Sintesi dei punti caratteristici fondamentali del Partito
(«il comunista»; N° 185 ; Gennaio-Febbraio 2025)
Il nostro Partito – Partito Comunista Internazionale – affonda le proprie radici nella corrente di Sinistra del socialismo italiano, fin dal 1912, in collegamento col movimento marxista internazionale che si riconosceva nelle opere classiche di Marx ed Engels (Manifesto del Partito Comunista, il Capitale, Antidhüring, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Miseria della filosofia, Lotte di classe in Francia, Guerra civile in Francia ecc.) e nell’opera di restaurazione teorica svolta da Lenin (dal Che fare? in avanti) che si batté contro l’opportunismo bernsteiniano, prima, e contro l’opportunismo kautskyano e il socialsciovinismo poi.
L’invarianza del marxismo come teoria del comunismo rivoluzionario è stata sempre il punto centrale della concezione teorica, programmatica e politica della corrente della Sinistra Comunista d’Italia.
L’atteggiamento intransigentemente antidemocratico, antipatriottico, anticollaborazionista ha qualificato l’azione della Sinistra Comunista d’Italia in tutto il suo percorso storico che toccò l’apice con la costituzione del Partito Comunista d’Italia nel gennaio 1921 e proseguì le battaglie di classe sulla rotta rivoluzionaria definita una volta per tutte fin dal 1848 e ribadita, attraverso l’esperienza storica delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, in tutte le epoche successive, passando per le rivoluzioni in Europa del 1848, la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione russa del 1905 e soprattutto la vittoriosa rivoluzione bolscevica del 1917, la costituzione dell’Internazionale Comunista nel 1919 e dei parttiti comunisti in Europa e nel mondo.
I bilanci dinamici tratti dai grandi svolti storici da parte del marxismo rivoluzionario, fin dai tempi di Lenin, hanno caratterizzato l’attività politica della Sinistra Comunista d’Italia fin dall’inizio della sua attività e si sono concretizzati nella coincidenza di posizioni con il bolscevismo pur non essendo, negli anni che precedettero la prima guerra imperialista mondiale, in rapporto con il partito bolscevico. Contro il nazionalismo patriottico, e quindi contro la guerra imperialista, in Italia come in Russia la posizione di disfattismo rivoluzionario fu esattamente la stessa, come fu esattamente sulla stessa linea d’onda la battaglia teorica e pratica contro il riformismo socialdemocratico.
E’ grazie alla sua continuità ideologica e d’azione pratica che la corrente di Sinistra Comunista nel PSI si è organizzata in frazione lottando allo scopo o di riportare il PSI sulle posizioni rivoluzionarie originarie cacciando dal partito le correnti riformiste e di destra, o di rompere con il PSI se questo risultato non si fosse ottenuto, in vista della costituzione di un partito effettivamente comunista anche in Italia. Cosa che avvenne grazie alla corrente di sinistra organizzata intorno al giornale Il Soviet di Napoli, alla quale si aggregò la corrente di sinistra dell’Ordine Nuovo di Torino.
Il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’IC, nacque «alla bolscevica», ossia con l’intransigenza nella teoria e nella pratica d’azione e organizzativa che caratterizzò il bolscevismo quando si divise dal menscevismo. Esso, basato sul programma politico dell’Internazionale Comunista, fin dalla sua nascita produsse tesi e azioni tutte indirizzate a un internazionalismo comunista effettivo. Grazie a questa impostazione, il Partito Comunista d’Italia, per un primo tratto guidato dalla Sinistra comunista e poi, dal 1923, passato alla direzione della corrente ordinovista su intervento della stessa IC, espresse nella sua maggioranza reale, fino a tutto il 1926, una linea rivoluzionaria coerente con i primi due congressi dell’IC, con il programma fondativo del PCdI e con le sue tesi del 1922.
La corrente della Sinistra Comunista, nonostante le divergenze con l’IC sulla tattica del parlamentarismo rivoluzionario, del fronte unito politico, del governo operaio, della fusione col Psi da cui si era scisso solo l’anno precedente, mantenne comunque la disciplina politica e organizzativa dovuta all’IC quale organizzazione mondiale centralizzata del movimento comunista internazionale. La rottura con l’IC avvenne, inevitabilmente, quando le divergenze passarono dal campo tattico al campo programmatico e teorico, condensate nella netta opposizione alla «teoria del socialismo in un solo paese», per l’appunto nel 1926. Ma a quell’epoca, la sconfitta della rivoluzione in Russia, e in Europa, si concluse con la sconfitta della rivoluzione in Cina nel 1927: qui lo stalinismo coronò la sua opera distruggendo il partito comunista cinese facendolo sciogliere nel Kuomintang di Ciang Kai-shek che completò l’opera massacrando i comunisti a decine di migliaia.
