Italia: un nuovo governo all’insegna di dio, patria e famiglia I capitalisti aumentano la propria forza autoritaria e reazionaria; per i proletari, come sempre, miseria crescente, lacrime e sangue

(«il comunista»; N° 175 ; Dicembre 2022)

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25 settembre 2022. L’ennesima tornata elettorale, col suo codazzo di dichiarazioni, interviste, commenti, utili a riconfermare l’alto livello di rincoglionimento del popolo bue, si è conclusa.

I risultati hanno confermato la preannunciata vittoria della coalizione del cosiddetto “Centro-destra”, formato da Fratelli d’Italia (Meloni), Lega (Salvini) e Forza Italia (Berlusconi), vincendo col 44% dei suffragi, mentre il 26% è andato al “Centrosinistra” formato da PD (Letta), Sinistra Italiana (Fratoianni), Verdi (Bonelli); un 16% circa è andato al Movimento 5 Stelle (Conte) e poco più del 7% circa alla coalizione fra Italia Viva (Renzi) e Azione (Calenda), autodefinitasi pomposamente “terzo polo”.

Una buona parte delle previsioni degli istituti di statistica sono state vicine al risultato finale, salvo per il M5S per il quale, dopo la debacle dei governi Conte1 e Conte2 e la scissione dei sostenitori di Di Maio, nessuno prevedeva che ottenesse un risulato più che significativo, e per la Lega per la quale nessuno prevedeva una perdita così importante rispetto alle elezioni precedenti. Anche questa volta l’astensione dal voto è stata, secondo gli standardi italiani, piuttosto alta, il 36% circa; astensione dovuta sicuramente ad una parte di popolazione del tutto indifferente alla politica, ma anche a quella parte di disgustati soprattutto per i comportamenti dei partiti della cosiddetta “Sinistra”, a partire dal PD. Non è escluso che diversi partiti contavano su un’astensione anche più alta, cosa che avrebbe permesso loro di giocarsi il numero di scranni al parlamento su un bacino di voti più “controllabile”. Come succede da molto tempo, era escluso che in questa campagna elettorale i partiti spiegassero i propri programmi e quali reali misure avrebbero preso se fossero andati al governo; hanno riempito invece i propri comizi e le proprie dichiarazioni di generiche parole sul logoro ritornello di abbassamento delle tasse, sulla solita invocazione alla crescita economica, sulla necessità di affrontare la recente crisi del gas e sul sostegno di Zelensky nella guerra in Ucraina.

 

E così, il partito della destra storica, che dopo essersi chiamato Movimento Sociale Italiano e Alleanza Nazionale, si presenta come Fratelli d’Italia, si è preso una vera e propria rivincita non solo rispetto ai partiti tradizionalmente opposti – come l’ex PCI, ex Democratici di Sinistra e ora Partito Democratico –, ma anche nei confronti degli alleati del centro-destra, leghisti e berlusconiani, cioè quelli che alle loro spalle hanno esperienze di governo da un ventennio e che hanno trattato da sempre la Meloni come un pulcino che doveva imparare a stare al mondo... E’ evidente che i Berlusconi e i Salvini, per quanto siano navigati politicanti e filibustieri, hanno fatto male i conti. Il pulcino si è rivelato invece un piccolo falco, pronto ad usare gli artigli per rafforzare la sua posizione e, ora che è risultato il primo partito d’Italia, anche la sua influenza all’interno di una coalizione di cui, negli ultimi tempi, la dirigenza si è logorata e sputtanata.

Era perciò ovvio che la presidentessa di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, fosse la premier in pectore, ed è a lei, infatti, che il Presidente della Repubblica ha dato l’incarico di formare il governo. Senza entrare nei dettagli dei litigi, degli sgambetti e degli alterchi che certamente ci sono stati – e continueranno ad esserci – tra i Meloniani e gli alleati, Meloni e soci hanno lavorato da tempo alla formazione del governo, e da tempo dichiaravano che il governo sarebbe stato di “alto profilo”, non “tecnico” (come quello di Draghi), ma “politico”.

Ma ai proletari, che il prossimo governo sia “tecnico” o “politico”, si autodefinisca governo dei “Migliori”, o di “alto profilo”, interessa davvero? Che cosa si possono attendere dal prossimo governo?

