Nell’America di Trump le finalità storiche del proletariato non cambiano

(«il comunista»; N° 184 ; Dicembre 2024)

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La situazione mondiale, in quest’ultimo periodo, è segnata da due guerre che toccano direttamente gli interessi delle maggiori potenze imperialistiche – in Ucraina e in Israele/Palestina – da scontri economico-politici con inevitabili appendici militari nell’intero Medio Oriente – Libano, Siria, Iran, Yemen –, da crescenti tensioni sulle vie di comunicazione marittime strategiche - Baltico, Mar Nero, Mar Rosso, Golfo Persico, Indo-Pacifico, Mar Cinese e dintorni -, dai paesi dell’Africa sub-sahariana in continua ebollizione in cui si ridisegnano influenze e alleanze sullo sfondo di guerriglie a fronte delle quali le vecchie potenze coloniali occidentali vengono sempre più estraniate dai territori che un tempo dominavano e nei quali penetrano con sempre maggior baldanza gli imperialismi orientali; una situazione mondiale che sempre più rivela quel che il marxismo ha da sempre previsto : la concorrenza tra i grandi Stati imperialisti, affamati di territori economici e di nuovi mercati per le proprie merci e per i propri capitali, non solo aumenta il loro antagonismo, ma li spinge sempre più a una guerra generalizzata che avrà lo scopo di ridisegnare un nuovo ordine imperialistico mondiale nel quale le attuali potenze dominatrici del mondo – Stati Uniti d’America e Cina, con il loro codazzo di potenze imperialistiche di secondo e terzo grado – tenteranno di sopraffarsi reciprocamente al fine di far prevalere sull’intero pianeta i propri interessi. In questa situazione si sono tenute le elezioni presidenziali in America dalle quali non solo l’Occidente, ma il mondo borghese generale attende di conoscere il proprio destino.

Non si può, quindi, trattare il tema se non partendo dal cambio della guardia alla Casa Bianca sancito dalla vittoria di Trump il 6 novembre scorso.

Riprendiamo infatti, per iniziare, la nostra presa di posizione pubblicata il 18 novembre nel sito www.pcint.org, L’elezione di Trump e la classe operaia americana :

 

Mentre i sondaggi d’opinione annunciavano come più probabile la vittoria di Kamala Harris con un punteggio molto vicino alla vittoria, è stato invece rieletto l’ex presidente Donald Trump per un secondo mandato dopo la sua sconfitta nel 2020. Trump non solo ha ottenuto il maggior numero di « grandi elettori » dei vari Stati, ma ha anche raccolto il maggior numero di voti a livello nazionale – la prima volta per un presidente repubblicano dai tempi di George Bush nel 2004 : 50,1% dei voti contro il 48,3% di Kamala Harris, mentre all’epoca della sua vittoria nel 2016 aveva ottenuto solo il 45% dei voti (rispetto al 48,2% di Hillary Clinton), ma avendo superato Hillary Clinton nel numero dei grandi elettori, ottenne la presidenza. Sebbene la percentuale di astensioni sia stata questa volta più elevata rispetto alle ultime elezioni presidenziali (36% rispetto al 34% nel 2020, il tasso più basso da decenni, e al 40% nel 2016), ha raccolto oltre 2.000.000 di voti in più, mentre la candidata democratica ha perso oltre 8 milioni. Le analisi del voto mostrano che l’astensione è aumentata  nelle zone in cui, nel 2020, avevano votato prevalentemente democratico ; la percentuale di elettori per Kamala Harris è diminuita sia tra i bianchi che tra i neri e i latini, tra gli uomini e tra le donne (in egual proporzione) ; ha solo aumentato il suo punteggio rispetto a quello di Joe Biden tra gli elettori over 65 e quelli con i redditi più alti (più di 100.000 dollari all’anno) (1). Questi pochi dati dimostrano che la sconfitta elettorale della candidata democratica non è dovuta principalmente a pregiudizi razziali o misogini. 

