In vista del 2° Congresso del Sindacato Lavoratori in Lotta - per il sindacato di classe

Il direttivo SLL presenta una piattaforma condizionata pesantemente da una linea politica corporativa e ultimatista

 

(«il proletario»; N° 9; Supplemento a «il comunista» N. 118 - Novembre 2010)

Ritorno indice

 

La Piattaforma che il SLL (Sindacato Lavoratori in Lotta - per il sindacato di classe) in vista di questo suo 2° congresso ha fatto circolare presenta alcune caratteristiche che, di fatto, stravolgono del tutto il disegno originario col quale si diede vita ad una organizzazione sindacale che si differenziasse in modo consistente dal ogni altro organismo di lotta immediata soprattutto per la propria combattività, la tensione ad aprire a tutti i proletari, occupati, precari o disoccupati che fossero, la possibilità di convogliare le proprie spinte di lotta verso una reale lotta classista, la potenzialità nel rappresentare un reale indirizzo di classe al di fuori e contro non solo ogni tipo di collaborazionismo ma anche ogni cedimento al burocratismo.

Oggi il SLL mette in primo piano una sua anima popolare che, inevitabilmente, va a cozzare contro l’altra sua anima, quella più specificamente proletaria. Per i comunisti, che sono marxisti o non sono per nulla comunisti, quando si parla di popolo, di classi popolari, di organizzazioni popolari, di governi popolari, si mistifica alla borghese la realtà di una società che è divisa in classi antagoniste: i borghesi e i proletari sono classi natagoniste, hanno interessi immediati e storici antagonisti, perseguono storicamente obiettivi antagonistici. La classe dei capitalisti è il nucleo centrale della classe borghese dominante che attira nel proprio campo di interessi le mezze classi (i piccoloborghesi della città e della campagna) e quegli strati di proletariato che si sono venduti al nemico di classe in cambio di privilegi sociali, paghe più altre, garanzie di sicurezza nelle condizioni di vita e di lavoro. La borghesia, nei confronti delle masse proletarie, normalmente sfruttate fino all’ultima goccia di sudore e di sangue, si richiama al popolo al solo scopo di nascondere il reale e storico antagonismo che la oppone frontalmente alla classe dei proletari. Questi ultimi sono materialmente spinti a difendersi dalla pressione economica e dalla repressione sociale e poliziesca esercitate dalla classe dominante attraverso il comando sull’economia e il comando politico e militare del suo Stato e delle sue istituzioni: la difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro diventa così obbligatoriamente l’obiettivo quotidiano e immediato di ogni proletario dai continui attacchi che subisce, sul posto di lavoro quando ce l’ha e al di fuori di esso quando ha terminato di lavorare o quando è stato licenziato dalle aziende o non è mai stato assunto. La via del proletario è una vita da precario permanente perché non può mai decidere, se non per breve tempo e casualmente, se fare o no un determinato lavoro, se accettare o no un determinato salario. Ecco perché la forza dei proletari sta al di fuori dello stretto rapporto di lavoro che ognuno ha o non ha col proprio padrone: sta nell’associazione di difesa immediata, sta nel trasformare la quantità numerica da loro rappresentata nel lavoro associato che il capitalismo ha sviluppato, in qualità di  movimento che lotta unitariamente come classe, riconoscendosi perciò nelle stesse condizioni di vita di salariati e quindi negli stessi interessi antagonistici a quelli della classe dei padroni. In tutto questo il “popolo” non c’entra, è una mistificazione della realtà che fa comodo esclusivamente al dominio di classe borghese. Etmologicamente nel “popolo” sono contemplate tutte le classi e tutti gli strati in cui la società borghese ha suddiviso le diverse classi, la borghesia industriale, finanziaria, fondiaria, la media e piccola borghesia urbana e agraria, il proletariato nei suoi diversi strati - dall’aristocrazie operaia al proletariato straccione e vagabondo (lumpenproletariat); nel “popolo” non vi sono distinzioni nette di classi ma solo ceti differenziati per reddito e riserve. Solo la borghesia dominante ha interesse a che il proletariato non si riconosca come classe antagonista con propri esclusivi interessi di classe da difendere con la lotta senza quartiere contro di esse, con la stessa decisione e violenza con cui la borghesia dominante stessa combatte e schiaccia il proletariato obbligandolo nelle condizioni di schiavitù salariale. Il concetto di popolo richiama il concetto di nazione, di patria, di solidarietà nazionale, di unione sacra contro nemici “esterni” di altre nazioni, di altri paesi, di altre patrie: sono tutti concetti di un’unica ideologia, l’ideologia borghese! Chi si richiama al popolo fa il gioco della borghesia dominante, fa opera di opportunismo e quindi di sabotaggio dei veri ed esclusivi interessi di classe del proletariato!

