La Fiat vuole operai robot

(«il proletario»; N° 8; Supplemento a «il comunista» N. 116 - Giugno 2010)

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Lo scrive un giornale della borghesia cosiddetta illuminata, «la Repubblica», del 14 giugno 2010, ed è molto istruttivo:

 

Le condizioni di lavoro che Fiat propone sono durissime.(...) Allo scopo di utilizzare gli impianti per 24 ore al giorno e 6 giorni alla settimana, sabato compreso, nello stabilimento di Pomigliano rinnovato per produrre la Panda in luogo delle attuali Alfa Romeo, tutti gli addetti alla produzione e collegati (quadri e impiegati, oltre agli operai), dovranno lavorare a rotazione su tre turni giornalieri di otto ore. L’ultima mezz’ora sarà dedicata alla refezione (che vuol dire, salvo errore, non toccare cibo per otto ore). Tutti avranno una settimana lavorativa di 6 giorni e una di 4. L’azienda potrà richiedere 80 ore di lavoro straordinario a testa (che fanno due settimane di lavoro in più all’anno) senza preventivo accordo sindacale, con un preavviso limitato a due o tre giorni. Le pause durante l’orario di lavoro saranno ridotte di un quarto, da 40 minuti a 30. Le eventuali perdite di produzione a seguito interruzione delle forniture (caso abbastanza frequente nell’autoindustria, i cui componenti provengono in media da 800 aziende distanti magari centinaia di chilometri) potranno essere recuperate collettivamente sia nella mezz’ora a fine turno giusto quella della refezione o nei giorni di riposo individuale, in deroga dal contratto nazionale dei metalmeccanici. (...) Non è tutto. Ben 19 pagine sulle 36 del documento Fiat consegnato ai sindacati a fine maggio sono dedicate alla metrica del lavoro. Si tratta dei metodi per determinare preventivamente i movimenti che un operaio deve compiere per effttuare una certa operazione, e dei tempi in cui deve eseguirli; misurati, si noti, al centesimo di secondo. (...) Sono criteri che provengono dal Giappone e sono indirizzati a due scopi principali: permettere di produrre sulla stessa linea singole vetture anche molto diverse tra loro per motorizzazione, accessori e simili, in luogo di tante auto tutte uguali, e sopprimere gli sprechi. In questo caso si tratta di fare in modo che nessuna risorsa possa venire consumata e pagata senza produrre valore. La risorsa più preziosa è il lavoro. Un’azienda deve quindi puntare ad una organizzazione del lavoro in cui, da un lato, nemmeno un secondo del tempo retribuito di un operaio possa trascorrere senza che produca qualcosa di utile; dall’altro, il contenuto lavorativo utile di ogni secondo deve essere il più elevato possibile. L’ideale (...) è il robot, che non si stanca, non rallenta mai il ritmo, non si distrae neanche per un attimo. Con la metrica del lavoro si addestrano le persone affinché operino il più possibile come robot. E qui cadono i veli della globalizzazione. Essa è consistita fin dagli inizi in una politica del lavoro su scala mondiale. Dagli anni 80 del Novecento in poi le imprese americane ed europee hanno perseguito due scopi. Il primo è stato andare a produrre nei paesi dove il costo del lavoro era più basso, la manodopera docile, i sindacati inesistenti, i diritti del lavoro di là da venire. Ornando e mascherando il tutto con gli spessi veli dell’ideologia neo-liberale. Al di sotto dei quali urge da sempre il secondo scopo: spingere verso il basso salari e condizioni di lavoro nei nostri paesi affinché si allineino a quelli dei paesi emergenti. Nome in codice: competitività (...).

          

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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