Amadeo Bordiga trasformato in articolo di commercio come «personaggio storico», cioè come icona inoffensiva!
(«il comunista»; N° 187 ; Maggio-Luglio 2025)
Non è la prima volta che sul mercato delle icone inoffensive sgomitano intellettuali ed editori che cercano di conquistare un piccolo angolo di notorietà «celebrando» dei personaggi che la classe borghese dominante e il suo braccio «culturale», per ragioni diverse, hanno perseguitato quand’erano in vita, e hanno cacciato nel dimenticatoio o seppellito appositamente perché gli conveniva che ci si dimenticasse di loro.
E’ nota la frase con cui Lenin inizia il suo Stato e rivoluzione, scritto nell’agosto 1917, pochi mesi prima della più grande rivoluzione proletaria e comunista che la storia finora abbia conosciuto:
«Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a “consolazione” e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce».
Questa opera di trasformazione dei capi rivoluzionari in icone inoffensive, di svilimento della dottrina marxista, fa parte della lotta che la borghesia dominante conduce sistematicamente su tutti i piani: economico, politico, sociale, culturale, ideologico. Per condurre questa lotta con maggior efficacia la borghesia si serve naturalmente dei professionisti della cultura e dell’ideologia borghese e democratica, ma anche degli opportunisti, ossia di coloro che si fanno passare per difensori degli interessi operai e delle masse diseredate vestendosi da «rivoluzionari», se non addirittura da «marxisti».
Niente di diverso è successo allo stesso Lenin, che ebbe la sventura di morire durante il periodo rivoluzionario che vedeva la Russia proletaria ancora vittoriosa e l’Internazionale Comunista non ancora degenerata; ed è successo a tutti i capi rivoluzionari meno coerenti e inflessibili di Lenin, come Trotsky, Bucharin, Zinoviev, Kamenev e cento altri, dei quali vennero esaltate le incoerenze e le debolezze teoriche per farne dei casi personali coi quali dimostrare l’invincibilità dell’ideologia e della politica, borghese.
E’ noto che Stalin divenne uno dei massimi mistificatori della dottrina marxista, superando, quanto a contraffazione del marxismo, Bernstein, Plechanov e Kautsky, aggiungendovi qualcosa che questi revisionisti del marxismo non avevano ancora fatto propria e cioè la sistematica pratica della calunnia e dell’assassinio. Così i socialsciovinisti del 1914 furono superati dai socialsciovinisti e nazionalcomunisti del 1939 che aggiunsero alle pratiche riformiste e demoparlamentari la lotta partigiana nella guerra civile che sostituì la guerra di classe.
Per le due guerre imperialiste mondiali le borghesie dominanti avevano bisogno di proletariati piegati alla difesa delle rispettive «patrie», al sostegno degli interessi imperialisti fatto passare come difesa dall’aggressione dei paesi nemici; avevano bisogno di proletariati che si facessero sfruttare bestialmente nelle fabbriche e nei campi per sostenere il «necessario» sforzo di guerra e che si facessero sterminare nei campi di battaglia per impedire agli «aggressori» di vincere.
Nulla di nuovo sotto il sole, sia sul piano della mistificazione della dottrina marxista e della trasformazione dei capi rivoluzionari in icone inoffensive, sia sul piano della preparazione dei proletariati a quella che è già una guerra imperialista sebbene a tutt’oggi non abbia ancora raggiunto il livello dello scontro generale di tutte le maggiori potenze imperialistiche tra di loro.
Amadeo Bordiga poteva sfuggire al fatto di essere trasformato in icona inoffensiva? Purtroppo no. In questa operazione politica e ideologica si sono votati per primi gli stessi stalinisti o, meglio, gli ex-stalinisti di ferro – leggi la banda degli storici e degli ideologi del PC togliattiano – che “scoprirono” verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso, ma soprattutto dopo la sua morte (luglio 1970), la figura di Bordiga che fu a capo della corrente della Sinistra marxista in Italia fin dal 1912, corrente che si rivelò perfettamente allineata alle posizioni teoriche e politiche di Lenin pur non conoscendone le opere (dimostrando in questo modo che la dottrina marxista non appartiene mai ad un personaggio storico, ma a quel continuum storico formato da «gruppi, scuole, movimenti, testi, tesi» che altro non è se non «il partito, impersonale, organico, unico» che possiede la «preesistente conoscenza dello sviluppo rivoluzionario» (1).
Il partito, impersonale, organico, unico, e non il grande capo, il personaggio, l’uomo eccezionale. Non escludiamo, certo, che nel corso del tempo in cui gruppi, scuole, movimenti, testi e tesi vanno a formare il partito di classe emergano capi e uomini che meglio di altri esprimono e rappresentano con maggiore coerenza e inflessibilità il partito di classe – come è stato il caso di Lenin di cui Zinoviev dirà che uomini come lui nascono una volta ogni cinquecento anni -, e come è stato il caso di Amadeo Bordiga, ma mai i comunisti rivoluzionari autentici hanno cinto di gloria il nome dei capi rivoluzionari.