Né gli eccessi verbali e le fake news del candidato Trump e dei suoi sostenitori, né gli appelli a votare per Harris in nome della difesa della democrazia contro un « fascista » condannato dai tribunali, né le posizioni delle star dello spettacolo, né le dichiarazioni dei maggiori economisti sulla buona salute dell’economia americana, sono riusciti a generare una mobilitazione di elettori paragonabile a quella che ha portato Joe Biden alla vittoria nel 2020. Per milioni di elettori di quest’ultimo, soprattutto tra gli strati più svantaggiati, sono la disillusione e il malcontento a dominare : in questi 4 anni le disuguaglianze sono aumentate ; i più poveri, i proletari, si sono impoveriti ancor di più e anche settori delle classi medie sono stati colpiti da un’inflazione mai raggiunta a questi livelli da circa quarant’anni : mentre i capitalisti e gli investitori in borsa hanno visto aumentare, a volte in modo spettacolare, i loro guadagni.  

Le elezioni sono sempre uno specchio molto distorto dello stato d’animo della popolazione in generale e dei proletari in particolare ; il sistema democratico si è perfezionato nel corso dei decenni per intossicare gli sfruttati, ridotti allo stato di elettori ingordi di propaganda. Il circo elettorale, riccamente dotato (si calcola che siano stati spesi dai vari partiti quasi 16 miliardi di dollari per la propaganda elettorale di quest’anno, un record) (2), ha la funzione primaria di deviare le aspirazioni, le frustrazioni, i malumori degli elettori sul terreno, innocuo per l’ordine borghese, della competizione tra diversi partiti e candidati al servizio dei capitalisti (quando questi candidati non sono essi stessi miliardari come Trump, il candidato presumibilmente avversario delle élite e del ceto dirigente !). Citando Marx, Lenin ribadiva : la « caratteristica essenziale della democrazia capitalista » è quella di convincere gli oppressi a « decidere una volta ogni qualche anno quale membro della classe dominante debba opprimere, e schiacciare  il popolo nel  Parlamento ».

Questo malcontento dei proletari, di cui si ritrova traccia nelle peripezie elettorali, si manifesta sul terreno reale dei rapporti tra le classi attraverso un rinnovamento della combattività operaia. Lo sciopero durato 7 settimane di oltre 30.000 operai della Boeing, che per due volte hanno rifiutato gli accordi raggiunti tra la direzione e il sindacato IAM, ne è l’esempio più recente. Secondo le statistiche ufficiali, che elencano solo gli scioperi che hanno coinvolto più di 1.000 lavoratori, nel 2023 (ultimi dati disponibili) hanno scioperato più di 450.000 proletari, un numero mai raggiunto da diversi anni (4).

L’elezione di Trump rappresenta l’ascesa alla presidenza di un avversario dei proletari ; ma Biden-Harris e il Partito Democratico hanno dimostrato, se ancora fosse necessario, di non essere affatto, come amano presentarli i leader sindacali ultra-opportunisti, « amici dei lavoratori » ; costoro non hanno esitato a spezzare scioperi come quello dei ferrovieri, a intervenire per fermarne altri come alla Boeing, o a espellere più immigrati privi di documenti di quanto abbia fatto Trump. Coloro che, nonostante la politica criminale all’estero (Israele...) e la politica antioperaia all’interno dei Democratici, chiedono ai proletari di sostenerli in nome del « male minore » o della « difesa della democrazia », sono infatti gli avversari più insidiosi del proletariato. Per difendersi dai capitalisti e dal loro Stato, i proletari non possono infatti contare che sulla propria lotta, di classe ; devono respingere non solo gli orientamenti nazionalisti, razzisti e xenofobi diffusi principalmente (ma non solo) dalle correnti di destra e di estrema destra : devono anche rompere con tutti i falsi « amici » che li incatenano alla mortale collaborazione di classe con i capitalisti in cui i loro interessi vengono sacrificati a quelli dell’azienda o dell’economia nazionale.  

Il periodo che si apre sarà inevitabilmente segnato da raddoppiati attacchi contro i proletari americani, non per la cattiva volontà di Donald Trump, ma perché lo richiedono le difficoltà economiche degli Stati Uniti e l’aggravarsi delle tensioni inter-imperialistiche.

Come i loro compagni di altri paesi, i proletari americani dovranno trovare la via della lotta e dell’organizzazione indipendente di classe per affrontarla ; ma dovranno anche ricostituire il loro partito di classe internazionalista e internazionale : un compito per nulla facile né rapido, ma essenziale affinché le lotte che si prospettano per la classe operaia possano essere indirizzate al rovesciamento rivoluzionario del capitalismo.

