Perché ci chiamiamo

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

(«il comunista»; N° 185 ; Gennaio-Febbraio 2025)

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Nella riunione di partito tenuta a metà dicembre dello scorso anno nel trentino, si è voluto rispondere alla domanda che spesso ci viene fatta da lettori e critici: vi dichiarate comunisti, va bene, ma siete quattro gatti, che senso ha di chiamarvi partito, per di più internazionale?

 

Nel corso dei decenni sono state poste molto spesso al nostro Partito domande di questo genere; domande sulla sua natura e sul suo funzionamento, talvolta con l’obiettivo di meglio comprendere le nostre posizioni, talvolta con il malcelato scopo di criticarci. Può essere utile ribadire il modo in cui, nel corso degli anni, il Partito è giunto a rispondere a queste domande quantomeno all’obiettivo di aiutare una caratterizzazione migliore e pubblica del nostro lavoro. La discussione politica coi nostri avversari – che spesso degenera nella vuota sofistica, quando si tratta di partiti borghesi o fintamente proletari – ha anche l’utilità di rendere più chiare e nette le nostre posizioni invariabili, senza mai comportare la modifica della rotta tracciata dal programma storico della classe proletaria. Questo tratto costituisce un argomento di sufficiente valore per dare un breve spazio alla presente trattazione.

Anzitutto ci è stato chiesto perché abbiamo assunto il nome Partito Comunista Internazionale. Ci sono tre parti di questo nome che debbono essere chiarite: 1) Partito; 2) Comunista; 3) Internazionale. Abbiamo mostrato nella relazione della precedente riunione (1) come il partito proletario di classe si differenzi storicamente dagli altri partiti politici, caratterizzandone i tratti generali.

È importante chiarire perchè, nell’attuale situazione, rivendichiamo ancora il nome di Partito, nonostante le ristrette forze di cui disponiamo. Infatti, convinti della necessità di una reale adesione profonda alle posizioni ed ai metodi del Partito, abbiamo rinnegato qualsiasi mania attivistica di ingrossamento forzato delle nostre file. Altri, al nostro posto, hanno voluto prendere i confusionari nomi di Gruppo, di Tendenza, di Movimento o di chissà quale altra informe unità politica, che non fosse limitata dalle stringenti regole strategiche e tattiche di un partito vero e proprio. Perché non siamo anche noi passati a tali denominazioni?

La risposta è in realtà semplice. Il Partito ha mantenuto tale definizione, più che per una qualche immagine formale di grandiosità, per rivendicare storicamente la sua funzione.

Sulla nostra stampa parliamo di partito storico e partito formale non a caso: se è vero che il partito di classe proletario è quell’organizzazione che risponde del programma storico di una parte organizzata della società in opposizione alla borghesia nel suo insieme (ossia la classe proletaria), è allora evidente che quelle forze fisiche che si rifanno e difendono tale partito storico debbono essere definite partito formale. Questo partito avrà alterne vicende, si ingrosserà o diminuirà di numero, diventerà più o meno influente temporaneamente, ma inesorabilmente, sviluppandosi la lotta di classe, rimarrà programmaticamente destinato a dirigere la rivoluzione proletaria. È dunque necessario, da parte nostra, rivendicare la nostra organizzazione come Partito perché è parte integrante della nostra attività teorica e politica legata alla storia reale del Partito Comunista Internazionale di ieri; rivendicare cioè quel che siamo stati, quel che siamo e che rappresentiamo non solo oggi, ma soprattutto in prospettiva. La crisi esplosiva del 1982-84 che ha ridotto notevolmente le nostre forze fisiche ha in verità perfezionato la nostra capacità di difesa della corretta rotta, grazie al grande bilancio compiuto, necessario allora ed oggi per continuare un serio lavoro politico come comunisti rivoluzionari.

