Cina: migliaia di operai  rialzano la testa

(«il comunista»; N° 175 ; Dicembre 2022)

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Zhengzhou, lo stabilimento di Foxconn con 200mila operai, a ottobre, a causa di molti contagi Covid, viene chiuso col sistema "a bolla", cioè i dipendenti devono lavorare e vivere senza alcun contatto con l'esterno: lockdown estremo. La Foxconn produce circa il 70% degli iPhone della Apple e molti altri prodotti tecnologici. Gli operai non ci stanno e si rivoltano; la protesta scatta anche per il mancato rispetto del contratto che prevedeva, per gli operai che si dimettevano, una buonuscita di 10mila renminbi (circa 1350 euro). A protestare sono soprattutto i nuovi assunti. La polizia interviene violentemente in scontri continui con gli operai.

Naturalmente la Apple, che ha previsto di vendere 240 milioni di telefoni nel 2003, ha spostato in altri stabilimenti in Cina, India e Vietnam, parte della produzione. Le immagini degli scontri in cui si vedono operai insanguinati e poliziotti in tenuta anti-Covid che bastonano gli operai che resistono non sono gradite ad un'azienda che vuole essere cool (innovativa, di moda, di tendenza) e che vende i suoi telefoni da mille euro in su ("Avvenire", 24/11/2022).

E' risaputo che in Cina la politica del lockdown estremo viene applicata non solo alle fabbriche ma anche a città intere. Il paese è caratterizzato da un capitalismo aggressivo e rampante, che, nel giro di pochi decenni, è diventato il concorrente più temibile e spietato per i più vecchi imperialismi, non solo europei, ma soprattutto degli Stati Uniti. Il suo Pil per anni ha registrato vette irraggiungibili da parte dei concorrenti, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "fabbrica del mondo": certo, un controllo sociale durissimo e una forza lavoro a prezzi consistentemente inferiori a quelli euroamericani, sono i due elementi chiave per uno sfruttamento bestiale con cui ogni grande multinazionale può garantirsi profitti giganteschi. La forte centralizzazione del potere politico che fa invidia al nostro vecchio fascismo (sarebbe questo il "socialismo" in salsa cinese?), ribadita platealmente anche al recente 20° congresso del Partito al potere, falsamente autodefinitosi comunista, finora ha garantito al capitalismo nazionale e alle multinazionali che sfruttano i lavoratori cinesi, affari e profitti che altrimenti non avrebbero accumulato. Noi salutiamo gli scioperi e le proteste degli operai cinesi e il loro coraggio nell'affrontare la repressione statale a mani nude, come un viatico per la ripresa della lotta classista in quell'enorme serbatoio di forza lavoro proletario rappresentato dalla Cina. La prospettiva per i proletari di oggi è quella di ricollegarsi alle battaglie di classe del proletariato cinese degli anni Venti!

 

 

Partito Comunista Internazionale

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