Un altro aspetto di grande importanza politica e teorica riveste la questione della valutazione del fascismo, quale nuovo metodo di governo della classe dominante borghese. La Sinistra comunista d’Italia combatté la tesi gramsciana che vedeva il fascismo come l’espressione di un arretramento politico e sociale della storia in quanto lo considerava come il rappresentante del rozzo e arretrato latifondismo agrario che, approfittando del caos generato dalla guerra mondiale e dal dopo-guerra, si impossessava del potere annullando le conquiste democratiche e civili che caratterizzavano la democrazia liberale; questa valutazione portava il gramscismo a giustificare la difesa della democrazia borghese come ambiente sociale e politico più favorevole alla lotta del proletariato.
La Sinistra comunista, al contrario, valutava il fascismo come l’espressione politica dichiaratamente antiproletaria della grande borghesia imperialista che – spaventata dal pericolo corso a causa dell’avanzare del movimento rivoluzionario del proletariato italiano influenzato da un partito, il PCdI, che aveva chiarissima la prospettiva rivoluzionaria nella quale indirizzare le forze proletarie e la coerenza politica e pratica per guidarle con efficacia verso lo sbocco rivoluzionario –, mostrava senza più veli la sua vera faccia dittatoriale e repressiva, giungendo a colpire le forze proletarie dopo che l’opportunismo riformista, democratico e collaborazionista aveva disorientato, disorganizzato e demoralizzato il proletariato frammentandone le lotte e indirizzandolo alla difesa della democrazia borghese, nei suoi istituti, nei suoi simboli, nella sua politica.
Il fascismo diventò così la soluzione borghese preventiva al pericolo rivoluzionario comunista e, per quanto riguarda la riorganizzazione economica e sociale del capitalismo italiano, fu la soluzione centralizzata e più forte per tirar fuori dall’impasse e dalla crisi post-guerra il capitalismo italiano. La classe borghese dominante da democratica diventò fascista e ciò le permise non solo di mantenere il potere ma di rafforzarlo; non poteva però ottenere il consenso (necessario per riprendere alla svelta la crescita economica post-guerra, da un proletariato abituato a lottare in difesa delle sue condizioni di vita e di lavoro) senza tacitare in qualche modo i suoi bisogni elementari. Il “colpo di genio” – dopo aver “rubato” al comunismo rivoluzionario la dichiarata e aperta dittatura di classe, partito unico, intervento statale nell’economia ecc. – fu di attuare un piano di riforme sociali che andasse a soddisfare una serie di rivendicazioni che erano state avanzate negli anni precedenti dal riformismo socialista, come la liquidazione a fine rapporto lavorativo, la pensione, la cassa malattia, la previdenza per gli infortuni sul lavoro, la casa popolare ecc. Insomma, i famosi ammortizzatori sociali che la democrazia post-fascista erediterà totalmente ampliandone i campi di applicazione.
In campo politico e sociale, come in campo economico, il fascismo rappresentò, così, non solo la risposta al pericolo della rivoluzione proletaria e comunista, ma anche la forma più aperta che il potere borghese prese nella sua epoca imperialista, centralizzando al massimo possibile sia il potere politico che quello economico e finanzario. Un potere che aveva comunque bisogno di rafforzare quella che oggi chiamano la coesione nazionale coinvolgendo il proletariato nella gestione dei contrasti sociali attraverso la politica della collaborazione tra le classi che il fascismo istituzionalizzerà nel tentativo di togliere le riforme sociali dalla temporaneità del loro funzionamento per renderle stabili nel tempo e togliere al proletariato le ragioni della sua indipendenza politica e organizzativa. Le democrazie post-fasciste erediteranno questa politica della collaborazione di classe, facendola diventare il perno dell’intera politica sia dei partiti “operai” che dei sindacati “operai”.
Dichiarando che ci distingue la linea che va da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell’Internazionale Comunista e del Partito Comunista d’Italia, rivendichiamo una continuità teorica, programmatica e politica non letteraria, ma vissuta attraverso le battaglie di classe della Sinistra Comunista in difesa del marxismo non solo dagli attacchi ideologici e pratici delle forze della conservazione sociale borghese, ma anche contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti, ossia contro tutte le varianti dell’opportunismo che trovarono nella teoria del socialismo in un solo paese, e quindi nella falsificazione sistematica del marxismo e dei risultati storici della rivoluzione proletaria e comunista, il loro denominatore comune.
