Nella continuità del lavoro collettivo di partito guidato dalla bussola marxista nella preparazione del partito comunista rivoluzionario di domani (1)

(Rapporti alla riunione generale di Milano del 17-18 dicembre 2022)

(«il comunista»; N° 176 ; Gennaio-Febbraio 2023)

Ritorne indice

 

 

La riunione ha visto un'attenta partecipazione da parte sia dei compagni che dei giovani simpatizzanti presenti per la prima volta. Purtroppo l'influenza e problemi familiari hanno impedito ad alcuni compagni di essere presenti; la riunione si è comunque svolta regolarmente. I rapporti che si tengono di volta in volta alla riunione generale vedono il contributo di compagni delle diverse nazionalità che, naturalmente, esponendoli nella loro lingua madre non sono accessibili a tutti i compagni presenti. Perciò, come d'abitudine, si distribuiscono le traduzioni ai presenti in modo da poterli seguire più facilmente. I rapporti hanno riguardato in particolare il seguito della guerra civile in Spagna 1936-39, con particolare focus sul movimento del proletariato industriale, e la situazione mondiale che, dalla fine del secondo conflitto imperialistico mondiale è stata caratterizzata sistematicamente da guerre locali in cui gli imperialismi più forti al mondo si sono  sempre, direttamente o indirettamente coivolti, fino alla recentissima e ancora in corso guerra russo-ucraina.

Iniziamo da questo numero a pubblicare per esteso il primo rapporto.

 

 

Sulla guerra civile in Spagna

Il movimento proletario industriale

 

 

Argomenti trattati

 

 

Questa parte del nostro lavoro sullo svolgimento della lotta di classe del proletariato durante i convulsi anni ’30 spagnoli è la continuazione delle puntate precedenti:

• La valutazione generale della guerra in Spagna presentata sotto forma di tesi e controtesi caratteristiche rispettivamente del marxismo e dell’opportunismo, che è stata pubblicata nella rivista El Programa Comunista n. 53, del giugno 2018.

• La critica della presunta sinistra comunista spagnola di fronte alla sua rivoluzione democratica, pubblicata nel n. 54 di El Programa Comunista.

• La questione della terra durante lo sviluppo della lotta di classe del proletariato spagnolo, pubblicata nel n. 55 di El Programa Comunista.

I nfine, l’articolo inedito di critica alle posizioni che le correnti di sinistra hanno tenuto sulla questione della terra durante la guerra civile, che è a sua volta la continuazione dell'articolo citato al punto precedente.

 

[Vedi anche “il comunista” nn. 147 (RG 17/18 dic. 2016: 1936-1939, La guerra di Spagna) – 148 (precisazione sul vero significato della guerra di Spagna) – 153 (RG 13/14 gen. 2018) – 157 (gen. 2019: riassunto sintetico sulla questione della guerra) – 167 (RG 12/13 dic 2020: il programma agrario delle organizzazioni operaie spagnole nella guerra civile). E la rivista “programme communiste” n. 105 (La Guerre d’Espagne. Une première synthèse des positions du parti. I) – n. 106 (La prétendue “gauche communiste” espagnole et la “revolution démocratique”. II) ]

 

Con questa parte del lavoro si intende fare riferimento allo specifico corso del proletariato industriale, senza dubbio il fenomeno più caratteristico del periodo poiché, a detta di tutti, fu il germe di un potentissimo movimento di classe che trainò il proletariato agricolo e alcuni strati dei contadini più impoveriti e che ebbe la sua espressione più eclatante nella parziale sconfitta dell’esercito per mano della classe operaia sindacalizzata, specialmente nella CNT. Data l’ampiezza che un lavoro di questo tipo richiede, avremo bisogno di almeno due interventi. Il primo, questo, dedicato al periodo immediatamente precedente alla guerra civile, fino al 1934, data del cosiddetto “Ottobre asturiano” e il secondo, da presentare alla prossima riunione, dedicato specificamente al periodo della guerra, tenendo anche conto dell’importantissimo scoppio di correnti politiche che si contendevano la funzione di catalizzatore di tendenze. Assieme a questa suddivisione degli argomenti, con ogni probabilità potrà servire una terza parte dedicata esclusivamente a passare in rassegna le posizioni che la Frazione di Sinistra del PCd’I all’Estero, che faceva capo a Bilan come parte più visibile, mantenne riguardo alla lotta di classe proletaria in Spagna durante questo periodo.

Nonostante il materiale utilizzato sia abbondante, il lavoro non è terminato nemmeno per quelle parti che abbiamo già affrontato (questione fondiaria, storia della Spagna ecc.) perché le forze a nostra disposizione non ci permettono di effettuare un lavoro completo come sarebbe richiesto. Però è così praticamente in tutti gli aspetti del lavoro teorico-politico del Partito: le nostre forze di combattenti rivoluzionari non ci permettono di scrivere un’Enciclopedia come quella che ebbe la borghesia durante la sua rivoluzione; d’altra parte ci dobbiamo accontentare di compiere il grande sforzo di sintesi che stiamo facendo in cui esporre nel modo più chiaro possibile le grandi forze storiche alle cui analisi è dedicata la nostra dottrina.

Questo lavoro, basato su grandi linee e non sui dettagli, ci distingue da molte correnti e da molti individui che, pur essendo politicamente motivati, non sono in grado di uscire dall’orizzonte teorico, politico... e mentale imposto dalla divisione borghese del lavoro.

Da un lato c’è chi vuole creare una sorta di scuola storiografica eterodossa, che in qualche modo rivendichi l’interpretazione marxista della storia e la utilizzi per chiarire assolutamente tutti i problemi, tutte le circostanze, tutte le azioni, ecc. che avvennero durante il periodo della guerra civile. Non si può negare l’enorme sforzo che stanno compiendo alcuni storici di questa tendenza e la luce che il loro lavoro getta su dettagli finora rimasti sconosciuti. Ma tutto questo sforzo non cambia il fatto che ciò che manca è proprio una definizione marxista degli assi centrali, un’ampia interpretazione teorica della guerra civile, che serva a un orientamento politico generale, rispetto a un inventario dettagliato dei fatti che sono già arrivati al livello di aneddoti e che contribuiscono più che a chiarire, a disperdere l’attenzione. Le moderne scuole storiografiche, favorevoli a storie locali e visioni particolari che dovrebbero spiegare tutto attraverso il prisma del “particolare”, riflettono sia il generale vizio borghese della difesa della terra d’origine, sia la volontà di tutti gli storici di ritagliarsi una posizione con il loro contributo personale ad esso.

