Corrispondenza dal Canada
Lezioni da trarre dallo sciopero alle Poste Canadesi
(«il comunista»; N° 186 ; Marzo-Aprile 2025)
Dopo un periodo di lunghe agitazioni, nel corso di un anno, il governo canadese ha deciso di porre fine agli scioperi dei dipendenti delle Poste Canadesi. È stato un movimento di massa, poiché tutti i 55.000 proletari postali dell’intero il paese, da Halifax sulla costa orientale a Vancouver sulla costa occidentale, sono scesi in sciopero generale; salvo poche eccezioni, la posta non è stata più consegnata. Riflettere su questi scioperi è importante per i proletari combattivi di tutto il mondo perché, in primo luogo, essi rientrano pienamente in una certa rinascita di vitalità delle lotte dei lavoratori nel Nord America e, in secondo luogo, dalla lotta dei proletari delle Poste Canadesi possono essere tratte alcune lezioni politiche.
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Bombardamento mediatico: l’ideologia dominante all’opera
Fin dall’inizio, la lotta dei lavoratori delle Poste si e scontrata con una classe dominante del tutto compatta nell’intento di reprimere in qualunque modo gli scioperanti e di respingere le loro richieste. In particolare i media hanno svolto un grandioso lavoro ideologico a favore della borghesia. In effetti, la copertura mediatica generale dello sciopero ha dipinto i proletari in sciopero come dei bambini privilegiati, ricchi e viziati, che fanno i capricci nei confronti dello lo Stato, capricci il cui peso finanziario ricadrà in ultima analisi su quell’essere misterioso e intangibile –perché astrattamente posizionato al di fuori del conflitto fondamentale tra le classi – che è il contribuente.
Abbiamo assistito a un intelligente capovolgimento ideologico della realtà sociale attraverso la propaganda borghese. Mentre almeno dalla crisi del 2008, e ancor più concretamente dalla pandemia di Covid-19, le condizioni di vita e di lavoro di tutti i proletari – compresi i lavoratori delle Poste Canadesi – si sono deteriorate a tutti i livelli (intensificazione dei ritmi di lavoro, aumento della durata della giornata lavorativa, generalizzazione degli orari “flessibili”, calo reale dei salari, inflazione ecc.), in altre parole, mentre l’intera classe operaia si sta drasticamente impoverendo e sta perdendo quelle piccole riserve di cui forse ancora disponeva, i media hanno preso di mira un settore particolare del proletariato che ha coraggiosamente deciso di lottare per difendersi dallo sfruttamento capitalista, sfruttamento che sta causando il costante deterioramento delle loro condizioni di vita. Questi lavoratori che hanno deciso di scontrarsi con la borghesia e il suo Stato usando l’arma “naturale” del proletariato, lo sciopero, proprio quando i profitti della borghesia non sono mai stati così sbalorditivi, i media e i politici li definiscono bambini privilegiati e viziati che prendono in ostaggio la società e ne ostacolano il corretto funzionamento. Ma, fondamentalmente, la funzione dei media è quella di nascondere chi è il vero nemico del proletariato – la borghesia – e di proporre un nemico di fantasia: il lavoratore presumibilmente pigro, presumibilmente strapagato, presumibilmente parassita che si rifiuta di stringere la cinghia per il bene della Nazione. In breve, un lavoratore che tutti i settori “sani” della nazione – aristocrazia operaia, piccola borghesia e grande borghesia – condannano e combattono unanimemente.
In sostanza, i media propugnano l’unità nazionale contro i proletari in lotta, un’unità nazionale che è tanto più essenziale preparare in quanto le rivalità imperialiste si stanno esacerbando a livello internazionale e il pericolo di una guerra si fa sempre più incombente. In altre parole, la borghesia cerca di sottomettere tutti i proletari che lottano per difendere i loro esclusivi interessi immediati di classe e di riportarli così sulla “retta via” della difesa della patria imperialista.
