La lotta economica di difesa immediata e’ base della lotta di emancipazione alla  condizione di attuarsi con i mezzi e i metodi della lotta classista e di incontrare il partito di classe che la guidi verso le finalità rivoluzionarie del comunismo

 

(«il proletario»; N° 10; Supplemento a «il comunista» N. 122 - Dicembre 2011)

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Lo scontro di interessi tra operai e padroni si manifesta tutte le mattine quando gli operai si alzano e vanno a lavorare. “Andare al lavoro” non vuol dire soltanto assicurarsi un salario, sempre misero e al di sotto delle necessità di una vita decente, ma vuol dire ribadire ogni giorno la sottomissione degli operai al comando capitalistico, alle leggi che la borghesia ha imposto a tutta la società e che rispondono all’interesse principale della classe borghese dominante: difenderela proprietà privata, difendere l’appropriazione privata della ricchezza prodotta, difendere il sistema economico capitalistico che è basato sullo sfruttamento della forza lavoro salariata e sull’estorsione di una parte sempre più grande di lavoro non pagato che il marxismo ha chiamato plusvalore e che i borghesi chiamano profitto.

Il “lavoro” nella società capitalistica è in realtà un tormento quotidiano, perché costringe i salariati in condizioni di completa sudditanza nelle forme di una moderna schiavitù: se non hai un salario - non importa che lavoro fai - non vivi e non dai da vivere ai figli e ai congiunti! Andare al lavoro, quindi, è in realtà un andare nelle galere del capitale, e spesso è un andare alla guerra vista la quantità gigantesca di infortuni e di morti sul lavoro che ogni anno questa società aggiunge ai suoi libri contabili: dà lavoro, e quindi sfruttamento bestiale della forza lavoro salariata, e in cambio riceve profitto intriso di sangue e lacrime dei proletari sfruttati. E’ contro questa formidabile pressione economica e oppressione sociale che i proletari reagiscono lottando, nella spontanea resistenza al sistematico schiacciamento nelle condizioni di schiavi salariati, per di più nella miseria crescente.

La lotta economica dei proletari nasce quindi dalla spontanea resistenza contro condizioni sfavorevoli alla stessa vita quotidiana, e questa lotta può svilupparsi anche in forme molto dure e violente, come dimostrano innumerevoli esempi nella storia anche recente. Ma il capitale, la società borghese che sul modo di produzione capitalistico si è sviluppata, nonostante le lotte anche violente del proletariato, resta padrona della situazione e per i proletari, alla fin fine, non cambia sostanzialmente nulla: sempre schiavi salariati restano, sempre più in balìa delle oscillazioni del mercato, delle crisi economiche e finanziarie, degli alti e bassi della “crescita economica”, della disoccupazione, della disperazione per un “vita di lavoro” spesa per i padroni per ricevere in cambio un calcio in culo e una misera pensione che non basterà mai per sopravvivere.

La lotta economica dei proletari, perciò, è la manifestazione di reazione a condizioni di vita e di lavoro insopportabili nella quale i proletari si possono riconoscere in modo elementare e diretto. Ma  perché questa lotta conquisti qualche risultato, rendendolo più duraturo possibile, va rifatta continuamente e più estesamente possibile per poter recuperare quel che i capitalisti riescono continuamente a togliere. Per questo i capitalisti possono contare non solo sulla forza dello Stato e delle sue innumerevoli istituzioni locali, non solo sulla forza militare di polizie ed esercito, non solo sulle leggi che li difendono su ogni terreno, ma anche sull’opera della grande schiera di opportunisti e collaborazionisti che, vestendo panni proletari e parlando a nome dei lavoratori delle più diverse categorie, agiscono nelle file proletarie per indebolirne la resistenza, per deviarle dalle forme di lotta più efficaci perchè classiste, per illuderle con le manovre negoziali e con le battaglie parlamentari fatte passare come le uniche che possono portare dei risultati.

Questi opportunisti sono coloro che non negano la lotta economica, ma la incanalano nelle compatibilità sociali, la condizionano nell’uso dei mezzi e dei metodi di lotta facendola dipendere sempre dalle esigenze aziendali o sociali dell’economia capitalistica dominante. Le esigenze dei proletari, della loro vita, per questi aguzzini in giacca e cravatta, sono per principio sottoposte alle esigenze capitalistiche, perciò non saranno mai al centro dei loro programmi, mentre difendono a spada tratta l’economia nazionale, il “sistema paese”, la “crescita economica” dalla quale, appunto, fanno dipendere i “miglioramenti” per i proletari. Contro questa vera e propria degenerazione opportunista si levano forze politiche che vogliono combattere l’impotenza dei grandi sindacati collaborazionisti e dei partiti parlamentari che si rifanno alla massa proletaria (ma solo come bacino elettorale), considerando la lotta economica degli operai come una lotta da elevare al livello della lotta politica, perché la soluzione delle contraddizioni della società borghese si può trovare solo a livello politico.