La controrivoluzione borghese che, a conclusione dei formidabili scontri di classe degli anni che seguirono la fine della prima guerra imperialista mondiale, sconfisse la rivoluzione in Russia – primo bastione della rivoluzione proletaria internazionale – e nel mondo, prese il nome di staliniana perché la sua caratterizzazione politica non fu data semplicemente dalla repressione dichiarata e aperta della borghesia, ma fu mimetizzata sotto le vesti di un socialismo formalmente rivendicato, ma sostanzialmente corrotto e trasfigurato. Gli effetti di questa terza ondata opportunistica che fece strage dei militanti comunisti, a cominciare dai magnifici combattenti russi, e che fece ripiegare pesantemente il proletariato anche sul terreno della difesa delle condizioni di vita e di lavoro immediate, li sentiamo ancora oggi: basta considerare quanto il proletariato europeo, americano, asiatico e anche africano, sia intossicato dai pregiudizi della democrazia, della legalità borghese, del pacifismo, del collaborazionismo di classe.
Le battaglie di classe della Sinistra Comunista d’Italia si prolungarono perciò su tutto l’arco delle posizioni opportuniste che – e non poteva essere diversamente – fecero perno sulla democrazia e sull’interclassismo: quindi, rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali, lotta contro il principio democratico e la sua prassi, lotta contro l’intermedismo, il pacifismo, il legalitarismo e il collaborazionismo interclassista politico e sindacale, lotta contro ogni declinazione del nazionalismo.
Se il marxismo ha una sua specifica invarianza (grazie alla quale si definisce il partito storico), anche l’opportunismo ha una certa invarianza di fondo, sebbene la sua caratteristica principale sia in realtà la sua continua variabilità di forme e di contenuti. L’invarianza opportunista risiede nel ruolo che svolge nella società capitalistica: il suo ruolo è di far passare nelle masse proletarie la politica e la prassi borghesi attraverso forme e contenuti che, di volta in volta, risultino accettabili perché fondati su situazioni del momento, ma convergenti nella difesa delle esigenze dell’economia capitalistica e del controllo politico borghese. Che cosa intendiamo per immediatismo: l’immediatismo è la politica che pone come condizione vincolante per ogni lotta, per ogni movimento, un obiettivo parziale immediatamente raggiungibile; è evidente che un obiettivo parziale immediatamente raggiungibile da parte del proletariato è una concessione che il capitalista singolo non ha difficoltà a fare, solo che per suo interesse di classe non concede “gratuitamente”, senza una “trattativa”, senza un “mercato”, senza uno “scontro di interessi immediati”, senza che gli operai “paghino” un prezzo, ad esempio il prezzo di uno sciopero; è molto raro il caso in cui il capitalista conceda qualcosa di diverso da quanto previsto dal “minimo di legge” senza che gli operai lottino per ottenerlo, e di solito può succedere quando le possibilità di mercato sono molto favorevoli e il capitalista ha bisogno immediatamente di ottenere un aumento della produzione.
L’opportunismo, in sostanza, è la politica del minor sforzo per ottenere un importante risultato; ma, nella società capitalistica, in cui i rapporti di forza fra le classi sono tali per cui, normalmente, è la classe borghese a imporre le condizioni di lavoro e di vita degli operai, e gli operai sono costretti a difendersi dalla pressione sempre più forte dello sfruttamento della loro forza lavoro, la possibilità da parte operaia di far valere le proprie esigenze di vita e di lavoro è incentrata soltanto nella sua forza organizzata di resistenza a quella pressione e nell’unione dei proletari che riconoscono di avere gli stessi interessi immediati di difesa: è l’unione nella lotta a difesa degli interessi immediati proletari, la solidarietà operaia nella lotta per difendersi reciprocamente dalla pressione dello sfruttamento capitalistico nelle diverse fabbriche, è l’uso di mezzi e metodi di lotta efficaci nel procurare un danno materiale al capitalista, che possono “imporre” al capitalista concessioni che non farebbe mai spontaneamente, tanto meno “gratuitamente”.
L’opportunismo, nelle sue varie forme ideologiche e organizzative, si è sempre assunto il compito di evitare che gli operai giungano a questo livello di lotta: agisce, appoggiato dai capitalisti alle volte di nascosto e alle volte apertamente, perché gli operai non raggiungano il “livello della coscienza tradunionistica” e, nel caso lo dovessero raggiungere perché spinti materialmente dalla forza delle contraddizioni sociali, non lo superino ponendosi sul piano di scontro più generale politico, sul piano dello scontro di classe.
