Alla prolungata fase di depressione della lotta di classe del proletariato non si risponde con nuove forme di democrazia ma con la difesa tenace della prospettiva rivoluzionaria
(«il comunista»; N° 179 ; Settembre-Novembre 2023)
La grande difficoltà che il proletariato incontra nel riconquistare il terreno della lotta antagonista di classe poggia su potenti fatti materiali che ne hanno debilitato le forze e la volontà di lottare per il futuro e non soltanto per il presente.
Chi conosce un po’ la storia della Sinistra comunista d’Italia e la storia del nostro partito sa che uno dei fattori che hanno contribuito alla disfatta del movimento rivoluzionario degli anni Venti del secolo scorso è costituito da quella disastrosa ondata opportunista che nella storia del movimento operaio internazionale prese il nome di stalinismo. Lo stalinismo riunì le forme dell’opportunismo riformista e socialdemocratico delle deviazioni teoriche e politiche precedenti aggiungendovi un ingrediente che fino allo scoppio della prima guerra imperialista mondiale non era stato utilizzato da nessuna forza opportunista: la lotta armata, o meglio la lotta partigiana per la difesa della democrazia contro il fascismo e ogni regime apertamente dittatoriale. La vittoria dello stalinismo sull’originale bolscevismo leninista non fu facile. Dovette fare strage della teoria rivoluzionaria marxista – che vide il bolscevismo di Lenin come la sua massima espressione teorica e pratica, dimostrata di fronte alla guerra imperialista, nella conduzione della rivoluzione proletaria in Russia e nella fondazione dell’Internazionale Comunista – e della vecchia guardia bolscevica; il suo obiettivo era di seppellire ogni collegamento, ogni tradizione, ogni ricordo della magnifica lotta rivoluzionaria dal respiro internazionale, prima ancora che russo, che ebbe come protagonista principale il proletariato russo e il suo partito di classe, per piegare l’originale movimento rivoluzionario russo alle sole esigenze storiche dello sviluppo capitalistico in Russia e il movimento proletario internazionale a sostenere quelle esigenze contro gli obiettivi internazionalisti che avevano caratterizzato da sempre il movimento comunista.
La lotta rivoluzionaria che il partito comunista, sotto la guida di Lenin, aveva come obiettivo dichiarato la rivoluzione proletaria internazionale alla cui preparazione e vittoria venivano subordinate le forze rivoluzionarie di Russia, fu deviata dallo stalinismo su obiettivi non solo economici – la cui esigenza storica era stata già messa in risalto da Lenin con la NEP, solo per poter resistere in attesa della rivoluzione in Europa – ma soprattutto politici. La rivoluzione nazionale, storicamente necessaria data l’arretratezza economica e sociale della Russia dell’epoca, prese il sopravvento sulla rivoluzione internazionale che tardava a maturare. Fatti materiali, questi, del tutto spiegabili per i marxisti, ma il colpo di grazia al movimento rivoluzionario internazionale è stato dato dalla politica che mistificò le ragioni di Stato russe come ragioni imprescindibili della lotta proletaria nel mondo. La teoria della «costruzione del socialismo in un solo paese» è stata il coronamento dello stravolgimento completo del marxismo in quanto teoria della rivoluzione mondiale del proletariato, e della degenerazione irreparabile del movimento comunista internazionale.
Dall’abisso in cui era stato sprofondato il movimento comunista e proletario a livello mondiale non si poteva risalire se non riprendendo il lavoro di restaurazione teorica del marxismo – sulla traccia di quanto già Lenin aveva fatto nei primi vent’anni del secolo scorso – ricollegandosi all’esperienza storica del movimento comunista internazionale nella quale emerse con grande forza la corrente della Sinistra comunista d’Italia. Questa corrente, a cui noi siamo strettamente legati – a differenza del trotskismo, del bucharinismo, del luxemburghismo, dell’ordinovismo, del tribunismo olandese e di tutte lealtre minicorrenti che si opposero allo stalinismo – aveva poggiato la sua attività su salde basi di lotta contro la democrazia, il nazionalismo, lo sciovinismo, l’anarchismo, il sindacalismo, l’operaismo alla stessa maniera di Lenin, ma con una differenza: la sua lotta aveva come sfondo la società borghese avanzata, un regime democratico operante da lungo tempo e un radicato riformismo socialista e, all’occorrenza, «massimalista», che in Russia oggettivamente non poteva aver avuto il tempo per radicarsi come in Europa occidentale.