Il governo che, coi suoi 23 ministri, mentre scriviamo, si è presentato al Quirinale ed ha giurato formalmente fedeltà alla Costituzione e alla Repubblica, sarà in ogni caso il governo della classe dominante borghese, dalla quale (soprattutto dalla Confindustria, dalla Confagricoltura, dalle industrie degli armamenti, delle infrastrutture e delle risorse energetiche) ha già ricevuto il benestare, prima ancora che dalla presidenza della Repubblica, sarà un governo inevitabilmente forte e chiaramente antiproletario. A differenza dei governi cosiddetti moderati o di centro-sinistra – sempre antiproletari ma che, per la propria credibilità all’interno del paese e al suo esterno, hanno avuto bisogno di farsi recepire come governi attenti non solo alle esigenze dei capitalisti ma anche a quelle dei lavoratori –, il governo dichiaratamente di destra come quello che si presenterà nei prossimi giorni al parlamento per ottenere la fiducia, può prendersi il lusso di essere un po’ più schietto rispetto alla politica che intende applicare in tutta la legislatura.

La sua politica sociale non si discosterà molto da quella inaugurata da Draghi e dai suoi predecessori: i proletari, in quanto lavoratori salariati, dovranno sottostare ancor più, se mai possibile, alle esigenze delle aziende e verranno sempre più valorizzati a seconda del merito che avranno saputo esprimere nel loro lavoro; ciò significa aumentare la concorrenza fra proletari, mettere gli uni contro gli altri e sottoporre la loro prestazione ad un monitoraggio e ad un controllo molto più preciso di quanto non sia stato finora. Il merito, che per l’ideologia borghese è il riconoscimento di essere stati efficienti ed efficaci nello svolgimento del proprio lavoro, diventerà uno degli assi su cui le aziende e lo Stato stabiliranno aumenti di salario, passaggi di categoria, carriere ecc. Sarà anche apertamente il metro di giudizio, nel caso in cui l’azienda entri in crisi, per decidere quali lavoratori dovranno essere licenziati e quali no. La crescita economica di ogni azienda, dunque il suo profitto, sarà sempre più l’obiettivo da cui dipenderanno tutte le decisioni che la dirigenza prenderà volta per volta nei confronti dei suoi dipendenti; e, attraverso di essa, passerà il concetto che i contratti collettivi di lavoro avranno un peso sempre meno decisivo nella gestione di ogni azienda. L’interesse del capitalista, infatti, è quello non solo di aumentare la concorrenza in generale fra i lavoratori salariati, ma anche quello di aumentarla nella singola azienda, non importa a quale settore economico appartenga. Ciò significa, anche, che la forza lavoro impiegata stabilmente tendenzialmente diminuirà in tutte le aziende ed aumenterà la forza lavoro stagionale, interinale, occasionale. Questo già succede da tempo in molte aziende, ma la tendenza è di allargare questo metodo a tutte le aziende e di qualsiasi settore, industriale, agricolo, commerciale, finanziario, amministrativo ecc. Per ottenere un risultato di questo genere il capitalismo, per non incorrere in grandi movimenti di sciopero e di protesta, aveva bisogno di abituare le generazioni più giovani di proletari alla precarietà del lavoro e alla precarietà della vita, cosa che sta avvenendo da qualche decennio. Il passaggio da una generazione proletaria alla successiva, poniamo dai proletari al lavoro negli anni Cinquanta-Settanta del secolo scorso ai proletari al lavoro negli anni Ottanta-Duemila, è avvenuto attraverso l’erosione lenta e costante degli ammortizzatori sociali, dei “diritti” sindacali, della difesa giuridica dei diritti dei lavoratori. In questo passaggio l’opera pompieristica e antiproletaria dei sindacati collaborazionisti, a cominciare dalla CGIL che osa ancora fregiarsi di una lontana storia gloriosa di lotte che ha in realtà tradito completamente, è stata un’opera decisiva perché i capitalisti, nella nuova Repubblica democratica e antifascista, non avevano interesse ad usare gli stessi metodi repressivi del fascismo contro le lotte operaie e i sindacati classisti eventualmente ricostituiti, ma avevano interesse che le nuove associazioni economiche operaie rinascessero sulla base di una collaborazione fra le classi che già nella lotta partigiana antifascista si era attuata. Il tricolore patriottico doveva vincere sia sulla bandiera rossa proletaria sia su quella nera fascista; così la bandiera rossa proletaria è stata affogata nel tricolore, e con essa il tradizionale sindacalismo classista, mentre la bandiera nera fascista non ha avuto bisogno di risorgere contro il rosso proletario visto che quest’ultimo non metteva più in pericolo né i profitti del capitale, né il potere politico borghese. 