In effetti il livello della lotta economica, per quanto essa possa essere dura, tenace o anche violenta, è perfettamente compatibile con la società capitalistica.  La lotta economica, scrive Lenin nel Che fare?, “è la lotta collettiva degli operai contro i loro padroni per avere migliori condizioni di vendita della forza-lavoro, per migliorare le condizioni di lavoro e di esistenza degli operai”. La vendita della forza-lavoro vuol dire salario; lottare per avere un salario, per un suo aumento, per condizioni di lavoro e di vita quotidiana migliori di quelle in cui gli operai sono tenuti, è lottare all’interno delle leggi che presiedono il dominio capitalistico; i rapporti di produzione e sociali del capitalismo non sono messi in discussione da questa lotta. dare poi a questa lotta economica un “carattere politico” significa, continua Lenin, “adoprarsi a soddisfare le rivendicazioni economiche, a migliorare le condizioni di lavoro con delle ‘misure legislative ed amministrative’ ” (1).

Dare alla lotta economica un carattere politico, ribadisce Lenin, non contiene null’altro che la lotta per le riforme economiche. In questo consiste esattamente quel che Lenin chiama “economismo”, e che, come formula, è apparentata strettamente a quella di Bernstein che diceva: il movimento è tutto, il fine è nulla.

Nella storia del movimento operaio internazionale, posizioni di questo genere ci sono sempre state, e non è una cosa strana: sono posizioni che derivano dall’impostazione ideologica della classe dominante borghese per cui ogni reazione e ogni critica, perciò ogni lotta, è prevista e, nei paesi democratici più sviluppati e forti, spesso tollerata, proprio perché rimane saldamente nei confini della società borghese, nei limiti del modo di produzione capitalistico. Lottare per il salario può essere inteso in due modi: è una lotta che ribadisce il sistema salariale come base indiscutibile della società, e lottare per un suo aumento non è che un rafforzamento dell’accettazione del sistema economico capitalistico, oppure, è una lotta che, pur ribadendo il sistema salariale come base della società, la lotta per la sua difesa e per il suo aumento è occasione per i proletari di organizzarsi a difesa dei propri interessi nella solidarietà di classe e, perciò, occasione di allenamento alla guerra di classe che la borghesia inevitabilmente scatena contro il proletariato per difendere i suoi profitti e la sua libertà di sfruttare la forza lavoro salariata. Il primo punto di vista è rifomistico, e quindi borghese; il secondo punto di vista è rivoluzionario, e quindi proletario.

Perché il secondo punto di vista è rivoluzionario? Perché, come dice il Manifesto di Marx-Engels del 1848, in questa lotta “ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più”. Ciò significa che gli operai sono spinti dalle condizioni materiali in cui si trovano nella società capitalistica a riunirsi in associazioni economiche per difendersi dalla pressione dei capitalisti, ma che lottando esclusivamente su questo terreno dove possono anche vincere, ma solo transitoriamente, non riusciranno mai a farla finita con l’oppressione salariale. Per superare le condizioni di assoggettamento al capitale e alla borghesia dominante, i proletari devono lottare per fini non immediati, e quindi non compatibili con il dominio sociale della borghesia, ma per fini rivoluzionari per i quali, nella storia delle lotte fra le classi, si è formata una organizzazione particolare, il partito politico di classe, sulla base di profonde cognizioni scientifiche radicate nei rapporti economici del moderno capitalismo.

Se la lotta economica, di per sé, nel suo più alto sviluppo ed elevata a lotta politica, non può oltrepassare i limiti delle riforme economiche, riesce però a produrre, se condotta con mezzi e metodi della lotta di classe, la base necessaria  al proletariato perché si ponga obiettivi più generali e radicali; questa base è data dalla solidarietà di classe, ossia dal fatto che i proletari che appartengono a non importa quale categoria, settore, siano maschi o femmine, giovani o anziani, nativi o immigrati, di questo o di quel paese, si riconoscano come una classe antagonista alla classe borghese dominante, come una classe che non solo ha interessi immediati opposti a quelli dei padroni, ma come classe che ha finalità storiche del tutto opposte e antagonistiche a quelle della classe borghese in generale. Questo “riconoscimento” può avvenire solo sul terreno della lotta di classe e si traduce in quella solidarietà di classe che è il vero risultato - per i rivoluzionari marxisti, ma storicamente per la classe proletaria internazionale - delle lotte che la classe proletaria conduce a difesa delle proprie condizioni di esistenza e di lavoro.

Coloro che non masticano la dialettica non riescono a comprendere che i proletari, lottando sul terreno della difesa immediata ma con mezzi e metodi classisti, dunque non immediatamente compatibili con gli interessi padronali e borghesi, hanno la possibilità di avanzare non solo e non tanto sul terreno delle riforme economiche, ma soprattutto sul terreno della lotta per obiettivi superiori, per obiettivi non immediati e non locali, ma generali e storici. Senza raggiungere il livello della solidarietà di classe, il proletariato non sarà mai in grado di lottare per obiettivi più grandi che non siano quelli ecomimici e immediati, condannandosi così a perpetuare la propria schiavitù salariale e, quindi, il proprio asoggettamento alla classe borghese dominante.