Il Partito si definisce Comunista per la stretta continuità con la dottrina di Marx ed Engels, ribadita con forza da Lenin e dalla Sinistra comunista d’Italia. Si tratta di una visione completa della storia del mondo, delle società che si sono susseguite nei millenni e completamente aderente all’obiettivo storico del comunismo, dunque della società senza classi, della società di specie, passando per la rivoluzione proletaria internazionale per la dittatura del proletariato esercitata dal suo partito di classe, il partito comunista internazionale. Con questo nome rivendichiamo dunque una continuità con l’opera di Marx ed Engels nella Prima Internazionale, con la Comune di Parigi, con il bolscevismo di Lenin nella Seconda Internazionale, con la Rivoluzione d’Ottobre, la dittatura proletaria di Lenin, con le basi teoriche, programmatiche, politiche, tattiche e organizzative dei primi due congressi dell’Internazionale Comunista e con la lotta contro ogni suo cedimento e ogni sua deviazione fino al suo snaturamento e sovversione ad opera dello stalinismo. In modo più preciso, ci richiamiamo alla Sinistra Comunista degli anni 1918-1926 (ed ancor più precisamente, a quella detta «italiana»), alla fondazione del Partito Comunista d’Italia e alla sua direzione da parte della Sinistra comunista d’Italia. La degenerazione staliniana del partito bolscevico e dell’Internazionale Comunista, combinata con l’assenza della rivoluzione proletaria in Europa occidentale e il conseguente isolamento del potere proletario e comunista in Russia, facilitò la reazione controrivoluzionaria delle potenze imperialiste (democratiche e fasciste) e lo schiacciamento del movimento rivoluzionario in Russia, in Cina e nel mondo, portando il movimento proletario ad abbracciare la causa borghese sotto le bandiere dell’«antifascismo», della «riconquista della democrazia» e del nazionalcomunismo. Il partito di classe venne così distrutto completamente, falsando il marxismo, attraverso la teoria della «costruzione del socialismo in un paese solo», dalle fondamenta. Di fronte a tale disastro, ai comunisti rivoluzionari non rimaneva che assumersi il compito di ritessere la dura opera di restaurazione teorica del marxismo, come fece Lenin nel primo ventennio del Novecento, ma in un periodo storico del tutto sfavorevole alla rivoluzione proletaria. Nel secondo dopoguerra, al compito di restaurazione della dottrina marxista si aggiungeva quello della ricostituzione del Partito di classe sulle solide basi teoriche e du quelle del necessario bilancio dinamico della controrivoluzione, compito svolto tenacemente nelle battaglie di classe contro ogni deviazione, principalmente contro il democratismo, l’attivismo e l’indifferentismo. Il marxismo rivoluzionario che portiamo avanti ha dunque tutto il diritto ed anzi il dovere d’essere chiamato comunismo, senza alcuna preoccupazione ed anzi orgogliosamente, come Marx ed Engels dicono di fare nel loro Manifesto.

Infine, il partito è Internazionale. Vi sono molteplici motivi per cui questo è vero. D’un lato, bisogna riconoscere che la rivendicazione storica dell’espressione Partito Comunista Internazionale è anche precedente al cambio di nome operato nel 1965 con l’espansione in altri paesi del nostro Partito (2): ricordiamo l’intervento di Zinoviev sulla necessità di un Partito Comunista Mondiale che fosse incarnato dall’Internazionale Comunista. D’altro lato, chiarito in che senso rivendichiamo il nome di Partito Comunista (come lo rivendicavano Marx ed Engels nel 1848), va comunque sottolineato che la rivendicazione del comunismo non può riguardare i confini di una nazione; per il marxismo non esiste il comunismo «nazionale», è per sua natura internazionale fin dal 1848 di Marx ed Engels che, non a caso, scrissero il Manifesto del partito comunista, su mandato della Prima Internazionale, senza alcuna declinazione specificamente nazionale. Soltanto alla classe borghese interessa inneggiare ai valori nazionali, richiamando il suo passato rivoluzionario; valori che lo stesso sviluppo internazionale del capitalismo ha continuamente messo in discussione. La classe borghese nasce nazionale, diventa, più nolente che volente, una classe internazionale spinta dal modo di produzione su cui poggia il suo dominio di classe, a causa delle sempre più forti contraddizioni che caratterizzano i rapporti di produzione e di proprietà borghesi, ma non perde mai la sua natura nazionale. La classe proletaria, al contrario, proprio in virtù del fatto di essere la classe dei senza riserve, espropriata di tutto, salvo della forza lavoro individuale, è per sua natura internazionale, perché la sua merce – appunto la forza lavoro – è venduta contro salario in qualsiasi angolo del mondo.