 

Da allora stanno per passare otto decenni, tre dei quali, dal 1945 al 1975, di forte espansione capitalistica in tutto il mondo, e soprattutto nel mondo imperialistico occidentale; decenni in cui non sono mancate forti crisi economiche e sociali e guerre, dalle quali i poteri borghesi sono sempre usciti rafforzati. Non sono certo mancate le lotte operaie, dure, durissime, e non sono mancate nemmeno le repressioni, anch’esse dure e durissime, a dimostrazione che la democrazia borghese se da un lato ti offre la scheda elettorale e ti promette di rispettare i diritti promessi e scritti, dall’altro lato non si fa scrupolo nell’utilizzare i metodi repressivi anche più brutali per riportare e mantenere un ordine che è sostanzialmente una difesa del potere politico borghese e del profitto capitalistico.

La democrazia post-fascista, mentre sancisce nella sua Costituzione il divieto della riorganizzazione fascista, ha permesso fin da subito l’attività ad un movimento ex fascista, come il Movimento Sociale che è sbarcato, attraverso le elezioni politiche, quindi democraticamente, in parlamento. E i suoi successori sono ancora tranquillamente e apertamente in attività, dentro e fuori del parlamento. La pacificazione nazionale, tanto propagandata nel secondo dopoguerra, così da arrivare ad equiparare i fascisti della Repubblica di Salò morti nella loro guerra contro i democratici, ai partigiani della Resistenza morti nella loro guerra contro i fascisti e i nazisti, è sempre stata all’insegna della collaborazione fra le classi che tuttora viene osannata come il risultato più alto, più civile, più nobile che una nazione possa raggiungere.

Ma la realtà del capitalismo, della società in cui le diseguaglianze invece che diminuire aumentano sempre più, in cui le condizioni di esistenza della stragrande maggioranza della popolazione sono sommamente incivili e rasentano sempre più la povertà assoluta (in Italia i dati ufficiali dicono che sono 5,8 milioni gli abitanti sotto la soglia di povertà e, contando anche coloro che vengono classificati come poveri, la cifra sale a più di 15 milioni!), in cui la sicurezza sul lavoro non è mai esistita (nel 2022 si registrano ancora 3 morti sul lavoro al giorno!), in cui ai giovani non è assicurato nessun futuro, se non quello di lavorare per un salario da fame o di vivere un’esistenza da disoccupato, è una realtà che va bene soltanto ed esclusivamente per i borghesi ricchi, per i capitalisti e per i loro tirapiedi, in parlamento e fuori del parlamento.

 

Dal governo borghese, in generale, i proletari non si possono aspettare nulla di buono. Quel poco di diritti e di vantaggi che hanno ottenuto – tra l’altro non per tutti, ma solo per una parte di loro – è dovuto in ogni caso alle lotte delle generazioni proletarie degli anni Cinquanta-Settanta del secondo dopoguerra; diritti e vantaggi che stanno sparendo sempre più, mentre le tasche dei capitalisti si gonfiano a dismisura.

Lacrime e sangue: è questo il prossimo futuro che spetta al proletariato. E mentre i superprivilegiati che siedono al parlamento discettano sul sesso degli angeli, i proletari vengono sempre più triturati dal cinico ingranaggio del profitto capitalistico.

Come se non bastasse, le loro energie vengono ancor più strizzate per l’interesse dell’imperialismo italiano a partecipare alla guerra russo-ucraina dalla parte degli imperialisti euro-americani; la propaganda antirussa di quest’anno invoca ancor più la collaborazione di classe fra proletariato e borghesia agitando lo spauracchio di una Russia che vuole aggredire l’Europa, quando è evidente ad ogni persona sensata che questa “aggressione” non avverrà mai, e tanto meno un’aggressione con armi nucleari a causa delle quali è agitata la paura della fine del mondo. Il capitalismo, e dunque la borghesia, è senza dubbio cinico, distruttivo, disumano, ma non è suicida, come la stessa borghesia come classe dominante non si suiciderà mai.