D’altra parte, abbondano anche molti testi che si limitano a delineare una sorta di interpretazione marxista della storia, fondando la propria spiegazione su un continuo ricorso al confronto metafisico tra proletari e riformisti, rivoluzionari e borghesi ecc., riversando l’esperienza veramente preziosa di un periodo terribile nello schema del suo fraintendimento adialettico della storia. Per questo tipo di analisi, la principale delle quali è quella pubblicata dal GCI, i problemi più importanti del periodo passano inosservati perché, essendo manifestazioni particolari di un problema generale, esulano dal suo quadro scolastico di interpretazione, che pensa di risolvere tutto e sempre con formule vaghe.

Da parte nostra, il lavoro fin qui svolto ci permette di trarre alcune conclusioni che vale la pena sottolineare ancora una volta.

- Trattare la storia “particolare” della Spagna secondo la visione della dottrina marxista: passare dalla storia delle rivoluzioni borghesi in Spagna e dallo svolto decisivo del 1868 alla lotta di classe proletaria su scala nazionale, ci aiuta a individuare una linea storica molto netta che segna il corso della lotta politica del proletariato al di là delle fantasie libertarie e riformiste su un particolare DNA della classe operaia spagnola.

- Ancorare, inoltre, questa storia con le tesi del socialismo rivoluzionario di Engels e Lafargue: il passaggio storico del periodo in cui la borghesia spagnola costituisce una classe rivoluzionaria che affronta le vestigia dell’Antico Regime, non si risolve idealmente. Alle soglie del 1874, il proletariato spagnolo doveva ancora imboccare un percorso tortuoso in cui la perdita di direzione da parte dei marxisti che rimisero in piedi il Partito Socialista e l’incapacità delle successive generazioni di comunisti rivoluzionari di raddrizzare la situazione (nel 1920 il Partito Comunista e, successivamente, le correnti legate a Trotsky e, in misura minore, a Nin) portarono alla tragica sconfitta degli anni Trenta, al centro della quale vi fu proprio la drammatica assenza del Partito di classe.

- Delineare il significato storico della questione della terra nella guerra civile, che possiamo riassumere citando l’ultimo lavoro:

In realtà, la collettivizzazione delle terre, in qualunque forma si presentasse, costituì un immenso e accelerato passo sulla strada che la rivoluzione borghese aveva lasciato incompiuto: si supponeva una riforma agraria più ampia e profonda di quella proposta dai governi repubblicani, ma che andava nella stessa direzione. Invece della proprietà individuale del terreno, si passò alla proprietà comunale che ovviamente rimane proprietà privata anche in termini locali. Invece dell’appropriazione privata della ricchezza risultante dal lavoro associato (nel caso dei lavoratori giornalieri), appropriazione municipale della stessa, sussistendo - attraverso il commercio con altre comunità o con acquirenti privati - la ridistribuzione del plusvalore tra agenti privati. Le campagne spagnole, dove sopravvissero relazioni sociali capitaliste ma molto arretrate, si aggiornarono in poche settimane, approfondendo i termini tipicamente capitalisti della proprietà, ma attraverso l’azione sindacale. In un certo senso, si attuò la stessa rivoluzione borghese nelle campagne fin dove poteva spingersi, liquidando anche la borghesia stessa e ponendo il proletariato rurale alla testa di questo movimento.

In questo modo le collettività hanno rappresentato un passo avanti nella direzione della rivoluzione socialista? In termini economici no: hanno solo finito di consolidare il processo di formazione delle relazioni sociali capitaliste che aveva cominciato a diffondersi cento anni prima. In termini politici, nemmeno: se è vero che dapprima implicarono il rafforzamento della classe proletaria rurale, che si impose con la forza, subito dopo, l’assoluta mancanza di prospettiva e di organizzazione politica e l’arretramento del movimento verso posizioni localiste, fondate sulla “costruzione municipale del socialismo” ecc. finirono per disorientare definitivamente la classe proletaria che fu poi schiacciata dalle forze controrivoluzionarie.

 

 

1.  L’eccezione sindacale della “rivoluzione” spagnola

 

 

Il nostro lavoro, come marxisti rivoluzionari, consiste in gran parte nello sviluppare una critica contro le concezioni del proletariato, della sua lotta e delle altre classi che - fortemente influenzate da alcune correnti del pensiero borghese, se non direttamente appartenenti ad esse - affermano di vedere fenomeni particolari, eccezioni storiche o situazioni che dovrebbero essere valutate “al di là dei pregiudizi del dogma”. In effetti, questi modi di vedere che cercano di trovare situazioni del tutto “uniche” che dovrebbero essere comprese senza ricorrere alle concezioni marxiste fondamentali, sono la risorsa preferita dell’opportunismo di ogni tipo: da Bernstein e la sua considerazione dell’eccezione che lo sviluppo economico internazionale, la concentrazione delle imprese, il credito e la concessione dei diritti democratici ai lavoratori aprivano all’azione socialista non rivoluzionaria, a Gramsci e la sua scoperta della tremenda eccezione storica della rivoluzione contro il capitale, passando per tutti gli epigoni di queste scuole di pensiero antimarxiste. Ossia, dalla particolarità storica, che contraddice la concezione dottrinale, alla flessibilità politica con essa a un viaggio senza ritorno che si sa dove finisce.

Il caso spagnolo, come abbiamo detto in precedenza, ha portato esempi assolutamente grotteschi di questa “eccezionalità”, come l’affermazione di qualche elemento della CNT che la natura libertaria di questa rivoluzione sarebbe dovuta a un genoma speciale degli spagnoli, a un razza diversa dal resto d’Europa. Ma al di là di questi casi che sembrano delle barzellette, resta il fatto che vi è una serie di fatti storici di grande rilevanza negli eventi accaduti durante il periodo degli anni ’30 in Spagna che si è preteso di lasciare come semplici aneddoti o come esempi dell’irriducibilità di questi eventi al modello storico marxista.

 

LA QUESTIONE SINDACALE

 

Il primo e più importante di questi fatti è la sopravvivenza per decenni di un sindacalismo di tipo libertario che fu maggioritario nella classe proletaria organizzata, che accoglieva tendenze anarchiche che divennero predominanti, mentre nel resto dei paesi europei, dove esisteva un potente movimento proletario, questo tipo di correnti sindacaliste ebbe scarsa rilevanza nelle vicende politiche del periodo. Il sindacalismo rivoluzionario spagnolo, l’anarco-sindacalismo, si presenta così come il fenomeno più caratteristico della lotta proletaria durante i primi quarant’anni del XX secolo e i principali avvenimenti dei terribili anni Trenta come il suo prodotto diretto che può essere spiegato solo da esso. In questo modo, la persistenza di un fenomeno di questo tipo implicherebbe che l’arco storico dello sviluppo di classe del proletariato spagnolo sarebbe stato sostanzialmente diverso da quello del resto dei proletariati.