E’ su questa tradizione marxista che la corrente della Sinistra comunista d’Italia ha potuto lasciare ai militanti comunisti rivoluzionari che sopravvissero allo tsunami stalinista un profondo solco su cui far ricrescere il movimento rivoluzionario.
Abbiamo detto della lotta contro la democrazia come una delle caratteristiche principali della nostra corrente. Le vicende legate alla vittoria del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, all’inquadramento del proletariato mondiale nella seconda guerra imperialista mondiale in difesa della democrazia contro il nazifascismo, e al coinvolgimento del proletariato alla ricostruzione postbellica e alla crescita economica di ogni capitalismo nazionale in nome di una civiltà che nella democrazia ha trovato la sua più alta rappresentazione, fanno capire quanto è profondo l’abisso in cui si è trovato e si trova il proletariato mondiale.
Abbiamo anche detto che le potenze democratiche occidentali hanno sì sconfitto il fascismo sul terreno militare, ma il fascismo ha vinto sul piano politico ed economico. Il fascismo ha rappresentato al meglio lo sviluppo capitalistico nella sua forma imperialista (concentrazione capitalistica, supremazia del capitale finanziario, aumentata oppressione delle nazioni deboli) e ha lasciato in eredità ai regimi democratici la sua migliore politica per catturare il sostegno dei proletari: istituzionalizzare la collaborazione tra le classi.
Che cos’è, infatti, la democrazia imperialista se non la massima espressione della concentrazione capitalistica, della supremazia del capitale finanziario e della politica di collaborazione tra le classi? La Sinistra comunista d’Italia aveva visto giusto, aveva coerentemente utilizzato il marxismo per una esatta valutazione della situazione storica, prima e dopo il fascismo, prima e dopo la rivoluzione proletaria e comunista contro la borghesia dominante, in grave pericolo, che scovò il fascismo come lo strumento che poteva dare il colpo di grazia al movimento rivoluzionario del proletariato dopo che questo era stato indebolito, deviato, sabotato, dalle forze opportuniste della socialdemocrazia riformista e da un massimalismo socialista a parole «rivoluzionario», nei fatti sabotatore della vera lotta rivoluzionaria.
Le lezioni che il nostro partito ha tratto dalle rivoluzioni e, soprattutto, dalle controrivoluzioni, ci hanno detto e ci dicono che il cammino per la ripresa della lotta di classe del proletariato è molto più impervio di quanto non fosse stato negli anni Venti del secolo passato, ma che non lo si facilita abbandonando i dettami teorici e programmatici del marxismo, innovandoli, con l’idea che, dalla vittoria borghese, i comunisti dovrebbero riprendere le armi politiche che la borghesia ha utilizzato per vincere, i suoi programmi sociali ed economici aggiustandoli in favore delle esigenze di vita delle masse lavoratrici in attesa di poter riproporre ad esse il salto di qualità rivoluzionario, passando dal capitalismo al socialismo. Si tratterebbe, in sostanza, di utilizzare la democrazia, le istituzioni democratiche affinché le masse lavoratrici prendessero coscienza non solo della loro forza potenziale - «sono le masse lavoratrici che sostengono il paese», come gridano i sindacalisti collaborazionisti - ma anche della loro capacità di «gestire» il paese, la sua economia, le sue istituzioni, il suo governo.
Non è cosa nuova: bisogna dare al riformismo socialista quel che è del riformismo socialista, e cioè la politica dei piccoli passi, della graduale conquista di obiettivi parziali, locali, minimi per «allenarsi» a governare, a dirigere le aziende, a prendere confidenza con il «potere politico». Ma il riformismo socialista ha tradito la lotta proletaria, ha abbracciato la causa della borghesia dominante sia per quel che riguarda la «crescita economica» - ossia l’aumento dello sfruttamento della forza lavoro operaia -, sia per quel che riguarda la guerra commerciale e la guerra guerreggiata a cui i contrasti interborghesi inevitabilmente portano, come la storia della società borghese dimostra da duecento anni.