Tutto il mastodontico apparato di propaganda e di influenza ideologica con la quale la classe borghese dominante, in particolare nei paesi più ricchi e a tradizione democratica più vecchia, si attrezza per controllare le masse proletarie, ha la funzione di deviare sistematicamente su falsi obiettivi, immediati o più generali, le spinte materiali che il proletariato subisce in forza delle contraddizioni sociali in cui è immerso. Usare quindi mezzi e metodi della democrazia borghese, concetti e obiettivi della democrazia borghese, principi e teorie della democrazia borghese, non fa che rafforzare l’asservimento del proletariato al potere capitalistico, rafforzare la sua condizione di schiavo salariato alla mercé della classe dei capitalisti che usano i proletari come macchine produttrici di profitti, macchine che una volta logorate dal prolungato e intenso impiego vengono gettate, rottamate e sostituite.
La storia delle lotte della classe operaia ha mostrato che queste lotte, pur restando nei limiti delle rivendicazioni immediate – sia economiche che politiche – e sostenute da una grande combattività operaia, sono foriere di due prospettive: la prospettiva di trascrescere in lotta politica di classe o la prospettiva contraria, piegarsi cioè al loro controllo interclassista e riformista facendole sboccare nella collaborazione di classe e nel proprio completo asservimento alla classe borghese.
Sta di fatto che lo stesso sviluppo del capitalismo, mentre imprime una potente spinta allo sviluppo delle forze produttive, in ragione delle sue contraddizioni intrinseche che portano l’economia capitalistica incontro a crisi sempre più profonde e distruttive, impedisce alle stesse forze produttive di continuare a svilupparsi, ne blocca il progressivo sviluppo e le distrugge per avere la possibilità, successivamente, di ricominciare l’iperproduzione di merci di ogni tipo andando, in questo modo, incontro a crisi sempre più vaste e gravi. La società capitalistica, entrata in crisi, non ha altri mezzi per combattere le crisi che genera se non quelli che l’hanno condotta alla crisi stessa: conquistare nuovi mercati, rinvigorire i mercati esistenti ed elevare la concorrenza tra poli capitalistici e imperialistici a livelli sempre più acuti. Ciò che caratterizza il capitalismo sviluppato non è la capacità di produrre tutti i beni utili alla vita economica e sociale del genere umano, ma la sovraproduzione di prodotti-valori-di-scambio che, oltre una certa quantità, non possono più essere scambiati con denaro al fine di concretizzare il profitto a causa dell’intasamento dei mercati e della contemporanea caduta del saggio medio di profitto.
La storia delle lotte di classe e delle rivoluzioni insegna che il proletariato possiede la potenzialità storica di rivoluzionare completamente la società, il suo sistema economico e sociale; ma per attuare questo rivoluzionamento il proletariato non ha alternative, non ha scelte differenti, ha una sola via da seguire: la via della lotta rivoluzionaria per conquistare il potere politico centrale sotto la guida del partito comunista rivoluzionario, dell’abbattimento dello Stato borghese e la sua sostituzione con lo Stato proletario, l’instaurazione della dittatura di classe esercitata dal partito comunista rivoluzionario, l’intervento dispotico nella società e nell’economia per cominciare a trasformare l’economia capitalistica in economia socialista sradicando mano a mano i fondamenti economici del capitalismo che si condensano nella proprietà privata, nelle forme aziendali dell’economia e nell’appropriazione privata dei beni prodotti socialmente.
La produzione sociale viene tolta dalle mani dei singoli capitalisti e ridata in possesso alla società, mentre i borghesi, fin dall’inizio del nuovo potere proletario, non avranno più alcuna rappresentanza politica o sindacale e verranno immediatamente espropriati delle loro vecchie proprietà. Un programma di questo tipo non può e non potrebbe mai nascere “dal basso”, dalla spinta materiale delle condizioni immediate di vita dei proletari. Questo programma rivoluzionario non è che il risultato dell’intera storia delle lotte fra le classi e delle rivoluzioni che hanno fatto progredire la società divisa in classi fino alla sua massima, ed ultima, espressione: la società capitalistica, che ha universalizzato il suo modo di produzione e internazionalizzato le condizioni sociali delle classi sia borghesi che proletarie. E lo sbocco storico della lotta di classe fra borghesia e proletariato non è “scelto” da una o dall’altra classe: è un movimento reale di forze sociali immense che si scontrano perché lo sviluppo delle forze produttive tende a spezzare le forme sociali in cui sono costrette. Le forze produttive rappresentate dal proletariato si scontrano con le forme sociali del capitalismo che avvantaggiano esclusivamente la classe borghese che ha la proprietà esclusiva non solo dei mezzi di produzione ma soprattutto si appropria il prodotto finale che, trasformato in merce venduta al mercato, riconsegna alla classe borghese il valore delle merci vendute aumentato del plusvalore estorto al lavoro salariato. Questa contraddizione non sarà mai risolta nella società del capitale; potrà essere risolta e superata in una società che non si basa più sulla produzione di merci, sulla loro circolazione, sul profitto capitalistico, sui prodotti come valori di scambio, sulla legge del valore, ma che si basa sulla pianificazione razionale della produzione a seconda dei bisogni reali della società di specie e che avrà sepolto per sempre la divisione del lavoro e della società in classi antagoniste.