Perché il SLL dovrebbe  essere solidale “con tutti quanti nel  nostro paese, in Europa e nel mondo lottano per migliorare le condizioni delle classi popolari e dei popoli oppressi e per la loro liberazione dallo sfruttamento e dalla miseria”, come si legge nel secondo capoverso della nuova Piattaforma? Nel testo della Piattaforma precedente si affermava la stessa cosa ma lottando “per migliorare le condizioni delle classi e dei popoli oppressi e per la loro liberazione”. Può sembrare una differenza di poco conto, ma in realtà vi è una differenza sostanziale perché le classi oppresse dal capitalismo sono le classi proletarie che sono cosa ben diversa dai popoli oppressi. Il capitalismo, nei paesi imperialisti e a capitalismo avanzato, opprime in particolare la classe del proletariato sviluppando un’ulteriore oppressione di tipo “sessista” nei confronti delle donne e in particolare delle proletarie, e un’ulteriore oppressione di tipo “nazionale”, “etnico” o “religioso” nei confronti di tutti  gli immigrati. Il capitalismo, essendo la società che sviluppa al suo interno la più grande quantità e qualità di oppressione che mai società umana ha conosciuto nella sua storia millenaria, si è sviluppato economicamente e socialmente conquistando e opprimendo le popolazioni di tutto il mondo, non limitandosi ad assoggettarne solo il proletariato ma estendendo il proprio dominio colonialista su intere popolazioni, perciò su tutti gli strati sociali a partire dal proletariato e dai contadini poveri su su fino ai borghesi. Nonostante la lunga stagione dei moti anticoloniali, esistono ancora - e continueranno ancora ad esistere finché esisterà il capitalismo - popoli e paesi più deboli oppressi da popoli e paesi più forti; perciò i comunisti, opponendosi incondizionatamente contro ogni oppressione sono solidali con i popoli oppressi ma non dal punto di vista di una impotente e mistificatoria democrazia borghese ma dal punto di vista della lotta di classe indipendente del proletariato. Anche nei paesi in cui si pone la questione della lotta contro l’oppressione nazionale (come in Palestina o nel Sahara occidentale) i comunisti esprimono la loro solidarietà non secondo i canoni dell’umanitarismo e del mieloso pacifismo, ma dal punto di vista della lotta di classe proletaria perché sanno, e la storia lo ha insegnato più volte, che solo il proletariato rivoluzionario sarà in grado di risolvere una volta per tutte la questione “nazionale” grazie al suo internazionalismo attraverso il quale sono i proletari di ogni nazione ad unificarsi e fondersi in un unico movimento di emancipazione generale e mondiale dal capitalismo. Il fulcro intorno al quale si muove il movimento rivoluzionario di emancipazione del proletariato dal capitalismo non è il “popolo”, né tanto meno le “classi popolari”, ma la lotta di classe del proletariato, indipendente da ogni altra classe e in netto e dichiarato antagonismo con tutte le altre classi dell’odierna società.

Dunque, fin dal primissimo passo, la Piattaforma del direttivo SLL va in una direzione completamente sbagliata, che non porta a rafforzare il movimento sindacale proletario di classe ma a impantanare il movimento sindacale proletario nelle pastoie del più bieco democratismo popolaresco e, di fatto, corporativo. Infatti, a che serve polemizzare coni soli  CISL, UIL e UGL per essersi “apertamente schierati con governo e padronato e mobilitati per dividere il fronte sindacale e i lavoratori”, quando il cosiddetto “fronte sindacale” che contiene anche la CGIL, la FIOM e tutti gli altri sindacati cosiddetti “alternativi” e “di base”, è nei fatti un fronte di sindacati tricolore, al di là delle differenza che ognuno mantiene rappresentando interessi più limitati e tendenzialmente corporativi e allo scopo di giustificare la propria esistenza. Definendo i sindacati con l’aggettivo tricolore vogliamo mettere in evidenza che queste organizzazioni, che sono sicuramente sindacali e non politiche come lo sono i partiti, sono nate fin dalla fine della seconda guerra mondiale come sindacati votati alla conciliazione nazionale, alla conciliazione degli interessi tra padronato, Stato e lavoratori salariati, esattamente al contrario dei sindacati di classe, i sindacati rossi, dell’anteguerra che sono stati distrutti dal fascismo. Nei sindacati di classe l’adesione è esclusivamente proletaria, i metodi di lotta e i mezzi di lotta sono esclusivamente di classe e proletari, cioé non dipendenti dalla pace sociale, dalle compatibilità con le esigenze delle aziende e dalla regole sempre più soffocanti delle restrizioni del diritto di sciopero. I sindacati di classe, i sindacati rossi, per la rinascita dei quali i comunisti lottano in ogni situazione, sono organizzazioni di lotta ad esclusiva difesa degli interessi immediati della classe proletaria, a difesaa della lotta stessa e delle stesse organizzazioni di classe.

I proletari contano, e possono contare, solo sui proletari, sui fratelli di classe delle diverse categorie e dei diversi settori, al di sopra delle differenze di età, di sesso, di nazionalità, di religione, in un movimento di unificazione tra porletari in quanto lavoratori salariati, occupati, precari o disoccupati: tutti fanno parte dell’unica classe del proletariato, e i comunisti agiscono contro tutti gli ostacoli che la borghesia, le istituzioni borghesi e le forze dell’oppprtunismo e del collaborazionismo interclassista alzano continuamente per dividere i proletari e per aumentare le differenze tra di loro. Un’arma formidabile in mano al padronato e alle istituzioni politiche e amministrativeborghesi è la concorrenza fra proletari. Più resiste nel tempo e si approfondisce la concorrenza fra proletari e più la classe dominante borghese aumenta e rafforza il suo dominio sul proletariato, più riesce a impedire al proletariato a ritrovare la sua strada di classe, il suo terreno di lotta, a ricollegarsi con la tradizione classista delle lotte del passato.

