La pace capitalistica non ferma la strage di proletari!

Solo la lotta di classe indipendente può difendere gli interessi di vita e di lavoro proletari!

 

(«il proletario»; N° 12; Supplemento a «il comunista» N. 158 - Aprile 2019)

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I giornalisti e i politici borghesi non hanno alcun timore nel dichiarare che la strage di lavoratori sui posti di lavoro e in itinere, cioè per andare e tornare dal lavoro, è una cosa  normale! Non passa anno senza che le statistiche confermino questa tragedia, ricavandone grafici, paragoni, percentuali; e tutti i media, chi più chi meno, in occasione del Primo Maggio, occupano un po’ del loro spazio per annunciare quel che ogni proletario vive ogni giorno sulla propria pelle: al lavoro come in guerra!, di lavoro si muore!

Per il 2018 l’Inail denuncia che i morti sul lavoro sono stati 1.133, e che gli infortuni sul lavoro rilevati sono stati oltre 641.000. La crisi capitalistica ha gettato sul lastrico milioni di lavoratori; in Italia gli stessi istituti governativi affermano che la povertà colpisce più di 5 milioni di persone, che i salari sono fermi da anni mentre il costo della vita sale, che una gran parte delle pensioni non bastano per vivere decentemente, che i disoccupati aumentano, che i giovani non trovano lavoro: però i morti sul lavoro non diminuiscono, ma aumentano!

Se alle morti sul lavoro che ufficialmente risultano all’Inail aggiungiamo le morti dei lavoratori sulle strade che li portano e li fanno rientrare dal lavoro, o per tornare a casa dal lavoro, il numero sale ad oltre 1.450.

Insomma, i posti di lavoro si riducono, ma le morti sul lavoro aumentano e, ovviamente, aumentano anche gli infortuni sul lavoro che, nella realtà sono molti, ma molti di più di quelli ufficialmente denunciati. Basti pensare alla diffusione del lavoro nero e dei lavori stagionali e precari che riguardano non solo i lavoratori immigrati ma anche gli italiani. E’ un prezzo durissimo che i lavoratori salariati pagano ogni anno, in Italia come in ogni paese del mondo.

La civiltà capitalistica vanta progressi continui nelle scienze, nelle ricerche, nelle innovazioni tecniche e tecnologiche e nelle applicazioni pratiche. Tali progressi vengono sbandierati come passi avanti per la sicurezza e il benessere delle persone, per la semplificazione delle attività lavorative, per la riduzione della fatica e del tempo impiegato nella produzione e nella distribuzione dei prodotti.

Ma l’ingranaggio scientifico e tecnologico, in continua evoluzione, messo in moto dal capitalismo in ogni campo di attività lavorativa, ha uno scopo ben preciso: aumentare le quantità  prodotte in unità di tempo rispetto ai cicli produttivi precedenti, semplificare sempre più i passaggi tra un segmento e il successivo della produzione; diminuire perciò il tempo di lavoro necessario al lavoratore salariato per coprire il proprio salario, aumentare, invece, il tempo di lavoro che il capitalista non paga al lavoratore, cioè il plusvalore (che, alla fine di ogni ciclo produttivo, di distribuzione e di vendita, si trasforma nel profitto capitalistico).

Se, da un lato, le lavorazioni vengono tecnicamente semplificate e velocizzate, richiedendo meno lavoratori occupati nella giornata lavorativa di 8 ore, dall’altro, risultando le lavorazioni più complesse o pericolose, richiedono maggiori misure di sicurezza per i lavoratori come per le attrezzature. Ma la combinazione tra la velocità di produzione, l’accumulo di mansioni per lavoratore, i livelli dei ritmi di lavoro sempre più alti e le misure di sicurezza tendenzialmente sempre più basse - tutti elementi che contribuiscono ad abbattere i costi di produzione - porta inesorabilmente ad aumentare la pericolosità dell’attività lavorativa: dalla parte del lavoro si abbassano l’occupazione e i salari e aumentano gli infortuni e i morti; dalla parte del capitale si sfruttano gli impianti e le attrezzature oltre misura, si aumentano, o si mantengono, i profitti, tenendo testa alla concorrenza sul mercato, se non battendola! Chi paga il prezzo di questo beneficio esclusivo per il capitale? I lavoratori salariati!

