La crisi della sanità capitalista
Un esempio: minacce di lavoro forzato in Slovacchia!
(«il comunista»; N° 185 ; Gennaio-Febbraio 2025)
Il compagno che ci ha inviato questa corrispondenza ha messo in evidenza come la criticità della situazione sanitaria rilevata per la Slovacchia riguardi, in realtà, tutti i paesi europei. Ovviamente, trattando dei movimenti di protesta e degli scioperi dei dipendenti della sanità pubblica, prende necessariamente grande rilevanza la questione del settore pubblico rispetto a quello privato e delle rivendicazioni che sistematicamente tutti i sindacati opportunisti avanzano, caratterizzate in particolare della difesa del settore pubblico rispetto a quello privato. Come se i lavoratori del settore pubblico fossero esentati dallo sfruttamento salariale tipico del capitalismo, come se il servizio pubblico garantisse la sua efficienza ed efficacia alle persone di qualsiasi classe sociale e fosse possibile separarlo, in una specie di mondo a parte, dalle leggi ferree del profitto capitalistico garantendo così le cure per tutti.
Che la questione sia delicata, soprattutto per il settore ospedaliero, è evidente. Si tratta della salute, delle cure, degli interventi e delle terapie necessarie rispetto ad ogni malattia o trauma allo scopo di guarire o per fare soffrire il meno possibile i pazienti. Ma la realtà capitalistica aggredisce ogni attività umana, ogni attività economica e sociale. La scienza, la medicina come la tecnica, la tecnologia, l’istruzione e la cultura in generale, finché esiste e domina il capitalismo, non possono sfuggire alle leggi del mercantilismo, del profitto, della proprietà privata e dell’appropriazione privata della produzione sociale. La sanità occupa nella società borghese un posto di primaria importanza per due motivi principali: da una parte per tutti gli aspetti economici legati alla ricerca, alla medicina, alla costruzione degli ospedali e delle cliniche, all’attrezzatura e alla dotazione di tutti gli strumenti necessari per la cura, gli interventi, la convalescenza e la riabilitazione e tutto ciò che, essendo oggettivamente necessario per affrontare le malattie e i traumi, può far da base al business; e dall’altra perché il capitalismo non può fare a meno dei lavoratori salariati dal cui sfruttamento ricava i suoi profitti, perciò i lavoratori che si fanno male al lavoro o in qualsiasi altro frangente o si ammalano vanno rimessi al più presto possibile nelle condizioni di tornare al lavoro per continuare a farsi sfruttare. I capitalisti possono contare sull’intero sistema sociale organizzato a difesa dei loro interessi di classe, a partire dallo Stato, e hanno riserve finanziarie sufficienti per affrontare qualsiasi cura medica, anche la più costosa. Mentre i lavoratori salariati non possono contare che sulla loro sola forza lavoro, sono i senza riserve per antonomasia, la loro vita dipende esclusivamente dal salario derivante dal lavoro che ogni capitalista, ogni azienda possono loro offrire. Se non trovano lavoro, o se prendono bassi salari, non sono in grado di garantirsi le cure di cui possono aver bisogno; e con un servizio sanitario pubblico che fa acqua da tutte le parti, sempre più spesso non possono attendere i tempi lunghi delle visite e delle cure perciò in molti casi finiscono per non curarsi. L’antagonismo di interessi tra la classe dei capitalisti, la classe borghese in generale, e la classe dei lavoratori salariati, la classe proletaria, non è una “scelta” a disposizione degli uni e degli altri: è una realtà oggettiva legata al modo di produzione capitalistico fin dalla sua apparizione. L’interesse dei proletari è innanzitutto quello di migliorare le condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti; l’interesse dei borghesi è innanzitutto quello di mantenere i proletari nelle condizioni di sfruttamento che permettono loro di estorcere quotidianamente il plusvalore, nella misura più alta possibile. E’ dal plusvalore, infatti, che discende il profitto capitalistico, in quanto il capitale investito nella produzione e nella distribuzione, attraverso il lavoro salariato si valorizza, aumenta, aumentando nello stesso tempo il dominio del capitale sul lavoro salariato e sulla società intera. Che il capitale sia in mano al capitalista privato, a una società per azioni o allo Stato, il rapporto con il lavoro salariato non cambia: i lavoratori salariati vengono egualmente sfruttati e sottoposti alle esigenze del capitalismo. L’antagonismo di classe perciò nasce dal rapporto antagonistico tra lavoro salariato e capitale, dunque tra i lavoratori che vivono esclusivamente di salario e i capitalisti, siano privati o pubblici, che vivono dello sfruttamento del lavoro salariato.