Questo capovolgimento ideologico della realtà sociale si esprime anche attraverso le numerose lacrime di coccodrillo versate a favore delle presunte vittime collaterali dello sciopero. Hanno le lacrime agli occhi perché si dice che lo sciopero postale stia ostacolando le buone azioni di varie associazioni caritatevoli cristiane a favore dei bisognosi alla vigilia di Natale. “Quanto sono egoisti questi dipendenti di Poste Canadesi, che impediscono alla brava gente di dare dei soldi ai poveri!”, gridano in coro i buoni cristiani. Riguardo a questa sorprendente ipocrisia, bisogna ribadire che la carità non risolve in alcun modo il problema della povertà; essa dà una ripulita alla coscienza dei filantropi borghesi che possono così continuare con tranquillità a sfruttare i proletari, la vera radice materiale della povertà.
Evidentemente, per le buone anime cristiane, l’azione contro la povertà è un obiettivo lodevole, a meno che si tratti – appunto – di proletari che decidono di unire le proprie forze e di lottare collettivamente per fermare il loro impoverimento, come hanno fatto i lavoratori delle Poste. I media piangono anche la sorte dei poveri piccoloborghesi (titolari di piccole e medie imprese) che vedono la loro attività rallentare a causa dello sciopero. Questi lavoratori delle Poste Canadesi, questi “egoisti”, ostacolano il perseguimento dell’obiettivo comune di ogni piccoloborghese: entrare un giorno a far parte della grande borghesia e arricchirsi illimitatamente grazie allo sfruttamento del lavoro proletario.
Alla luce di questo bombardamento mediatico borghese, occorre fare due osservazioni politiche. Innanzitutto, mette a nudo l’ipocrisia della classe dominante, che grida a gran voce che Poste Canadesi è un’azienda arcaica e in perdita, priva di alcuna utilità economica, e che quindi bisognerebbe ristrutturare massicciamente questo settore industriale pieno di lavoratori “pigri” (qui dobbiamo leggere, invece, combattivi).
Ovviamente, gli stessi che piangono per l’obsolescenza delle Poste sono anche quelli che lamentano che gli scioperanti ostacolano il corretto funzionamento dell’economia nazionale. Se non servono più a nulla, come mai lo sciopero di questi operai turba tanto la borghesia? In realtà, dietro la retorica manageriale che critica la natura arcaica delle attività di Poste Canadesi, si nasconde un vero e proprio attacco alle condizioni di lavoro dei proletari delle Poste. I proletari in lotta devono prendere sempre più chiara coscienza del fatto che i profitti della classe dominante e le loro condizioni di lavoro sono inversamente proporzionali: quanto più aumentano i profitti capitalistici, tanto più peggiorano le condizioni di vita e di lavoro del proletariato.
Seconda osservazione: lo sciopero ideale per la classe dominante è uno sciopero che non disturbi, uno sciopero che non ostacoli in alcun modo il buon funzionamento della società capitalista; in breve, uno sciopero che non sia uno sciopero. È anche per questa stessa ragione che il collaborazionismo sindacale, cioè l’azione dei luogotenenti della borghesia nell’ambiente operaio, come Lenin molto correttamente notava caratterizzando l’opportunismo (1), si distingue per le processioni simboliche inoffensive: scioperi isolati, scioperi a rotazione, giornate di azione disperse, scioperi fuori orario di lavoro; tanti momenti santificati di una presunta... escalation di tattiche di pressione.
La funzione di questi tipi d’azione, antitetici a tutte le forme di lotta proletaria, è nota a tutti i proletari che coraggiosamente scendono in lotta. Si intende dissipare la rabbia e la combattività dei lavoratori per proteggere la pace sociale, generando quello che il collaborazionismo sindacale chiama vergognosamente dialogo sociale. Ora, uno sciopero autentico, arma storica del proletariato per la difesa delle sue condizioni di lavoro, è quello che crea più scompiglio possibile per opporre alla borghesia il più vigoroso rapporto di forze possibile. In questo senso, utilizzando l’arma dello sciopero generale, come hanno fatto alcuni insegnanti del Québec alla fine del 2023 (2), lo sciopero dei lavoratori delle Poste, nonostante certe sue inadeguatezze e i suoi tentennamenti legati più a decenni di collaborazionismo sindacale di classe che a una mancanza di generosità militante dei proletari, indica la via per le lotte future di tutti i settori del proletariato nel mondo intero.