Che armi hanno i proletari per difendersi da questo vero e proprio attacco sistematico alle loro condizioni di lavoro e di vita? L’unica vera arma a disposizione - visto che solo dal lavoro salariato i capitalisti possono estorcere il plusvalore, e quindi i loro guadagni - è lo sciopero: bloccare la produzione e la distribuzione, lottando così contro gli interessi dei capitalisti. Al danno che i capitalisti provocano ai lavoratori salariati sul piano delle condizioni di lavoro e di vita, i lavoratori salariati, se vogliono essere ascoltati e ottenere soddisfazione alle loro rivendicazioni, devono rispondere sullo stesso piano: portando un danno ai profitti capitalisti.

Ogni lavoratore sa che lo scontro fra proletari e capitalisti non è mai ad armi pari: i capitalisti hanno dalla loro parte il dominio economico e il potere politico, concentrato nello Stato centrale, in tutte le sue istituzioni e le sue ramificazioni locali. Quindi non basta semplicemente astenersi dal lavoro, o manifestare in azienda o per le strade per le proprie rivendicazioni. Per rispondere alla caratteristica di lotta operaia che ha per obiettivo la più efficace difesa delle condizioni di lavoro e di vita  proletarie lo sciopero deve incidere il più a fondo possibile sugli interessi capitalistici.

Per fermare la strage continua di lavoratori sull’altare dei profitti capitalistici, e per incutere ai padroni - siano privati o pubblici - la paura di eccedere nello sfruttamento del lavoro salariato e nel disprezzo della loro vita, i proletari devono tornare alle tradizioni classiste lunghe più di un secolo e mezzo!

Sulla base di quest’esperienza di lotta proletaria, lo sciopero deve essere sostenuto da organizzazioni di classe indipendenti dalla borghesia e dai suoi lacchè, e deve applicare una tattica decisa ed intelligente, dando il meno possibile l’opportunità ai capitalisti di renderlo inefficace ed impotente. Perciò va organizzato e dichiarato su rivendicazioni che riguardano esclusivamente gli interessi proletari, meglio senza preavviso e ad oltranza, coinvolgendo il più alto numero possibile di proletari dell’azienda interessata e allargandolo alle altre aziende; le trattative devono essere portate avanti con la lotta in piedi; gli obiettivi immediati e anche molto parziali devono essere realmente unificanti per combattere fin dall’inizio la concorrenza tra proletari; i mezzi e i metodi di lotta devono essere classisti, cioè devono essere coerenti con gli obiettivi e le rivendicazioni per cui si lotta e in grado di fronteggiare il contrattacco dei capitalisti e delle forze di conservazione sia politiche e sindacali, che istituzionali e di repressione.

I metodi e i mezzi di lotta operaia proposti e praticati dalle forze sindacali e politiche collaborazioniste difendono gli interessi del capitale e non del lavoro. Decenni di collaborazionismo coi padroni e coi loro portavoce politici e istituzionali dimostrano chiaramente che gli interessi proletari non vengono realmente difesi; e quand’anche gli interessi proletari venissero in qualche modo tenuti presente, sarebbero sempre, in un modo o nell’altro, sottoposti al sistema borghese dei ricatti: vuoi un aumento del salario?, devi lavorare di più e aumentare la produttività; vuoi che il tuo posto di lavoro sia più sicuro per te?, devi dimostrare al padrone e ai suoi galoppini che ti pieghi alle sue esigenze, che non ti ribelli e che non istighi i tuoi compagni di lavoro a lottare; vuoi qualche beneficio extra?, fai più straordinari quando il padrone te lo chiede, dedica il tuo tempo personale e privato all’azienda seguendo, a tue spese, corsi di aggiornamento e di formazione per diventare ancora più efficiente nelle mansioni lavorative che ti vengono assegnate. Insomma, se ti pieghi alle esigenze del capitale e nei tempi in cui queste esigenze devono essere soddisfatte, allora puoi avere una possibilità  maggiore di mantenere il tuo posto di lavoro e, quindi, un salario per vivere.