Perciò, difendere il settore economico pubblico rispetto a quello privato, come indicano i sindacati collaborazionisti e i partiti cosiddetti “di sinistra” vuol dire difendere un settore capitalistico rispetto al settore concorrente, vuol dire non uscire mai dalla logica dei rapporti sociali borghesi, cancellando di fatto la possibilità da parte dei proletari di battersi, organizzarsi e unirsi a difesa dei propri esclusivi interessi di classe che non possono mai coincidere con gli interessi di classe della borghesia dominante.
Battersi perché il servizio sanitario pubblico sia efficiente, sia finanziato in modo adeguato e sia condizionato meno possibile dalle logiche aziendali tipiche del capitalismo è una pura illusione. Battersi perché il padrone pubblico – cioè lo Stato – garantisca ai suoi lavoratori salariati migliori condizioni di lavoro e di vita è un preciso interesse di tutti i lavoratori, anche dei lavoratori non dipendenti dalla sanità pubblica, perché ciò che può contribuire a strappare al padrone pubblico – cioè allo Stato – migliori condizioni di lavoro e di salario per i suoi dipendenti si ripercuote oggettivamente anche sulle migliori condizioni del servizio che la sanità pubblica è chiamata a dare. Ma far dipendere i miglioramenti nelle condizioni di lavoro e salariali dei lavoratori ospedalieri dalla gestione aziendale degli ospedali, significa non uscire dalla logica aziendale della redditività del servizio offerto, cioè dalla logica del profitto, ricadendo così nella dipendenza di ogni misero e temporaneo miglioramento dalla salvaguardia dei profitti capitalistici, dunque dalla logica dei costi di produzione più bassi possibili, costi che comprendono tutti i mezzi tecnici per espletare i servizi di cura e i salari dei dipendenti.
I dirigenti di tutti i servizi pubblici e di tutta la pubblica amministrazione, a partire dai ministeri del governo in giù, usano abitualmente il ritornello delle ragioni superiori che il servizio pubblico contiene in sé in quanto rivolto in generale a tutti i cittadini, senza differenze di censo, di genere, di età o di nazionalità. Per il settore ospedaliero questo ritornello è ancor più incisivo perché tocca le corde morali del bisogno di cura nei confronti di ogni malato e dell’assistenza di cui necessita.
Ma questo argomento viene utilizzato per mantenere i lavoratori salariati in una posizione perennemente succube degli interessi cosiddetti generali di tutti i cittadini, mentre nella realtà capitalistica il servizio pubblico – che riguardi gli ospedali, il trasporto cittadino, le ferrovie, le poste ecc. – è soltanto un settore economico in cui le aziende preposte devono far profitto e, se per garantire il profitto devono tagliare strutture periferiche, tipologia di servizi poco remunerativi e personale, lo fanno senza chiedere il permesso a nessuno.
I proletari, finché non escono dalla spirale in cui sono infilati costantemente dalle forze di conservazione e collaborazioniste, non potranno mai incamminarsi verso la vera emancipazione dal lavoro salariato, dalle leggi capitalistiche che li costringono a vivere e a morire da schiavi. I lettori più attenti noteranno che il testo che ora pubblichiamo differisce un pochino da quello inserito il 14 gennaio nel nostro sito tra le "prese di posizione", sia per correzioni dovute in seguito ad una rilettura generale, sia per un brano brevissimo che abbiamo aggiunto riguardante l'Italia.
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Alla fine del 2024 non sono mancate in Europa (Germania, Spagna, Italia, Slovacchia, ...) varie forme di conflitti riguardanti il settore sanitario, che hanno assunto varie forme: manifestazioni di piazza, proteste, dimissioni di massa come metodo coercitivo..; conflitti legati alla carenza di personale – cioè al sovraccarico di lavoro a lungo termine di questi lavoratori – ai bassi salari, alla privatizzazione delle strutture sanitarie.
Germania: nell’ottobre scorso ci sono state manifestazioni a Berlino e in altre città con migliaia di operatori sanitari contro il peggioramento delle condizioni di lavoro, contro la carenza di personale e per aumenti salariali, con alcuni ospedali che hanno dovuto ridurre gli interventi alle sole cure essenziali. Le proteste si sono concluse dopo un accordo con il governo di centro-sinistra formato da una coalizione tra il Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), l’Unione 90/Greens e il Partito Democratico Libero (FDP) che prevede un aumento graduale dei salari del 6% nei prossimi due anni e la promessa di migliori condizioni di lavoro per gli operatori sanitari.
