Il marxismo e la Cina

(«il comunista»; N° 184 ; Dicembre 2024)

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E' in uscita il Reprint n. 20 dedicato alla « Questione cinese » col quale riprendiamo l'inquadramento della questione dal punto di vista marxista, sia nella sua evoluzione storica sia nella sua impostazione politica. Nei molteplici lavori del partito sulla Cina sono stati affrontati i diversi aspetti che la « questione cinese » ha sollevato fin dai tempi di Marx ed Engels. Nel riprendere oggi il tema miriamo a rimettere in primo piano le posizioni marxiste classiche alle quali il partito si è sempe collegato sviluppando la questione sia nella lunga fase della rivoluzione borghese e anticolonialista, sia nella fase in cui il proletariato cinese - come fece il proletariato russo negli anni dal 1905 al 1917 - avrebbe potuto collegarsi al movimento rivoluzionario mondiale organizzato nella Internazionale Comunista. La vittoria della controrivoluzione staliniana decretò la sconfitta non solo della rivoluzioone in Russia e in Europa, ma anche la sconfitta del proletariato cinese che, gettato nelle braccia dei suoi aguzzini del Kuomintang, fu massacrato senza vie di scampo  nei moti di Shanghai e Canton del 1927, moti rivoluzionari che, in collegamento con il forte sciopero dei portuali in Inghilterra, avrebbero potuto - sotto la guida di una Internazionale Comunista non degenerata - risollevare le sorti della rivoluzione proletaria anche in Europa.

Questo primo fascicolo sarà seguito da un secondo in cui raccoglieremo le Tesi sulla questione cinese del 1964 e altri testi coi quali si mette in evidenza come il giovane capitalismo cinese entra con forza necessariamente in competizione con i capitalismi avanzati che dalla seconda guerra mondiale si sono divisi il mondo in zone di influenza e in mercati. Riproduciamo ora l'Introduzione del primo fascicolo.

 

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Introduzione

 

Come ci ricorda il nostro studio sulle Peculiarità dello sviluppo storico cinese, la Cina è senza dubbio il paese che ha conosciuto il maggior numero di rivolte, insurrezioni e rivoluzioni. La penultima di queste fu contemporanea a Marx ed Engels  : fu la rivolta dei Taiping che infiammò il sud e il centro della Cina dal 1851 al 1864. Scoppiò in una situazione storica particolare segnata dalle pressioni del capitalismo occidentale (soprattutto, ma non solo, britannico) per l’apertura del mercato cinese alle sue merci, pressioni che si sono tradotte in scaramucce militari e in vere e proprie guerre.

Marx ha scritto su questo argomento : « Parrà molto strana e paradossale l’affermazione che la prossima rivolta dei popoli europei, il loro prossimo moto a favore della libertà repubblicana e dell’economia di governo, possono dipendere da ciò che sta avvenendo nel Celeste Impero – al polo opposto dell’Europa – con molta maggiore probabilità che da qualunque altra causa politica esistente » (1).

Marx spiegava in questo articolo che una rivoluzione imminente in Cina, provocata dall’indebolimento della dinastia Manciù e dallo sconvolgimento dell’ordine costituito sotto i colpi brutali degli eserciti e delle merci britanniche (2), avrebbe portato alla chiusura delle lucrose attività nel mercato cinese, ciò che potrebbe essere il fattore scatenante della crisi economica generale che sta maturando in Europa.

Sapendo ora che « in Europa, dall’inizio del secolo scorso, non v’è stata rivoluzione seria che non fosse preceduta da una crisi commerciale e finanziaria », continuava Marx, « non occorre insistere sulle conseguenze politiche che una simile crisi deve di necessità produrre in questi tempi – con la vertiginosa espansione delle fabbriche in Inghilterra, con lo sgretolamento dei suoi partiti ufficiali, con l’intera macchina statale in Francia trasformata in una sola, immensa agenzia di scrocco e speculazione sui fondi pubblici, con l’Austria sull’orlo del fallimento, con torti accumulati dovunque che esigono la vendetta popolare, con gli interessi in conflitto delle stesse potenze reazionarie, coi sogni russi di conquista messi a nudo, una volta di più, al cospetto del mondo » (3).