I comunisti non hannosolo il compito di indirizzare le lotte proletarie verso obiettivi unificanti e di classe ma anche il compito di contribuire alla riorganizzazione di classe del proletariato sul terreno della sua lotta immediata. E’ su questo terreno che le masse proletarie fanno esperienza di lotta, riconoscendo l’efficacia o meno di certi mezzi e certi metodi di lotta, sviluppando nella lotta stessa quella solidarietà che non è semplicemente ideale o morale ma è di classe, ossia quella solidarietà che rafforza la lotta, che dà sostegno reale ai proletari in lotta.

La Piattaforma 2006 del SLL affermava che “il SLL (Sindacato Lavoratori in Lotta - per il sindacato di classe) lotta per realizzare l’unità sindacale di tutti i proletari: sia lavoratori dipendenti dai capitalisti, dalla pubblica amministrazione, dalle imprese familiari,, cooperative, artigiane, dagli enti senza fine di lucro, sia lavoratori precari, lavoratori in cerca di primo impiego, disoccupati, emarginati, immigrati, pensionati”. Questo brano è stato ripreso pari pari nella nuova Piattaforma che il direttivo SLL presenta al secondo congresso. E’ una dichiarzazione di intenti, un ottimo obiettivo di classe, ma in questi 4 anni il “SLL-per il sindacato di classe” ha fatto dei passi avanti in questa direzione? Purtroppo no, ha fatto invece molti passi indietro. La separazione organizzativa dei disoccupati dagli altri proletari iscritti, la frammentazione delle sedi e infine la chiusura delle iscrizioni che ha portato alla demoralizzazione e all’abbandono del SLL da parte di molti disoccupati iscritti, hanno segnato una caduta del SLL su posizioni corporative e opportuniste. Se, in più, l’impronta che si vuol dare all’organizzazione che si vuole chiamare ancora “per il sindacato di classe” è un’impronta confusa e interclassista, con la quale si intende immergere i lavoratori salariati nelle mitizzate, ma impotenti, “masse popolari”, invece di prendere la strada per l’organizzazione di un effettivo sindacato di classe, si prende la strada per un sindacato tricolore, o “di regime” come è costume oggi apostrofare i grandi sindacati collaborazionisti ufficiali.

L’unità sindacale di tutti i proletari non la si persegue rincorrendo “le masse popolari”, e tanto meno mobilitandosi per un “Governo di Blocco Popolare”. Quest’ultimo, non rappresenta una geniale novità: già con la fine del secondo macello imperialista mondiale la classe dominante borghese insieme a tutte le forze dell’opportunismo di sinstra (notoriamente PCI e PSI) l’ha realizzato per imbrigliare il proletariato nella ricostruzione postbellica dopo averlo intruppato nella sua guerra imperialista. I risultati di quel Governo di Blocco Popolare quali sono stati? E’ stato favorito il cammino dell’emancipazione del proletariato dallo sfruttamentoe  dalla miseria? E’ stato raggiunto anche solo il primo livello di una nuova società non più basata sullo sfruttamento capitalistico del lavoro salariato? Nulla di tutto questo! I proletari sono di fronte ad una ennesima crisi di sovrapproduzione capitalistica e ad un periodo di nuovi peggioramenti delle loro condizioni di vita e di lavoro. Come denunciavano già allora i comunisti rivoluzionari, per nulla intimoriti dal fatto di essere in numero esiguo e perseguitati dallo stalinismo, il Blocco Popolare serviva soltanto a far ingoiare ai proletari appena usciti dagli immani sacrifici del macello di guerra, ulteriori immani sacrifici per la ricostruzione postbellica, ossia per nuovi cicli si spasmodica produzione di profitto capitalistico!

I partiti borghesi, cambiata la camicia nera del fascismo con la camicia bianca della democrazia, e in combutta con i partiti opportunisti legati a doppia mandata allo stalinismo, dovevano dare l’avvio ad organizzazioni di tipo sindacale che andassero a sostituire i sindacati fascisti: nacque la CGIL, il sindacato tricolore, il sindacato non più di classe, che usurpò il prestigio del vecchio sindacato rosso CGL (senza la “i” di italiana) per riorganizizare le masse proletarie in funzione della pacificazione generale e della comunanza di interessi tra proletari e borghesi. La scissione sindacale successiva, nel 1949, che dette i natali alla CISL e alla UIL, i cosiddetti “bianchi” e “gialli”, più legati l’uno alla Chiesa e l’altro al padronato privato, non fece della CGIL un sindacato “rosso”, ma rese più flessibile, confuso, e manovriero, il disegno di ingabbiamento del proletariato nelle sue esigenze materiali di difesa immediata, impedendo che le frange più combattive e meno domabili rispetto ai disegni di conciliazione interclassista si organizzassero al di fuori del controllo sociale della borghesia dominante.