Questi ultimi sono chiamati a svolgere meglio di altri militanti rivoluzionari il ruolo di guida del partito di classe, in tutte le sue espressioni, dalla quella teorica e programmatica a quella politica, tattica e ai criteri organizzativi, mantenendo ferma la rotta storica già stabilita dal marxismo autentico, in modo organico e impersonale, trasformandosi nella migliore e più efficace arma della lotta di classe proletaria e della rivoluzione comunista.
Amadeo Bordiga ha passato la vita, fino alla fine, a combattere contro il personalismo, l’individualismo, la proprietà privata la più distruttiva delle quali, per i rivoluzionari, è la proprietà intellettuale. E noi abbiamo sempre cercato di seguire il suo esempio, combattendo dentro e fuori del partito ogni cedimento in quel senso.
Questa battaglia, che è una battaglia di classe e non personale, l’abbiamo condotta fin dalla ricostituzione del partito nel secondo dopoguerra, in perfetta concordanza con le battaglie di classe fatte dalla corrente della Sinistra comunista d’Italia fin dalla sua nascita. Allora si dovette combattere contro le posizioni che una parte non indifferente di compagni legati all’esperienza della Sinistra comunista dell’anteguerra prese rispetto all’organizzazione del partito, posizioni che, dall’impostazione democratica ereditata dall’esperienza degli anni Venti, li portarono a utilizzare addirittura la «proprietà commerciale» della testata del giornale di partito pur di sottrarlo alla direzione politica del partito con cui non erano d’accordo.
Purtroppo, nonostante la battaglia politica contro ogni espressione della democrazia borghese anche sul piano organizzativo avesse caratterizzato l’attitudine del gruppo di compagni che non seguì, nel 1952, Damen ma rimase a difesa dell’enorme lavoro di restaurazione della dottrina marxista intorno a Bordiga, questa malattia non fu debellata completamente. Trent’anni dopo, nel 1982, il partito si ritrovò nuovamente in crisi; anzi, in una crisi che si caratterizzò non come crisi di crescita, come fu quella del 1952, ma come crisi purulenta che mandò il partito in mille pezzi. Per l’ennesima volta, il virus del personalismo, veicolato dal democratismo che si era nuovamente insinuato nel partito, lo falcidiò.
A differenza del 1926, la degenerazione del partito che nel 1982 lo mandò a carte quarantotto non cancellò completamente la traccia politica e teorica che trent’anni di vita avevano comunque lasciato.
Come gruppo esiguo, formato da pochissimi compagni, non gettammo la spugna; avevamo coscienza del fatto che non bastava registrare il fallimento e ritirarsi dall’attività politica, tanto meno «riprendere il cammino» come se non fosse successo nulla, come fece il gruppo che seguì Bruno Maffi e che sottrasse il giornale al partito come fece Damen nel 1952. Per noi non era un’opzione nemmeno quella che seguì il gruppo che si identificò col giornale «combat» che, in realtà, tentò di trasformare il partito «di ieri» in un’organizzazione che si sarebbe votata non alla teoria e alla difesa del marxismo, ma alla «politica» liberandosi di quel che condannò come «vizio d’origine della Sinistra italiana», di fatto liberandosi dell’intransigenza teorica che impediva al partito di sperimentare qualsiasi tattica che contingentemente appariva la più adatta per avvicinarlo al successo. Inutile dire che «combat» sparì nel giro di qualche anno.
Noi, piccolo gruppo di compagni rimasti fedeli all’impostazione originaria del partito, ci dedicammo fin da subito a fare un bilancio dinamico della crisi degenerativa del partito potendo mantenere vivo un filo organizzativo grazie al piccolo gruppo di compagni francesi del «prolétaire» che resistette alla debacle e continuò l’attività politica di partito sulla stessa traccia che ci fece reincontrare nel 1984-85, cioè la necessità prioritaria di dedicarsi al bilancio della crisi e alla riconquista delle basi teoriche e programmatiche fondamentali del partito.
Che la strada imboccata dal gruppo di Maffi e del nuovo «programma comunista» fosse del tutto sbagliata e che, una volta imboccata, quel gruppo avrebbe continuato a sprofondare nella melma del personalismo si dimostrò con la costituzione della Fondazione Amadeo Bordiga, una specie di santuario dedicato all’icona inoffensiva, alla quale Maffi e altri esponenti del suo gruppo parteciparono per anni.
Come dicevamo, Amadeo Bordiga e la corrente della Sinistra comunista d’Italia di tanto in tanto vengono «scoperti» anche al di fuori dei paesi in cui sono stati presenti per più tempo, come in Italia e in Francia. Da diversi anni è la Spagna ad essere il paese in cui nuove leve dell’operazione “icone inoffensive” si sono attivate ed è alla loro più recente attività che abbiamo dedicato la nostra critica; una critica che non abbiamo risparmiato al nuovo «programma comunista», come non la risparmiammo a suo tempo a Livorsi, a Giorgio Galli e ai vari «storici» che si facevano concorrenza nello scoprire aneddoti o scritti seppelliti in qualche archivio, o alla Fondazione Amadeo Bordiga.