E’ esattamente questo meccanismo di ricatto sistematico, affinato nel tempo dai capitalisti, che i sindacati collaborazionisti hanno fatto proprio. Per farsi seguire dai proletari, questi sindacati tricolore, patriottici e aziendalisti, inseriscono alcune esigenze base dei proletari (su salario, misure di sicurezza ecc.) nel quadro generale della collaborazione di classe, dimostrando ai padroni che si assumono il compito di conciliare gli interessi dei capitalisti e gli interessi dei lavoratori, ma piegando i lavoratori alle superiori esigenze dell’economia aziendale e dell’economia nazionale. Incontri, negoziati, tavoli di discussione, proposte che tengono conto delle esigenze delle aziende, addirittura minacce di sciopero (quasi mai mantenute e, anche quando  lo sciopero viene proclamato, si svolge in modo da non danneggiare le aziende): sono tutti elementi che giocano a favore dei capitalisti. E nelle occasioni in cui i proletari, stufi di essere presi in giro dai padroni e dai sindacalisti, decidono di attuare forme di lotta più incisive, ecco che i sindacati tricolore si adoperano per dissuaderli e sabotare le loro iniziative, cercando di riportare “la lotta” nell’alveo della protesta pacifica, legalitaria e democratica. E’ per questa ragione che, da sempre, li chiamiamo opportunisti e collaborazionisti.

I proletari, per una vera difesa delle proprie condizioni di lavoro e di vita, per combattere contro la nocività, lo stress da lavoro, la precarietà del posto di lavoro e del salario; per combattere contro la pressione capitalistica quotidiana sulla loro esistenza e sul loro lavoro, devono cambiare radicalmente il proprio comportamento, prendendo nelle proprie mani le sorti della loro lotta, e mettere in cima alle proprie priorità gli interessi immediati come lavoratori salariati. Solo così, lottando insieme come proletari di qualsiasi categoria, settore economico e nazionalità,  potranno avviare un reale cambiamento nei rapporti di forza tra il proletariato e la classe dominante borghese. Se i proletari non vogliono restare schiavi salariati, spinti dai capitalisti e dai loro servi a farsi la guerra gli uni contro gli altri, occupati contro disoccupati, autoctoni contro stranieri, uomini contro donne, giovani contro vecchi, hanno una sola alternativa: unirsi nella lotta di classe, incamminandosi verso una generale emancipazione dal capitale e dalla società borghese, per rivoluzionare completamente la società attuale.

Delegare ai sindacati collaborazionisti il proprio presente e il proprio futuro vuol dire eternizzare la propria schiavitù, piegarsi ad un pesante asservimento che li condanna al perenne sfruttamento, al sacrificio di ogni energia e della vita, ad una sopravvivenza di miseria e di fame. Le esigenze del capitalismo piegano e brutalizzano ogni lavoratore a tal punto da trasformarlo in un’arma contro se stesso, tanto in pace come in guerra.

Il regime borghese, democratico o apertamente totalitario, difende il capitalismo nella sua struttura economica e sociale, al di là della forma politica eretta sulle sue basi e nei diversi paesi. Ma la democrazia si dimostra ancora la forma più efficace di difesa della classe borghese e della sua reale dittatura di classe, perché illude i proletari di rappresentare un bene al di sopra delle classi, al di sopra di ogni contrasto sociale, e con cui è possibile negoziare, individuo per individuo, le proprie esigenze e quelle di tutti gli altri. 

La democrazia borghese non è altro che un velo dietro il quale si nasconde la più spietata dittatura della classe borghese, contro la quale può essere opposta soltanto la dittatura della classe proletaria, guidata ed esercitata, a livello internazionale, dal suo partito di classe.

Il cammino della lotta rivoluzionaria è arduo e lungo, ma è l’unico su cui la classe proletaria può attuare un cambiamento sociale totale: spezzare le catene perché c’è un mondo da conquistare!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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