Primo Maggio

Una giornata di lotta proletaria che potrà rivivere soltanto tornando a battersi sul terreno dell’antagonismo di classe e in difesa esclusivamente degli interessi di classe proletari!

 

(«il proletario»; N° 12; Supplemento a «il comunista» N. 158 - Aprile 2019)

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PROLETARI!

 

Il Primo Maggio, grazie all’opera pluridecennale dell’opportunismo piccoloborghese, si è svuotato completamente del significato proletario e di battaglia che il proletariato rivoluzionario dei primi del Novecento gli aveva impresso sull’onda di gloriose e tenaci lotte contro il capitalismo e contro ogni borghesia dominante.

Il Primo Maggio è stato trasformato, ormai da molto tempo, in un giorno di festa, come una qualunque domenica. L’unico piccolo vantaggio, per i proletari che non fanno i turni e che non sono obbligati a lavorare dalle aziende che li sfruttano o per necessità di pura sopravvivenza, è che è un giorno in cui non si va a lavorare sotto padrone. Da anni, la manifestazioni organizzate dai sindacati collaborazionisti sono soltanto inutili e impotenti processioni in cui si alzano inni al diritto al lavoro – diritto sistematicamente calpestato – e alla pace sociale – che fa comodo solo ai capitalisti perché significa sfruttare la forza lavoro salariata senza alcuna resistenza da parte sua.

La classe borghese dominante, con l’attiva collaborazione delle associazioni piccoloborghesi, dei partiti opportunisti e dei sindacati collaborazionisti, celebra così, ogni anno, non solo la sottomissione del proletariato al suo dominio e alle esigenze del capitalismo, ma anche la partecipazione degli schiavi salariati alla festa del Capitale! Il Primo Maggio, in realtà, da giornata di lotta di tutti i proletari che si ritrovano uniti su un unico fronte di classe è stata trasformata in una giornata di festa per il Capitale, proprio perché i proletari, invece di rifiutare il sostegno all’economia aziendale e nazionale attraverso le riforme e la collaborazione alla maggiore produttività e competitività, si sono piegati alle esigenze dell’economia capitalistica e della società borghese eretta su di essa.

La borghesia ha continuamente propagandato l’idea che il modo di produzione capitalistico è l’unico sistema economico in grado di soddisfare i bisogni di tutti gli abitanti della terra. Per la borghesia, infatti, la società attuale rappresenta la civiltà, il meglio a cui l’uomo possa aspirare, il progresso che si sviluppa sempre più in tutti i campi della scienza e della tecnica dopo aver superato l’oscurantismo, le violenze e l’arretratezza del medioevo. Con la democrazia, la borghesia dominante si vanta di aver trovato il metodo di governo in grado di risolvere le contraddizioni generate dalla sua stessa società. Per i borghesi, col capitalismo la storia delle società umane ha raggiunto il suo sbocco finale e l’unica cosa che resta da fare è “migliorare” tutti gli aspetti che non vanno, tutte le diseguaglianze che si sono formate e tutti i contrasti, anche violenti, che esplodono di volta in volta, come se queste diseguaglianze e questi contrasti violenti fossero risultati fatali di un funzionamento sociale non ancora messo in perfetto equilibrio.

La borghesia non ha problemi ad ammettere che esistono molti aspetti, sia economici che sociali, da “equilibrare”: le diseguaglianze, le dispartità, le distanze siderali tra ricchi e poveri, la concorrenza sfrenata a livello globale, le crisi con conseguenze pesanti per tutti coloro che vengono licenziati o che non vengono assunti, per i disoccupati, per i giovani, per le masse impoverite dei paesi più poveri e capitalisticamente più arretrati. Tutte cose che, secondo la classe dominante, possono essere sanate, con l’ausilio di buona volontà e di buone riforme. Se, da un lato, esistono capitalisti e capi politici scellerati e malavitosi che approfittano della loro posizione per sfruttare, per rubare, per arricchirsi sulle spalle della popolazione, per seminare odio e violenza, dall’altro, esistono capitalisti e capi politici più illuminati, democratici e di animo gentile che cercano di alleviare le sofferenze della povera gente con leggi e riforme pensate per andarle incontro, e che tentano di vincere l’odio e la violenza con appelli alla civiltà e alla pace, all’umanitarismo e alla fede religiosa. Ai capitalisti e ai politici corrotti e criminali fanno da contraltare i capitalisti e i politici corretti, rispettosi delle leggi e che si adoperano perché ai poveri, ai lavoratori salariati, ai disoccupati, ai migranti sia dato almeno il minimo indispensabile per sopravvivere.