In questa presa di posizione abbiamo messo l’accento su una realtà che non ci piace, ma che bisogna guardare in faccia comprendendone le cause : la prepotenza del potere politico borghese non va soltanto vista nei modi di fare, di presentarsi e di parlare dei suoi esponenti maggiori, ma va anche considerata in relazione alla generale sottomissione in cui è precipitata la classe proletaria in America, e non solo.

Più il proletariato è sottomesso e rinunciatario, più i borghesi si prendono gioco di lui, lo ingannano, lo scherniscono, lo trattano come una merce che ha sempre meno valore ; solo quando i proletari alzano la testa, scendono in lotta, mostrano il lato antagonista dei rapporti sociali con la borghesia e la volontà di usare la forza per ottenere soddisfazione alle proprie esigenze immediate, allora i borghesi  sono pronti a « dialogare », e mostrano di interessarsi alle loro richieste e non c’è elezione politica o amministrativa che passi senza che vi siano i candidati a essere eletti nelle istituzioni democratiche, nazionali o locali, che non  dichiarino di impegnarsi a soddisfare le loro esigenze più impellenti. A detta dei cronisti dei vari media americani, Trump ha caratterizzato la sua campagna elettorale promettendo ai lavoratori di lottare contro l’alta inflazione e contro la concorrenza dei prodotti non americani sia per alzare il valore dei salari sia per aumentare la produzione nazionale e combattere la concorrenza straniera al fine di difendere posti di lavoro americani. Ma già nel settembre dell’anno scorso, durante lo sciopero nelle Big Three (Ford, GM e Stellantis), sia Biden che Trump erano intervenuti « in sostegno » delle rivendicazioni operaie ; chi, come Biden, andando fra gli scioperanti della GM a Wayne, per affermare : « Le compagnie fanno profitti enormi e devono dividere gli utili con i lavoratori. Meritate aumenti significativi », e chi, come Trump, a Detroit per il suo comizio elettorale, dichiarando : « Sono qui per difendere la working class, combattere la classe politica corrotta, proteggere il lavoro made in Usa e l’american dream sul prodotto straniero » (in particolare, contro la produzione cinese, molto più avanzata nel settore dell’auto elettrica). I colpevoli delle condizioni misere di vita degli operai, dunque, sarebbero i superprofitti (per Biden), i prodotti stranieri, soprattutto cinesi (per Trump) (5).

Niente di nuovo sotto il sole !

Quando i politici borghesi sostengono che i lavoratori salariati hanno ragione nel rivendicare salari più alti e più sicurezza per i posti di lavoro, fanno il loro lavoro di imbonitori. Dall’alto dei loro privilegi sociali e dei loro miliardi non costa nulla lanciare qualche parola a sostegno delle rivendicazioni di base dei proletari, ma nessuno di loro si sogna di spiegare ai proletari come – grazie al loro intervento, per il quale chiedono il voto – le loro condizioni generali di vita miglioreranno. Quel che si sentono di dire è che soltanto attraverso la "crescita economica", quindi l’aumento della produttività, e la vittoria nelle guerre di concorrenza le condizioni di vita dei proletari potranno migliorare. Naturalmente, se le imperscrutabili leggi del mercato non mettono i bastoni tra le ruote...

Riusciranno i nostri "eroi" a piegare le leggi economiche del capitalismo secondo le quali è  lo sfruttamento sempre più intenso del lavoro salariato che garantisce i profitti e i sovraprofitti capitalistici, ed è l’iperfolle produzione mercantile a creare la concorrenza sempre più spietata nel mercato internazionale e a provocare le crisi economiche che ormai da più di un secolo e mezzo sono crisi di sovraproduzione ?

Ogni intervento che i poteri borghesi cercano di adottare per risolvere le contraddizioni insiste nello stesso modo di produzione capitalistico può portare una temporanea attenuazione della pressione sulle condizioni generali di vita delle masse proletarie, ma si è sempre rivelato e si rivelerà costantemente inefficace. Se un settore operaio viene pagato meglio è perché gli altri settori operai sono pagati peggio. La produzione capitalistica è talmente interconnessa in tutti i suoi segmenti e le sue fasi lavorative, e a livello internazionale, da dover tener conto, quanto a costi di produzione, una continua e oscillante media dei prezzi di tutti i vari componenti necessari alla produzione finale (basti pensare ai costi energetici) e della forza lavoro da impiegare, compresi i costi di magazzinaggio, di conservazione, di distribuzione e di smaltimento delle quantità invendute.