Spagna: nel novembre 2024 si sono svolte a Madrid manifestazioni di massa degli operatori sanitari - seguite a una serie di proteste legate ai problemi del settore sanitario spagnolo, in particolare dopo la pandemia COVID-19 - con la partecipazione di oltre 10.000 operatori sanitari che hanno protestato per il miglioramento delle condizioni di lavoro a fronte della carenza di personale, del sovraccarico di mansioni e dei bassi salari; si sono verificate anche chiusure temporanee di alcune strutture sanitarie. In seguito a un aumento salariale dell’8% concesso dal governo e alla promessa di assumere più personale, le proteste degli operatori sanitari sono state per il momento sospese, in attesa di un’azione da parte del governo guidato dalla coalizione tra il Partito Socialista Spagnolo (PSOE) e il partito di sinistra SUMAR (successore dell’alleanza di sinistra Unidas Podemos).
Italia: lo scorso mercoledì 20 novembre si è svolta la manifestazione nazionale di sciopero di 24 ore dei lavoratori ospedalieri del settore pubblico. Secondo “Avvenire” del 21 novembre, l’adesione allo sciopero è stata massiccia per l’intera categoria, l’85% tra infermieri, operatori, personale amministrativo, medici e dirigenti ospedalieri. Allo sciopero hanno partecipato una gran parte dei sindacati dellle diverse categorie del settore sanitario, Cobas compresi, condividendo tutti le stesse rivendicazioni. La situazione critica degli ospedali è determinata soprattutto dai bassi salari (un esempio: nel 2025 l’aumento di salario degli infermieri è di ben... 7 euro lordi!, cfr. Avvenire, 21.11.2024), dai carichi di lavoro aumentati per la mancanza di un organico adeguato, per il taglio della medicina di territorio che provoca un affollamento eccezionale nei Pronto Soccorso in cui giungono molte persone che non possono sostenere la spesa della sanità privata e non possono essere assistite dai medici di base perché il loro numero diminuisce sempre più di anno in anno. Nell’agitazione si sono uniti anche medici, capireparto, dirigenti sanitari, specializzandi avanzando rivendicazioni che esulano del tutto dagli interessi esclusivi di classe dei proletari perché riguardano la politica sanitaria del governo, come la riforma delle cure ospedaliere e territoriali, il finanziamento più corposo del Servizio Sanitario Nazionale spostando milardi di euro da altri settori, come quello militare, la specializzazione professionale e la formazione specialistica “di qualità” ecc. ecc. Insomma, come succede per tutti gli scioperi indetti dai sindacati collaborazionisti, le rivendicazioni che riguardano esclusivamente i proletari vengono immerse nelle rivendicazioni – e quindi rese da esse dipendenti – che riguardano la gestione economica e politica, in questo caso del settore sanitario, senza che sia messo in discussione nulla che riguardi il modo di produzione capitalistico, la gestione delle aziende in funzione dei profitti, lo sfruttamento sistematico del lavoro salariato, ragioni per le quali sono stati dismessi i piccoli ospedali che riuscivano a dare un sevizio più diffuso territorialmente, non sono stati assunti infermieri e medici al posto di quelli andati in pensione o dimessi, caricando inevitabilmente i Pronto Soccorso delle aumentate richieste di assistenza medica anche per situazioni non urgenti e aumentando nello stesso tempo lo stress del loro personale perennemente sotto organico. Va detto anche che i medici, e soprattutto gli stessi medici di base, dopo aver subito una notevole diminuzione rispetto alle esigenze obiettive di assistenza territoriale, sono sempre più trasformati in burocrati perché costretti, per adempiere alle esigenze di gestione amministrativa degli ospedali e del sevizio sanitario in generale, a occupare il 60-70% della loro giornata lavorativa a riempire moduli al computer, sottraendo tempo alle visite dei pazienti che, per necessità immediate, si rivolgono ai Pronto Soccorso anche per esigenze minime. Recentemente i Pronto Soccorso sono stati luoghi in cui il personale, sia medico che infermieristico, è stato aggredito dai parenti di pazienti che o sono stati visitati molto in ritardo, aggravando la loro situazione, o sono deceduti. Aggressioni (nel 2023 sono state 2.807, quasi 8 al giorno) che hanno sollecitato da parte del personale ospedaliero la richiesta che i Pronto Soccorso vengano presidiati dalla polizia; è chiaro che l’attuale gestione della sanità pubblica ha aumentato tutte le potenziali criticità della cura e dell’emergenza sanitaria, tanto da prospettare di trasformare i Pronto Soccorso in luoghi di controllo poliziesco. La situazione in generale del servizio pubblico è diventata sempre più critica tanto da spingere i lavoratori di tutto il settore, quindi anche dei trasporti nazionali e locali e della pubblica amminiastrazione, a scendere in sciopero. Nel solo mese di novembre vi sono stati, tra scioperi di categoria e scioperi locali, una decina di giornate interessate agli scioperi. Ma il risultato ottenuto da questi scioperi che avanzano sistematicamente rivendicazioni interclassiste quale è stato? Se i salari aumentano, come per gli infermieri, di 7 euro al mese, che beneficio traggono i lavoratori? Se gli ospedali sono aziende il cui bilancio annuo non deve portare deficit ma profitti, non cambieranno mai la gestione che mette in primo piano la diminuzione dei costi, la ricerca del profitto a spese della “cura delle persone”. E’ chiaro che la lotta proletaria deve partire dal terreno della difesa degli interesi immediati dei lavoratori salariati, indipendentemente dagli interessi immediati e futuri delle aziende ospedaliere, perché solo su questo terreno è possibile che nasca la solidarietà di classe anche da parte dei proletari degli altri settori economici perché si identificheranno negli stessi interessi immediati, nella stessa lotta.