Repressione
Ci si sarebbe aspettati che il governo si sarebbe mosso rapidamente promulgando una legge speciale all’inizio dello sciopero, proclamando i lavoratori di Poste Canadesi come “lavoratori essenziali”, privandoli così brutalmente del loro diritto di sciopero. Tuttavia, a differenza di quanto accaduto negli ultimi scioperi postali del 2011 e del 2018, che furono rapidamente vietati dai governi dell’epoca, l’attuale classe dirigente ha optato inizialmente per un’altra strategia. La direzione di Poste Canadesi ha infatti approfittato del limbo giuridico che si è creato tra due contratti collettivi per licenziare un certo numero di lavoratori come ritorsione per l’inizio dello sciopero. Ovviamente, le vittime di questi licenziamenti motivati †politicamente sono stati i lavoratori neoassunti, quelli precari, i lavoratori part-time, in breve, i lavoratori che si trovavano in fondo alla scala aziendale.
L’obiettivo della direzione non era altro che creare divisioni tra gli scioperanti per indebolire la lotta. Attaccando solo i “nuovi arrivati”, si sperava di incoraggiare tra i lavoratori più avanti negli anni, e con maggiore anzianità, la formazione di una mentalità aristocratica che li avrebbe separati dai loro fratelli più giovani, alimentando concetti del tipo “non ci interessano i giovani, ciò che conta siamo solo noi, i dipendenti a pieno titolo”. Allo stesso tempo, speravano di allontanare dai picchetti i lavoratori più giovani, più energici e probabilmente più combattivi. In casi come questo non dobbiamo esitare a proporre concretamente la solidarietà e l’unità tra tutti i proletari, indipendentemente dalla loro condizione, solidarietà che è una necessità assoluta per la lotta. Dobbiamo contestare incondizionatamente tutti i licenziamenti, dobbiamo mantenere i contatti con i lavoratori licenziati invitandoli a continuare a venire a protestare e dobbiamo evitare ogni forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori più giovani per età e anzianità, anche all’interno delle nostre stesse fila.
Anche se è durato più a lungo, lo sciopero del 2024 è stato infine represso dalla ghigliottina di una legge speciale, proprio come nel 2011 e come nel 2018. Infatti, i lavoratori delle Poste sono stati costretti dallo Stato a tornare al lavoro dopo un mese di sciopero e non hanno avuto più diritto di scioperare fino al maggio 2025. Questa data non è insignificante; l’obiettivo del governo è quello di prendere due piccioni con una fava. Con l’interruzione di uno sciopero durato un mese, il governo è riuscito a distruggere, in un batter d’occhio, tutto lo slancio militante e il potere economico che gli scioperanti erano riusciti a costruire. Ripristinando formalmente il diritto di sciopero nel maggio 2025, il governo sa bene che l’estate e il periodo delle vacanze arriveranno rapidamente, creando una situazione che non favorisce la ripresa della mobilitazione dei lavoratori. È chiaro che, per il momento, il governo sta vincendo su tutti i fronti.