Può essere che qualcuno di questi «storici», o qualche gruppo, si senta offeso dalle nostre critiche. La cosa non ci tocca, anche perché la nostra battaglia è una battaglia politica e non personale. I nostri scritti non sono coperti da copywriter e se la nostra stampa riporta il nome di un responsabile o di un redattore e se risulta essere di «proprietà» di tizio o caio è solo perché la legge borghese impone tali qualifiche per poter uscire legalmente con un giornale o una rivista. Il problema serio si porrebbe se questa «proprietà» venisse usata come una leva per togliere agli avversari politici il giornale con cui il partito è noto ai lettori, per quanto la sua diffusione sia limitata, come inevitabilmente accade in tempi di controrivoluzione.
Riprendiamo qui l'articolo apparso nel nostro el proletario n. 34 intitolato Nota de lectura. Dos biografias de Bordiga, dos.
(1) Cfr. Danza di fantocci, dalla coscienza alla cultura, serie "Sul filo del tempo", pubblicato ne "il programma comunista" n. 12, 25/6-8/7 1953.
Nota de lectura
Dos biografías de Bordiga, dos
Nell’ultimo anno sono apparse in lingua spagnola due biografie dedicate ad Amadeo Bordiga.
La prima di queste, pubblicata dalla casa editrice Hermanos Bueso (la stessa che pubblica Bilan, la rivista della Frazione all’Estero della Sinistra Comunista d’Italia, 1933-38), è la tesi di laurea dello storico del movimento operaio Agustín Guillamón (1). Essendo, come abbiamo detto, una tesi universitaria, è comprensibile che nella forma e nello scopo è segnata dai limiti della produzione culturale borghese di conoscenza accademica: fa parte, da un lato, di quella conoscenza pseudoscientifica di second’ordine con cui le università moderne giustificano la propria esistenza (la cui necessità è più che discutibile anche per la stessa borghesia) e, allo stesso tempo, cerca di porre una pietra miliare nella carriera professionale dell’autore. Un tentativo, in poche parole, di farsi un nome e fare carriera sfruttando una corrente ignorata (fortunatamente!) in ambito accademico, presentandosi come possessori di qualcosa di nuovo che può essere reso redditizio.
La seconda, del Grupo Barbaria (2), è la riedizione di un vecchio lavoro del gruppo italiano n+1. Contrariamente all’opera di Guillamón, che pretende di essere un resoconto più o meno dettagliato dell’opera di Bordiga all’interno del Partito Socialista Italiano prima e del Partito Comunista d’Italia poi, quest’altra biografia (che si presenta pomposamente come «anti-biografia» cercando, sulla falsariga di n+1, di risolvere con trucchi verbali ciò che non riescono a fare né politicamente né teoricamente) è qualcosa di simile a un’analisi dei punti principali di presunti «pensiero e opera» di Bordiga. Come i nostri lettori sanno, il gruppo italiano n+1 ha la sua remota origine da ex militanti del nostro Partito che ruppero con noi a causa della loro difesa di posizioni errate prima nel campo del lavoro nelle organizzazioni proletarie di lotta economica e, infine, su tutta una serie di punti (politici, organizzativi, ecc.) che li allontanavano dalla corrente storica della Sinistra Comunista d’Italia. Il loro percorso successivo li ha portati a diventare una sorta di intellettualizzanti rinnovatori della Sinistra e del marxismo, con un lavoro mirato a presentare presunte nuove versioni del comunismo rivoluzionario, mescolandolo praticamente con tutte le mode del pensiero borghese contemporaneo. È normale che un gruppo come Barbaria, che fa appello alla «Sinistra», al «Partito Comunista Internazionale» e a certi militanti della nostra corrente, per dare alle sue posizioni una sorta di legittimità storica che non otterranno mai, vada di pari passo in questa edizione con n+1: l’eclettismo, l’attribuzione personale del lavoro politico, la rivendicazione della paternità intellettuale ecc. sono punti che li uniscono, anche se sono separati dal resto.
Da parte nostra non intendiamo fare una recensione delle due biografie. Non ci interessano i lavori degli storici accademici o le piroette ideologiche di gruppi interessati a trasformare la storia della lotta della Sinistra Comunista d’Italia e uno dei suoi rappresentanti principali in oggetto di consumo culturale. È normale che questo tipo di merce compaia sul mercato editoriale, che funziona esattamente come il resto dei mercati capitalistici: ricerca della novità, presentazione di un articolo in concorrenza direttamente con gli altri per catturare l’attenzione del consumatore ecc. In questo senso, Amadeo Bordiga, che ha fatto della sua militanza una difesa intransigente dell’anonimato coerentemente marxista, presenta quell’aria di mistero che è tanto apprezzata sia dagli storici che dagli editori. Naturalmente, lo storico difenderà la sua integrità professionale e la sua pretesa di aver presentato le cose come stavano per rivendicare, anche in ambito universitario (perché no?), il rivoluzionario. Allo stesso modo, il gruppo politico che si nasconde dietro quest’uomo sosterrà che il suo è un contributo politico e non commerciale e che l’utilizzo di una singola figura storica è solo una risorsa secondaria per esprimere posizioni «collettive». Ma la realtà è che entrambi sono prigionieri del fascino tipicamente borghese per l’individuo, senza il quale sono incapaci di concepire sia la lotta rivoluzionaria sia la mera esistenza di posizioni politiche.