 

Per finirla col capitalismo, con questa società distruttiva della vita sociale e dell’ambiente, non ci vuole una borghesia rinsavita, una borghesia dal “volto umano”, una borghesia che ha dato retta alle preghiere di sua santità il Papa. Che il suo governo sia di destra o di sinistra, sia conservatore o socialdemocratico, monarchico o laburista, non cambia il suo dato genetico: è sempre un governo che, nelle diverse situazioni in cui i rapporti di forza fra gli Stati e fra le classi si modificano, esprime gli interessi generali della classe borghese, interessi che difende con ogni mezzo.

Contro la classe dominante borghese deve alzarsi l’unica classe sociale che storicamente ha la forza e il compito di abbattere il suo potere: la classe del proletariato. Lo ha dimostrato nella storia passato, lo dimostrerà nella storia futura e non per una sorta di investitura divina, non per accidente storico, ma per la combinazione dialettica dei fattori storici che ha sempre regolato lo sviluppo delle forze produttive, fin dalla società schiavista per passare poi alla società feudale e, infine, alla società capitalistica, l’ultima società divisa in classi antagoniste in cui si sono formate le basi economiche per il salto dalla società divisa in classi alla società senza classi, al comunismo. Si tratta di percorsi storici, non di eventi episodici, perciò lo sviluppo delle contraddizioni che si accumulano all’interno della vecchia società deve giungere al punto di non ritorno. E una delle contraddizioni decisive è quella relativa alla formazione della classe dei lavoratori salariati, la classe dei produttori reali di tutta la ricchezza esistente al mondo e che le diverse borghesie nazionali si accaparrano direttamente attraverso il dominio della proprietà privata dei mezzi di produzione. Per strappare dalle mani della borghesia, dei capitalisti, la proprietà dei mezzi di produzione e trasformare i mezzi di produzione in mezzi non per il profitto capitalistico, ma per soddisfare le esigenze del genere umano, è necessario strappare dalle mani della classe dominante borghese il potere politico, abbattere il suo Stato e la sua dittatura, ed instaurare il potere politico di classe del proletariato, la sua dittatura di classe.

Mentre la borghesia ha sempre nascosto la sua reale dittatura di classe attraverso la democrazia, i diritti, le leggi, le elezioni, la “libera impresa”, la “libera scelta individuale” ecc., il proletariato non ha bisogno di nascondere nulla e dichiara apertamente che sarà la guerra di classe contro la borghesia a decidere le sorti della società, e sarà l’aperta dittatura di classe del proletariato ad avviare la società, una volta giunto al potere, verso il superamento definitivo di ogni divisione sociale in classi. La strada è lunga, certo, irta di difficoltà di ogni genere proprio perché la borghesia non si suicida, non abbandona il potere spontaneamente, non si rassegna ad essere vinta; e perché questo processo storico abbia uno sviluppo positivo, il proletariato deve essere guidato e organizzato dal suo partito di classe, dal partito comunista rivoluzionario che possiede la conoscenza dei processi storici e ha accumulato, attraverso la teoria marxista, l’esperienza storica e i bilanci storici delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni.

E’ per questa finalità che i comunisti rivoluzionari lottano, in ogni situazione, in ogni paese dove si trovano, anche nella situazione più negativa come l’attuale, ma nella certezza che il capitalismo non è eterno, ha una fine e la sua fine sarà causata dalla rivoluzione proletaria mondiale vittoriosa.

 

1 dicembre 2022. E' passato un mese e mezzo da quando il governo Meloni si è instaurato. Il motto della Meloni, fin dal primo momento, vinte le elezioni, è stato: siamo pronti! La cifra con cui voleva caratterizzare il governo della coalizione di destra è stata: ridaremo alla nazione il posto che si merita in Europa e nel mondo, risolveremo il problema dei flussi migratori stroncando l'attività clandestina dei trafficanti di esseri umani, rafforzeremo la crescita economica italiana sostenendo le imprese, le famiglie e i lavoratori.

Sul primo punto, aldilà dei sorrisi, delle strette di mano coi leader europei a Bruxelles e delle dichiarazioni volte ad assicurare la volontà di collaborare, ha dovuto constatare che ogni capo di governo o presidente dei paesi dell'Unione esprime esattamente quello esprime la stessa Meloni: la priorità agli interessi nazionali. Solo che alcuni paesi, come Germania e Francia, sono molto più forti dell'Italia e il più delle volte vanno per conto proprio (ad es., la Germania sulla questione del gas e del petrolio russi e il price cup, o la Francia su quella della cosiddetta ridistribuzione degli immigrati che sbarcano in Italia), mentre altri, come i paesi che fanno parte del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia ecc.), si mettono costantemente di traverso, ad esempio sulla questione dell'immigrazione (basta che non si tratti di ucraini per i quali, almeno per il momento ancora, le porte sono aperte), o quelli, come l'Olanda e i paesi nordici, più rigidi sulle questioni dello sforamento del debito e quindi degli impegni che dovrebbero assumersi come parti dell'Europa unita.