Tutto ciò non ha impedito però che le spinte alla lotta di difesa per condizioni di vita e di lavoro più tollerabili si facessero sentire e che di volta in volta reparti o interi settori operai scendessero in sciopero con metodi vigorosi e per nulla intimoritio dagli inevitabili scontri con la polizia. Ebbene, queste spinte materiali, obiettive, provocate dalle pèrofonde contraddizioni economiche e sociali generate dallo stesso sviluppo capiotalistico e dalle sue crisi, non sono state mai completamente sopite. I bisogni elementari della maggioranza del proletariato sono stati per lungo tempo tacitati attraverso il castello di ammortizzatori sociali che la democrazia post-fascista ha ereditato dal fascismo stesso e che il lungo periodo di espansione economica del dopoguerra ha permesso allo Stato borghese di sostenere a favore di una larga parte del proletariato. Ma le crisi capitalistiche che si sono succedute  soprattutto dal 1975 in poi hanno eroso in modo sempre più consistente le risorse che lo Stato capitalista aveva accumulato per gli ammortizzatori sociali. I proletari sono perciò tornati a lottare contro gli effetti della crisi, contro i licenziamenti, contro la chiusura delle aziende, contro la disoccupazione, per un salario in grado di far vivere una famiglia proletaria al di sopra della soglia di pura sopravvivenza. Ed è su spinte di questo genere che a Napoli e in altre città e zone metropolitane si sono creati gruppi di lavoratori e organismi a tipo sindacale al di fuori delle organizzazioni sindacali dichiaratemente collaborazioniste. Da queste spinte sono nate nuove esperienze di lotta e, in particolare, nel napoletano, nel settore proletario dei disoccupati.

 Il SLL ha avuto, di fatto, l’occasione per creare un organismo proletario di difesa classista nella prospettiva di un sindacato di classe, di un sindacato rosso. Ma i suoi atteggiamenti partici, la sua “politica”, il suo “indirizzo” - come si dimostra nell’organizzazione di questo secondo congresso e in tutto il percorso fin qui svolto - va esattamente in direzione opposta.

Quando, nella nuova Piattaforma, passando ad elencare le condizioni grazie alle quali i proletari sarebbero riusciti a “riportare dei successi”, e affermando ad esempio che:

“1. Obiettivi e metodi di lotta devono essere caso per caso i più particolari possibile, in modo che i lavoratori che partecipano alla lotta siano convinti della loro giustezza e necessità”, aggiungendo poi tra parentesi: “in generale una lotta di difesa non può essere ‘per altri’ né i metodi di lotta possono essere generali”,

si dà per acquisito che un organismo di difesa classista non debba darsi obiettivi e metodi di lotta validi per tutti i proletari, che anzi la cosa più giusta da fare sia che i proletari, per ogni vertenza, per ogni caso specifico e separato da tutti gli altri, devono vedersela per proprio conto, fare esperienza per proprio conto, lottare per proprio conto separati da tutti gli altri da obiettivi e metodi di lotta che non possono essere comuni e unificanti! Dov’è finita la declamata all’inizio “lotta per realizzare l’unità sindacale di tutti i proletari”??? Quale sarebbe il metodo per unificare la lotta dei proletari? Quello di tenere ben separata una lotta dall’altra?

Senza una Piattaforma di lotta comune a tutti i proletari di un sindacato che si pretenede di classe, non di regime, non collaborazionista, diverso dai soliti sindacati ufficiali che dividono in mille rivoli le lotte operaie, separando sistematicamente le une dalle altre, senza una Piattaforma di questo genere, nota e riconosciuta da tutti gli iscritti al sindacato, che contiene nello stesso tempo la possibilità di definire aspetti particolari per vertenze parziali, il sindacato in questione diventa un organismo in balìa della situazione contingente, in balìa delle iniziative che prendono le cosiddette “controparti”, siano esse gli uffici degli Assessorati o delle aziende con cui discutere, al rimorchio di rapporti di forza già dati per deboli e perdenti! Il risultato è la demoralizzazione dei proletari che si illudevano di aver riposto fiducia in un organismo sindacale più combattivo, più determinato a difendere esclusivamente gli interessi immediati proletari.

E l’elenco continua:

“2. La lottadeve essere diretta da persone che vogliono vincere”. Certo che sentire il bisogno di precisare che la direzione della lotta deve essere data a chi vuole che la lotta porti ad un risultato positivo, è ben strano. Quali sono i proletari che vorrebbero che la loro lotta portasse alla sconfitta? Quali sono i proletari in lotta che vorrebbero essere diretti da capi che non “vogliono vincere”? Che motivo c’è di mettere questa “condizione” come secondo punto delle condizioni per ottenere il successo della lotta immediata? Il problema vero della direzione di una lotta non è tanto nelle “persone che vogliono vincere”, ma è quello della sua preparazione, della condivisione da parte di tutti i proletari coinvolti - e in un sindacato di classe non ci sono compartimenti stagni, non vi sono esclusioni a priori - della piattaforma di lotta discussa e fatta propria da tutti i proletari, dal loro coinvolgimento  in assemblee regolari alle quali tutti i proletari, di qualsiasi altro settore, categoria, vertenza, possano portare il proprio contributo - come hanno tentato di fare i disoccupati con la Piattaforma che abbiamo pubblicato a pagina 2 - dei metodi e dei mezzi di lotta di devono essere e diventare patrimonio di tutto il sindacato di classe e sostenuti da tutti i proletari che ne fanno parte, non solonelle istanze  interne al sindacato ma anche fisicamente nei luoghi in cui la lotta si esprime e si svolge.

Al punto 5 si afferma: “Non lasciarsi isolare, ma crearsi tutti gli alleati possibili”, e al punto 6: “Allargare il più possibile la lotta”.