Slovacchia: nell’ottobre scorso 2.700 medici ospedalieri, guidati dal sindacato medico LOZ, hanno presentato dimissioni di massa per protestare contro il pacchetto di consolidamento del governo di Robert Fico, che ha ridotto l’aumento percentuale dei salari per gli operatori sanitari; hanno inoltre protestato contro l’inazione del governo rispetto alle riforme sanitarie promesse in precedenza e contro la trasformazione degli ospedali in società per azioni. Anche in questo caso si tratta dell’ennesima criticità del sistema sanitario slovacco, cronicamente afflitto da problemi, da tempo gravato dalla mancanza di personale, di fondi e da infrastrutture obsolete. Il governo - il quarto di Robert Fico, composto dai partiti socialdemocratici di sinistra e populisti SMER-SD, HLAS-SD (disertori di SMER-SD) e dal Partito Nazionale Slovacco (SNS), nazionalista di destra - ha approvato una legge che cancella parzialmente i tagli previsti agli aumenti di stipendio degli operatori sanitari, ma con stipendi che continueranno a crescere a un ritmo più lento. Di conseguenza, a dicembre, centinaia di medici si sono rifiutati di fare i servizi notturni e nei fine settimana, intensificando la pressione sul governo. Quest’ultimo ha risposto approvando una legge che consente al governo di dichiarare l’emergenza in caso di indisponibilità critica di assistenza sanitaria ospedaliera, costringendo i medici all’obbligo di lavorare sotto la minaccia di azioni penali e di potenziale arresto in caso di rifiuto. Tuttavia, di fronte alle possibili dimissioni di oltre 3.300 medici scontenti, la maggior parte dei medici ospedalieri, che secondo gli esperti avrebbe paralizzato il funzionamento degli ospedali slovacchi entro l’inizio del 2025, il governo ha fatto marcia indietro e ha raggiunto col sindacato un accordo (di ben 30 pagine) che garantisce ad alcuni medici l’aumento di stipendio precedentemente concordato; l’accordo non si applicherà però a quei medici che lavorano negli ospedali meno della metà delle normali ore giornaliere e che esercitano la professione principalmente al di fuori degli ospedali; l’accordo include anche promesse di cambiamenti nel finanziamento delle strutture sanitarie, una riforma dell’istruzione medica o un aumento del numero di studenti di medicina e prevede modifiche alle leggi esistenti.
Queste proteste riflettono una tendenza più ampia in Europa, da parte degli operatori sanitari, a chiedere migliori condizioni di lavoro e una maggiore remunerazione economica; mostrano anche come la maggior parte delle proteste e dei conflitti si plachino attraverso concessioni temporanee sotto forma di modesti aumenti di stipendio, bonus una tantum e tutta una serie di promesse di risolvere i problemi strutturali, che perlopiù non vengono attuate. Sotto il capitalismo, anche nel settore sanitario i lavoratori vengono sfruttati come in ogni settore economico; con l’aggravante che li si piega moralmente facendo leva sul fatto che essi si preoccupano della vita e della salute dei pazienti, e che non possono semplicemente “spegnere le macchine”, spegnere le luci e andarsene. Proprio per questo, il settore sanitario è considerato un servizio ad alta “criticità”, per cui la possibilità, ad esempio, di uno sciopero è spesso limitata: innanzitutto si deve garantire l’erogazione dell’assistenza sanitaria essenziale (cure acute, urgenze o emergenze) e, in caso di sciopero, questo deve essere annunciato con molti giorni di anticipo, riducendo così l’efficacia dell’azione.
Secondo il marxismo, le leggi economiche e sociali del capitalismo subordinano non solo la produzione, ma anche la riproduzione della forza lavoro (i lavoratori salariati) alle esigenze del mercato, che include il settore sanitario. La salute, in questo caso l’assistenza sanitaria, è “prioritaria” solo quando porta benefici economici: l’assistenza sanitaria è quindi considerata nel capitalismo come un costo che deve essere ridotto al minimo perché gli investimenti, anche quelli statali, devono generare profitti, meglio se massimizzati. Lo Stato borghese, che è l’organo politico che obbliga a pagare le tasse tutta la popolazione, e soprattutto i proletari, quando investe i capitali accumulati lo fa unicamente in vista del profitto capitalistico, che, guarda caso, viene intascato solo dai capitalisti (che costituiscono la classe borghese dominante). Il fatto che la sanità pubblica venga sistematicamente tagliata negli investimenti statali a favore della sanità privata dimostra in modo chiaro che la borghesia capitalista ha interessi opposti a quelli della popolazione e, in specie, a quelli dei lavoratori; e questa realtà non può che generare proteste anche in questo settore.