Dal punto di vista formale e organizzativo, il nostro partito di ieri ereditò il nome di Partito Comunista Internazionalista, dal gruppo di vecchi compagni della Sinistra comunista del 1921 che non avevano ceduto allo stalinismo e che intendevano non solo difendere il patrimonio teorico e politico della Sinistra comunista, come avevano fatto durante il fascismo e la guerra, ma anche ricostituire formalmente il partito di classe che lo stalinismo aveva ditrutto. Il nostro partito di ieri, in virtù della sua rete organizzativa che dall’Italia si estese in più paesi, decise di chiamarsi «PC Internazionale» abbandonando il termine «PC Internazionalista» ai gruppi che avevano rotto, nel 1952, come battaglia comunista, e nel 1964 come rivoluzione comunista, su basi attiviste e democratiche, con il partito costituitosi sulla restaurazione teorica e sul bilancio della controrivoluzione staliniana. Ma prolungandosi nei decenni il periodo controrivoluzionario e la depressione generalizzata del movimento operaio, l’attivismo, il contingentismo, l’indifferentismo furono fattori di ulteriori crisi che terremotarono il partito, fino alla sua crisi esplosiva del 1982-84. 

Esistono altri gruppi che, impropriamente, continuano ad utilizzare la definizione di «partito comunista internazionale» anche dopo la loro rottura con il nostro Partito di ieri. Per decenni, a partire dalla degenerazione staliniana, i partiti che avevano trasfigurato completamente l’originario partito comunista rivoluzionario hanno continuato a definirsi «partiti comunisti»; ciò ha permesso loro di mantenere per lungo tempo un’influenza decisiva sulle masse proletarie dei rispettivi paesi, turlupinandole sul vero significato del termine comunista – dunque marxista, rivoluzionario, antiborghese, antidemocratico, antiriformista, antilegalitario, antinazionale, antipacifista – equiparandolo a democratico, riformista, legalitario, nazionalista, pacifista. Ma il loro opportunismo controrivoluzionario, pur falsificando in lungo e in largo il marxismo e la sua storia, non è riuscito a distruggere la solidità della teoria marxista, dunque del comunismo rivoluzionario, come non riuscì né a Kautsky né alla socialdemocrazia della seconda Internazionale di impedire l’opera di restaurazione teorica e politica di Lenin. Le diverse tendenze opportuniste che quei partiti e quei gruppi sedicentemente legati alla Sinistra comunista d’Italia rappresentano, sono in realtà un’arma in mano alla classe borghese dominante contro cui i comunisti rivoluzionari – non importa se in un dato periodo storico sfavorevole, anche lungo come l’attuale, sono solo un pugno di militanti che si tengono stretti per mano (ricordate Lenin?) – hanno il dovere lottare perché quando la situazione generale farà maturare i fattori favorevoli alla lotta di classe proletaria e alla sua rivoluzione, sarà vitale che il nucleo di comunisti rivoluzionari che si è mantenuto saldamente, durante tutto il lungo periodo controrivoluzionario, sulle basi teoriche e programmatiche del marxismo, rappresentino realmente l’organo indispensabile per la conduzione e la vittoria della rivoluzione proletaria e comunista: il partito di classe, il partito comunista internazionale.

Come non modifichiamo la rivendicazione della Dittatura del proletariato, anche se dallo stalinismo in poi il concetto marxista e leninista della dittatura del proletariato è stato completamente stravolto, così non modifichiamo la rivendicazione del Partito comunista internazionale. Per noi non aveva, e non ha, alcun senso modificare il nome del partito dopo la sua crisi del 1982-84: che altra definizione potrebbe avere il partito, dopo la lunga lotta contro lo stalinismo ed ogni altra variante opportunista successiva, per rappresentare la continuità teorica, programmatica, politica, tattica e organizzativa se non partito comunista internazionale? Ognuno di questi termini rappresenta una rivendicazione sia teorica che politica. Sarà la storia della lotta di classe che darà il suo verdetto finale: come, nella rivoluzione d’Ottobre 1917, i comunisti rivoluzionari, i marxisti, contingentemente chiamatisi «bolscevichi», riuscirono a conquistare l’influenza determinante sul proletariato non solo russo, ma internazionale, così un domani succederà ai comunisti rivoluzionari che, nella lunga lotta in difesa del marxismo, della sua restaurazione ad opera di Lenin e del patrimonio politico della Sinistra comunista d’Italia, avranno mantenuto la rotta contro ogni vento contrario, ogni illusoria accelerazione della lotta rivoluzionaria attraverso espedienti e cedimenti opportunistici.