Per il marxismo, invece, il problema deve essere affrontato in modo completamente diverso. Torniamo al testo Il corso storico del movimento di classe del proletariato:

 

«Un’altra corrente revisionista, il sindacalismo rivoluzionario, sembra reagire al revisionismo riformistico, in quanto proclama contro il metodo della collaborazione sindacale e parlamentare quello dell’azione diretta, e soprattutto dello sciopero generale, che dovrebbe giungere fino all’espropriazione dei capitalisti; ma in realtà smarrisce anch’esso la giusta via rivoluzionaria, sia perché sorge da tendenze neo-idealiste e volontaristiche borghesi, sia perché crede erroneamente che la sola organizzazione economica possa assolvere tutto il compito della lotta di emancipazione del proletariato, sostituendo la formula: “Il sindacato contro lo Stato” alla formula marxista: “Il partito politico operaio di classe e la dittatura del proletariato contro lo Stato della borghesia”. Le degenerazioni del riformismo avevano condotto la cosiddetta sinistra sindacalista a confondere azione politica con azione elettorale e parlamentare, mentre forma storicamente squisita dell’azione politica svolta a mezzo del partito dev’essere ritenuta l’azione di combattimento rivoluzionario». (Tesi della Sinistra, “Prometeo”, n. 6, marzo-aprile 1947).

 

Ecco dove si colloca la comparsa delle correnti sindacaliste rivoluzionarie come reazione alla degenerazione riformista imperante nella direzione dei partiti socialisti dell’epoca. In questo modo il sindacalismo rivoluzionario cade in un errore simmetrico a quello delle altre correnti riformiste: dove queste ultime negano la funzione del partito nella rivoluzione proletaria e perfino la necessità stessa di questa rivoluzione, i sindacalisti rivendicano l’impulso rivoluzionario escludendo il partito di classe la cui natura storica e non solo la sua forma contingente fu messa in discussione proprio per il prevalere in esse di correnti riformiste. In tal modo, in entrambe le concezioni, il partito viene escluso da quello che per definizione è il suo compito principale, la preparazione rivoluzionaria, e al suo posto vengono poste forme sociali tipicamente capitaliste: la democrazia come via per il superamento del mondo borghese nel caso della socialdemocrazia, e il sindacato, un aggregato lavorativo che si forma secondo la divisione sociale del lavoro caratteristica del mondo capitalista, nel caso del sindacalismo.

Così, il sindacalismo rivoluzionario è inteso come una reazione di fronte a un corpo malato, ma che è essa stessa malata e, quindi, non rappresenta una vera alternativa storica per la classe proletaria.

Nel caso spagnolo, le correnti politiche e storiografiche, che difendono l’”eccezione sindacalista” come sua caratteristica essenziale, negano addirittura che la principale corrente sindacalista, la CNT, che per 30 anni ha prevalso su qualsiasi altro tipo di organizzazione e che ha riunito al suo interno i più validi e determinati gruppi della classe proletaria, appaiono come reazione all’opportunismo socialdemocratico e collegano la loro fisionomia alle origini stesse dell’Internazionale nel 1868.

Secondo questa visione, l’anarchismo spagnolo predominante tra gli internazionalisti dall’arrivo di Fanelli (il quale, come è noto, con una mano distribuiva gli statuti dell’AIT mentre con l’altra propagandava l’Alleanza bakuninista) è la base stessa dell’anarco-sindacalismo del 1910 e le sue organizzazioni il diretto antecedente della CNT. Senza dubbio sarà necessario, in un altro momento, dedicare tempo e spazio per approfondire una storia come questa, che contiene più mitologia che realtà, ma per ora dovrebbe bastare mostrare la visione generale (ma esatta) delle ragioni che hanno dato origine alla comparsa della corrente sindacalista rivoluzionaria in Spagna.

Dal 1874, quando nel paese fu restaurata la monarchia borbonica e l’oligarchia terriera e finanziaria istituì il cosiddetto regime della Restaurazione, il movimento operaio, così come era germogliato dal sottosuolo sociale nella rivoluzione del 1868, fu liquidato. Dopo le insurrezioni cantonalistiche, dopo quell’esempio di come non si fa una rivoluzione (Engels), la base sociale dell’Internazionale si disorganizzò e le minoranze dell’Alleanza finirono in una posizione marginale, poiché il loro legame con le correnti repubblicane si era rivelato molto più ristretto di quanto essi stessi fossero disposti ad ammettere. La corrente marxista, capeggiata da Mesa, Lafargue (entrambi poi andati in Francia) e Iglesias, con forze numeriche molto ridotte, ma con capacità politiche e teoriche molto maggiori (non invano l’esperienza della scissione nell’Internazionale in Spagna si rivelò essere esempio internazionale che lo stesso Engels chiosava) seppe mantenere l’essenziale coerenza dottrinale, che permise loro di sopravvivere ai duri tempi di reazione che seguirono operando in organizzazioni corporative legali, sebbene la loro influenza all’interno della classe proletaria fosse, come quella degli anarchici, praticamente nulla.

Le correnti predominanti all’interno del proletariato spagnolo dal 1874 al 1909 furono quelle propriamente corporative (associazioni professionali, aperte all’intervento politico, ma neutrali rispetto alla “questione sociale”) e repubblicane. Il socialismo e l’anarchismo erano, in tutto questo periodo, praticamente assenti. Ciò non significa che il periodo sia stato di assoluta calma sociale: sia a Barcellona,   dove la vita industriale cresceva a ritmi sostenuti e con essa le organizzazioni professionali, sia nelle campagne dell’Andalusia orientale, dove i movimenti contadini organizzati dalle correnti repubblicane in alcune occasioni sfociarono in tentativi insurrezionali. Ma, in generale, ciò a cui si assiste nel periodo è una progressiva trasformazione delle classi lavoratrici: dal proletariato artigiano al proletariato industriale, dal contadino al bracciante. Ed è su questa trasformazione che si svilupperanno le nuove formazioni politiche, sebbene il lungo periodo di transito abbia visto come, su di essi,  l’influenza preponderante l’avranno le correnti non proletarie quali i repubblicani (lerrouxisti, federalisti ecc.).

 

IL MOMENTO CHIAVE DI QUESTO SVILUPPO FU IL 1909

 

Durante il primo decennio del XX secolo, quella classe proletaria, già più industriale che artigiana, aveva sviluppato organizzazioni di tipo sindacale oltre i ristretti limiti del sindacalismo, soprattutto a Barcellona. Sono i gruppi anarchici che cercarono di influenzare queste organizzazioni abbandonando la via individualista e terroristica, ma il dominio politico era in mano al repubblicanesimo. Questo, nel bel mezzo di una crisi politica e sociale che scuoteva il regime costituzionale in vigore da tre decenni e mezzo, pretendeva di difendere la classe operaia dagli eccessi dell’oligarchia agrofinanziaria cercando di utilizzare i proletari catalani contro la borghesia industriale autoctona, e tutto questo tra sproloqui insurrezionali e inviti alla violenza armata.