Qui davvero la contraddizione raggiunge livelli incredibili: Dopo aver praticamente detto che gli obiettivi e i metodi di lotta devono essere a se stanti per ogni vertenza, e quindi non hanno nulla in comune tra tutti i proletari, dopo quindi aver negato ai proletari iscritti allo stesso sindacato che si pretende classista, di esprimere la loro solidarietà concreta e attiva in caso di vertenza mossa da una parte di loro - dunque, dopo aver negato che i primi alleati dei proletari in lotta sono i proletari dello stesso sindacato di classe, ci si esibisce nel declamare che una delle condizioni per riportare un successo nella lotta è quella di “non farsi isolare” (ma ci si è isolati in partenza, già all’interno del sindacato!) e di “crearsi tutti gli alleati possibili”, ma su quali basi costruire questa alleanza, con quali metodi e verso chi ci si deve rivolgere prima di tutto?, non è dato sapere. Davvero, sembrano parole buttate per caso come fossero un ritornello senza senso, in realtà sono una tremenda presa in giro!

In conclusione, la Piattaforma che il direttivo SLL intende far passare al suo prossimo congresso non è una Piattaforma di lotta che un sindacato che pretende di essere classista si vuole dare a sulla quale intende coinvolgere tutti i proletari desiderosi di lottare per i propri interessi immediati al di fuori delle organizzazioni  conciliatorie e collaborazioniste. Qui sono stati inseriti un certo numero di concetti che si annullano tra di loro ma che puntano, sotto sotto, a sostituire una Piattaforma di lotta sindacale, di classe, unificante e in grado di svolgere il ruolo di punto di riferimento per tutti i proletari che si sono iscritti e che si iscriveranno al sindacato domani, con un contorto Documento politico-programmatico tutto rivolto all’obiettivo di “edificare il Governo di Blocco Popolare”. Alla faccia di un sindacato che accoglierebbe tutti i proletari desiderosi di lottare in difesa dei propri interessi immediati, “indipendentemente dal loro orientamento ideologico, religioso e politico”! Alla faccia di un sindacato che non è un partito politico!

A parte la discutibile analisi della “situazione attuale” contenuta nel Documento politico-programmatico che il direttivo SLL ha voluto aggiungere come parte predominante a queste specie di “Tesi” del 2° congresso del SLL, balza agli occhi la tensione ultimatista con cui è messa in evidenza la situazione detta di emergenza.

Il passaggio che dà il alla cavalcata dei cavalieri dell’apocalisse, è contenuto nel punto 4 di questo Documento, e precisamente: “Dalla crisi attuale si esce solo con un rivolgimento politico: o con le distruzioni di una nuova guerra imperialista (mobilitazione reazionaria) o eliminando il capitalismo e instaurando al suo posto una società in cui le aziende non producono profitti per un pugno di padroni e di parassiti, ma beni e servizi che occorrono alla popolazione (mobilitazione rivoluzionaria)”. Da questo aut aut ne discenderebbe quanto segue: “ Nel nostro paese, nell’immediato, vuol dire: - o un governo autoritario della destra reazionaria che imponga con la forza il ‘patto sociale’ indicato da Marchionne, spinga i lavoratori e le masse popolari ancora più indietro e trascini tutti ad aggredire e saccheggiare altri paesi, - o un governo d’emergenza popolare deciso a passare sopra sistematicamente anche agli interessi dei ricchi e del clero e alle loro abitudini per tenere aperte le aziende, aprirne di nuove per fare il lavoro necessario a salvaguardare il paese dal disastro ambientale e a soddisfare i bisogni della popolazione, riavviare l’intera vita sociale”.

Non è la prima volta, e non sarà purtroppo l’ultima, che tendenze politiche di provenienza stalinista pongono il tema della crisi capitalistica come l’occasione per una specie di ultimatum confusionario: o autoritarismo di destra, reazionario e guerrafondaio, o ... governo di emergenza popolare... per eliminare il capitalismo a suon di... aziende che non producono profitti per pochi... ma per molti!

Il mulino di parole che accompagna lo slogan del “Governo di Blocco Popolare”, in realtà, non fa che distrarre per l’ennesima volta, e col solito “pericolo fascista” alle porte, un proletariato che proprio per gli effetti della crisi capitalistica potrebbe risvegliare dentro di sé la tradizione classista che storicamente ha prodotto formidabili lotte di classe e rivoluzionarie facenbdo passare alle classi dominanti di tutto il mondo non una notte ma anni di timor panico. La classe dominante borghese è perciò sempre felice quando dalle file proletarie e della sinistra politica emergono posizioni che uniscono, alla prospettiva di ulteriori peggioramenti delle condizioni economiche di vita proletaria, la richiesta a gran voce di più democrazia, della vera democrazia, di una nuova democrazia, di una democrazia popolare, per la quale ci si presdispone addirittura ad una... mobilitazione rivoluzionaria.