Soltanto in determinate fasi dello sviluppo capitalistico, per la borghesia dominante dei paesi industrializzati è stato possibile intervenire efficacemente a favore delle condizioni generali di esistenza delle masse proletarie. Ad esempio, finita la seconda guerra imperialista mondiale, le borghesie di tutti i paesi avanzati, sia quelli che non sono stati distrutti dalla guerra (come gli Stati Uniti, il Canada, la Spagna ecc.), sia quelli in cui era prioritaria la ricostruzione postbellica (la maggior parte dei paesi europei, il Giappone, la Russia ecc.) – e per entrambi significò entrare in una fase di grande espansione economica – adottarono una politica che in precedenza, durante il lungo periodo del classico e illimitato liberismo, non avevano mai adottato :

« una forma di autolimitazione del capitalismo » che conduce « a livellare intorno a una media l’estorsione di plusvalore » (6), cioè « un nuovo metodo pianificatore di condurre l’economia capitalistica ».

Questa non è stata certo una politica dovuta alla buona volontà dei capitalisti che, dopo l’immane olocausto della guerra mondiale, si sono ripromessi di non essere più spietatamente voraci di profitti e di sangue come prima della guerra. In realtà, la borghesia dominante ha tirato una lezione non solo dalla guerra appena finita, ma da tutte le guerre precedenti e da come ha reagito il movimento proletario sia allo sfruttamento capitalistico sia alla guerra capitalistica – fin dal 1848 europeo, e nel 1871 parigino, nel 1917 russo, nel 1919 tedesco. Ebbene, per non trovarsi nuovamente a dover affrontare un movimento rivoluzionario di un proletariato che a sua volta aveva accumulato esperienza e tradizione classista e comunista, le borghesie, finita la guerra e mentre stavano spartendosi il mondo in zone di influenza, sulla base dell’esperienza fatta dalla borghesia italiana e da quella tedesca nel primo dopoguerra col fascismo, hanno dedotto che ciò che serviva loro per consolidare il proprio potere politico era applicare in generale, istituzionalizzandola, la politica della collaborazione di classe introdotta dal fascismo, e rafforzarla con il nuovo metodo di programmazione economica sopra ricordato, appunto con quella autolimitazione nell’estorsione di plusvalore intorno a una media che soddisfacesse le esigenze dei capitalisti, ma, nello stesso tempo, che tacitasse in forma più generalizzata possibile i bisogni più impellenti delle masse proletarie. La politica dei cosiddetti ammortizzatori sociali risponde esattamente a questa impostazione. Averla presentata e adottata sotto le forme democratiche invece che totalitarie e fasciste come era stata a suo tempo emanata dall’Italia fascista e, in forma molto più organizzata, dal nazionalsocialismo tedesco, ha senza dubbio contribuito a legare alla sorte dell’economia e della politica borghese le grandi masse proletarie, tanto più dopo  che sono state ingannate, disorientate, tradite dal comunismo ufficiale che si era imposto sotto il nome di Stalin.

Lo sviluppo del capitalismo nella fase imperialista – aldilà delle ciance che la democrazia sforna circa le infinite libertà – va contro proprio quelle libertà perché, in economia tende a costituire monopoli economici sempre più grandi e potenti tali da piegare gli Stati ai loro interessi e, in politica, tende ad aumentare l’autoritarismo che non è altro che l’anticamera dell’aperto totalitarismo. Lo Stato, che viene spacciato come il massimo organismo al di sopra delle classi e in grado di conciliare gli interessi di tutti gli strati sociali, in realtà è da sempre lo strumento di difesa non dei « diritti di tutti », ma degli interessi dei grandi poteri economici e finanziari contro i diritti e gli interessi di tutti coloro che non sono stati risucchiati da quei grandi poteri economici e finanziari. La scorsa pandemia di Covid-19 ha dimostrato ampiamente questa realtà, anche se rivestita di forme democratiche e parlamentari.