Da parte sua, il Partito Socialista aveva conosciuto una crescita lenta ma costante che lo aveva portato a raggiungere una forza modesta, ma rilevante, soprattutto a Madrid, dove anche il suo sindacato (UGT, creato nel 1888) cominciava a riunire un numero significativo di lavoratori. La politica del partito, abbandonata l’originaria intransigenza dei tempi eroici di Mesa e Lafargue, si basava sull’aspettativa di crescere abbastanza da avere una sorta di peso parlamentare riuscendo a ottenere l’adesione sindacale di un numero crescente di lavoratori. Il giovane proletariato catalano e andaluso era completamente escluso da questa politica, che, come si è detto, cominciava a organizzarsi sindacalmente e a mostrare una combattività crescente durante la crisi del regime della Restaurazione.

Nel 1909, la guerra coloniale che la Spagna stava conducendo in Marocco (dove agiva per conto di Francia e Germania come potenza designata per imporre l’ordine derivante dalla divisione imperialista della regione) divenne particolarmente insopportabile per le classi popolari. Eventi come il cosiddetto disastro del Barranco del Lobo (avvenuto in una località vicino a Melilla) dove le truppe di rimpiazzo furono massacrate dai ribelli del Rif per l’inutilità del comando militare, pesarono soprattutto sul proletariato che doveva ingrossare gli eserciti coloniali, attraverso leve sempre più frequenti e dalle quali la borghesia era esentata. Quando, nel luglio 1909, fu dato l’ordine di incorporare una nuova leva nell’esercito, a Barcellona scoppiò un tumulto che durò una settimana e durante il quale i proletari affrontarono ripetutamente l’esercito e la polizia mentre il partito repubblicano, così loquace quando si trattava di invocare la guerra in tempi di calma, si rifiutò di guidare gli insorti.

Era la cosiddetta Settimana Tragica, una vera e propria comparsa del proletariato sulla scena nazionale attraverso una rivolta prettamente di classe in cui la tradizionale leadership repubblicana che prevaleva sulla classe operaia, soprattutto a Barcellona, fu messa in ombra sia al momento dell’insurrezione sia, soprattutto, successivamente quando fu deposta. Il significato della Settimana Tragica, al di là della tipica vicenda di saccheggi di conventi e incendi di chiese che era stata una costante dagli anni ‘30 del secolo XIX, è stato proprio nel fatto che la classe proletaria si era liberata delle pesanti vesti del repubblicanesimo radicale e del suo lato nazionalista spagnolo, non per cadere nelle braccia della corrente regionalista catalana, ma per rappresentare i propri interessi, il primo dei quali era la fine della guerra in Marocco, alla quale erano interessate sia la borghesia spagnola che quella catalana. Ciò non vuol dire che la classe proletaria abbia poi conquistato, una volta per tutte, la sua indipendenza di classe (che in fondo esiste solo se garantita dal Partito Comunista): il ventennio successivo ha visto le forze organizzate del sindacalismo rivoluzionario, dell’operaismo socialista ecc. sommarsi alle correnti repubblicane del movimento indipendentista catalano nella lotta per influenzare i proletari... La Settimana Tragica ebbe conseguenze immediate tra le correnti che ebbero un peso decisivo tra i proletari.

Prima conseguenza: il repubblicanesimo antiregionalista, ampiamente predicato tra gli operai catalani fino al 1909 come residuo delle correnti federaliste e proudhoniane di quattro decenni prima, perse quella posizione privilegiata perché durante l’insurrezione si rifiutò di formare una direzione unica per il movimento e dimostrò così che non aveva intenzione, né nel 1909 né mai, di condurre una lotta politica in cui la forza proletaria fosse la forza principale.

Seconda conseguenza: il socialismo, radicato soprattutto a Madrid (dove ci furono solo piccole manifestazioni contro la coscrizione dei soldati) cadde nelle mani del repubblicanesimo nazionale. Di fronte alla spinta mostrata dalla classe proletaria, alla rottura sia dell’influenza repubblicana che ai limiti del sindacalismo di tipo corporativista, la dirigenza del PSOE ruppe il suo classico (e finora difeso a tutti i costi) isolazionismo nei confronti del resto delle forze politiche creando un’alleanza politica con proiezione elettorale che divenne nota come congiunzione repubblicano-socialista. Questa politica, che fu riconosciuta come alleanza con la piccola borghesia, significò il definitivo abbandono di quel tipo di pseudo-marxismo “puritano” (non ortodosso) che aveva regnato fino ad allora nelle file del Partito. Fino a quel momento, il PSOE aveva sviluppato il suo lavoro politico e organizzativo solo tra i lavoratori organizzati in corporazioni di categoria e sindacati locali, ammettendo alcuni rappresentanti delle classi medie (Besteiro e Vera principalmente) come concessione all’ambiente intellettuale da cui provenivano, però ogni tendenza a separare la lotta politica dalla difesa dell’associazionismo economico era intesa come una deviazione da quel carattere pseudo-marxista che permeava il Partito. In questo modo, la congiunzione repubblicano-socialista va intesa come il trionfo delle correnti apertamente interclassiste che coesistevano con l’operaismo tradizionale all’interno del PSOE. Da questo momento la lotta elettorale assunse un ruolo che non era più quello principale, ma unico nella vita organizzativa, e la consegna repubblicana sostituì la vecchia “lotta per il socialismo”. Si noti, semplicemente, che nel momento in cui la classe proletaria era scesa sul terreno della lotta politica nazionale, fatto che il PSOE attendeva (almeno nella sua stampa e nei suoi congressi) da 30 anni, il Partito ha fatto una definitiva inversione di rotta, unendo le forze con quelle correnti che avevano perso tutta la loro influenza durante i disordini di Barcellona. Poco meno di 10 anni dopo, la corrente marxista raccolta attorno alla Gioventù Socialista, nel bel mezzo di uno sconvolgimento sociale molto più potente come quello provocato dalla prima guerra mondiale, porrà come sua principale rivendicazione la rottura di quella congiunzione che era considerata appunto come baluardo delle posizioni antimarxiste nel Partito.