Posizioni che si definiscono classiste - non necessariamente comuniste e rivoluzionarie - partono dal presupposto storico elementare dell’antagonismo di classe fra proletariato e borghesia, per radicare concetti semplici e unificanti di tutti i proletari: la lotta in difesa delle condizioni economiche di vita è la lotta che il proletariato è costretto a fare nella presente società per la difesa stessa della sua vita immediata; questa lotta non la può portare avanti se non organizzandosi in quanto proletariato - lavoratore salariato e senza riserve - su un fronte dal quale devono essere esclusi metodi e mezzi di lotta contrari al rafforzamento del fronte di difesa; queste organizzazioni devono comprendere le masse più ampie del proletariato combattendo fondamentalemente ogni metodo e mezzo che la classe borghese usa per paralizzare, deviare, stroncare la lotta classista di difesa proletaria, innanzitutti quelli che alimentano e favoriscono la concorrenza fra proletari; questa lotta, che si svolge sul terreno dell’aperto antagonismo di classe con la borghesia, si nutre di solidarietà classista e di resistenza nel tempo e nello spazio su posizioni che non possono essere la conciliazione degli interessi fra classi opposte, non possono essere fatte proprie dalla classe borghese e dalle mezze classi piccolo-borghesi, perciò non possono dipendere dalla difesa della pace sociale, della democrazia, dell’economia aziendale o nazionale. Il proletariato, per opporsi efficacemente alla pressione e alla repressione borghese non può avere alcun aiuto concreto dalle istituzioni borghesi -siano esse democratiche, autoritarie o apertamente dittatoriali - poiché esse sono erette ad esclusiva difesa degli interessi borghesi e di conservazione sociale del capotalismo e del suo sistema economico di sfruttamento. Nessun governo “popolare”, di “larga intesa” o di “solidarietà nazionale” ha mai contribuito a migliorare generalmente le condizioni di vita e di lavoro del proletariato, né ha mai poturo risolvere il problema della disoccupazione come non ha mai potuto risolvere il problema della crisi di sovrapproduzione. Il capitalismo va eliminato come sistema economico e politico, ma la strada per giungere effettivamente alla sua eliminazione storica, al suo definitivo superamento come sistema sociale non sarà mai quella delle tappe costituite da graduali conquiste democratiche: è la storia passata che ha decretato il completo fallimento della socialdemocrazia e del nazionalcomunismo.

I proletari, subite molteplici sconfitte sul piano dello scontro politico e sociale grazie all’erosione delle posizioni classiste e comuniste rivoluzionarie provocata dall’opera costante e sistematica dell’opportunismo sindacale e politico, potranno tornare ad aver fiducia nella prospettiva della propria emancipazione dal giogo della schiavitù salariale, alla condizione di non farsi più ingannare dalle sirene democratiche e nazionali. E per non cadere nei mille trabocchetti che le varianti infinite dell’opportunismo costruiscono continuamente, i proletari dovranno tornare a lottare con i mezzi e i metodi della lotta di classe che, se da un lato non si fanno dettare le regole dai principi della conciliazione fra le classi e della falsa comunanza di interessi fra borghesi e proletari, dall’altro lato tendono costantemente a promuovere l’unione fra proletari sul terreno della lotta di classe e a solidarizzare solo fra proletari. La borghesia cerca la solidarietà fra borghesi e proletari allo scopo di dividere ulteriormente i proletari in una lotta di concorrenza sempre più sfrenata; gli opportunisti, che vestono la tuta operaia per mimetizzarsi meglio, sostengono la solidarietà tra borghesi e proletari in funzione della crescita economica, attraverso la quale e solo attarverso la quale essi dicono che si potrà ottenere una più equa distribuzione della ricchezza sociale, un capitalismo senza sprechi e con minori atrocità, insomma dal volto umano.

Ma la disoccupazzione aumenta, i morti sul lavoro non diomninuuiscono maui, gli invalidi da lavoro sono una micidiale costante, la miseria e la fame si diffondono nelle masse proletarie non solo dei paesi più arretrati e deboli ma anche dei paesi imperialisti più forti. Il fallimento del sistema economico e sociale capitalistico è evidente, ma il proletariato non ha ancora la forza di rimettersi in piedi, di riprendere nelle proprie mani la sua lotta, di riconquistare il terreno della lotta di classe sul quale ha la sola possibilità di prepararsi in modo adeguato ad uno scontro che sarà ad altissima tensione. Che la crisi capitalistica acutizzi i contrasti fra imperialismi e aumenti le probabilità di scontri militari non solo alla periferia del mondo ma anche a livello mondiale in una terza guerra mondiale, sono gli stessi borghesi che lo affermano. Il problema per i proletari d’avanguardia, e per i comunisti rivoluzionari, è quello della preparazione del proletariato a questo catastrofico avvenire.

Per non essere ridotto per la terza volta ad essere solo carne da cannone per gli interessi imperialisti del tal paese o del tal blocco di paesi, il proletariato deve tornare al suo passato lontano, al suo passato di classe e rivoluzionario. Le generazioni proletarie attuali sono state rincoglionite prima in un illusorio consumismo senza limiti e incessantemente potenziato e allargato a tutte le classi sociali, poi in un lento ma inesorabile peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro in cui di volta in volta veniva tagliata la serie di ammortizzatori sociali coi quali i proletari sono stati convinti di poter “garantirsi” per sé e i propri figli condizioni di vita decenti e progressivamente migliori, poi ancora - con l’afflusso di milioni di proletari immigrati da paesi stremati da guerre, fame, malattie e miseria provocate dalle selvagge aggressioni alle loro economie e ai loro territori di un capitalismo sempre più vorace e cinico - messe di fronte ad una spietata concorrenza fra proletari al fine di abbattere non solo i salari ma le condizioni generali di esistenza dell’intera massa proletaria dei paesi capitalisti più avanzati, le generazioni proletarie attuali si trovano di fronte una prospettiva di assoluta precarietà e insicurezza di vita.