In Slovacchia, dove la maggior parte dell’assistenza sanitaria è fornita attraverso il sistema sanitario pubblico, il settore sanitario ha visto ripetute proteste dal 2000 - sotto undici governi (cinque di sinistra-populista, tre di destra, due di centro-destra e uno cosiddetto tecnico). 2006: proteste di medici e infermieri per i bassi salari e per il miglioramento delle condizioni di lavoro - attenuate da un parziale aumento salariale (governo di destra); 2007-2008: proteste di infermieri (governo Fico di sinistra-populista); 2011: più di 2.000 medici hanno presentato dimissioni di massa come pressione per ottenere aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro e per protestare contro i tentativi di privatizzare gli ospedali - il governo (di destra) voleva costringere i medici a rimanere sul posto di lavoro dichiarando lo stato di emergenza e ha beneficiato dell’aiuto dei medici militari cechi, alla fine la situazione si è attenuata con un accordo su aumenti salariali graduali e migliori condizioni di lavoro; 2012: proteste di infermieri e ostetriche - il governo (di sinistra-populista Fico) ha introdotto per legge un modesto aumento degli stipendi degli infermieri e ha promesso una soluzione strutturale, che non è stata attuata; 2015: i medici, che protestavano a causa di promesse non mantenute, hanno di nuovo minacciato di autolicenziarsi in massa - attenuazione della situazione grazie alla revisione delle tariffe salariali e a un parziale aumento dei finanziamenti agli ospedali (secondo governo Fico); 2018: proteste di infermieri e altri operatori sanitari, con l’uso simbolico di magliette nere per richiamare l’attenzione sulla gravità della situazione, per aumenti salariali e miglioramento delle condizioni di lavoro - attenuate dall’approvazione di indennità una tantum e aumenti salariali minori (governo di sinistra-populista Pellegrini); 2021 (pandemia COVID-19): proteste e minacce di autolicenziamento di massa di infermieri e medici per i bassi salari e le condizioni di lavoro insoddisfacenti - attenuate dal governo che offre bonus per il lavoro durante la pandemia agli operatori sanitari e promette miglioramenti graduali dei salari e delle condizioni di lavoro, accordo attuato solo nel 2022 con l’inizio effettivo degli aumenti salariali a partire dal 2023 (governo centrista Heger); 2022-2023: nel 2022, dimissioni di mass di oltre 2.000 medici in segno di protesta per le condizioni di lavoro insoddisfacenti - attenuate da un accordo sugli aumenti salariali (fino al 20-30% in alcuni casi), su un migliore finanziamento degli ospedali, su modifiche legislative a favore dei giovani medici, mentre il governo ha dovuto affrontare il trasferimento all’estero di molti medici che ha poi cercato di far rientrare nel paese, nonché ulteriori proteste e dimissioni (governo di centro di Heger); 2024: come già detto, i conflitti continuano a causa della riduzione degli aumenti salariali concordati e del perdurare di condizioni di lavoro inadeguate.
Tutte queste proteste ruotavano intorno allo stesso nodo, il fatto che i proletari del settore sanitario si trovavano e si trovano ad affrontare salari bassi, un pesante sovraccarico di mansioni e un gran numero di ore di lavoro supplementari, oltre a servizi extra a causa della mancanza di personale, e stanno affrontando le conseguenze del sottofinanziamento del settore, che colpisce non solo loro direttamente, ma anche la qualità delle cure fornite ai pazienti.
Questa situazione del tutto insoddisfacente del sistema sanitario sotto il regime capitalista ha costretto molti medici e infermieri slovacchi a trasferirsi all’estero; è difficile quantificare con esattezza il numero dei lavoratori che si sono trasferiti, ma secondo il censimento slovacco del 2021, circa il 18% dei medici residenti in Slovacchia viveva all’estero, ovvero più di 4.000 medici (Repubblica Ceca: circa 2.500; Germania: circa 800; Austria: circa 200, poi Gran Bretagna, Svizzera, Italia...); per quanto riguarda gli infermieri, è noto che spesso scelgono l’Austria e la Repubblica Ceca.