Per raggiungere questo sbocco storico, il proletariato non può limitarsi alla lotta soltanto sul terreno della difesa immediata delle sue condizioni di vita e di lavoro, ma deve elevare il livello della sua lotta, elevarlo a obiettivi politici e di classe. La storia stessa delle lotte del proletariato ha dimostrato che i suoi compiti storici come classe rivoluzionaria, generati dalla dialettica deterministica della lotta fra le classi, non nascono dalle lotte immediate del proletariato, inevitabilmente parziali e contingenti, ma dal loro elevarsi a livello politico generale su cui vengono spinte per lo stesso intervento centralizzato e statale del potere borghese. Il proletariato, quindi, esprimendo un’avanguardia politica attraverso le sue lotte, mette questa avanguardia nelle condizioni di collegarsi con la teoria della rivoluzione di classe che non è se non il risultato storico di tutto ciò che l’umanità ha creato di meglio nel secolo XIX: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese (Lenin), integrandole in un’unica e superiore teoria, il marxismo appunto. Ebbene questa teoria, che noi abbiamo chiamato partito storico, per le sue caratteristiche intrinseche e invarianti, non può essere assimilata e rappresentata non tanto da una parte della classe proletaria, ma da un organismo – il partito formale – che la animi, la cementi, la preceda, la inquadri, che assicuri l’affasciamento dell’insieme della classe proletaria rendendola forza dirompente in grado di spezzare il dominio della classe borghese dominante. Questo particolare organismo, che ha il compito di indirizzare, orientare, guidare e dirigere il movimento del proletariato, è il partito comunista rivoluzionario.
C’è una ragione ben materiale per la quale i poteri borghesi hanno sempre cercato di decapitare il movimento operaio del suo partito di classe, e questa ragione risiede nelle lezioni che anche la classe borghese tira dalla storia delle lotte di classe: senza l’influenza determinante e la guida del partito di classe, il proletariato può anche raggiungere livelli di scontro fra le classi molto alti, può addirittura rovesciare il potere borghese, temporaneamente, come durante la Comune di Parigi o la rivoluzione in Ungheria o in Baviera, ma non riuscirà mai a incidere in profondità nella società non solo nella sovrastruttura politica ma anche nella struttura economica, rivoluzionando effettivamente l’intero sistema sociale togliendo in questo modo alla borghesia tutti i suoi privilegi e, soprattutto, la ragione stessa della sua esistenza come, d’altra parte, la ragione dell’esistenza della classe proletaria. Ciò che ha insegnato la rivoluzione bolscevica in Russia – una rivoluzione proletaria e comunista, non dal punto di vista degli obiettivi economici, ma dal punto di vista politico – nonostante la caratteristica di avere compiti duplici – borghesi in economia, proletari in politica – è esattamente questo: se il proletariato, organizzato e spinto al movimento rivoluzionario dalle condizioni storiche del paese, è guidato dal suo partito di classe, solido nella teoria e fermo nell’azione, il suo movimento rivoluzionario acquisisce una potenza mille volte più grande della nuda quantità numerica di cui è composta la classe operaia. In Russia, la rivoluzione è stata sconfitta,alla fine, non a causa della debolezza del proletariato russo, ma a causa della debolezza dei partiti che influenzavano e guidavano il proletariato europeo, di Germania, di Francia, d’Inghilterra, d’Italia, il cui movimento non è stato storicamente alla stessa altezza del proletariato russo di quegli anni. A parte il Partito Comunista d’Italia, nato comunque nel 1921, tre anni dopo la fine della guerra mondiale e tre anni dopo la nascita dei partiti comunisti in Germania e in Francia, quando le sorti rivoluzionarie in Europa stavano cominciando ad avere le prime vere difficoltà, gli altri partiti comunisti non furono in grado di dare l’apporto teorico e politico, solidamente ancorato al marxismo rivoluzionario, e necessario al Partito Comunista bolscevico, e all’IC, in termini di esperienze significative e determinanti provenienti da paesi di lunga tradizione democratica e di capitalismo sviluppato. Portarono invece nell’Internazionale Comunista le loro incertezze, le loro debolezze, la loro non salda convinzione teorica nella rivoluzione comunista, e soprattutto i pregiudizi democratici e riformisti dei quali sostanzialmente non erano riusciti a liberarsi.