L’analisi marxista tiene conto di tutte le relazioni internazionali : sotto il capitalismo, creatore del mercato mondiale, esse determinano in misura precedentemente sconosciuta l’evoluzione sia delle situazioni sociali sia dei rapporti tra le classi nei paesi « dominanti » come nei paesi « dominati ».

« All’antica autosufficienza e all’antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni » dice il Manifesto del Partito Comunista (4). La Cina, continuava Marx, potrebbe « esportare il disordine nel mondo occidentale, nell’atto stesso in cui le potenze occidentali si adoperano, con navi da guerra britanniche, francesi e americane, a ristabilire l’”ordine” a Shanghai, a Nanchino e alle foci del Gran Canale! ».

Già qualche anno prima aveva osservato che la Cina « è scivolata verso la rovina, ed è tuttora minacciata da una violenta rivoluzione. Ma ora viene il peggio. Tra le plebi in rivolta sono comparsi degli individui che additavano la povertà degli uni e la ricchezza degli altri, chiedevano, e tuttora chiedono, una diversa distribuzione della proprietà, anzi l’abolizione totale della proprietà privata. Quando il signor Gütslaff, dopo vent’anni di assenza, ha fatto la sua ricomparsa tra gente civilizzata ed europea, ha sentito parlare di socialismo e ha chiesto che cosa fosse. Glielo hanno spiegato ed ha esclamato con terrore : “Non riuscirò dunque mai a sfuggire a questa dannata dottrina? E’ proprio quello che da qualche tempo si va predicando tra la plebaglia in Cina!”. Certo il socialismo cinese potrà corrispondere a quello europeo quanto la filosofia cinese a quella di Hegel. Ma è tuttavia sempre un fatto curioso che nel giro di otto anni le balle di cotone dei borghesi d’Inghilterra abbiano spinto l’impero più antico e inamovibile della terra alla vigilia di un rivolgimento sociale che, in ogni caso, avrà conseguenze importantissime per la civiltà. Se i nostri reazionari europei, nella loro imminente fuga verso l’Asia, arriveranno sino alla muraglia cinese, sino alle porte che introducono al baluardo della reazione e del conservatorismo ancestrale, chissà che non debbano vedervi scritto : République chinoise. Liberté, Egalité, Fraternité » (5).

Il programma sociale dei rivoltosi Taiping decretato dopo la presa della vecchia capitale Nanchino, comprendeva in particolare l’abolizione della proprietà privata della terra, dei raccolti e dei mezzi di coltivazione, la messa in comune degli alimenti, dei vestiti e dei prodotti di consumo quotidiano, lo sfruttamento della terra ridistribuita su base temporanea a qualsiasi individuo, uomo o donna di età superiore ai 15 anni, uguaglianza tra i sessi, divieto della prostituzione, dei matrimoni e delle doti forzate, della poligamia, della schiavitù, nonché del consumo di oppio, alcol ecc. Gli esami per diventare funzionario pubblico furono aperti alle donne e si formò un esercito femminile che raggiunse diverse decine di migliaia di combattenti, che seminavano il terrore tra le truppe imperiali per la loro reputazione di crudeltà.

L’ideologia Taiping di tipo religioso ispirata al cristianesimo (il loro fondatore affermava di essere il fratello minore di Gesù Cristo) si traduceva in rigidi precetti morali : rigorosa separazione dei sessi, divieto dell’omosessualità sotto pena di morte. Si trattò infatti di una gigantesca rivolta contadina come quella che il paese aveva regolarmente sperimentato, con sfumature millenaristiche che ricordano i partigiani di Thomas Münzer durante le guerre contadine in Germania con le loro esaltazioni ispirate al cristianesimo e le loro « risonanze comuniste » (Engels ) (6).