Benché nel regime capitalista l’assistenza sanitaria sia parte integrante della riproduzione della forza lavoro, tuttavia, lo scopo del settore della cura della salute umana è distorto: anziché dare priorità alla salute umana, serve solo a mantenere la forza lavoro in uno stato produttivo, cosicché la tanto decantata “cura della persona” diventa un ulteriore strumento di profitto. La parola persona, tanto cara alla borghesia, non può essere intesa in termini socio-politici se non come il proletario salariato, la cui «forza lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere» (Marx, Il Capitale). Questo proletario, o meglio la sua forza-lavoro, è una merce, il suo sfruttamento da parte del capitalista produce valore, ma è esso stesso un valore da riprodurre: «è determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione e, quindi anche alla riproduzione, di questo articolo specifico. (…) rappresenta soltanto una quantità determinata di lavoro sociale medio oggettivato in essa». Il proletario, il senza riserva, questo vero produttore in cui si incarna la forza-lavoro, svolge il ruolo di mero mezzo di produzione della ricchezza materiale, che è fine a se stessa, ed è quindi sostenuto solo nella misura in cui può continuare la sua funzione produttiva. E questo mantenimento della funzione produttiva vale sia per i pazienti che per gli stessi operatori sanitari, che sono sottoposti a bassi salari, a un carico di lavoro eccessivo, cioè al massimo sfruttamento della loro forza lavoro individuale, proprio come gli operai nell’esempio classico della fabbrica industriale, solo che qui si “produce” una merce speciale: la forza lavoro.
Perquanto riguarda il sottofinanziamen-to dell’assistenza sanitaria e la cosiddetta redistribuzione limitata della ricchezza, questo è l’aspetto di classe che va evidenziato. Come per le pensioni, i contributi per l’assicurazione sanitaria sono visti nell’analisi marxista come parte del valore che i lavoratori creano ma per il quale non vengono pagati. Questa parte del salario viene versata in un fondo comune per fornire assistenza sanitaria. Questo “salario differito collettivamente” può sembrare a prima vista una forma collettiva di solidarietà, ma in realtà è strettamente legato alla logica del capitale. Questa parte del salario non è un meccanismo altruistico, ma è destinata alla riproduzione della forza lavoro e come tale è amministrata dal capitalismo secondo i principi del mercato: non è destinata a garantire la qualità della salute della popolazione, ma a mantenere la forza lavoro in uno stato produttivo al minimo costo, vale a dire che la riduzione dei costi è promossa a spese della qualità e della disponibilità dell’assistenza sanitaria. Un maggiore finanziamento dell’assistenza sanitaria pubblica è una seria preoccupazione per ogni Stato in termini di conseguenze complessive sul saggio medio di profitto capitalistico, dal momento che gli Stati nazionali lottano per le loro borghesie e per le loro imprese nell’arena internazionale in una lotta sempre più competitiva e dura.
Un altro aspetto è la mercificazione dell’assistenza sanitaria, cioè la sua percezione come merce da acquistare e non come caratteristica fondamentale dell’esistenza umana. Il capitale si è impadronito di tutti gli aspetti della vita sociale; la mercificazione e la privatizzazione dell’assistenza sanitaria sono una parte fondamentale di questo processo: le istituzioni sanitarie esternalizzano i loro servizi a società private, che attingono ai fondi pubblici per le loro attività a scopo di lucro (nel contesto della riflessione su questa forma di “salario differito collettivamente”, potremmo dire che c’è un ulteriore parassitismo su una parte del valore già estratto); la trasformazione degli ospedali pubblici in società per azioni porta a dare priorità al loro bilancio annuo, alla cosiddetta “efficienza finanziaria”. Il fatto che le stesse aziende farmaceutiche vedano la salute, la cura e le crisi sanitarie come un’opportunità di profitto è forse chiaro a tutti, basti pensare al periodo COVID-19.
L’aspetto di classe, quindi, è che l’assistenza sanitaria dipende dalla lotta di classe e dalla posizione economica dell’individuo nella società capitalista che è appunto una società divisa in classi. Se la classe operaia è debole, la classe dominante può permettersi di finanziare meno i servizi pubblici. I ricchi e i membri della borghesia hanno naturalmente un accesso più facile all’assistenza sanitaria, possono evitare le lunghe attese per gli interventi sanitari pubblici grazie a tangenti, spinte o ricorrendo direttamente a strutture sanitarie private che sono economicamente inaccessibili alla maggior parte dei proletari; il problema delle classi agiate in relazione all’assistenza sanitaria è quindi di natura formale e di convenienza per l’uso dell’assistenza sanitaria pubblica o privata; per i lavoratori salariati, è un problema economico, di sopravvivenza.
La privatizzazione dell’assistenza sanitaria è sicuramente un attacco alle condizioni di vita della classe operaia: è un ulteriore attacco a quella parte del salario che viene sottratta per il “fondo comune” che si suppone fornisca l’assistenza sanitaria; è uno strumento di ulteriore sfruttamento dei lavoratori attraverso le aziende private.