Ma è interessante qui fare una breve digressione su una differenza fondamentale tra l’attuale movimento di sciopero presso Poste Canadesi e quelli che lo hanno preceduto. Durante gli scioperi del 2011 e del 2018, le legittime rivendicazioni dei lavoratori in merito alle loro condizioni di vita e di lavoro sono state in parte oscurate dalla lotta per difendere Poste Canadesi come servizio pubblico generale. Si trattava evidentemente di una trappola per i proletari che lavoravano alle Poste, poiché l’orientamento politico proposto dal collaborazionismo sindacale, ripreso a livello politico dalla sinistra riformista, era la difesa dell’impresa pubblica capitalista, ritenuta più progressista e più giusta perché nazionalizzata. In altre parole, i lavoratori delle Poste venivano utilizzati per costringerli a trascurare la legittima ed esclusiva difesa delle loro condizioni di lavoro, per costringerli a una difesa interclassista dei diritti degli utenti di Poste Canadesi; di fatto, ai lavoratori delle Poste veniva ordinato di adeguarsi all’economia nazionale capitalista nella sua forma di “Stato assistenziale”. La rivendicazione della difesa del servizio pubblico è una trappola per i lavoratori, in quanto incatena i proletari in lotta all’altare del “benessere nazionale”, che non è altro che l’interesse generale della borghesia a promuovere il buon funzionamento della società capitalista. I proletari in lotta non devono mai seguire la dirigenza sindacale quando questa, per ostacolare la lotta, fa mille salamelecchi ai media e cerca di evitare di disturbare gli utenti di questa o quell’altra impresa. I proletari in lotta non devono cercare solidarietà nella moltitudine interclassista dell’opinione pubblica, non la troveranno mai; la vera solidarietà deve essere ricercatatra gli altri proletari in lotta e tra coloro che soffrono e avvertono la necessità di lottare anche se non possono entrare subito nella lotta.
Rifiutarsi di difendere il servizio pubblico e lottare esclusivamente per la difesa delle condizioni di lavoro rappresenta, rispetto agli scioperi del 2011 e del 2018, un notevole progresso politico per i lavoratori di Poste Canadesi, un progresso che mette in luce la rinascita, molto relativa ma reale, della combattività dei lavoratori nel Nord America. È anche una lezione politica che indica la strada a tutti i proletari in lotta nel mondo, in particolare a quelli del settore pubblico e parapubblico, che sono i più esposti a questo tipo di ricatto borghese.
L’obiettivo della borghesia: mettere i proletari in concorrenza tra di loro per aumentare lo sfruttamento generale
L’attuale conflitto sindacale è emblematico della volontà unanime di tutta la borghesia di mettere in riga i lavoratori e far loro pagare il prezzo dell’attuale crisi economica. In concreto, Poste Canadesi intende generalizzare gli orari flessibili, aumentare le condizioni precarie per i lavoratori neoassunti, introdurre il lavoro nei fine settimana, aumentare i ritmi di lavoro, abbassare i salari reali ecc., con l’obiettivo di rendere redditizio il servizio pubblico. Ma la volontà di Poste Canadesi di imporre una simile ristrutturazione delle condizioni di lavoro non nasce dal nulla. Negli ambienti borghesi ci si ispira sempre al “meglio” della concorrenza, si dà valore all’innovazione e alle nuove pratiche imprenditoriali. Il metro di misura del successo borghese resta la quantità di profitti realizzati. È chiaro che nel mercato delle consegne dei pacchi sono aziende come Amazon a ottenere il maggior successo. Questa azienda, che è la figura di punta del capitalismo hi-tech, del dinamismo, dell’innovazione e di molti altri valori borghesi sorpassati, è tuttavia nota per lo sfruttamento brutale che infligge ai suoi lavoratori nei suoi giganteschi magazzini, imponendo ritmi assolutamente infernali, così come ai suoi lavoratori nelle consegne, che hanno orari di lavoro degni del XIX secolo. Ribadiamo ancora il legame intrinseco tra profitti e condizioni di lavoro: Amazon realizza enormi profitti proprio perché i suoi lavoratori sono ipersfruttati.
L’attacco della dirigenza di Poste Canadesi contro i suoi lavoratori non può essere compreso senza considerare la forte concorrenza tra le diverse frazioni borghesi nel mercato del trasporto dei pacchi. In realtà, ciò che Poste Canadesi sta cercando di fare è mettere i lavoratori dei vari settori della produzione e della distribuzione in diretta concorrenza tra loro. La borghesia ritiene che le Poste non siano abbastanza redditizie e che sia quindi necessario ispirarsi ai migliori concorrenti per aumentare i profitti. Per raggiungere questo obiettivo è semplicemente necessario aumentare lo sfruttamento dei lavoratori postali, imponendo misure che peggiorino drasticamente le loro condizioni di lavoro.