Per molto tempo le posizioni della Sinistra Comunista d’Italia sono rimaste praticamente sconosciute in Spagna. Ad eccezione di alcuni testi apparsi negli anni Settanta (3), in questo paese non è accaduto quanto accadde in Italia o in Francia, dove diversi gruppi, istituzioni ecc. hanno pubblicato, naturalmente al di fuori dell’ambito del partito e contro il partito, materiale riferito alla nostra corrente e perfino al partito stesso. In Italia, ad esempio, esiste da due decenni la Fondazione Amadeo Bordiga, costituita a suo tempo da elementi anche legati al gruppo che pubblica il nuovo programma comunista (4) e in Francia sono state pubblicate diverse opere accademiche sul nostro partito, oltre a testi del nostro movimento da parte di altri gruppi. In questi paesi, finora più che in Spagna, ha avuto senso l’affermazione di Lenin, che si riferiva all’uso che le correnti socialiste vicine alla borghesia facevano di Marx, dicendo:
Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a «consolazione» e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce (Lenin, Stato e rivoluzione).
Solo negli ultimi anni ha iniziato ad apparire più materiale della corrente di Sinistra in spagnolo. Alcuni testi sono attribuiti direttamente a Bordiga (correttamente o meno), altri sono anonimi e modificati senza ulteriori riferimenti. Ciò ha senza dubbio molto a che fare con l’emergere dei social network come mezzo di comunicazione e pubblicazione preferito da molti intellettuali e gruppi. Oggigiorno, grazie alla diffusione capillare di internet, è estremamente facile reperire qualsiasi informazione, sia di attualità che politica, aldilà della sua esattezza o falsità. Le tesi della Sinistra Comunista d’Italia e le posizioni del nostro Partito non hanno avuto sorte diversa. A ciò si aggiunga l’incredibile facilità di diffusione di queste informazioni attraverso piattaforme come X, Instagram ecc. Ciò ha portato a una modesta emersione della nostra corrente di Sinistra, alla sua comparsa in aree in cui prima era inaccessibile e alla successiva attrazione da parte di molte persone verso di essa (la produzione, ora, ne genera la domanda). Questo fenomeno non può essere negato: dal momento che esistono questi mezzi di comunicazione e diffusione, è impossibile impedire che le nostre posizioni circolino attraverso di essi senza un nostro controllo, con tutto ciò che questo comporta. Nei limiti delle nostre forze, essendo internet il mezzo che ha spodestato in buona parte la carta stampata, sarebbe stupido non utilizzarlo, pur continuando, d’altra parte, a usare la stampa cartacea. Oltre alla nostra stampa (giornali, riviste, volantini, opuscoli, libri ecc.), la diffusione delle nostre posizioni è accompagnata anche dal nostro sito web (htpps://www.pcint.org) nel quale pubblichiamo, in diverse lingue, non solo la gran parte della nostra attività di propaganda, ma anche le vecchie pubblicazioni di giornali, riviste, opuscoli e testi del partito di ieri. Come detto in una nostra epigrafe intitolata RIPRODUZIONE LIBERA, noi non rivendichiamo alcuna «proprietà intellettuale», non avendo alcun «diritto d’autore» da difendere, e tanto meno una «proprietà commerciale» da far valere; i testi e gli articoli che appaiono originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente, sia in formato elettronico che su carta, a condizione che non si cambi nulla, che si specifichi la fonte – il sito web htpps://www.pcint.org – e che si pubblichi questa precisazione. Naturalmente non possiamo impedire che gruppi, editori, singoli individui utilizzino nostri materiali o materiali della corrente della Sinistra Comunista d’Italia da cui noi proveniamo con fini del tutto diversi e opposti ai nostri; lo facevano ieri attraverso la carta, lo fanno oggi attraverso il digitale. La lotta dei rivoluzionari non può non prevedere che, come anche le loro vite (vedi cosa scriveva Lenin a proposito di calunnie, menzogne e diffamazioni), le loro posizioni siano storpiate, attaccate, rovesciate, ridicolizzate. Sta a noi difendere le vere posizioni marxiste e di partito. Oggi quella pratica del tutto opportunista e controrivoluzionaria è facilitata e velocizzata grazie ai mezzi internet (siti web, socialnetwork ecc.), perché anche questa attività fa parte della lotta di conservazione borghese e capitalistica contro ogni dichiarata e futura opposizione di classe. Ovviamente, come partito comunista rivoluzionario, sulla scorta della tradizione anche pratica della Sinistra comunista d’Italia, noi non mettiamo alcuna posizione, alcun principio, alcun punto di programma e alcun mezzo di propaganda e organizzativo del partito a disposizione di trattative, discussioni, compromessi con qualsiasi altro gruppo o partito pur di raggiungere una certa notorietà o di aumentare i nostri effettivi. Sappiamo che, in questo lunghissimo periodo di depressione della lotta di classe proletaria, il compito del partito – che non può essere composto se non da pochi elementi – è soprattutto quello di assimilare, difendere e diffondere, con le forze a disposizione e senza cercare espedienti di alcun genere per apparire più di quel che si è, la dottrina marxista restaurata da parte dei compagni della Sinistra comunista d’Italia dal secondo dopoguerra in poi e le lezioni tirate dalla nostra corrente di tutto il lungo ciclo controrivoluzionario. Naturalmente un’attività di questo tipo, così come esclude di trasformare i propri mezzi di propaganda in tribune parlamentari, di discussione, di dibattiti e di raccolta di opinioni, esclude anche il chiacchiericcio, il mulino di parole, la discussione fatta solo per esaltare l’intellettuale x o y, perciò mai – anche nel caso fossimo un domani numericamente qualche migliaio di militanti – utilizzeremo l’elezionismo e il parlamentarismo, o, come succede oggi anche a gruppi molto modesti se non a singoli intellettuali, affideremmo ad altri espedienti, ad esempio i socialnetwork, il successo del partito. Né, tantomeno, scenderemmo ad adulare l’intellettuale x o y per il solo fatto che mostri interesse “storico” o “politico” per la Sinistra comunista d’Italia, o per il suo esponente di maggior spicco, Amadeo Bordiga, sperando che quell’interesse possa allargare la conoscenza delle posizioni della Sinistra comunista d’Italia e del nostro partito. E’ dimostrato storicamente che soltanto un partito, un piccolo gruppo, addirittura un militante singolo (come avvenne per Lenin e, successivamente, per Bordiga) saldo e coerente con il marxismo integrale possa rappresentare nel tempo una continuità che in nessun altro modo è possibile rappresentare.
