoluzione in campo economico che farà da base alla sua rivoluzione politica, come è successo per la borghesia. Dovrà essere la rivoluzione politica ad aprire la strada alla rivoluzione economica, alla trasformazione economica dell'intera società. E per la rivoluzione politica è necessario avere un programma politico in cui sono previsti tutti i passaggi che il movimento rivoluzionario deve fare per imporsi: dall'organizzazione indipendente di classe, alla lotta di classe che non si limiterà dentro i confini di una nazione, ma sarà inevitabilmente di carattere internazionale, all'abbattimento dello Stato politico esistente, all'instaurazione di un potere politico che non potrà che essere di classe, estremamente concentrato e centralizzato, perciò sarà una dittatura di classe, unica forma di potere che può opporsi validamente alla dittatura del capitale, alla dittatura di classe della borghesia.

La rivoluzione proletaria non potrà che essere internazionalista e internazionale perché si scontra con una classe dominante che poggia su un modo di produzione che è internazionale, che domina il mondo con le sue leggi, e che - contro il proletariato rivoluzionario, anche di un solo paese - è in grado di mobilitare le borghesie di tutti i paesi perché gli interessi che il movimento proletario va a colpire sono gli stessi di tutte le borghesie del mondo. La crisi sociale rivoluzionaria è di per sé una crisi internazionale, perciò gli interessi che si scontrano sono gli interessi delle due classi antagoniste per antonomasia, la borghesia e il proletariato.

E' evidente che la coscienza di tutto questo lungo processo rivoluzionario non può albergare nel cervello di ogni singolo proletario, ma è posseduta da un organo specifico, il partito proletario comunista, cioè l'organo della rivoluzione proletaria, e dei suoi obiettivi storici, al di là della coscienza che può avere il singolo proletario di questi obiettivi storici, al di là della giusta maturazione dei fattori favorevoli alla rivoluzione, al di là della consistenza numerica dei militanti di partito e della loro presenza in ciascun paese del globo. Un organo che, dal punto di vista della teoria e dei principi rivoluzionari, supera qualsiasi contingenza, qualsiasi situazione particolare, qualsiasi confine nazionale; come partito storico, quindi, rappresenta in ogni istante il famoso «movimento reale che abolisce la stato di cose presente» che collega lo stato di cose presente alla sua abolizione; in quanto partito formale, dunque come compagine fisica di militanti attivi nell'«oggi», nelle file del proletariato e nella società, rappresenta la lotta unitaria di classe, senza distinzioni di età, genere, settore economico, religione, nazionalità, che il proletariato deve imboccare e portare fino in fondo, fino al comunismo, dunque fino alla società senza classi, alla società di specie.

E' evidente che questa lotta unitaria di classe non sorgespontaneamente nel proletariato dato che, fino a quando non avverrà una reale rottura della pace sociale, e soprattutto della collaborazione fra le classi, il proletariato è influenzato dall'ideologia borghese, è organizzato dalle forze di conservazione borghese, è indirizzato sul terreno più favorevole all'ordine borghese.

Il partito di classe, in forza dei bilanci dinamici dei grandi svolti storici in cui le classi si sono scontrate ai livello più alti, sa che ai proletari, o meglio, al loro movimento materiale, una volta che la loro lotta sul terreno immediato si trasformerà in lotta politica, grazie anche ai mezzi e ai metodi utilizzati dalla classe dominante per stroncarla, sarà indispensabile la guida del partito di classe perché è l'unico punto di forza che può portare la sua lotta al massimo risultato: la vittoria rivoluzionaria nel tale o tal altro paese; e dopo di essa, l'estensione della sua rivoluzione a tutti i paesi del mondo. Come un esercito ha bisogno di uno stato maggiore, di una disciplina ferrea, di una strategia ben precisa nella quale si prevedano le molteplici situazioni di scontro può dover affrontare, così il proletariato, nella sua lotta anticapitalistica e antiborghese, ha bisogno di una guida ferrea e di una strategia all'altezza dei compiti storici assunti, che soltanto il partito di classe può assicurare.

L'esempio del partito bolscevico di Lenin è la sua dimostrazione più lampante. E' per un partito di questo tipo che noi, legati alla corrente della Sinistra comunista d'Italia, lavoriamo senza scoraggiarci per il fatto di essere oggi un piccolo nucleo di militanti. L'importante è essere inflessibili sulla teoria e sul programma che da essa discende, e far tesoro soprattutto delle lezioni tratte dalle sconfitte.

 


 

(1) Marx-Engels, L'ideologia tedesca, 1845-46, Opere, vol. V, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 34.

 

 

Partito comunista internazionale

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