Rivendicazioni e mezzi di lotta
I proletari delle Poste sono quindi assolutamente giustificati nel lottare contro questi attacchi dei padroni alle loro condizioni di lavoro, che mirano solo a promuovere la buona crescita dei profitti capitalistici. Non lottano per proteggere un presunto privilegio di casta o perché si considerano superiori e più importanti degli altri lavoratori, come quelli di Amazon. Hanno scioperato perché sanno istintivamente che un attacco a un particolare settore del proletariato è sempre un attacco al proletariato nel suo insieme. E la risposta proletaria alla borghesia non può che venire da uno sciopero il più possibile massiccio e unito.
La borghesia vuole mettere gli uni contro gli altri i proletari di Poste Canadesi e Amazon per peggiorare le condizioni dell’intero proletariato? La risposta deve essere organizzata attraverso la solidarietà dei proletari di aziende in diretta competizione, come quelli di Poste Canadesi e Amazon, ma ancor di più con quelli di altri settori in lotta (asili nido, alberghi ecc.) o potenzialmente in lotta nel prossimo futuro. Ancora una volta, il mezzo di lotta da privilegiare per difendere le proprie condizioni di lavoro ed esprimere la propria solidarietà con gli altri proletari è ovviamente lo sciopero; senza preavviso, senza durata prestabilita e comprendente tutti i lavoratori di un dato luogo di lavoro. Dobbiamo soprattutto cercare la solidarietà tra i proletari delle altre aziende – non importa quali – ed evitare di cercare l’approvazione dell’opinione pubblica eccessivamente borghese e paralizzante.
«La lotta per le rivendicazioni immediate (...) è un terreno permanente di mobilitazione delle forze proletarie, di formazione, educazione e organizzazione della classe» (3) in vista di una più ampia lotta politica contro la borghesia e il suo Stato. A differenza delle varie deviazioni di estrema sinistra che negano l’utilità di lotte per rivendicazioni immediate nell’era imperialista o che le considerano tutte controrivoluzionarie nella loro essenza, non vi sono contraddizioni tra le legittime lotte per le rivendicazioni del proletariato da una parte e l’obiettivo finale del comunismo dall’altra (4). Le lotte rivendicative possono essere la scuola di comunismo di cui parlavano allora Marx ed Engels, a condizione naturalmente che si avanzino rivendicazioni veramente proletarie che rafforzino le nostre fila e che si contestino permanentemente il terreno delle rivendicazioni alle forze del collaborazionismo sindacale dedite a stroncare sul nascere tutte le lotte e, al contrario, a galvanizzare la forza della classe nemica.
Uno dei metodi migliori che i sindacati usano attualmente per smorzare e dissipare le lotte è quello di trascinare i proletari sul terreno preferito dalla borghesia, cioè sul terreno legale e giuridico. Ed è esattamente ciò che sta facendo il Sindacato canadese dei lavoratori postali (STTP). Di fronte all’abrogazione formale del diritto di sciopero che prostra i suoi iscritti, il sindacato intende contestare la legalità di questa misura presso i vari tribunali e altre commissioni istituite dalla e per la borghesia. Questa è la strada verso la sconfitta, perché anche se i tribunali borghesi, alla fine, riconoscessero la natura illegale e repressiva di questa legge speciale, la burocrazia impiegherebbe mesi, se non anni, per emettere una sentenza. A quel punto la rabbia dei lavoratori si sarà ormai dissipata da tempo. Nel migliore dei mondi possibili, i lavoratori di Poste Canadesi avrebbero dovuto respingere la legge speciale e continuare lo sciopero nonostante la sua natura ormai “illegale”. Evidentemente, il contesto, il livello di combattività e la realtà delle forze militanti non consentivano questa opzione. Spetta quindi ai lavoratori delle Poste approfittare della “tregua” che è stata loro imposta con la forza per rifiutare la demoralizzazione sindacale per motivi legali e continuare la mobilitazione collettiva e la mobilitazione delle energie militanti per proseguire in un secondo momento il loro movimento di sciopero.