Infine, le organizzazioni caratteristiche del proletariato catalano, specialmente quelle del proletariato di Barcellona e dintorni, subirono un’evoluzione repentina. Le organizzazioni locali, presenti in determinati mestieri, con una tradizione certamente lunga, ma dedita esclusivamente a ottenere miglioramenti lavorativi per i loro affiliati, improvvisamente misero in primo piano la necessità di raggrupparsi in una confederazione regionale, prima (la Federazione Locale dei Sindacati Solidarietà Operaia) e, poi, in un’organizzazione nazionale, la CNT. Va notato che l’associazionismo proletario catalano, pur avendo una lunga tradizione organizzativa, era particolarmente ristretto. Il Partito Socialista, a sua volta, creò la UGT proprio a Barcellona con l’intento di trascinare verso un sindacato di classe la maggioranza dei proletari organizzati in gruppi di tipo corporativo. Il fallimento di questa operazione fu così grave che l’UGT dovette essere trasferita a Madrid e condannata a sussistere nella meno proletaria delle grandi città del paese.

Ecco perché la comparsa di una corrente sindacalista pura, in cui confluivano sia gli anarchici che i resti di quel sindacalismo socialista che si era organizzato in piccoli nuclei di Barcellona, ebbe così grande importanza: per la prima volta, la classe operaia catalana chiamò il resto del proletariato spagnolo ad organizzarsi e combattesse insieme, rompendo sia con i propri limiti corporativi sia con le forze regionaliste e protonazionaliste che avevano organizzato la cosiddetta Solidarietà Catalana.

La fondazione della CNT, dunque, non ha un rapporto diretto con il predominio delle correnti libertarie nell’Internazionale del 1868: la sua formazione fu il risultato della rapida radicalizzazione di una classe proletaria che si batté armi alla mano per la prima volta come classe propriamente detta, e della defezione di quelle correnti, repubblicane e socialiste, che non solo non furono in grado di andare loro incontro, ma si fusero tra loro per formare una corrente opportunista su scala nazionale. Nel 1909 si formarono sia quello che fu il grande sindacato del proletariato spagnolo fino al 1936, sia la principale corrente opportunista che dal 1931 in poi avrebbe dato vita alla politica repubblicana.

Poco o nulla, quindi, c’era di eccezionale nella comparsa della corrente sindacalista rivoluzionaria in Spagna: come nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, essa costituì una reazione alla svolta opportunista intrapresa dalla direzione socialista. È vero, ed è una costante della vita locale, che in Spagna i problemi non si pongono mai dal punto di vista teorico, e in questo caso la rottura di questo contingente proletario organizzato nella CNT contro il PSOE non è avvenuta confutando le posizioni del Partito rispetto alla guerra che scatenò la risposta proletaria, rispetto all’incapacità politica della direzione socialista di porre coerentemente come propri i compiti che la classe proletaria avrebbe assunto da quel momento in poi.

Per quanto riguarda il primo punto, mentre dall’inizio del secolo nella maggior parte dei partiti socialisti del continente la corrente marxista rivoluzionaria si è organizzata intorno al rifiuto delle politiche imperialiste delle rispettive borghesie nazionali, in Spagna la critica a queste politiche da parte di il PSOE aveva poco o niente a che fare con l’antimperialismo e l’antimilitarismo di classe.

Il PSOE ha lanciato la parola d’ordine contro la guerra come un modo per chiedere un cambio di governo che garantisse il buon andamento delle spedizioni coloniali in Africa. Criticò l’incapacità politica e militare dei successivi governi della Restaurazione di portare a buon fine lo sforzo bellico, ma in nessun caso fu mantenuta una posizione contraria alla politica imperialista di questi governi. La stampa socialista dell’epoca fornisce numerosi esempi di questo occulto militarismo del Partito.

Riguardo al secondo punto, il rifiuto del PSOE di partecipare alla rivolta proletaria con tutta la sua capacità organizzativa è stato, in realtà, un punto di appoggio per le correnti libertarie che confluirono nella CNT, e tutto per difendere la sua visione di una natura intrinsecamente gradualista del marxismo e contraria all’azione rivoluzionaria. Dalla lezione fondamentale da tirare – ossia la collusione definitiva tra la direzione socialista e le fazioni progressiste della borghesia e della piccola borghesia e la necessità di sostenere, contro di essa, una vera politica rivoluzionaria riguardo alle questioni centrali del potere, della violenza rivoluzionaria ecc. – la reazione libertaria era lontana mille miglia non possedendo alcuna capacità teorica per comprendere le situazioni; di fatto approfittava della situazione soltanto per radicare una tendenza contraria al marxismo e che non sarebbe scomparsa negli anni a venire... anche quando la corrente anarchica si trasferì armi e bagagli nel campo borghese.

La rottura, dunque, con l’opportunismo del PSOE e avallata dalle correnti repubblicane, senza realizzarsi in campo teorico, ebbe un riflesso organizzativo di prim’ordine nella formazione della prima centrale sindacale unitaria e di portata nazionale. È ben vero che la successiva repressione, soprattutto quella che seguì allo sciopero generale del 1911, pose la CNT al di fuori della legalità e ciò ne impedì la crescita per almeno cinque anni. Ma l’esistenza di una forza operaia che si poneva in aperto confronto con il PSOE era un dato di fatto, come il fatto che questa forza avesse il grosso dei suoi membri in Catalogna, mentre il PSOE si espandeva, allora, appena fuori della cintura di Madrid... Questo contribuì decisamente a caratterizzare in modo così particolare la storia della lotta di classe in Spagna.

 

LO SVILUPPO DEL MOVIMENTO DI CLASSE DEL PROLETARIATO INDUSTRIALE

 

Dalla sua comparsa nel primo decennio del XX secolo e al suo apice negli anni Trenta non presenta una differenza essenziale rispetto ai più noti tipi, tedesco, russo o italiano: la differenza non è di tendenza, ma di intensità. La spiegazione tradizionalmente data a questo fatto dalle correnti opportuniste staliniste, socialiste e anarchiche (ma anche dalla cosiddetta “sinistra” legata al POUM e a Nin) evidenzia come fattori determinanti lo scarso sviluppo politico, economico e sociale nazionale in assenza di un forte partito operaio, la presenza di una corrente sindacalista rivoluzionaria su larga scala o di un proletariato agricolo e un contadiname povero ribelli.

Abbiamo mostrato in lavori precedenti che, dal punto di vista politico, questa arretratezza non può essere giustificata e che la serie di rivoluzioni e guerre civili dell’Ottocento costituiscono le pietre miliari sulla via della classe borghese verso il potere; dal punto di vista economico, l’accelerazione dell’accumulazione di capitale nei principali rami industriali dalla fine del XIX secolo segue un modello simile a quello che si può osservare nel resto delle nazioni capitaliste sviluppate (con l’unica differenza della speciale importanza che ebbe per la Spagna la perdita delle ultime colonie d’oltremare, Cuba e Filippine, contro gli Stati Uniti).