In assenza della lotta classista del proletariato, della lotta in difesa esclusiva degli interessi di classe del proletariato, il potere borghese aumenta l’oppressione dei lavoratori salariati in ogni ambito della loro vita quotidiana. I bassi salari, l’aumento dei ritmi di lavoro, l’aumento dell’insicurezza nei posti di lavoro e il conseguente aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro, l’aumento della disoccupazione e di una precarietà del lavoro sempre più estesa, l’aumento della concorrenza tra proletari e il generale peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle masse salariate incidono direttamente e negativamente sull’assistenza sanitaria.
Lottare contro questo peggioramento è ovviamente naturale per ogni proletario. Ma battersi in difesa della sanità pubblica contro la sanità privata non incide minimamente sul sistema capitalistico che è interamente costruito sulla valorizzazione del capitale e sul profitto. Si tratterebbe di una lotta squisitamente politica, ma della politica di conservazione capitalistica, perciò cambierebbe solo il “referente” con cui trattare salari, condizioni di lavoro ecc., ma non la logica economica del profitto capitalistico e dello sfruttamento sempre più intenso del lavoro salariato.
Lo Stato borghese difende prima di tutto gli interessi del capitale, anche quando diventa lui stesso imprenditore; e se dalla lotta di classe proletaria, anche dura e prolungata, viene costretto a cedere su qualche aspetto della sua gestione economica, si rifà contemporaneamente su tutti gli altri aspetti economici e sociali della vita pubblica, rimangiando ai proletari attraverso le tasse, i trasporti, il carburante, i prodotti alimentari, i servizi ecc., quel poco che è stato costretto a concedere a fronte di una lotta dura, ma parziale e temporanea. Lo Stato borghese lotta in difesa degli interessi capitalistici 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ogni mese e ogni anno finché rimane in piedi la sua funzione di conservazione del capitalismo. I proletari partono dalla condizione di essere costretti a lavorare per i capitalisti sennò muoiono di fame; e quando finalmente trovano la forza di scendere in lotta non lo possono fare immediatamente né tutti insieme, uniti come fossero un unico esercito. I borghesi contano esattamente su questa debolezza oggettiva del proletariato, sulla individuale esigenza di ogni proletario di sopravvivere giorno dopo giorno. Di fatto, ogni lotta operaia sul terreno della difesa immediata delle proprie condizioni di lavoro e di vita, è una lotta impari, perché si scontra con una forza organizzata a livello generale, pronta ad intervenire in ogni angolo del paese con ogni mezzo: economico, politico, sociale, finanziario, militare. Ma i proletari non possono non lottare: prima o poi, quando le condizioni di lavoro e di vita diventano intollerabili scoppiano inevitabilmente la protesta, la rabbia, la voglia di mettere in gioco il proprio salario, la propria vita e quella della propria famiglia per ottenere una condizione di lavoro e di vita più tollerabile. Con la lotta nasce il bisogno di organizzarsi e di affrontare i colpi che la “controparte” – in realtà il nemico di classe – non risparmierà. I proletari sanno che, in seguito, dovranno nuovamente lottare, perché il salario – anche se aumentato di qualche punto percentuale – non basta ad arrivare a fine mese, colpito ciclicamente dall’inflazione o addirittura sparito a causa di licenziamento. Di fronte a questa situazione generale, che si ripropone continuamente alle masse proletarie, la borghesia dominante ha a disposizione un’arma in più per difendere i suoi interessi di classe: le forze dell’opportunismo politico e sindacale, che hanno il compito di convogliare la protesta, la rabbia, la lotta dei lavoratori salariati sul terreno della conciliazione con gli interessi borghesi, sul terreno delle riforme, invocando pietà dai padroni e dallo Stato per le condizioni in cui sono costretti a vivere i proletari. Di più, le forze dell’opportunismo tendono sistematicamente a illudere i proletari che lo Stato, se spinto e forzato dalla lotta operaia, si allei con il proletariato contro gli interessi del capitale privato e del capitalismo in generale. La storia stessa del capitalismo dimostra che questo obiettivo della lotta operaia è servito soltanto a difendere gli interessi generali del capitalismo e a illudere, debilitare, disorganizzare la lotta operaia. Nel caso della settore sanitario, come in quello dei trasporti e dei servizi in generale, lottare perché sia lo Stato a monopolizzare questi settori economici e la loro gestione non trasforma la legge capitalistica del profitto in una legge economica sociale in cui non domini il profitto capitalistico . Il fascismo l’ha dimostrato pienamente, come d’altra parte lo dimostrano i grandi gruppi monopolistici nei settori dell’industria, del commercio, dell’informazione, dei servizi, dell’agricoltura.