E’ dunque nella coerenza teorica e politica espressa dalla Sinistra Comunista d’Italia in quei fulgidi anni, come negli anni della degenerazione e della controrivoluzione staliniana, che va cercato il filo del tempo al quale collegarsi per la restaurazione del marxismo e dell’organo indispensabile per la rivoluzione, il partito di classe.
Il nostro partito di oggi, al di là delle minuscole dimensioni della sua organizzazione fisica, è, nella continuità delle battaglie di classe della Sinistra Comunista d’Italia, l’unica che ha dimostrato storicamente di avere un passato in cui non vi è stato cedimento teorico e politico e che ha dato, quindi, l’unica garanzia che il partito di classe può avere rispetto ad ogni eventuale deviazione: la solidità dell’intransigenza teorica, la coerenza programmatica, la fermezza politica, l’intelligenza tattica e organizzativa. La dura opera del restauro della dottrina marxista che le forze della Sinistra Comunista d’Italia hanno svolto dalla sconfitta della rivoluzione e del movimento rivoluzionario internazionale nel 1926 in avanti, passando attraverso la lotta contro lo stalinismo e la sua politica interclassista e di partecipazione alla seconda guerra imperialista, unitamente alla lotta contro la democrazia borghese e il fascismo al fine di riconquistare le basi teoriche e programmatiche del partito di classe, non poteva trovare il suo reale sviluppo se non nello sforzo della ricostituzione dell’organo rivoluzionario per eccellenza: il partito di classe, la formazione del quale sarebbe stata del tutto astratta e accademica se fosse stata attuata separatamente dalla lotta operaia di resistenza quotidiana alla pressione e all’oppressione capitalistica e borghese.
Le lezioni delle controrivoluzioni – secondo il marxismo più importanti delle lezioni delle rivoluzioni perché nella guerra di classe si vince facendo meno errori delle volte precedenti – ci hanno portato non solo a dare priorità assoluta alla restaurazione teorica del marxismo (senza teoria rivoluzionaria non vi sarà mai vittoria rivoluzionaria), ma ad essere ancora più intransigenti sulle questioni tattiche e organizzative dettando la priorità della lotta contro ogni cedimento al principio democratico e al meccanismo democratico pur conservando, solo ed esclusivamente sul terreno della lotta sindacale e di difesa immediata, quello che abbiamo chiamato “accidente democratico” come mezzo di decisione diretta da parte dei proletari rispetto alla conduzione della loro lotta in difesa degli interessi immediati di classe. Resta un punto fermo per noi, date le molteplici esperienze storiche negative per la lotta di classe e rivoluzionaria, l’astensionismo rivoluzionario contro il parlamentarismo e l’elezionismo. A questa lotta antidemocratica è collegata strettamente la lotta contro ogni variante dell’opportunismo: contro l’espedientismo e l’immediatismo, contro il contingentismo e il codismo, contro il riformismo e l’indifferentismo, contro il volontarismo e l’attivismo, contro il movimentismo e l’avventurismo lottarmatista. Altro punto, non secondario, e collegato strettamente a tutto l’impianto teorico e politico del partito di classe, riguarda la sua organizzazione interna dalla quale, sempre sulla scorta delle lezioni da tirare dalle esperienze storiche del movimento comunista internazionale, il partito ricostituito negli anni Cinquanta ha deciso di eliminare definitivamente dai criteri interni di organizzazione il meccanismo democratico che ancora sussisteva come eredità della tradizione terzinternazionalista; perciò nessun criterio di voto, di formazione di maggioranze e minoranze, di mozioni e tesi contrapposte in sede congressuale ecc. La formula del “centralismo democratico”, alla luce dei continui cedimenti al personalismo e all’elettoralismo anche all’interno del partito, è stata eliminata sostituendola con la formula già indicata dal PCdI nel 1921, ma mai assunta dall’IC e dai partiti ad essa aderenti, del “centralismo organico” con la quale si intende dare forza alla più stretta coerenza tra teoria e programma politico del comunismo rivoluzionario e organizzazione del partito formale: con il termine organico si intende esprimere, materialisticamente e senza falsi equilibri ideologici, continuità nel tempo e nello spazio non solo alla teoria e al programma del partito, ma anche alla sua tattica e alla sua organizzazione.
Il partito comunista internazionale, il nucleo embrionale che noi oggi rappresentiamo, è per noi, nello stesso tempo, una rivendicazione centrale per diventare un domani il partito forte e compatto della rivoluzione proletaria internazionale, e una lotta politica fisicamente organizzata e operante per la quale non limitiamo preventivamente alcun campo d’azione: teorico, politico, tattico, organizzativo. Per il partito proletario è inconcepibile un’attività se non a contatto con la classe operaia e i problemi della sua lotta, non solo la lotta di emancipazione dal capitalismo di domani, ma anche la lotta di difesa immediata dell’oggi.