Non resta quindi che dimostrare se la “questione sociale” si sia sviluppata in Spagna in termini sostanzialmente diversi e che permettano di spiegare una sorta di eccezione al normale sviluppo della lotta di classe proletaria che, nel periodo che ruota intorno alla prima guerra mondiale, fu caratterizzata dal predominio della corrente socialdemocratica, dall’organizzazione di una parte considerevole del proletariato in sindacati da essa fortemente influenzati e dal progressivo ridimensionamento delle correnti libertarie.

Come abbiamo detto in precedenza, l’anno 1909 fu il punto chiave della rottura dei settori proletari più avanzati con le correnti repubblicane che avevano esercitato un’influenza decisiva sulla massa sociale negli ultimi decenni. Le tappe fondamentali di questa rottura sono state la formazione della CNT, un anno dopo i fatti della Settimana Tragica, e, in negativo, la “svolta repubblicana” di un PSOE che rinuncia a inquadrare il giovane proletariato emerso dalla crescita industriale del polo catalano. La giovane Confederazione fu dichiarata fuori legge poco dopo la sua creazione, cadendo in un periodo di inattività che corrispondeva a una generale depressione del movimento operaio nel paese nel suo insieme che si placò solo all’inizio del 1914. Pertanto, questa rottura con le correnti borghesi che ebbero una presenza nella classe proletaria del tempo non ebbe conseguenze immediatamente visibili, anzi fu possibile osservare ancora per alcuni anni come queste correnti si rafforzassero sotto la protezione del patto di “congiunzione”, di cui abbiamo parlato, che sembrava dare certificato di naturalizzazione ai repubblicani.

 

LA GUERRA MONDIALE 1914-1918

 

L’inizio della guerra imperialista del 1914 tracciò una linea di demarcazione nella società spagnola. Le correnti monarchiche, legate all’oligarchia terriera e agli strati più alti dell’aristocrazia finanziaria, erano favorevoli alla vittoria della Triplice Alleanza, mentre le classi borghesi che si erano affidate a correnti politiche rigenerazioniste negli anni precedenti, nel regionalismo di Cambó ecc., erano sostenitrici della Triplice Intesa. Il Paese, come è noto, rimase neutrale, anche se ciò sembrò una concessione alla tendenza filotedesca e fece gridare contro di essa le correnti “alleate”. Uno dei principali baluardi della difesa dell’asse anglo-francese fu il Partito socialista. Nella limitatissima capacità politica dei grandi uomini del socialismo assurti alla guida del Partito in seguito al patto con i repubblicani, la Francia rappresentava il Paese della rivoluzione e delle libertà, quindi il Paese da difendere a tutti i costi dalla barbarie incivile che proveniva dalla Germania. Per valutare correttamente la portata di questa posizione, bisogna capire che la debolezza internazionale della Spagna, a malapena in grado di mantenere l’ordine su un pezzo di Marocco commissionato dalle potenze europee, rendeva praticamente impossibile il suo ingresso in guerra. Pertanto, la posizione del Partito socialista non veniva dall’influenza che potevano esercitare su di esso elementi borghesi interessati a collegarlo alla causa interventista, né tanto meno dall’idea di una solidarietà nazionale su larga scala con la borghesia patria, come era il caso in Germania... Il patriottismo sciovinista del socialismo spagnolo fu l’esclusiva conseguenza del totale e assoluto abbandono delle posizioni marxiste che, da almeno un decennio.  Solo tra alcuni elementi isolati della Gioventù Socialista si poteva notare, a partire dal 1915, una sorta di tendenza a rompere con la linea predominante nel partito. Ma bisognerà attendere ancora diversi anni perché questa tendenza si consolidi come una forza capace di lottare autonomamente nei termini in cui ha fatto la Sinistra in altri paesi.

La peculiarità dei primi anni di guerra fu uno spettacolare aumento della produzione, soprattutto di beni strumentali che venivano esportati nella martoriata industria dei paesi contendenti, e la conseguente emigrazione verso le città della tradizionale forza lavoro in eccedenza nei campi che chiedeva salari alti e migliori condizioni di vita. Come sottolineano tutti gli storici che si sono dedicati a questo periodo, fu uno dei pochi nella storia della Spagna in cui gli scioperi si conclusero in generale con vittorie proletarie: l’interesse dei padroni a non ostacolare la produzione, che era diventata incredibilmente redditizia, e il flusso di benefici che riempivano le loro casse, permettendo loro di cedere ripetutamente alle rivendicazioni lavorative, favorirono la rapida rinascita delle organizzazioni operaie legate alla CNT, che costituivano una fitta rete associativa, soprattutto a Barcellona e negli agglomerati industriali vicini a questa città. Contemporaneamente a questa crescita economica e a questo sviluppo dell’organizzazione sindacale del proletariato, il regime monarchico divenne sempre più instabile: la tradizionale alleanza politica tra l’oligarchia fondiaria e finanziaria e la borghesia industriale, che era il vero sostegno di questo regime, soffriva in conseguenza degli squilibri causati dalla rapida ascesa della borghesia industriale catalana (che finì per costituire un governo nazionale alternativo guidato dalla Lega Regionalista), del continuo disastro militare in Marocco (dove la guerra era vista, sempre più, come un’avventura di rapina a vantaggio di alcuni grandi proprietari) e della stessa ascesa del movimento operaio organizzato nelle principali città del paese. Questa crisi del regime è stata micidiale, ma ci sono voluti diversi anni per giungere al termine e lo ha fatto solo quando il movimento operaio è diventato finalmente un problema di prim’ordine per l’insieme delle classi dirigenti. Alla luce di ciò, la “crisi militare” che gli ufficiali inscenarono nel 1917 o la “crisi parlamentare” che i deputati ribelli generarono lo stesso anno furono problemi minori. La prima pietra miliare di questo movimento operaio, stimolato in campo economico dalla pressione che il costo della vita comportava, fu lo sciopero generale del 1917.

Questo, convocato nel contesto di una crisi politica senza precedenti, è stato organizzato da un’alleanza tra UGT e CNT e ha finito per essere un fallimento a causa della riluttanza dei leader socialisti (principalmente Largo Caballero) a uno sciopero nazionale. Ma questo fallimento ha dato il via a un rapido processo di decantazione delle forze rivoluzionarie all’interno del PSOE e della sua Gioventù, che ha confermato il fallimento della politica guidata dalla direzione del Partito e consistente nel promuovere lenti progressi sul terreno sindacale e un’alleanza senza condizionamenti con le correnti repubblicane in quello dell’azione politica, totalmente confusa con la presenza parlamentare.

Da parte della CNT, lo sciopero del 1917 significò la ratifica della sua impressione di essere l’unica forza veramente rivoluzionaria del paese: mentre il suo slancio, soprattutto in Catalogna, non si esaurì, il PSOE si dimostrò un’organizzazione assolutamente incapace di scendere sul terreno della lotta aperta contro la borghesia. Questa situazione diede inizio al periodo d’oro dell’organizzazione anarco-sindacalista prima della Repubblica.