Il valore di un testo, di una posizione o della stampa non è tanto quello di essere letti da pochi o da molti, ma di dare un contributo necessariamente politico alla lotta di classe del proletariato. Ciò significa che i nostri volantini, i nostri giornali ecc. hanno una duplice funzione: esprimere posizioni chiare e definite e cercare di legare i proletari a quelle posizioni. Si tratta del famoso ruolo di organizzatore collettivo svolto dalla stampa e difeso da Lenin come spina dorsale dell’organizzazione stessa del partito. Da questo punto di vista, che è quello del marxismo rivoluzionario, è facile comprendere che l’idea di fare a meno di questo lavoro di partito e di utilizzare per esso una grande impresa capitalista è assurda. I social network e tutto l’ambiente che si genera attorno a essi sono l’espressione estrema del democratismo, e quindi dell’ideologia borghese imperante nel nostro tempo: cercare di farne un «attrezzo» o uno «strumento» di lavoro politico implica non comprendere che questo lavoro richiede mezzi e metodi ben precisi, tutti volti a stabilire legami non personali ma politici e che sono del tutto assenti nei nuovi media.
In ogni caso, questa modesta ma percepibile crescita della conoscenza della Sinistra Comunista d’Italia e, per estensione, del Partito Comunista Internazionale, viene viziata fin dall’inizio. La nostra corrente, ad esempio, ha sempre difeso il fatto che l’adesione al partito deve essere individuale, basata sul lavoro militante che unisce l’acquisizione teorico-politica e la prassi nello svolgere gli altri compiti del partito, ma nega che l’una o l’altra possano essere sviluppate dall’individuo-militante distinto dagli altri individui-militanti, in quanto quell’acquisizione e quella prassi sono il risultato di un lavoro organico di Partito in cui si integrano le migliori capacità di ciascuno, che viene impiegato come parte di un tutto dialetticamente connesso. La corretta diffusione delle nostre posizioni, a cui può accedere qualsiasi utente dei social network, non è una mescolanza di brani o di testi fondamentali della nostra corrente – come Partito e classe – con posizioni del tutto slegate da quelle classiche della Sinistra Comunista d’Italia che un qualsiasi gruppo decide un giorno di elaborare per conto proprio facendole passare come se fossero la stessa cosa: operazioni di questo tipo vanno in una direzione completamente opposta, falsificando le posizioni della nostra corrente, perché separa i testi, le tesi, le posizioni ecc. dalla storia della Sinistra e dal lavoro di restaurazione del marxismo svolto esclusivamente dal Partito Comunista Internazionale. Queste operazioni sono l’esatto contrario di ciò che la Sinistra ha sempre difeso, l’esatto contrario del lavoro politico che essa ha sviluppato per presentare la coerenza e la continuità storica delle posizioni del marxismo rivoluzionario, opponendosi alle fortissime ondate controrivoluzionarie che hanno distrutto il movimento di classe ma che non hanno potuto, né potranno, annientare la forza storica del marxismo non aggiornato, non rattoppato, non innovato, ma che si conferma come l’unica teoria in grado di individuare tutte le contraddizioni della società capitalista in cui essa periodicamente precipita, preparando il terreno sul quale la forza della classe proletaria unita internazionalmente e guidata dal partito comunista rivoluzionario avrà il compito di trasformarla completamente iniziando con l’abbattere il potere politico borghese. È proprio come negazione dei fondamenti della Sinistra Comunista e, quindi, del marxismo rivoluzionario, che si sta diffondendo la sua versione edulcorata e virtuale. Ed è in questa stessa linea, nell’accettazione, come già in altri tempi, di un’idea distorta della Sinistra, del Partito e, naturalmente, di Bordiga (d’altra parte ogni religione ha bisogno dei suoi profeti, ogni posizione mistica, astorica e antidialettica ha bisogno del suo referente personale), che sono apparse le due biografie a cui abbiamo accennato. Entrambe rappresentano un’espressione un po’ più riuscita (essendo emerse, anche se non del tutto, dall’ambiente virtuale) di questa corrente di confusione e, pertanto, se ne nutrono alimentandola, dandole un punto di riferimento più consistente. Esse svolgono un ruolo che contribuisce a una maggior confusione, alla distorsione delle tesi della Sinistra, alla loro mescolanza eterogenea con il criterio dell’individualismo borghese. Chiunque voglia, in un modo o nell’altro, avvicinarsi alla Sinistra attraverso di loro, non troverà una via sicura per seguire una linea storica o politica, ma piuttosto un’interpretazione squisitamente personalista (e quindi borghese) che nega la caratteristica del lavoro collettivo, quindi anonimo, di partito.