Così come dobbiamo evitare il terreno legale e giudiziario, poiché non fa che erodere l’energia e la combattività dei lavoratori, altrettanto dobbiamo respingere il terreno del dialogo sociale rivendicato dai sindacati e dai partiti di sinistra. Dietro questa formula che “suona bene” (chi non è a favore del dialogo? del dialogo sociale, per giunta!), si nasconde il mito ideologico di un destino comune tra borghesia e proletariato, un mito coriaceo, secondo il quale se la prima prospera, il secondo ne raccoglierà necessariamente i frutti; si tratterebbe allora solo di concordare, attraverso un dialogo costruttivo e positivo, i termini della condivisione della prosperità. In altre parole, dietro il dialogo sociale si nasconde la collaborazione di classe. Questa bandiera, orgogliosamente esposta dai sindacati pienamente integrati nello Stato, mira innanzitutto a mascherare il fatto che la borghesia prospera proprio grazie allo sfruttamento del proletariato; il proletariato non dovrebbe aspettarsi benefici dalla prosperità borghese; il risultato sarà solo sacrificio, sofferenza, difficoltà e povertà. Quel metodo opportunista si propone di spegnere immediatamente ogni scintilla che dovesse necessariamente scaturire dal conflitto di classe, cioè di aggiogare al carro della concordia nazionale tutti i proletari che avessero la minima inclinazione a protestare.
I proletari in lotta devono riscoprire il filo storico delle rivendicazioni di classe se vogliono riprendere il cammino efficiente della lotta di classe e riuscire così forse a ottenere qualche concessione economica che senza dubbio li solleverà temporaneamente nel difficile contesto sociale che stiamo vivendo.
Queste rivendicazioni di classe sono molto semplici: aumento reale dei salari, drastica riduzione della durata della giornata lavorativa, orario fisso, stesso status per tutti i proletari (senza distinzione di età, sesso, razza, nazionalità, anzianità ecc.), rifiuto del lavoro part-time imposto, rifiuto del lavoro nei fine settimana e notturno (tranne con assolute eccezioni), significativa riduzione dei ritmi di lavoro, riassunzione dei lavoratori licenziati per sciopero ecc.
Queste rivendicazioni non solo costituiscono un balsamo immediato per le numerose ferite della classe operaia causate dallo sfruttamento capitalista, ma consentono al proletariato di ritrovare la forza collettiva e di unirsi attorno a rivendicazioni economiche unitarie. È su questo terreno politico, con metodi e rivendicazioni veramente di classe, che i militanti d’avanguardia devono seguire questo indirizzo: “la partecipazione attiva a tutte le lotte della classe operaia, anche suscitate da interessi parziali e limitati, per incoraggiarne lo sviluppo, ma costantemente apportandovi il fattore del loro raccordamento con gli scopi finali rivoluzionari, e presentando le conquiste della lotta di classe come ponti di passaggio alle indispensabili lotte avvenire (...)” (5), in vista della distruzione di questo sistema disumano e dell’emergere di una società senza sfruttamento, senza classi sociali, senza denaro e senza Stato, la società comunista.
1) Lenin, “I compiti della Terza Internazionale”, in Opere, volume 29, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 467.
2) Vedi “Grève dans la Fonction Publique au Québec” in Le Prolétaire, n. 552, febbraio-marzo-aprile 2024, p. 19-20.
3) Pour des méthodes et des revendications de classe – Orientations pratiques d’action syndicale, Parigi, Brochure Le Prolétaire n° 16, 1981, p. 4.
4) “Tesi sulla tattica del Partito Comunista d’Italia (Tesi di Roma – marzo 1922)”, in Difesa della continuità del programma comunista, Firenze 1970, Edizioni il programma comunista, Tesi n° 12, p. 40.
5) “Progetto di tesi per il III congresso del partito comunista presentato dalla Sinistra (Lione – 1926)”, in Difesa della continuità del programma comunista, cit., p. 97.
Partito Comunista Internazionale
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