La lotta dei proletari sul terreno della difesa immediata degli interessi classisti – ossia che riguardano esclusivamente il proletariato e le sue condizioni di lavoro e di vita – può diventare il volano della lotta di classe, della lotta generale del proletariato alla condizione di elevarsi a lotta di classe, cioè di lotta che si pone l’obiettivo più grande e generale: cambiare completamente il sistema economico e sociale, superare il capitalismo distruggendone le leggi economiche che lo caratterizzano. Ma per giungere a questo risultato – che è un risultato rivoluzionario che il proletariato come classe è storicamente in grado di realizzare e che noi chiamiamo comunismo – i proletari devono attraversare, in questo lungo cammino storico, una serie di passaggi che inizia dalla rottura decisa, verticale, con la pratica e la politica della collaborazione di classe, della conciliazione di classe, facendo propri i mezzi e i metodi della lotta classista come già fecero le generazioni proletarie dell’Ottocento e del Novecento, e organizzandosi in modo indipendente da ogni commistione interclassista. E’ questa lotta, su questo terreno classista che genera la solidarietà di classe, che può coinvolgere i proletari dei diversi settori economici, di età e di nazionalità diverse, unendoli nella stessa lotta anticapitalistica.
L’eliminazione del capitalismo come ostacolo richiede la mobilitazione della classe operaia come forza unita e come forza internazionale; la riorganizzazione degli organi economici immediati delle masse lavoratrici in modo che siano vere e proprie strutture di difesa e resistenza della classe operaia nel suo complesso, lavoratori del settore pubblico e privato, di questo o quel settore, categoria, nazionalità, in un movimento di massa potenzialmente unico; la mobilitazione delle forze proletarie per obiettivi esclusivamente proletari, il che significa lottare con mezzi e metodi di carattere di classe (proteste e scioperi a tempo indeterminato a sostegno di rivendicazioni economiche e immediate, negoziati nell’ambito di una lotta attiva e continua, manifestazioni di solidarietà, partecipazione attiva alle lotte dei proletari di altre imprese, settori ecc.). Questo processo non è possibile spontaneamente o in qualche modo dall’alto (con un semplice cambio di leadership “burocratica”): ha bisogno, e avrà costantemente bisogno, del lavoro costante e incessante dei proletari più ricettivi e coscienti degli obiettivi della loro classe, che dovranno assumersi il compito di formare la spina dorsale di una nuova rete organizzativa proletaria indipendente, perché una tale prospettiva non è possibile senza riconoscere l’incompatibilità degli interessi dei proletari con quelli dei capitalisti e del loro Stato, cioè senza neutralizzare l’influenza degli elementi, delle strutture, delle organizzazioni che promuovono la collaborazione tra le classi per conquistare l’armonia tra gli interessi dell’”impresa”, del “settore” e quelli dei lavoratori.
Nella lotta proletaria intervengono da sempre vari soggetti politici, alcuni dei quali possono potenzialmente esprimere in parte i reali interessi immediati delle lotte dei lavoratori, altrimenti sarebbero stati consegnati alla pattumiera della storia già da tempo, ma lo fanno nella prospettiva e secondo una linea politica che accettano di condividere con le “controparti” gli stessi obiettivi di gestione economica delle aziende, solo a un livello di sedicente parità o coinvolgimento nelle decisioni aziendali. Questa risposta politica opportunista, che spesso si palesa solo nel corso della lotta, invece di rafforzare ulteriormente il movimento, in realtà lo smorza, e quando arriva alla testa di esso cerca di imporre quei compromessi che li trasforma in veri pompieri del conflitto sociale, e questi soggetti politici appaiono di fronte alla borghesia come gli unici leader in grado di spezzare il movimento per salvare il regime, salvare l’economia nazionale.
Per una lotta efficace, che tenda inevitabilmente a giungere sul terreno eminentemente politico, cioè a divenire lotta per il potere, sono necessari un lavoro di propaganda dei mezzi e dei metodi della lotta di classe di cui i proletari di oggi si devono reimpossessare, lottando contro le influenze opportuniste delle varie scuole, e un indirizzo classista costante e incessante sul terreno immediato che soltanto i comunisti intransigenti sono in grado di dare, contribuendo in questo modo alla ricostituzione dell’associazionismo operaio classista e della massima organizzazione possibile del proletariato a tutti i livelli, cioè del partito di classe, del partito comunista, che rappresenta la coscienza più completa della classe e la sua organizzazione suprema e che solo è in grado di unire e integrare tutte le lotte che trascendono i confini dello spazio e del tempo, al fine di far sfociare la lotta proletaria nella sua reale emancipazione di classe chiudendo definitivamente l’epoca del mercantilismo borghese.
Partito Comunista Internazionale
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