 Le masse ribelli essenzialmente contadine, riunite in un esercito di massa che cresceva progressivamente con le vittorie, si impadronirono di città sempre più importanti, massacrando i proprietari terrieri, i mandarini e i funzionari imperiali che non erano fuggiti, fino ad arrivare a Nanchino. Ma dopo i suoi clamorosi successi la rivolta fu infine sconfitta ; non per errori militari o di altro tipo, ma perché i suoi leader erano impegnati a fondare una nuova dinastia – il « Celeste Regno » – nella vecchia capitale, abbandonando di fatto il programma radicale che avevano proclamato in risposta alle aspirazioni delle fasce più svantaggiate della popolazione : i rinnovati legami con notabili e proprietari terrieri fecero sì che la riforma agraria non venisse applicata, si ricostituì una burocrazia tradizionale con tutti i suoi abusi, riemersero matrimoni forzati e convivenze a scopo di lucro delle élite urbane (che provocarono un’ondata di suicidi femminili), con l’insediamento dei capi Taiping in una vita di lusso che ricalcava quella dell’imperatore e dei suoi dignitari. L’impulso rivoluzionario che animava le masse contadine diseredate spingendole alla lotta venne gradualmente soffocato.

Ma un altro fattore determinante nella sconfitta della rivolta fu l’intervento delle truppe franco-inglesi occidentali dotate di armi moderne accanto alle truppe imperiali, con il suo corteo di distruzioni, massacri e saccheggi – mentre i Taiping avevano creduto alla loro proclamata neutralità

Il fallimento finale della rivolta che ne risultò, con milioni di vittime (da 10 a 30 milioni di morti secondo le stime), fu in definitiva una nuova dimostrazione dell’impotenza dei contadini a lottare per un modo di produzione rivoluzionario e pulito : la possibilità di un « socialismo contadino » non esiste. I contadini sono oggettivamente condannati dalla loro natura di classe a riprodurre il modo di produzione dominante se non trovano un orientamento nelle nuove classi rivoluzionarie, come la borghesia o la classe operaia, che allora non erano presenti. 

La sconfitta di Taiping diede altri cinquant’anni di vita alla dinastia Manciù, cinquant’anni di progressiva penetrazione delle varie potenze imperialiste in Cina nonostante la resistenza imperiale : fu nel 1912 che venne proclamata la Repubblica Cinese ; essa ha aperto un periodo convulso di lotte di classe a un livello superiore a quello delle rivolte tradizionali poiché ha comportato l’instaurazione di un nuovo modo di produzione – il capitalismo – con l’apparizione sulla scena di nuove classi sociali – la borghesia capitalista e il proletariato moderno – ciascuna con la propria prospettiva storica, nel periodo rivoluzionario che fu in pieno svolgimento dal 1924 al 1927. 

Il giovane proletariato cinese, successore dei « protoproletari » (minatori in genere e del carbone in particolare, trasportatori ecc.) che avevano svolto un ruolo molto importante nella rivolta contadina dei Taiping, era ancora poco numeroso ; ma molto combattivo, e scatenò potenti scioperi con cui cercò di prendere la guida della rivoluzione per orientarla in una direzione socialista internazionale come aveva fatto il proletariato russo dieci anni prima : fu disorientato e consegnato ai suoi carnefici dal partito che doveva condurlo alla vittoria. La sua repressione segnò la sconfitta della rivoluzione in Cina e la vittoria della controrivoluzione in Russia e nel mondo.