 

LE CONDIZIONI DI BASE DEI PROLETARI SONO LE STESSE, IN AMERICA COME IN OGNI PARTE DEL MONDO

 

Quando la borghesia sente il bisogno di coinvolgere le masse proletarie a sostegno dei suoi interessi generali – ad esempio  in occasione di elezioni politiche o di tensioni che precedono scontri di guerra – scatta regolarmente la macchina propagandistica con la quale gli esponenti di punta dei vari partiti che si contendono gli scranni del governo sciorinano i soliti ritornelli sulla difesa della produzione nazionale, della famiglia, dei lavoratori, dei diritti democratici... e una delle leve utilizzate per accumulare più voti è certamente quella di promettere ai lavoratori che le loro condizioni immediate miglioreranno grazie a tasse inferiori e a investimenti maggiori nella produzione nazionale, e ciò – a loro dire – permetterà di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle gradi masse lavoratrici. In questo modo i borghesi si occupano dei lavoratori salariati in quanto classe per il capitale, cioè classe esclusivamente per il capitale e la sua valorizzazione. Il capitale viene valorizzato, come ha dimostrato Marx, soltanto attraverso il lavoro salariato, ossia lo sfruttamento sistematico e sempre più intensivo dei lavoratori salariati.

E’ ovvio che gli interessi immediati della classe proletaria riguardano le sue condizioni di lavoro e di vita all’interno del sistema di produzione capitalistico, e da questo sistema non escono. Le condizioni di vita proletarie dipendono dal regime salariale che regola il rapporto tra lavoratori e capitalisti, e dalle condizioni di lavoro in cui vengono inseriti. Se non lavora, il proletario non mangia ; il fatto è che non c’è lavoro per tutti i proletari che il capitalismo crea. Perciò la disoccupazione, ossia l’esercito industriale di riserva, è una realtà indissolubile dal capitalismo. Questo esercito industriale di riserva è a disposizione del capitale e non ha altra possibilità che premere inevitabilmente sull’intera classe proletaria sviluppando quel che in ambito mercantile è naturale : la concorrenza con i proletari occupati. La forza lavoro disoccupata rappresenta nello stesso tempo una merce a basso costo, ma anche una merce che non trova sempre sbocco nel suo specifico mercato, il mercato del lavoro. Come per le merci che non trovano sbocco nel mercato,  anche per questa merce-forzalavoro il destino è lo stesso : la svendita o il rifiuto. Ogni città ha ormai le sue banlieues, le sue periferie, i suoi slums ; più il capitalismo si sviluppa, più le città si ampliano e più si dividono in una piccola parte centrale, ricca, signorile, zeppa di negozi e di locali di lusso, di sedi delle grandi industrie e delle grandi banche, in una parte più grande destinata alla cosiddetta classe media e alla piccola borghesia e una parte ancor più vasta, periferica, degradata, mal servita destinata al proletariato e al sottoproletariato. Naturalmente il disordine economico che caratterizza il capitalismo, con le sue crescite, le sue crisi e le sue recessioni, si riflette anche nella mappa delle città tanto da modificarla sempre più frequentemente sia attrezzandola con nuove linee di trasporto sia utilizzando determinate zone e terreni ricavati sventrando interi quartieri per far posto a nuovi edifici e lucrando a man bassa sulle rendite del suolo. Da questo punto di vista, le città americane hanno mostrato al mondo in che cosa consista il « progresso » delle città moderne, differenziando i quartieri « residenziali », la cosiddetta city fatta di grattacieli, di edifici lussuosi dove hanno sede le grandi banche, la borsa, le grandi multinazionali, dai quartieri popolari e operai per finire nelle estreme periferie dove si concentrano le masse immigrate, impoverite, disoccupate ed emarginate, quartieri notoriamente dimenticati dalle istituzioni pubbliche, salvo le istituzioni poliziesche.

Data la dipendenza totale del proletariato dal capitale, il posto di lavoro, assume per ogni singolo proletario un’importanza prioritaria, perché senza lavoro il proletario non mangia. Il proletario vende la sua forza lavoro al capitalista, in cambio riceve un salario ; ma se non riesce a venderla in cambio non riceve nulla se non emarginazione.