La risposta che tende a prendere in considerazione caso per caso, azienda per azienda, gruppo di operai per gruppo di operai, col fine di salvare i posti di lavoro, o il maggior numero di posti di lavoro in una situazione genrale in cui i tagli ai posti di lavoro si contano in ogni paese a milioni, è una risposta non solo debole, ma del tutto inefficace e che porta ad ulteriore demoralizzazione del proletariato proprio perché non è in grado di offrire una soluzione stabile se non ad un numero sempre più ristretto di lavoratori. La massa di salariati è sempre più esposta alla precarizzazione e alla disoccupazione. La risposta perciò non può essere che la ripresa della lotta di classe che unisca concretamente i proletari occupati e disoccupati, autoctoni e immigrati e che ponga obiettivi di lotta comuni alle più larghe masse. La strada della vertenza chiusa in se stessa, nella propria azienda - quando c’è ancora unpazioenda nella quale lanciare una vertenza - è una strada che il più delle volte non porta a risultati concreti e accettabili sul piano del salario e delle condizioni di lavoro; ma se la lotta è portata avanti con metodi e mezzi di classe, fuori dai canoni del classico negoziato conciliante cui si sono abituati i bonzi sindacali, al di là del risultato concreto per tutti o per pochi, resta comunque un passo vanti nella ripresa della lotta di classe, e ridà fiducia ad altri proletari che si trovano nelle stesse condizioni di disagio, precarietà, senza lavoro.

Un sindacato che si definisce classista, come il SLL, invece di ingabbiare esprienze di lotta ed energie proletarie combattive in inutili e dannosi esercizi di politica opportunista a base di “governi popolari di emergenza”, dovrebbe far tesoro non solo delle lotte passate e dei passi che hanno originato la sua stessa costituzione, ma di quegli episodi di lotta coraggiosa di cui sono protagionisti oggi i proletari immigrati schiacciati nel tunnel della clandestinità e del lavoro nero, piuttosto che nei meandri di una burocrazia che li getta in pasto al caporalato, alla malavita organizzata, al lavoro schiavizzato. Castel Volturno, Rosarno, Brescia insegnano! 

Se poi il direttivo SLL intende imboccare la strada dei sindacati di base come l’USB o la “sinistra” della CGIL o della FIOM con l’intento semplicemente di “mobilitare” masse importanti di proletari non tanto e non solo sulle lotte rivendicative ma più precisamente sul terreno politico, allora il disegno di una prospettiva che va al di là e al di fuori della riorganizzazione classista sul terreno immediato è più chiaro. Quel sindacato che non doveva essere solo sindacato ma non doveva essere nemmeno partito, secondo le affermazioni contenute nella Piattaforma del 2° congresso, che cosa dovrebbe diventare? Una specie di laboratorio per convincere qualche migliaio di proletari a “lottare per il Governo di Blocco Popolare”? Questo misto confuso e interclassista di dichiarazioni altisonanti sull’unità sindacale di tutti i proletari e di bassa cucina elettorale a sostegno di un progetto politico che non ha nulla a che fare con un’organismo proletario classista di difesa immediata, è di fatto, al di là delle intenzioni di coloro che dirigono il SLL, una varo sabotaggio del tentativo di costituire un embrione di sindacato di classe come originariamente era.

Diventa perciò inutile cantare le lodi di “Linee Programmatiche” intese a “rafforzare, organizzare ed estendere il movimento di lotta dei disoccupati e dei precari”, quando solo pochi mesi fa, con la stessa sicumera di oggi, si chiudevano le iscrizioni dei disoccupati con il pretesto che non ci sarebbe stato posto di lavoro per tutti (e come se un sindacato, oltretutto di piccolissme dimensioni come il SLL, potesse avere la forza di garantire centinaia di posti di lavoro ma non... migliaia). meno male che “L’organizzazione e la mobilitazione dei disoccupati e precari costituisce il principale ambito in cui opera il SLL”. Ma se questo è il princiopale ambito in cui opera il SLL, come mai si è impedito proprio al direttivo dei disoccupati SLL di discutere e di portare al congresso la propria proposta di Piattaforma di lotta?

Si ciancia di principi organizzativi, e ci si fa paladini nel “porre anche il problema della democrazia nei sindacati”, ma dov’è finita la democrazia elementare all’interno del “SLL-per il sindacato di classe”? Negando ai disoccupati di potare la propria proposta di Piattaforma al congresso per poterla dibattere con tutti gli iscritti, oltre che con i componenti del direttivo, è un atto di democrazia sindacale applicata o è un atto di burocratica violenza attuata dalla struttura dirigenziale mossa da posizioni evidentemente ideologiche che, per dichiarazione ufficiale e scritta, non dovrebbero bloccare la libera iscrizione al sindacato e la libera espressione di pensiero e di posizioni?