Ci vorranno altri vent’anni perché la vecchia Cina crolli : 1949, proclamazione della Repubblica popolare, 1950 fine dei combattimenti con i sostenitori di Chiang Kai-shek rifugiatisi a Formosa [poi denominata Taiwan]. Nel 1945, l’URSS di Stalin firmò con quest’ultimo un « trattato di alleanza e amicizia » della durata di trent’anni che riconosceva il suo governo e cessava ogni sostegno agli eserciti di Mao in cambio del riconoscimento dell’indipendenza della Mongolia Esterna e dell’occupazione di Port Arthur da parte delle truppe sovietiche (7) : dopo aver fatto fallire la rivoluzione nel 1927, il regime stalinista appoggiò così i controrivoluzionari dopo la fine della guerra, spingendo per un accordo dei « comunisti » con Chiang Kai-shek…

Alla fine della seconda guerra mondiale, l’URSS attaccò il Giappone e occupò vari territori tra cui le Isole Curili e la Manciuria, di cui saccheggiò le infrastrutture industriali (la provincia era allora la regione più industrializzata della Cina) prima di restituirle alla Repubblica popolare.

Successivamente, la cooperazione economica tra i due « paesi fratelli » non è riuscita a eliminare gli attriti tra loro ; crescenti disaccordi vennero alla luce a partire dal 1960, quando i cinesi contestarono il primato dei sovietici, denunciati come « revisionisti moderni » e sciovinisti, prima di sfociare negli scontri militari sul fiume Ussuri nel 1969 (8) ; allora le autorità cinesi avanzavano rivendicazioni sui territori conquistati dallo zarismo mentre i russi brandivano la minaccia dell’uso di armi nucleari tattiche... Fu solo nel 1991 che la disputa territoriale fu risolta da un trattato tra Russia e Cina.

Dopo varie vicissitudini, il capitalismo cinese si sta oggi muovendo rapidamente verso il primo posto mondiale per l’imperialismo che gli Stati Uniti occupano da quasi 80 anni ; lo scontro tra questi due colossi imperialisti avrà grandi conseguenze sul destino dell’umanità. Ma, come dice anche il Manifesto di Marx-Engels, la borghesia produce soprattutto i propri becchini. Lo sviluppo accelerato del capitalismo in Cina ha prodotto un proletariato molto numeroso e concentrato, che non sempre può lasciarsi ingannare dalla propaganda falsamente socialista del regime. Quando la crisi economica colpirà il cuore del capitalismo cinese, il proletariato verrà spinto in una lotta generale ; lo spiegamento della lotta di classe in Cina sarà quindi un fattore decisivo per le prospettive della lotta contro il capitalismo a livello globale.

 

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Il partito ha dedicato numerosi studi alla Cina. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso era necessario rispondere alle pretese maoiste di rappresentare un’alternativa « veramente marxista » ai sovietici e per questo era necessario ritornare alle lotte degli anni Venti che avevano segnato le sorti della rivoluzione cinese e mostrare la sinistra genesi del maoismo (9) ; era necessario dimostrare che la « lite ideologica » tra Mosca e Pechino era solo la copertura di un conflitto di interessi tra due Stati capitalisti, l’uno altrettanto estraneo al socialismo quanto l’altro – e per questo era necessario richiamare i principi cardine del marxismo, come il partito aveva fatto e fa per la Russia.

La credibilità del socialismo in Cina è certamente svanita oggi, dove è facile vedere che il paese è tra i più diseguali del pianeta ; ma esistono ancora organizzazioni che ritengono che il mondo non sia capitalista, ed è in nome del socialismo che i dirigenti cinesi giustificano le condizioni bestiali di vita e di lavoro dei loro proletari e il loro dominio totalitario. Domani, sarà incolpando il socialismo per i misfatti del capitalismo che la democrazia borghese cerrà presentata loro come la sola soluzione alla miseria e al loro sfruttamento. In previsione delle inevitabili ma complesse future lotte proletarie, ripubblicheremo in una serie di opuscoli i principali testi che illustrano e difendono il programma invariante del comunismo rivoluzionario nella situazione cinese.