La separazione dei proletari di oggi dalle lotte del passato e dalla tradizione classista del passato ha fatto perdere del tutto quel che i proletari non solo europei ma anche americani dell’Ottocento e della prima metà del Novecento avevano acquisito. Anzi, si può dire che, proprio l’impianto diretto del capitalismo in America senza passare attraverso la lunga fase storica del feudalesimo, ha posto le basi perché nel giovane proletariato americano si presentassero fin dall’inizio quegli elementi sociali che in Europa richiesero decenni e decenni, come l’aristocrazia operaia che coesisteva con le masse di lavoratori indistintamente immigrati e migranti, plurinazionali e plurirazziali che tendenzialmente erano unificate dalle condizioni immediate di vita e di lavoro al di là delle differenze di origine. L’organizzazione sindacale dei proletari tendeva ad assumere fin dall’inizio le caratteristiche di un antagonismo violento e tendenzialmente rivoluzionario, come dimostra la storia della Western Federation of Miners e, soprattutto, degli Industrial Workers of the World (IWW, conosciuti come i wobblies) che rappresentarono tra il 1905 e il 1920 molto più di un’associazione di difesa economica, un sindacalismo rivoluzionario tendente alla solidarietà di classe, al « potere operaio » alla grande unione per l’emancipazione operaia , e che non si voleva limitare alle armi di difesa contro gli effetti del capitalismo sulla vita degli operai, ma anche a imboccare la via per l’emancipazione dal capitale (7). Nonostante la lontananza dalle esperienze rivoluzionarie del comunismo europeo, e bolscevico in particolare, con il quale, attraverso l’allora principale rappresentante degli IWW, Big Bill, entrò poi in contatto nel 1919, alla costituzione dell’Internazionale Comunista, le basi stesse su cui gli IWW si erano organizzati favorivano quello che avrebbe potuto essere il futuro salto politico dei wobblies verso il comunismo rivoluzionario ; salto che non si produsse a causa soprattutto della mancata rivoluzione proletaria in Europa e della degenerazione che aggredì qualche anno dopo l’Internazionale Comunista. Ed è anche a causa di questo mancato sviluppo politico del movimento operaio americano, e della vittoriosa controrivoluzione che riuscì a sconfiggere sia la rivoluzione comunista sia in Russia sia internazionalmente, che il già presente e interclassista sindacato AFL prese alla fine il sopravvento, facendo indietreggiare per decenni il proletariato americano dal terreno della lotta classista a quello dell’interclassismo e del collaborazionismo coi capitalisti. 

Ed è con questa situazione del tutto sfavorevole alla lotta di classe che anche il proletariato americano deve e dovrà fare i conti se vuole non solo difendersi sul terreno economico immediato, ma intervenire sul terreno politico anticapitalistico più generale che è l’unico terreno sul quale si può svolgere la lotta per l’emancipazione del proletariato dal capitalismo ; perché il proletariato abbandoni la caratteristica di essere classe per il capitale, e assuma la sua caratteristica storica di classe per sé, di classe rivoluzionaria.

La borghesia americana non ha maturato direttamente i secoli di dominio  di classe e internazionale che può vantare la borghesia inglese, o quella francese, ma proprio la sua giovane costituzione come classe dominante, dopo aver  vinto contro la borghesia inglese colonizzatrice e aver successivamente vinto nella guerra di secessione contro il sud retrogrado e schiavista, le ha aperto la possibilità sia di sfruttare a 360 gradi le immense risorse minerarie e naturali del suo vasto territorio, sia di spingere il forsennato sviluppo tecnico e scientifico da applicare all’industria nazionale per poter aggredire la concorrenza sul mercato internazionale con molti punti a favore. Il capitalismo americano, così, esprimeva contemporaneamente sia la tendenza borghese all’interclassismo cercando di consolidare il legame con l’aristocrazia operaia, e un pacifismo sociale sull’onda plurinazionale e plurirazziale del « siamo tutti americani », sia la tendenza contraria, di violento antagonismo con le masse operaie, agendo sulle discriminazioni nazionali e razziali, schiacciandole in condizioni di miseria e di precarietà e salvando soltanto gli strati professionali più istruiti pagandoli meglio e concedendo loro privilegi e benefici tanto da farli sentire membri non della classe operaia ma della middle class.

In realtà, come hanno dimostrato negli anni le grandi lotte nei settori automobilistico, edilizia, trasporti, aeroporti ecc., che quasi improvvisamente hanno scosso gli equilibri poggianti su una persistente collaborazione fra le classi, quel che è mancato e manca al proletariato americano è l’esperienza classista e rivoluzionaria che ha conosciuto invece il proletariato europeo. Il grave problema storico che riguarda la classe proletaria d’America consiste nella difficoltà della penetrazione del marxismo – e, quindi, della maturazione rivoluzionaria del movimento operaio – che il movimento proletario in Europa invece ha avuto nella sua storia passata e che, attraverso i moti del 1848, la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione russa dell’ottobre 1917 e i tentativi rivoluzionari degli anni Venti del secolo scorso, ha potuto saggiare fisicamente il valore storico – sul terreno della lotta di classe portata fino in fondo, fino alla presa del potere e alla sua gestione – di quella lotta, il valore storico della rivoluzione proletaria e socialista a cui ricollegarsi dopo le sconfitte subite. E questa condizione storica pone ai comunisti europei il compito di importare il marxismo anche nelle file del proletariato americano.