 

IL “TRIENNIO BOLSCEVICO”

 

Questa è un’espressione, infelice, con la quale qualche storico dei movimenti proletari nelle campagne ha voluto mostrare la coincidenza temporale tra il trionfo della rivoluzione in Russia e il periodo di maggiore agitazione sociale in Spagna. Al di là dell’aneddotica del nome, gli anni 1917, 1918 e 1919 furono, in effetti, quelli con il picco più alto del movimento operaio in Spagna, ma anche quelli del suo declino.

 

Dopo lo sciopero generale del 1917 si verificarono tre eventi fondamentali.

Il primo di questi, la comparsa all’interno del Partito Socialista di una corrente di sinistra che, dalla Gioventù Socialista e sostenuta dai nuclei proletari di Madrid e Vizcaya, finirà per formare il Partito Comunista del 1920. Prima della scissione, questa corrente avrebbe voluto che il PSOE abbandonasse la politica di alleanza elettorale con le forze repubblicane e che la dirigenza stessa fosse costretta a mostrare un’apparenza di ritorno alle posizioni marxiste fondamentali sullo Stato, la democrazia borghese, la guerra, ecc. L’impulso implicito nella presa del potere da parte dei bolscevichi e la formazione dell’Internazionale Comunista ha costituito la base dell’esperienza internazionale, pratica e teorica, sulla quale si è fondata questa corrente.

 

Il secondo, il fortissimo boom vissuto dal movimento operaio catalano. Era il momento dell’importantissimo sciopero a La Canadiense, in cui un movimento di solidarietà con gli scioperanti di questa azienda dedita alla fornitura di energia elettrica mobilitò l’intero proletariato barcellonese, mettendo in scacco una borghesia locale del tutto impreparata e incapace di presentare, al momento, una qualche resistenza.

Di fronte a questo sciopero, il governo centrale è dovuto intervenire come mediatore promulgando una legge che riconosceva il diritto dei lavoratori alla giornata lavorativa di 8 ore. Questa vittoria costituì l’apice del movimento del proletariato industriale.

Attorno ad esso si formò la vera corrente sindacalista nazionale, guidata da Salvador Seguí, favorevole alla costituzione di una forza di opposizione operaia quasi politica, interessata agli affari di governo ecc. In altre parole, una forza riformista che voleva che le forze accumulate dalla classe proletaria nel triennio non venissero disperse nelle avventure insurrezionali tanto care agli anarchici (l’altra grande fazione all’interno della CNT), ma piuttosto per formare una sorta di organizzazione permanente capace di legarsi a progetti politici come l’incipiente nazionalismo catalano ecc. Questo riformismo di tipo sindacale, di cui la storia ufficiale della CNT non vuole sentir parlare (riferendosi, tra l’altro, al fatto che Salvador Seguí fu assassinato dai padroni), mostra la tendenza innata del sindacalismo a rifugiarsi sotto l’ala della borghesia, in questo caso dell’opposizione progressista borghese, e quindi ad accettare i limiti della lotta di classe nel quadro della difesa dell’economia nazionale. Ma soprattutto smentisce il mito di quella corrente libertaria specificamente spagnola e del tutto indomita che avrebbe caratterizzato il movimento proletario locale a partire dal 1909.

Il futuro lavoro sulle origini del PCE, in particolare sull’influenza della ISR sulla CNT, consentirà di trattare questo argomento con la dovuta ampiezza.

Lo sciopero de La Canadiense segnò anche l’inizio della sconfitta del movimento di classe iniziata nel 1917. Subito dopo la conclusione dello sciopero con una favolosa vittoria proletaria, i padroni passarono alla controffensiva: si rifiutarono di liberare alcuni prigionieri catturati durante le proteste. La CNT, non potendo reagire, diede l’ordine di iniziare un nuovo sciopero e i padroni, già preparati se non in termini economici almeno in termini politici, ordinarono una serrata generalizzata in tutta la regione. Con questa serrata iniziò anche il terrorismo generalizzato: bande organizzate da uomini d’affari con l’aiuto dei sindacati cattolici uccisero sindacalisti rivoluzionari per le strade di Barcellona. Layret, lo stesso Seguí... Chiunque avesse un nome all’interno della CNT veniva condannato a morte.

La reazione da parte della CNT e, soprattutto, dei gruppi anarchici che operavano al suo interno, fu fulminante e innescò un conflitto tra uomini armati che durò anni, seppellì la CNT e paralizzò totalmente il movimento operaio. Se nel 1919 il Congreso de la Comedia, il secondo congresso nazionale della CNT (in cui fu accettata l’adesione alla ISR) proclamava che la CNT sarebbe stata in grado di fare la rivoluzione negli anni a venire, solo due anni dopo i sindacati furono sprofondati nella semiclandestinità e tutto il peso organizzativo fu dedicato ad alimentare la lotta armata, nella foga della quale il movimento operaio catalano si disintegrò per diversi anni.

 

Il terzo fatto che caratterizzò il cosiddetto triennio bolscevico fu il movimento dei proletari rurali che, insieme ad alcuni settori dei contadini più poveri, inscenarono durissimi episodi di lotta soprattutto nell’Andalusia orientale e nell’Estremadura. Le occupazioni dei poderi, gli scioperi in intere regioni, i sabotaggi e gli atti di terrore contro i proprietari terrieri, collocarono questa parte del proletariato in posizioni di prim’ordine nella lotta sociale ma, soprattutto, crearono la base politica e organizzativa su cui – quando sopraggiunse la crisi economica del 1929, che in Spagna si manifestò con particolare virulenza nelle campagne – fu possibile il risorgere su larga scala del movimento operaio agrario che avrebbe condotto le vicende di cui abbiamo discusso in due precedenti articoli.

 

FINE DEL TRIENNIO E REAZIONE BORGHESE

 

L’ascesa del movimento operaio durante il periodo che seguì l’inizio della prima guerra mondiale e, soprattutto, durante i tre anni del “triennio bolscevico” finì quando la classe borghese passò, nel suo insieme, all’offensiva. Abbiamo già discusso il caso di Barcellona,   perno del movimento della classe proletaria spagnola, dove il proletariato è stato sconfitto dopo lunghi mesi di serrata accompagnata dal terrorismo volto a liquidare i suoi dirigenti. Senza raggiungere l’intensità del caso italiano, questa offensiva borghese ha avuto un grande peso nella misura in cui è riuscita a riorganizzare le forze disperse delle diverse fazioni della classe dominante che, durante l’ultimo decennio, erano state in contrasto tra loro. Lo ha fatto attraverso il confronto diretto con il proletariato, sì, ma anche promuovendo una soluzione politica alla cosiddetta “crisi della Restaurazione”. Si trattava della dittatura di Primo de Rivera, che deve essere intesa come un patto a tre tra l’establishment militare, l’oligarchia terriera e finanziaria e la borghesia catalana, per imporre un governo forte dopo due decenni di crisi permanente.