Nel 1952 il cambio di testata del partito, da Battaglia Comunista a Il Programma Comnunista, e nel 1984, il cambio di testata di partito, in Italia, da Il Programma Comunista a Il Comunista, sono stati motivati solamente dalle azioni legali borghesi attuate contro il partito, che non inficiano in nessun modo la linea politica che collega il partito di oggi con quello di ieri. Per fugare ogni confusione, comunque, ci siamo sempre preoccupati di indicare quali fossero i nostri organi e le nostre testate nelle diverse lingue, così da rendere sempre chiara la provenienza dei nostri materiali.

Rivendicare questo nome ci pone, senza dubbio, un grande peso sulle spalle, ma essendo coscienti dell’immenso compito che la Storia stessa pone nell’epoca odierna di crisi periodica sempre più ravvicinata, le cui convulsioni scuotono il mondo e preparano un altro massacro bellicista sulla pelle dei proletari, ci sentivamo, e ci sentiamo, in dovere di prendere una posizione ancora più intransigente di quanto non fosse stata presa negli anni del secondo dopoguerra. Ciò significa, per quanto ci concerne, portare avanti ostinatamente le posizioni caratteristiche e l’organizzazione propria del Partito, senza alcuna illusione democratica sul suo funzionamento interno. Non v’è dubbio, infatti, sulla natura radicalmente antidemocratica del nostro Partito in tutte le sue espressioni, non solo teorico-politiche ma anche tattico-organizzative. 

La nostra posizione, che difende il principio del centralismo organico in radicale critica del principio democratico in tutte le sue forme, ricade anche nell’effettiva organizzazione del Partito. Questo è privo, oggi come ieri, di inutili formalismi e di discussioni sulle testi e sui testi fondamentali che formano il patrimonio reale del partito. La teoria marxista non è un mantello da giocarsi a sorte dopo la morte di Carlo Marx: è un metodo integrale di comprensione del mondo, di valutazione della situazione socioeconomica, di combattimento contro la società capitalistica che, nel suo sempre più devastante sviluppo non fa che spingere l’umanità verso regimi sempre più oppressivi e repressivi, verso la carestia, la miseria e la guerra. Non necessita revisioni, correzioni momentanee, infatuazioni passeggere, voti a maggioranza per essere applicata: richiede tutto il contrario. Ad ogni voto a maggioranza del cosiddetto centralismo democratico si uccide il senso medesimo di una teoria scientifica – scienza che è realmente, in qualsiasi caso serio, antidemocratica. Si è infatti dimostrato storicamente come qualsiasi tentativo di instaurare una «democrazia socialista» (si veda, ad esempio, la Comune di Parigi) fallisca proprio nella parte di connubio tra socialismo e democrazia. I comunardi, conducendo la loro eroica lotta, sono stati rimproverati da Marx solo per la loro assenza di risoluzione e per le continue elezioni, che impedivano alla Guardia Nazionale ed alle forze degli insorti di sconfiggere più rapidamente i bersaglieri. E anche nel caso della rivoluzione d’Ottobre e dell’instaurazione della dittatura del proletariato, ciò che ha impedito al proletariato russo e al partito bolscevico guidato da Lenin di cedere alle lusinghe dell’opportunismo populista e socialrivoluzionario è stata proprio l’intransigenza nel resistere a qualsiasi cedimento al principio democratico, nonostante in Russia all’odine del giorno ci fosse una rivoluzione doppia! Il bolscevismo russo iniziò a perdere la sua solidità programmatica e teorica, così orgogliosamente declinata nelle testi costitutive dell’Internazionale comunista e ribadite con grandissima forza nelle tesi del suo secondo congresso, quando cominciò ad utilizzare espedienti tattici al fine di rafforzare la presa dei partiti comunisti occidentali sul proletariato dei loro paesi.

Consci della necessità di riassumere le nostre posizioni caratteristiche in modo tale da essere comprensibili a tutti, abbiamo deciso di porre la manchette distingue il nostro partito su tutti i nostri organi di stampa: per chi fosse interessato a maggiori informazioni sulle nostre tesi, potrà sempre consultare la nuova serie di Tesi e testi della Sinistra Comunista, oltre ai numerosissimi testi già pubblicati dal Partito nella sua lunga storia.

 


 

(1) Il Partito di classe proletario e gli altri partiti politici, su Il Comunista, n°183, p. 11

(2) A tal riguardo, cfr. Il Partito comunista Internazionale nel solco delle battaglie di classe della Sinistra Comunista e nel tormentato cammino della formazione del partito di classe, vol. I, Edizioni Il Comunista, specialmente il capitolo 22 (pp. 172-184)

 

 

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