Questo primo opuscolo della serie dedicata alla Cina contiene un testo sulle peculiarità dello sviluppo storico della Cina, scritto per gettare le basi organiche per lo studio della questione cinese ; segue uno studio approfondito del movimento sociale in Cina che copre il periodo estremamente ricco di insegnamenti che va dalle lotte rivoluzionarie e dalla sconfitta della rivoluzione degli anni Venti, fino all’instaurazione della Repubblica Popolare dopo la fine della seconda guerra mondiale e all’inizio della costruzione del capitalismo sotto l’egida dello Stato.

Questi testi permetteranno al lettore di farsi già un’idea chiara degli eventi accaduti allora e che condizionano ancora la situazione attuale.

 


 

(1) K. Marx, Rivoluzione in Cina e in Europa, « New York Daily Tribune », 14 giugno 1853, in K. Marx-F. Engels, India Cina Russia, Il Saggiatore, Milano 1960, p. 33. La futura ondata rivoluzionaria annunciata in Europa è presentata qui sotto le vesti di una rivoluzione antimonarchica, come fu il caso dell’ondata rivoluzionaria del 1848, ma solo la Francia ebbe conosciuto un tentativo di rivoluzione proletaria.

(2) Le « guerre dell’oppio » si svolsero in Cina da partye della Gran Bretagna dal 1839 al 1860 per imporle il commercio dell’oppio e l’apertura alle merci britanniche. La Francia partecipò alla seconda guerra dell’opprio (1856-1860) alleta con la Gran Bretagna, col sostegno degli Stati Uniti e della Russia.

(3) K. Marx, Rivoluzione in Cina e in Europa, cit., p. 39. La crisi economica non iniziò grazie ad una vittoria della rivoluzione cinese ; scoppiò comunque nel 1857, sotto la forma di un krach bancario negli Stati Uniti prima di propaganrsi negli altri paesi, ma i suoi primi sintomi emersero già nel 1852. Questa è considerata come la prima crisi economica mondiale.

(4) Cfr. Marx.Engels, Manifesto del partito comunista, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1962, p. 105. E dice anche : « Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borgehsia ha dato un’imprionta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi, H tolto di sotto i piedi all’industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari ». Oggi, come nel 1848, i reazionari sono sempre più disperato per questo stato di cose ; la sola cosa che cambia è che ora si chiamano « sovranisti », di destra o di sinistra...

(5) K. Marx-F. Engels, Neue Rheinische Zeitung. Politisch-ökonomische Revue, II fascicolo, febbraio 1950, Recensioni, in Marx-Engels, Opere complete, vol. X, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 265.266.

(6) F. Engels, La guerra dei contadini in Germania, scritto nell’estate del 1850, in Marx-Engels, Opere complete, vol. X, cit., pp. 401-493.

(7) L’URSS restituirà Port Arthur alla Repubblica Popolare Cinese nel 1950. La Russia zarista, nel quadro di un « trattato ineguale » avallando i suoi appetiti sulla Manciuria aveva ottenuto nel 1898, fra l’altro, la concessione di questo porto strategico ; lo fortificò dopo aver invaso la Manciuria nel 1900 e strappato alla Cina un protettorato commerciale sul territorio. Il Giappone che bramava questa regione ricca di materie prime attaccò e vinse le armate russe nel 1905. Esso costituì nel 1931-1932 uno Stato fantoccio sotto la sua cupola, il Manciukuo, che voleva dire lo Stato dei manciù anche se l’etnia manciù non era maggioritaria rispetto a quella cinese Han.

(8) Vedi a questo proposito l’articolo Sur les rives de l’Oussouri. Deux nationalismes s’affrontent, « le prolétaire », n. 64, aprile 1969.

(9) Cfr. l’articolo Sinistre genèse du maoïsme (1921-1926),  « le prolétaire », n. 67, luglio-agosto 1969.

 

 

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