Certo, non tutte le posizioni espresse nella Piattaforma del direttivo SLL sono da criticare. Non si può non essere d’accordo quando ci si pone l’obiettivo di “1.svolgere un ruolo positivo e propositivo nella costruzione di un fronte unito di lotta disoccupati e precari a Napoli e nella regione Campania; 2. sviluppare lo scambio di esperienza con i disoccupati e precari di altre parti del paese che lottano per la conquista del lavoro, al fine di sostenere e erafforzare la loro battaglia: 3. organizzare direttamente come SLL disoccupati e precari in altre parti del paese che non sono già interni a strutture sindacali; 4. sostenere la creazione di un coordinamento nazionale disoccupati e precari”. Ma la domanda è: Come mai non si è voluto svolgere questo ruolo ieri e oggi, all’interno stesso del SLL, coi propri disoccupati iscritti? Come mai non si è voluto dar voce allo scambio di esperienza all’interno stesso del SLL mentre si va a proporlo con generiche e sconosciute altre realtà del paese? Come mai si vuole andare ad organizzare disoccupati e precari in altre parti del paese quandio si sta fallendo all’interno stesso del SLL? Un coordinamento nazionale disoccupati e precari, ma con chi, con quali organismi e sulla base di che cosa, del “Governo di Blocco Popolare”? L’altra domanda è: che cosa c’è dietro tutta questa generica e astratta dichiarazione di costruzione di un fronte di lotta proletaria, quando all’interno dello stesso SLL non esiste una unità sindacale e una partecipazione condivisa su una Piattaforma di lotta?

Difendere i posti di lavoro: nessuna azienda deve essere chiusa, nessun lavoratore licenziato, ad ognuno un lavoro dignitoso, a ogni persona le condizioni per una vita dignitosa, a ogni azienda quanto serve per funzionare. Questi sono in sintesi i grandi obiettivi per cui il direttivo SLL chiede ai propri iscritti di lottare. Come dire: il lavoro per tutti, o come andava di voga qualche decennio fa: lavorare meno, lavorare tutti. Ma il problema serio è che sotto il capotalismo, e specie se in periodo di crisi profonda come l’attuale, il posto di lavoro per tutti non ci sarà mai. E’ anche per questo che i comunisti rivoluzionari, come già nel 1921, lanciano la parola d’ordine. Salario da lavoro o Salario di disoccupazione!, e chiamano i proletari, unitariamente, a lottare su questo terreno togliendosi dalla testa l’illusione che in pieno capitalismo, senza alcuna rivoluzione vittoriosa, si possa ottenere effettivamente un lavoro salariato per tutti. La lotta di classe dei proletari contro i capitalisti, in realtà, non è incentrata sul lavoro, e quindi sul posto di lavoro, ma sul salario, poiché nella società capitalistica si mangia e si vive solo se si ha un salario; si può anche lavorare gratis (e a tutti i proletari, senza che lo sappiano, viene estorta ogni giorno una quota sempre più grande di tempo di lavoro non pagato - che è poi il famoso plusvalore che attraverso la vendita delle merci nel mercato si trasforma in profitto capitalistico), e nel volontariato, ad esempio, è normale dare lavorare gratis. Ciò non significa che la lotta per il posto di lavoro non sia importante, ma lo è nella misura in cui è abbinata alla lotta per la diminuzione della giornata lavorativa, per la diminuzione del carico e dei ritmi di lavoro, per la diminuzione dell’intensità del lavoro, cioè abbinata alla lotta contro la richiesta capitalistica di aumento della produttività del lavoro poiché questo aumento della produttività capitalistica si traduce in un aumento dello stress giornaliero di ogni proletario e in una diminuzione reale del salario, senza parlare delle peggiorate condizioni di lavoro che accompagnano sistematicamente l’aumento della produttività capitalistica. Peggiorate condizioni di lavoro che a loro volta si declinano in aumento di incertezza e precarietà del lavoro, chiamata nromalmemnte flessibilità della manodopera!

Lotta e resistenza alla repressione e sviluppo della solidarietà proletaria. Sono altre parole d’ordine che ogni organismo proletario classista fa sue. Ma la solidarietà proletaria contro la repressione può esprimersi e incidere alla condizione di poggiare sulla solidarietà di classe che i proletari sviluppano nella lotta immediata organizzata con metodi e mezzi di lotta classista. la solidarietà proletaria non cade dal cielo, non si genera spontaneamente da ogni proletario, ma è il risultato - per Marx il risultato più importante della lotta proletaria, più importante anche dei risultati economici immediati - della lotta di classe, poiché questa lotta abitua i proletari a riconoscersi partecipi di una classe che sotto il capitalismo vive nelle stesse condizioni nei rapporti di produzione, e perciò è accomunato dalle condizioni di lavoratore salariato, e che nello sviluppo della lotta di classe organizzata sul terreno immediata si scontra inevitabilmente con la classe dominante borghese e i suoi sgherri, in veste militare e in veste politica e sindacale, avendo in questo modo la possibilità di riconoscere nella lotta chi sta dalla parte del fronte di classe proletario e chi dalla parte del fronte di classe borghese. La solidarietà di classe, maturata nello sviluppo delle lotte di classe parziali e immediate, ha perciò la possibilità di incidere sui rapporti di forza fra proletariato e borghesia perché la lotta stessa ha già inciso su quei rapporti e ha già posto al proletariato il problema del salto di qualità politico: oltre un certo limite la lotta immediata non può andare; o si trasforma in lotta politica e rivoluzionaria - e qui la guida del partito comunista rivoluzionario è decisiva - o indietreggia e cede all’opportunismo.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

Top

Ritorno indice