Di fronte a questa concezione biografica, di fronte a questa esaltazione dell’individuo e di fronte alla rivendicazione del diritto di proprietà intellettuale del lavoro politico (entrambe le biografie parlano, naturalmente, dei testi, delle posizioni dell’individuo Bordiga), noi rivendichiamo il vero filo rosso che unisce ogni militante, in qualsiasi momento storico, rango o posizione, al lavoro di partito e, con esso, alla preparazione delle condizioni teoriche, politiche e organizzative della rivoluzione proletaria. Il lavoro di partito è, per definizione, anonimo; i grandi uomini ne sono stati esclusi nello stesso momento in cui è stata storicamente superata la fase della rivoluzione borghese. Le forze impersonali che resero possibile questo trionfo erano ancora imprigionate nella concezione romantica dell’eroe o dell’individuo provvidenziale da parte degli ideologi di una classe trionfante che estendeva la propria pratica economica al regno delle idee. Il partito proletario di classe, dovendo eliminare dal suo interno ogni influenza della classe nemica (innanzitutto l’idea che la rivoluzione proletaria sia una ripetizione più democratica di quella borghese), espelle la concezione stessa dell’attività del partito come un insieme di lavori individuali fra i quali emergono o emergeranno determinate personalità. Questo deve essere chiaro: non si tratta di premiare, in una sorta di assemblea democratica, il lavoro collettivo rispetto al lavoro individuale. Non si tratta di instaurare meccanismi che impediscano l’emergere di un ego o dell’ altro e di rivendicare la proprietà comune di ogni opera o idea. Si tratta del fatto che nel lavoro di partito il militante del partito si spersonalizza, rompe con la classificazione che gli è stata assegnata dalla società borghese e si unisce a un lavoro organico che non è altro che la versione cosciente di ciò che già esiste, ma che è negato, nello stesso mondo capitalista: la forza del lavoro associato che polverizza la concezione stessa della supremazia individuale.
Quando diciamo che il lavoro di partito è anonimo, intendiamo dire che non può essere attribuito a nessuno in particolare, che non può essere astratto dal gruppo da cui dipende e senza il quale non esisterebbe; il lavoro di partito non appartiene al militante x o y di oggi, di ieri o di domani, ma alle forze collettive che l’hanno costituito nel passato lontano e vicino, nel presente e nel futuro. Si tratta della negazione radicale di ogni diritto individuale sul lavoro, di ogni tipo di proprietà privata, di ogni tipo di paternità intellettuale. Alcuni hanno voluto vedere in questa concezione del tutto antiborghese una specie di nuovo tipo di misticismo secondo il quale il militante partecipa, viene iniziato al mistero e, quindi, gli viene conferita una conoscenza teorica e dottrinale attraverso la fusione spirituale con il partito. Altri, più prosaici, vorrebbero vederlo ridotto a un argomento anti-individualista, senza altro scopo se non quello di evitare gli eccessi di grandi pensatori, attivisti ecc. che necessariamente si distinguono dagli altri. Entrambe le concezioni restano prigioniere dello stesso pregiudizio perché ignorano il fatto che il partito, senza poter in alcun modo anticipare al suo interno la società comunista del futuro, o meglio, proprio a causa di questa impossibilità, conduce una lotta implacabile contro l’influenza che la società borghese esercita su di esso, ed è in questa lotta che elimina una delle avverse forze principali, il mito dell’individuo creativo. Né ricorso al mistero né formalismo: superamento dei principi e delle pratiche borghesi nel metodo di lavoro.
Chi sostiene che è possibile personalizzare l’opera del militante Amadeo Bordiga, chi pensa che la sua opera, sviluppatasi per decenni nel mezzo della più potente controrivoluzione che la storia abbia mai conosciuto, possa essere rivendicata per la sua figura o che questa figura possa spiegare, con la sua singolarità, la potenza di quella... non fa altro che reintrodurre la proprietà privata come unica forza sociale capace di far sorgere il lavoro umano e si allinea agli ideologi tipici della borghesia; di più, fa opera di controrivoluzione. Non neghiamo che le particolari condizioni individuali, fisiche, psicologiche ecc. di tale o tal altro militante possano avere un peso decisivo in determinati momenti del lavoro di partito, ma quel che neghiamo è che un militante possa rivendicare, sulla base di ciò, alcun diritto, alcun privilegio su di esso. L’eccezionale capacità di lavoro militante di un compagno come Amadeo Bordiga era il riflesso di una forza storica che si manifestava soprattutto nel suo assoluto rifiuto di ogni forma di personalismo, di ogni pretesa della sua figura come asse del partito, come forza autonoma nella lotta di classe ecc. Fu in quest’opera che si oppose alla concezione individualista della storia, dimostrando la massima coerenza possibile con la dottrina marxista.