Dal punto di vista politico, la dittatura di Primo de Rivera segnò il trionfo della linea dura contro il movimento operaio propugnato dalla borghesia catalana e sostenuto dall’esercito. Questa linea si riassumeva in esecuzioni extragiudiziali per disorganizzare i sindacati e ribaltare le conquiste sindacali degli anni precedenti. In questo senso, l’arrivo del dittatore al governo significava che tutta la classe dominante si impegnava a difendere gli interessi dei padroni catalani e che, quando venne il momento di usare la forza militare in una quasi-guerra localizzata nella regione , tutti i borghesi avrebbero dato il loro contributo. Va sottolineata l’influenza della borghesia catalana: quando si tratta di imporre un dittatore per l’intero paese essa segna una tendenza che è, di fatto, una costante da allora. Non c’è ordine nazionale possibile senza il deciso appoggio di questa borghesia.

L’ascesa della piccola borghesia locale e dei suoi partiti indipendentisti significherà solo il tentativo di legare la classe proletaria locale a questo progetto, anche se, quando sarà il momento, la sua capacità di lottare e reprimere la classe proletaria sarà più sviluppata.

Ma, oltre a dare il colpo di grazia al conflitto del proletariato catalano con la borghesia industriale della regione, il regime di Primo de Rivera (che va dal 1923 al 1930) chiuse l’episodio del conflittualità proletaria, apertosi con lo sciopero del 1917, attraverso la cooptazione del Partito Socialista e dell’UGT al suo governo. Largo Caballero (il futuro “Lenin spagnolo”, come lo chiamavano gli stalinisti durante la Guerra Civile) fu nominato Consigliere di Stato con l’appoggio, all’interno del Partito, dei vertici, ad eccezione di Indalecio Prieto, d’altra parte non sospettato di essere un rivoluzionario...

Oltre a questa nomina, punto culminante della politica di collaborazione con la classe borghese che il PSOE aveva mantenuto negli anni precedenti, i successivi governi della dittatura favorirono il funzionamento legale dell’UGT, mentre perseguitarono ferocemente la CNT. L’obiettivo era chiaro: formare una corrente sindacale collaborazionista capace di spiazzare le tendenze sindacaliste, sempre pericolose e che potevano disturbare il salto economico che avvenne in quegli anni. Insieme a Largo Caballero e all’UGT, la dittatura sviluppò una legislazione sociale e del lavoro volta a indirizzare parte degli ingenti benefici economici che la borghesia nazionale riusciva ad ottenere in un contesto di forte espansione (è l’epoca delle grandi corporazioni nazionali, dello sviluppo del commercio europeo ecc.) fino ai meccanismi obbligatori per mitigare il conflitto tra le classi, cioè sussidi contro la disoccupazione, sanità ecc.

Per PSOE e UGT, il definitivo consolidamento della loro politica collaborazionista portò alla loro già definitiva sottomissione alle istanze della borghesia che, da quel momento in poi, sarebbe dipesa solo da certe alleanze con l’uno o l’altro settore di essa. Dovrà arrivare un’altra dittatura, questa già priva di ogni considerazione, per estromettere, questa volta per quarantacinque anni, il PSOE dal potere.

Per la CNT il fenomeno era più complesso. La lotta di piazza dei pistoleri libertari, inizialmente sorta tra i giovani affiliati a certi sindacati confederali e dopo il contatto tra questi e un sottoproletariato più mercenario che politico, ha dato vita a tutta una generazione di specialisti della famosa “propaganda del fatto”. Quest’ultima, sebbene incarnasse la disperata resistenza di alcuni settori proletari davanti a un padronato assolutamente deciso a sterminarli, esprimeva anche la stessa incapacità della classe proletaria ad accettare la lotta sul terreno proposta dalla borghesia. Mancando un organo di combattimento come solo può essere il partito di classe, che assume senza tentennamenti l’attività militare come uno dei campi su cui sviluppare la propria attività, quella generazione di specialisti della “propaganda del fatto” è stata assolutamente incapace di resistere alle pressioni dei padroni e anche solo di mantenere una minima struttura difensiva, nemmeno in campo sindacale né in quello dei combattimenti di strada. Gli elementi proletari che guidarono questa lotta negli anni dal 1919 al 1923 cedettero quindi alla pressione dei padroni e all’isolamento in cui infine rimasero; gli elementi più significativi lasciarono il paese o andarono in prigione e tornarono o furono rilasciati solo nel 1931.

D’altra parte, la corrente prettamente riformista, maggioritaria nella CNT dal 1917 e alla quale, nonostante le numerose vittime per mano dei sicari dei padroni, si può attribuire il disastro verificatosi dopo lo sciopero del 1919, vide nella successiva sconfitta la conferma delle sue posizioni. Il sindacalismo rivoluzionario della CNT ha, in realtà, una durata brevissima.

Al suo interno vediamo emergere, lungo tutta la sua epoca gloriosa, correnti che trascinano continuamente buona parte della militanza su posizioni molto più simili a quelle dell’UGT che a quelle rivoluzionarie, leggenda che si è costruita sui miti dell’anarco-sindacalismo. Negli anni del declino e della sconfitta del movimento organizzato, queste tendenze si sono rafforzate, vedendo proprio negli esempi di collaborazione governativa tra PSOE e UGT un modo da emulare.

Così si forgiano, almeno potenzialmente, negli anni più duri della dittatura, le due tendenze che concorreranno ai grandi avvenimenti dal 1931 in poi. L’orientamento all’azione per l’azione, ha prodotto  morti e prigionieri di quel tempo, ma ha dato vita agli elementi più caratteristici del periodo successivo (Durruti, Ascaso, García Oliver...) Un’altra, sostenitrice di un sindacalismo di tipo combattivo ma moderato, da quel momento cominciò a porre la necessità di un’azione politica concertata con alcuni settori della borghesia e della piccola borghesia. Fu, infatti, la corrente che successivamente partecipò alle alleanze repubblicane che, insieme al PSOE e ai partiti repubblicani, parteciparono attivamente al passaggio dalla monarchia (già morente nel 1930) alla Repubblica. Essi costituirono le forze d’urto di questa alleanza, ma forze d’urto poste indubbiamente al servizio delle correnti politiche borghesi che accettarono di cambiare regime per garantire la sopravvivenza dello Stato.

 

(Continua nel prossimo numero)

 

 

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