L'Unione Europea, come volevasi dimostrare, e come abbiamo da sempre sostenuto, non è che un'accozzaglia di nazionalismi sempre pronti a farsi lo sgambetto se non... la guerra economica e commerciale, sapendo che prima o poi si faranno anche la guerra guerreggiata. Infatti, con il pretesto della guerra russo-ucraina, tutti i paesi europei membri della Nato sono stati "invitati" da Washington - con le dovute pressioni - ad aumentare i propri budget militari e il proprio apporto finanziario alla Nato. La Germania, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, ha varato un piano di riarmo per 100 miliardi di euro, e l'Italia ha immediatamente risposto a Washington: signorsì, aumentiamo le spese militari fino al 2% del Pil. Nel frattempo, in vista del necessario ammodernamento di tutti gli armamenti, si approfitta del sostegno armato all'Ucraina nella guerra contro la Russia per inviare laggiù tonnellate di armi "vecchie": si salva la faccia della difesa della democrazia e dell'Europa, e ci si riarma con armamenti molto più moderni e tecnologicamente avanzati.

La Meloni, quando era all'opposizione, si lamentava che il governo Draghi decretava a raffica senza mai passare dall'approvazione del parlamento. Ora che il suo governo può contare, almeno finora, su una stabile maggioranza parlamentare può permettersi di passare al vaglio del parlamento... tanto, le decisioni di fondo vengono in ogni caso prese fuori dal parlamento - come d'altra parte è uso e costume in tutte le democrazie postfasciste.

Per tutto il mese di novembre il Consiglio dei ministri corre veloce per approvare la manovra economica e la serie di decreti cari ai politicanti della maggioranza perché li distinguono dal resto dei tanto amati "cittadini" e perché indirizzano le maggiori quote di miliardi verso i comparti che più stanno a cuore ai partiti del governo: si passa dal depennare i reati contro la Pubblica amministrazione (così si salvano i "colletti bianchi") mentre si rischia la galera solo in caso di omicidio, di violenza sessuale, di pedopornografia, di sequestro di persona, se si traffica con droga o con esseri umani   o semplicemente si è un senza tetto (così si colpiscono solo i reati cosiddetti "di strada"). Come mai questa "distinzione"? Perché i politicanti, mentre delinquono sul piano economico e politico, hanno bisogno di salvare la loro faccia elettorale, per la quale ha molta più presa la persecuzione dei reati "di strada" che quelli "burocratici".

Il governo, per dimostrare che si occupa con determinazione del benessere delle imprese e delle difficoltà delle famiglie, attacca tutti coloro che percepiscono dei sussidi (dal reddito di cittadinanza ai sussidi di disoccupazione) inserendo una nuova categoria sociale: gli occupabili, ossia tutti coloro che per età e stato fisico sono in grado, teoricamente, di lavorare, glissando tranquillamente sul fatto che sono proprio le imprese private e la Pubblica Amministrazione a licenziare e a "somministrare lavoro" nelle forme precarie e a tempo determinato (interinali, stagionali ecc.) che si sono inventati negli ultimi trent'anni.

Nel frattempo, mentre si destinano miliardi per le infrastrutture (Ponte sullo Stretto, Centri di permanenza per il rimpatrio degli immigrati, Rigassificatori per il Gpn ecc.) si tolgono miliardi alla sanità pubblica e alle opere di risanamento del territorio nonostante le continue tragedie provocate da frane, smottamenti, fiumi tombati, deforestazione, consumo deliquenziale del suolo ecc.

Abbiamo sempre detto che il capitalismo è l'economia della sciagura e che la gestione del potere politico è condotta in modo da difendere gli interessi del capitale privato e della casta politicante che sfrutta la sua posizione sociale per affondare le mani nelle tasche soprattutto dei proletari che sono gli unici a non sfuggire agli occhi attenti degli Uffici delle Tasse.

Ma questo governo non è dissimile da quelli precedenti; anzi, per certi versi è,  meno falso di quelli di "sinistra", anche se la musica è la stessa: dio, patria e famiglia.

 

 

Partito Comunista Internazionale

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