Il rifiuto del personalismo, dell’esaltazione personale dei militanti comunisti, va necessariamente di pari passo con il rifiuto della concezione scolastica del marxismo. Se la prima combatte l’influenza di una delle più perniciose idee borghesi, quella dell’individuo come centro della vita sociale, la seconda rafforza questa concezione negando che sia la capacità strettamente intellettuale a consentire al proletariato di lanciarsi nella lotta contro la borghesia. La borghesia, infatti, ha sempre accompagnato il mito dell’individuo con la superstizione della ragione, della capacità del singolo individuo di comprendere razionalmente e intellettualmente la società e, in base a ciò, agire. Come è noto, la Sinistra Comunista d’Italia annovera tra le sue prime battaglie politiche la lotta contro le tendenze antimarxiste che popolavano il Partito Socialista Italiano (5). Al centro di questo scontro c’era la lotta contro la concezione culturalista della formazione e della militanza politica dei giovani che aderivano al partito. In opposizione alla corrente opportunista che pretendeva di trasformare le sezioni giovanili del PSI in un’estensione della scuola borghese e di trasformare i militanti in apprendisti di una sorta di cultura operaia «recuperata» dalle mani della classe dominante, la Sinistra comunista ha da allora sostenuto che l’adesione al marxismo rivoluzionario, e quindi al partito di classe, non si ottiene attraverso l’acquisizione di conoscenze che aprano le porte alla futura lotta rivoluzionaria, ma attraverso l’inserimento dei militanti nell’insieme organico dell’attività e dei compiti del partito, sia quelli legati agli aspetti teorici della lotta sia quelli strettamente politici o economici, secondo la definizione di Engels.
A cento anni da questa prima lotta della Sinistra contro l’opportunismo, quando si cerca di fare della nostra corrente e dei suoi militanti, come nel caso di Bordiga, un oggetto di venerazione feticistica e di negazione teorica e politica, sembra molto semplice riferirsi a questo lavoro di negazione dell’approccio scolastico al marxismo e al partito per cercare di appropriarsene.
È il caso delle due biografie! Entrambe sono molto attente a difendere formalmente ciò che negano con la propria esistenza. Il nostro rifiuto della scolastica, del culturalismo, di ogni concezione razionalista o illuminista della lotta marxista, non si riferisce solo al disprezzo che proviamo per la cultura borghese, ma a ogni concezione che pretenda di separare l’aspetto teorico del marxismo dal suo contenuto politico e organizzativo. La militanza politica di Bordiga trasformata in un prodotto di consumo culturale riassume questo tipo di interpretazione della lotta rivoluzionaria come fatto strettamente ideologico, come avvicinamento a posizioni paramarxiste tipicamente scolastiche. Naturalmente, i nostri critici sosterranno che il loro approccio biografico alla Sinistra non pretende di essere l’unico, sosterranno che stanno semplicemente fornendo materiale extra, quello biografico, che non dovrebbe contraddire l’assimilazione del marxismo che la Sinistra ha sempre difeso. Ma questa è una giustificazione vana.
Il nostro partito ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro a recuperare il filo storico che lo lega alle grandi battaglie di classe della Sinistra e, a questo scopo, ne ha elaborato anche gli aspetti strettamente formali. Per vedere la differenza tra il nostro lavoro in difesa della tradizione rivoluzionaria marxista e quello dei creatori di nuove mitologie, si consultino la Storia della Sinistra comunista d’Italia, pubblicata negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, o la moltitudine di testi che hanno fornito una valutazione dinamica dell’esperienza della nostra corrente nella rivoluzione e nella controrivoluzione. Si tratta di materiali di lavoro che sono serviti a collegare i militanti attuali alla storia di una lotta che supera necessariamente i limiti delle singole vite, che si perde e riappare quindi a ogni passo della lotta di classe e che richiede un continuo lavoro di elaborazione. Il partito odierno è strettamente legato ai compagni che ieri affrontarono la controrivoluzione all’interno dell’Internazionale, e a coloro che diedero vita al primo raggruppamento di militanti internazionalisti alla fine della seconda guerra mondiale. E questo legame non è un diritto patrimoniale, ma un legame vivo, steso nel periodo della più profonda controrivoluzione che la storia del movimento proletario e comunista abbia conosciuto, fatto perciò di tentativi da parte dei compagni che nel secondo dopoguerra si ritrovarono con l’intenzione di ridare vita al partito di classe che lo stalinismo aveva distrutto e del difficoltoso, paziente e tenace lavoro di ricostituzione della coerenza dottrinale, ma anche politica, tattica e organizzativa combattendo le inevitabili confusioni e deviazioni che la controrivoluzione aveva prodotto anche tra i vecchi compagni della Sinistra comunista d’Italia.