In questo campo, che tradizionalmente è chiamato sindacale, ma che in realtà è molto più ampio perché riguarda le condizioni di lavoro e di vita quotidiane del proletariato, il partito proletario non può astenersi dall’intervenire. Ma il suo intervento, pur dipendendo dalle forze effettive del partito impegnate in questo campo e dalle condizioni sfavorevoli o favorevoli alla lotta operaia di classe, deve avvenire secondo un piano tattico preventivamente definito che ha come scopo principale la conquista di un'influenza reale e determinante nelle lotte e nelle organizzazioni di lotta immediata del proletariato.
Il partito valuta, fin dalla loro “rinascita”, dopo la seconda guerra mondiale vinta dal blocco dei paesi imperialisti cosiddetti democratici, i sindacati operai ufficiali, accettati e riconosciuti dal potere borghese, come sindacati tricolore, patriottici, nazionalisti, dunque inseriti in un processo di integrazione nello Stato borghese. La differenza dei sindacati “tricolore” dai sindacati fascisti – entrambi si potrebbero definire “di regime” – è data dal fatto che il metodo democratico usato dalla classe borghese dominante per controllare il proletariato è un metodo più insidioso, più ingannevole, appunto “democratico”, con il quale la borghesia concede al proletariato (come fosse un “premio” per aver partecipato con litri e litri di sangue alla più spaventosa guerra mondiale che ci sia stata finora) la “libertà” di organizzarsi, riunirsi, manifestare, scioperare per sostenere proprie rivendicazioni, ma solo nei limiti delle sue leggi che, d’altra parte, prevedono la stessa “libertà” anche dal punto di vista politico con la riapertura del parlamento, delle elezioni ecc. La democrazia post-fascista, se da un lato eredita il riformismo sociale tipico del fascismo (ricordato più sopra), dall’altro deve riconsegnare alle masse proletarie un ambiente di “libera circolazione delle idee”, “libera informazione”, “libera espressione delle opinioni”, “libera organizzazione politica”, “libera professione di fede e di culto”, insomma un ambiente democratico attraverso il quale ottenere lo stesso consenso sociale e la stessa partecipazione dei lavoratori salariati a forgiare condizioni del proprio sfruttamento come sotto il fascismo, ma con l’ambizione di ottenerlo per un periodo molto più lungo che non sotto la dittatura aperta e dichiarata caratteristica del fascismo.
E’ indiscutibile che con il fascismo, e ancor più col nazismo, l’epoca storica della democrazia liberale è finita, e la seconda guerra mondiale l’ha sepolta definitivamente. La democrazia post-fascista è in realtà una democrazia blindata, molto più torturatrice, stragista, repressiva rispetto al fascismo. Illudere il proletariato che attraverso la democrazia e i suoi meccanismi politici e sociali sia possibile ottenere effettivamente un reale miglioramento generalizzato alle sue condizioni, è esattamente il compito delle forze opportuniste.
Il proletariato, precipitato in una situazione di depressione sociale e politica straordinariamente bassa, anche in questi anni Duemila in cui sono evidentissimi gli effetti della crisi capitalistica sulle sue condizioni di esistenza (in Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo, ma anche in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Russia, Cina), oggi non può contare su grandi organizzazioni indipendenti di difesa immediata, su importanti associazioni classiste fondate sulla difesa degli interessi immediati esclusivamente proletari, perché decenni di collaborazionismo sindacale e politico hanno distrutto le grandi tradizioni classiste del proletariato degli anni Venti del secolo scorso.
Ma le contraddizioni sociali che si acutizzano sempre più con lo sviluppo del capitalismo e delle sue crisi (a una crisi che finisce corrisponde un periodo di relativa ripresa economica nel quale si preparano i fattori di una crisi successiva più acuta) spingono prima o poi, dapprima gruppi isolati di operai, ma in seguito gruppi sempre meno isolati e più consistenti di operai in lotta per sopravvivere, ponendo oggettivamente il problema dell’organizzazione di classe indipendente dalla politica e dalla pratica del collaborazionismo interclassista. Da anni, ora in un luogo ora in un altro, ora in un paese e ora in un altro, si formano organismi di resistenza operaia attraverso i quali i proletari si riabituano a prendere in mano direttamente le sorti della propria lotta, organismi sempre più spesso al di fuori degli apparati sindacali ufficiali proprio perché nelle organizzazioni sindacali ufficiali non c’è più vita sindacale, non c’è più scambio di esperienze fra proletari, non c’è più un ambito in cui i proletari si riuniscano in assemblea e partecipino alle decisioni che riguardano i loro problemi immediati e i problemi della loro lotta.