Sul filo del tempo della tradizione proletaria e comunista, noi rigettiamo qualsiasi programma, qualsiasi approccio, qualsiasi iniziativa, qualsiasi attività che si rifanno alla democrazia. Questa è sempre di più un cadavere che cammina, un peso colossale sulle spalle del proletariato; è una sostanza tossica che debilita e svilisce non solo la lotta politica di domani, ma anche la lotta proletaria di difesa immediata. Nella realtà la collaborazione di classe è la politica che prepara e abitua i proletari a pensare come i borghesi, a fare quel che serve per la difesa degli interessi borghesi, a metter in campo la propria forza sociale perché la borghesia dominante continui a dominare, continui a sfruttare il lavoro salariato, continui a gettare nell’emarginazione e nella povertà assoluta milioni di esseri umani, continui a trasformare il proletariato da carne da dare in pasto ai macchinari dell’industria a carne da macello da usare in guerre che nulla possono «risolvere» a favore delle masse lavoratrici.
La propaganda borghese continua a sostenere che lo sviluppo progressivo e senza scosse del capitalismo è garantito dalla coesione nazionale, dalla collaborazione di tutti gli strati sociali partecipando al benessere economico e sociale di tutti facendo «ognuno la sua parte» – ossia che il capitalista investa i suoi capitali e diriga le sue aziende in modo produttivo e concorrenziale, che il proletario metta a disposizione la sua forza lavoro contro un salario che lo faccia vivere dignitosamente, che il parlamentare usi la capacità di dialogare con tutti gli altri parlamentari per raggiungere accordi utili a «tutti i cittadini», che il poliziotto si attenga alla difesa dell’ordine stabilito e che contrasti tutto ciò che è illegale, che il giudice usi le leggi con buon senso ecc. ecc. Insomma, che le cose vadano avanti sulle stesse basi su cui sono state portate avanti finora, solo con la volontà di smussare gli spigoli più acuti, di essere meno attaccati al propri interesse personale, di essere più collaborativi, più partecipativi, pensando anche ai più «sfortunati», ai più disagiati... Di questi tempi perfino la Chiesa di Roma alza la voce contro le disuguaglianze, le disparità, la povertà assoluta, la guerra.
Ma i proletari di oggi vivono in condizioni sociali e di lavoro che accettano come qualcosa che non si può cambiare se non grazie alla buona volontà dei padroni, dei potenti, o di uno Stato che per una volta faccia gli interessi dei lavoratori e non soltanto degli imprenditori. I proletari vivono la disuguaglianza sociale come un dato di fatto che è capitato e che può essere attutito solo a patto che i governanti, gli amministratori del potere nazionale e locale, facciano qualcosa in tal senso. Vivono nell’illusione che gli strumenti politici e partici della democrazia possano essere utilizzati per cambiare questo stato di cose; ma vivono anche le continue delusioni ad ogni tornata elettorale, ad ogni governo che si forma, ad ogni fabbrica che chiude, ad ogni lettera di licenziamento che arriva magari per e-mail, ad ogni sciopero che non conclude nulla. Evidentemente il fondo non è stato ancora toccato. I proletari stanno continuando a dare fiducia alla democrazia.
Da partito marxista sappiamo che non è la volontà di singoli o di gruppi che può cambiare la situazione; tanto meno se applicata al sistema democratico in cui il pensiero di una maggioranza dovrebbe essere sacro, ma sappiamo per dimostrazione storica che la maggioranza la pensa sempre come il potere borghese vuole. Il vero problema del «cambiamento» sta nelle condizioni materiali insostenibili in cui i proletari vengono e verranno precipitati, perché la forza delle contraddizioni sociali del capitalismo è decisiva rispetto alla «volontà» di qualsiasi governo. Allora i proletari saranno spinti sul terreno della lotta senza quartiere per la propria sopravvivenza e potranno riconoscere su questo terreno chi è dalla loro parte e chi è contro.
Il partito di classe che non deraglia dalla prospettiva e dal programma della rivoluzione proletaria deve prepararsi a quella situazione, perché sa che quando si presenterà il proletariato non potrà aspettare che il partito di classe si formi e lo diriga: dovrà già esistere ed essere influente.
Partito Comunista Internazionale
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