Il movimento proletario americano si è mosso storicamente all’ombra dello sviluppo politico della giovane classe borghese dominante, assimilando in un periodo molto breve la visione ideologica borghese dominante socialmente e nazionalmente secondo la quale essere americani, aldilà della condizione sociale, della nazionalità o della razza d’origine, era una “qualità” riconosciuta internazionalmente di cui godevano sia i borghesi che i proletari, e di cui andare fieri. Ciò naturalmente non significava, e non significa, che non ci fosse e ci sia un feroce razzismo dei bianchi dominanti verso la popolazione nera, gialla o verso i chicanos. Il razzismo è parte integrante dell’ideologia di dominio economico, sociale e culturale della borghesia bianca americana, anche se in ambiente democratico. D’altra parte, l’antagonismo sociale tra gli sfruttati (i proletari) e gli sfruttatori (i borghesi) è più forte dell’ideologia democratica perché poggia sulle condizioni materiali e storiche delle classi, e nessuna ideologia può farlo scomparire. Ciò non toglie che l’impianto di un capitalismo moderno in un vasto territorio vergine come quello americano costituisse una condizione storica molto particolare per questo paese, facilitando il coinvolgimento del proletariato (doppiamente schiavizzato se nero sebbene poi “liberato” dalla schiavitù razziale), che col suo lavoro – dunque con l’intenso sfruttamento della sua forza lavoro – contribuì a rendere ideologicamente e materialmente grande l’America quanto la rende grande il capitale. Perfetta sintesi di come la classe del proletariato viene considerata dalla borghesia esclusivamente classe per il capitale.

Le lotte del proletariato americano si sono caratterizzate nel tempo per un’altissima conflittualità sociale, ma non sono mai riuscite a esprimere avanguardie politiche se non a livello del combattivo sindacalismo dei wobblies, o degli anarchici, senza però trovare un riscontro sul piano della formazione del partito politico di classe ; riscontro che può e potrà trovare soltanto attraverso la penetrazione nel movimento operaio stesso del marxismo – dunque della teoria della rivoluzione comunista, unica via per l’emancipazione proletaria dal capitalismo. Obiettivo decisivo, questo, non solo per il proletariato americano, ma per il proletariato mondiale perché non si potrà dire di aver vinto definitivamente il capitalismo se non lo si colpirà mortalmente nel suo polo imperialistico più forte e resistente nel tempo : Stati Uniti d’America.

Il compito storico della lotta rivoluzionaria del proletariato americano, integrata dalla lotta rivoluzionaria in Europa, è un traguardo decisivo nella via dell’emancipazione del proletariato dal capitalismo a livello mondiale. Il destino della rivoluzione proletaria e comunista, al tempo della prima guerra imperialistica mondiale legato alla rivoluzione in Europa, dopo la seconda guerra imperialista mondiale è inevitabilmente legato alla rivoluzione proletaria in America. E per questo obiettivo i comunisti di ieri e di oggi dovevano e devono lavorare, senza dimenticare che il primo passo verso la rivoluzione proletaria mondiale è la lotta di classe che i proletari devono innanzitutto scatenare in ogni paese contro la borghesia di casa propria.

 


 

(1) https://www.washingtonpost.com/politics/2024/11/12/what-numbers-actually-say-about-2024-election/

(2) https://www.opensecrets.org/2024-presidential-race

(3) Cfr. Lenin, «Stato e Rivoluzione», Editori Riuniti, Roma 1981, cap. 3, § 3. La soppressione del parlamentarismo,

(4) https://www.bls.gov/wsp/

(5) Cfr. La working class americana si è risvegliata?, in «il comunista», n. 179, settembre-novembre 2023.

(6) Vedi il testo di partito pubblicato nel 1946-48 nell'allora rivista di partito "Prometeo", Forza violenza dittatura nella lotta di classe,  in «Partito e classe», n. 4 dei testi del partito comunista internazionale, Napoli 1972.

(7) Sulla storia degli IWW e delle magnifiche lotte del proletariato americano, vedi W.D. Haywood, La storia di Big Bill, Iskra edizioni, Milano 1977.

 

 

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