Ebbene, il Partito Comunista Internazionale ha sempre visto con favore la formazione di questi organismi indipendenti di classe proprio per la loro funzione propedeutica all’organizzazione diretta della difesa delle condizioni di vita e di lavoro operaie, e per la loro attività pratica che costituisce un esempio del fatto che gli operai possono lottare e organizzarsi al di fuori delle politiche e delle pratiche del collaborazionismo interclassista. Questi organismi non sono il sindacato di classe forte e influente come lo era il sindacato rosso degli anni Venti del secolo scorso, un sindacato che per le sue caratteristiche fondative e per la vita interna partecipata dei proletari era permeabile all’influenza del partito di classe e dei militanti comunisti che vi lavoravano all’interno. Ma sono organismi che si inseriscono nel processo di ricostituzione dell’associazionismo di classe che noi, a differenza di altri gruppi cosiddetti comunisti e cosiddetti della sinistra comunista, consideriamo uno dei fattori indispensabili per la ripresa della lotta di classe e rivoluzionaria. Perciò il nostro partito, quando afferma di svolgere la propria attività a contatto con la classe operaia, lo intende nel senso di sostenere e dare, nei limiti delle sue forze, il proprio apporto politico e pratico a tutti i tentativi che i gruppi più avanzati di proletari fanno per staccarsi dall’influenza del collaborazionismo e per organizzarsi sul terreno dell’antagonismo di classe con i borghesi; cosa che può avvenire, sebbene con grande difficoltà, anche all’interno dei sindacati tricolore esistenti, sotto la potente pressione della lotta classista da parte dei proletari iscritti in grado di far saltare il dominante controllo da parte delle dirigenze collaborazioniste. Questa è la strada attraverso la quale i proletari potranno riconquistare fiducia nelle proprie forze e nei mezzi e metodi classisti di lotta; guai al partito proletario che snobba questi tentativi di organizzazione indipendente della classe col pretesto che non organizzano la maggioranza del proletariato o che non hanno una visione e un'estensione internazionale o che non perseguono obiettivi dichiaratamente rivoluzionari! Un partito del genere non sarà mai un partito di classe, perché non si pone dal punto di vista delle esigenze attuali della lotta proletaria, ma pretende che il proletariato, di colpo, per il semplice fatto di ascoltare “parole rivoluzionarie” pronunciate attraverso qualche megafono, si rialzi, dall’abisso in cui l’ha precipitato un micidiale secolo opportunista, e sia già pronto per la grande lotta di classe, e magari internazionale!
L’attitudine del partito di classe deve essere sempre quella di collegare i fini della lotta di classe e rivoluzionaria ai movimenti di lotta del proletariato nella situazione concreta, tenendo conto non solo dei rapporti di forza tra borghesia e proletariato (oggi ancora indiscutibilmente favorevoli alla borghesia), ma anche delle contraddizioni economiche e sociali oggettive della società capitalistica e degli effetti oggettivi che esse hanno, o possono avere, sulla parte più avanzata del proletariato, quella, cioè, che si muove per prima e con più coraggio in difesa delle proprie condizioni di esistenza.
La nostra certezza della ripresa della lotta di classe su grande scala e duratura in un domani non viene dalla cieca fede nel comunismo come fosse una fede religiosa che spera nell’intervento di un ente soprannaturale; la nostra certezza, come la certezza della rivoluzione comunista e della vittoria finale del comunismo sul capitalismo, è una certezza scientifica che viene dallo studio che il marxismo ha svolto di tutta la storia delle società umane che si sono succedute fino ad ora: è la storia della lotta fra le classi, è la storia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, è la storia dello sviluppo delle forze produttive ingabbiate in modi di produzione che a un certo punto non riescono più a permettere loro un effettivo e libero sviluppo e perciò sono modi di produzione che saltano, che vengono spazzati via dal procedere storico delle forze sociali, come è successo per la società schiavistica, per la società feudale, e come succederà per la società capitalistica.
E questa è proprio la visione marxista della storia delle società umane e dello sbocco futuro nel comunismo della rivoluzione proletaria e comunista internazionale che abbatterà l’ultima società di classe, il capitalismo, per aprire la strada appunto al comunismo, alla società senza classi, alla società di specie.E' proprio questa visione generale e storica che permette al partito rivoluzionario di classe di essere più vicino ai problemi della lotta operaia di classe di qualsiasi altro partito opportunista immerso nell'immediatismo e che si disinteressa del futuro storico della classe del proletariato, guardando soltanto quel che gli succede oggi, paralizzandolo e seppellendolo così, sistematicamente, nel “presente capitalistico”!
Partito Comunista Internazionale
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