Reagire all’opportunismo collaborazionista, che è impantanato nel più becero tradunionismo (che è il riformismo borghese vestito coi panni del proletariato), credendo che il proletariato possa, col solo mezzo della sua spontaneità, raggiungere la coscienza delle finalità storiche della sua lotta di classe (cioè il comunismo), significa in realtà ricadere nell’economismo. Lenin, nel Che fare?, riprende un passo dal Kautky ancora marxista, che mette in risalto proprio questo aspetto. Kautsky, polemizzando con il progetto di un nuovo programma del Partito socialdemocratico austriaco (1901-1902), richiama un passo di questo progetto che afferma quanto segue: “Quanto più lo sviluppo capitalistico rafforza il proletario, tanto più esso è costretto a lottare contro il capitalismo ed ha la possibilità di farlo. Il proletario giunge ad aver coscienza della possibilità e della necessità del socialismo”. E Lenin trae le conseguenze: “La coscienza socialista sarebbe il risultato necessario, diretto della lotta di classe proletaria. ma ciò è completamente falso. Il socialismo, come dottrina ha evidentemente le radici nei rapporti economici contemporanei, al pari della lotta di classe del proletariato ; esso deriva, al pari di quest’ultima, dalla lotta contro la miseria e dall’impoverimento delle masse generati dal capitalismo; ma socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all’altra e non  uno dall’altra; essi sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde conoscenze scientifiche (...) La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente”. Da qui risulta che il compito dei comunisti rivoluzionari “è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione” (2).

Ma questo compito non può essere svolto che dal partito politico di classe, ossia quell’organo di lotta politica rivoluzionaria che possiede la conoscenza dell’intero percorso storico della lotta di classe del proletariato e la volontà di combattere su ogni terreno di lotta del proletariato, da quello immediato di difesa economica a quello politico più generale, per guidare la classe operaia nella rivoluzione anticapitalistica e nell’abbattimento del potere politico borghese, attraverso cui l’emancipazione del proletariato dalla schiavitù salariale diventerà un risultato reale portando con sé l’emancipazione dell’intera specie umana dalla preistoria delle società divise in classi alla storia della società di specie.

Il proletariato, proprio perchè è il prodotto materiale della nascita e dello sviluppo della società capitalistica nel grembo della società feudale, porta con sè il condizionamento materiale del suo assoggettamento al modo di produzione capitalistico che, liberando i servi della gleba dalla loro condizione di soggezione ai signori feudali li ha trasformati in liberi venditori di forza lavoro, a loro volta però obbligati a vendere la forza lavoro sul libero mercato alle condizioni di prezzo, ossia di salario, imposte per lo più dai proprietari dei mezzi di produzione, i capitalisti. La visione che il proletario ha, perciò, della sua esistenza è ristretta nell’ambito della vendita della sua forza lavoro da cui dipende la sua vita: grazie al salario può mangiare, senza salario precipita nella miseria e muore di fame. Moderno schiavo salariato, trova la sua forza nell’associazione di difesa economica, che lo pone nelle condizioni di iniziare a lottare per il salario e per migliorare le sue condizioni di esistenza. E’ la risposta borghese a questa lotta che fa nascere nel proletariato in lotta l’esigenza di combattere con più efficacia, ma di allargare gli obiettivi della sua stessa lotta. Ed è a questo punto che la lotta di classe del proletariato, sviluppatasi sia sul terreno economico immediato che politico più generale, incontra come afferma Lenin il socialismo, il partito politico di classe che importa nella lotta proletaria la coscienza della sua situazione e della sua missione storica.

Coloro che sostengono che il socialismo, in pratica la teoria marxista, la teoria della rivoluzione proletaria, è lo sviluppo della lotta di classe proletaria e della “coscienza” che i proletari hanno a partire dalla loro lotta economica, non fanno che ripiombare nel più crasso economicismo. Dalla lotta economica, ad un certo grado di sviluppo dello scontro antagonistico con la borghesia, possono formarsi delle “scintille di coscienza di classe” (Lenin), ma senza l’incontro con l’opera di costante intervento del partito politico rivoluzionario all’interno della lotta proletaria, quelle “scintille” non potranno mai funzionare come micce dell’incendio rivoluzionario. I proletari riconosceranno il partito comunista rivoluzionario come propria e unica guida nella lotta per la propria emancipazione non perché sia stato generato dalla sua lotta di classe, ma perché quel partito avrà dimostrato in pratica di possedere la coscienza della situazione reale del proletariato nelle complicate contraddizioni della società borghese e della missione storica che la classe del proletariato ha rispetto a tutte le altre classi sociali: quella di far uscire dall’oppressione capitalistica l’intera specie umana.  

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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