Nella nostra concezione del partito, che è quella di Bordiga e di tanti militanti la cui memoria è politica e non nominale, è sempre stato chiaro che il marxismo non è assimilabile al metodo con cui lo studente universitario studia le sue materie; l’approccio alle tesi marxiste della rivoluzione proletaria avviene proprio attraverso la militanza nel partito e nessuno degli aspetti che questa militanza implica può essere preso separatamente, rischiando di corromperli tutti. Il lavoro dei marxisti tende ad essere sempre a carattere di partito (fin dal Manifesto del partito comunista di Marx-Engels), anche quando le vicende storiche danno la vittoria alla controrivoluzione; e più è profonda la vittoria controrivoluzionaria, più la lotta proletaria si riduce a episodi isolati e slegati dalla tradizione classista e internazionalista, più i comunisti sono costretti a riunirsi in circoli, in piccoli gruppi, in correnti politiche, in tendenze politiche sapendo bene che queste forme esprimono una fase necessaria per trasformare la debolezza del contenuto teorico e politico che sta alla loro base nella forza che può essere data solo dalla continuità nel lavoro di assimilazione teorica del marxismo e di elaborazione dei bilanci dinamici non solo e non tanto delle rivoluzioni, quanto delle controrivoluzioni. E’ esattamente quello che ha fatto una parte dei compagni della vecchia guardia della Sinistra Comunista d’Italia quando, nel finire della seconda guerra imperialista e nel suo dopoguerra, si è ritrovata e riunita per ricreare le condizioni materiali atte all’opera di restauro della dottrina marxista e alla ricostituzione del partito comunista rivoluzionario.
Aldilà della decisione precipitosa di organizzarsi subito in quello che si chiamerà «partito comunista internazionalista», lo sviluppo stesso del lavoro politico di allora mise in evidenza fin dall’inizio che la priorità di quel lavoro doveva essere data alla restaurazione teorica del marxismo. L’impazienza organizzativa, basata semplicemente sul ribadire programma ed esperienza organizzativa del Partito comunista d’Italia del 1921, senza quel lavoro di restaurazione dottrinale e senza un bilancio dinamico della controrivoluzione borghese e staliniana che, con la seconda guerra imperialista mondiale aveva pienamente vinto, avrebbe reso molto più difficile la ricostituzione effettiva del partito comunista rivoluzionario. Tra il 1945 e il 1951 emersero due tendenze contrapposte che inevitabilmente lottarono tra di loro. Chi ci segue da tempo sa che il militante Bordiga faceva parte della tendenza che nel 1952 si organizzò intorno al nuovo giornale di partito “il programma comunista” e che da quella data possiamo dire che – grazie a tutto il lavoro di restaurazione teorica e politica generale e di bilancio della controrivoluzione fatto in quegli anni e che doveva continuare, come è continuato – l’omogeneità teorica e politica raggiunta dalla compagine di compagni organizzatisi col “programma comunista” stabiliva effettivamente i natali al partito comunista rivoluzionario.
Ebbene, da questo lungo lavoro di partito si autoescludono oggettivamente coloro che contano sui numeri, sulle opportunità immediate, sugli espedienti, sulle novità o sui cambiamenti temporanei della situazione, argomenti questi che contraddicono la necessità del lavoro militante che la Sinistra ha sempre rivendicato, ma che ne giustificano uno a propria immagine e somiglianza (in realtà a immagine e somiglianza della società borghese, di cui assumono, uno dopo l’altro, i pregiudizi). Questi espedientisti cercano di trarre vantaggio da tale tipo di operazioni editoriali, ribadendo così la loro concezione errata e costruendosi gli argomenti necessari per una rivendicazione leggera e superficiale del marxismo con cui amano ornare le tesi che adottano per innovarlo continuamente.
La forza del corso storico dell’antagonismo di classe tra proletariato e borghesia riporterà prima o poi alla ribalta la necessità della lotta rivoluzionaria del proletariato e, con essa, la necessità del suo partito di classe. Dunque, ciò che oggi appare come una mera disquisizione critica assumerà il suo reale significato perché le nuove generazioni di proletari che si avvicineranno al partito lo faranno non per acquisire una «cultura marxista» (o, peggio ancora, per venerare il mito di «Bordiga»), né perché affascinate dalle vicende personali di questo o quel militante, ma mosse dall’esigenza di rompere con i vincoli oppressivi a cui la società borghese ci sottopone e che costituiscono il peggiore degli ostacoli. E nel partito dovranno trovare proprio la forza di un lavoro organico che rifiuta ogni concessione all’individualismo e che dedica le migliori qualità di ogni individuo all’unico obiettivo del trionfo rivoluzionario.
(1) Si tratta del testo di Amadeo Bordiga en el Partido Comunista de Italia, Hermanos Bueso Ediciones, 2024.
(2) Si tratta del testo La Passione e l’Algebra. Amadeo Bordiga e la scienza della rivoluzione, rintracciabile nel sito del gruppo n+1.
(3) Vedi a questo proposito No sólo el estalinismo tiene su escuela de falsifición in El Programa Comunista n. 30, marzo 1979.
(4) Vedi Costruttori e adoratori di icone inoffensive all’opera: è nata la Fondazione Amadeo Bordiga in il comunista n. 71-72, settembre 2000.
(5) A questo proposito si legga la Storia della Sinistra Comunista, pubblicata dal partito negli anni ’60, reperibile su richiesta al nostro indirizzo.
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