La collaborazione di classe che i borghesi chiedono, e in un certo senso pretendono, dai proletari, dovrebbe appunto servire perché i capitalisti e i politici rispettosi delle leggi abbiano successo, riuscendo così a sconfiggere la criminalità, la corruzione, il malaffare, l’odio e ogni tipo di violenza.

Ma la violenza economica, sociale, politica e militare è congenita con la società borghese, perché essa è una società nata dalla violenza con cui ha combattuto contro la società feudale formando una nuova società divisa in classi antagoniste. L’antagonismo di classe non cade dal cielo, non è il risultato di una “scelta” individuale, ma fonda le sue radici nello stesso sviluppo del modo di produzione capitalistico che si basa sulla proprietà privata e sull’appropriazione privata del prodotto sociale, a partire dall’espropriazione violenta delle terre e delle botteghe artigianali trasformando la gran massa di contadini e di piccoli artigiani in proletari, cioè in forza lavoro senza riserve, costretta a vendersi ai capitalisti per poter sopravvivere. I rapporti di produzione e di proprietà borghesi che si sono radicati nella società con lo sviluppo del capitalismo non sono mai fondamentalmente cambiati da quando il capitalismo si è imposto ai modi di produzione precedenti. Ciò che è cambiato, con lo sviluppo del capitalismo, è l’estensione a tutto il mondo delle sue leggi economiche e sociali da quando il suo sistema si impose a partire dall’Inghilterra e dalla Francia.

La gran parte della popolazione mondiale non è fatta da proprietari terrieri e da capitalisti dell’industria, del commercio e della finanza, ma da proletari e da contadini poveri. La minoranza di capitalisti domina, opprimendola, sulla stragrande maggioranza degli sfruttati di tutto il mondo. L’antagonismo di classe fra borghesi e proletari è una realtà che le leggi del capitalismo non poteva, non può e non potrà mai superare. Gli interessi della borghesia coincidono con lo sfruttamento del lavoro salariato e col mantenimento dei lavoratori salariati nella loro condizione di sfruttati perenni; gli interessi del proletariato, la vera forza lavoro che produce la ricchezza sociale generale, sono in netto contrasto con quelli borghesi perché coincidono con il superamento della condizione di sfruttati perenni, quindi con la propria liberazione da questa schiavitù.

Ed è proprio riconoscendo questo antagonismo che il proletariato, nel corso dello sviluppo del suo movimento di classe, ha spinto la sua lotta, dal terreno della difesa immediata delle sue condizioni di vita e di lavoro al terreno più ampio, politico, per il rivoluzionamento delle condizioni generali di vita e di lavoro, allo scopo di eliminare dalla società le condizioni dello sfruttamento capitalistico per sostituirle con condizioni di vita e di lavoro liberate da ogni tipo di oppressione e di costrizione schiavista. I moti, le rivolte, le lotte dure e violente con cui i proletari, nel corso della storia, hanno tentato di affermare i propri interessi contro gli interessi borghesi hanno raggiunto finora apici di grande importanza, come nel caso della Comune di Parigi del 1871 e della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, dimostrando la giustezza della teoria marxista secondo la quale il capitalismo, e quindi la società borghese, non è soltanto una società divisa in classi antagoniste – pur molto più sviluppata e progredita tecnicamente rispetto a tutte le società precedenti – ma è l’ultima società divisa in classi nel cui grembo sta nascendo una nuova società, la società senza classi, la società di specie.

 

PROLETARI!

 

La nascita della nuova società, che il marxismo ha chiamato comunismo, come ogni parto, non sarà indolore. Sarà il risultato di un processo rivoluzionario che vedrà i due principali antagonisti della società borghese, proletariato e borghesia, scontrarsi per la vita o per la morte. Ebbene, fu nella prospettiva di questa lotta storica, nella prospettiva della rivoluzione proletaria e comunista che nacque il Primo Maggio rosso, il primo maggio proletario!

La borghesia, con lo strapotere che ancora possiede, non ha paura delle proprie contraddizioni, delle proprie crisi, della diseguaglianze che genera continuamente. Non ha alcuna paura di scatenare una lotta di concorrenza in campo mondiale che provoca miseria e disastri in tanti paesi; non ha paura, quando la lotta di concorrenza si fa tesissima e non trova sbocchi, di scatenare guerre locali o guerre mondiali. E’ successo continuamente, e succede tutt’oggi. Non ha nemmeno paura del movimento operaio organizzato e delle sue lotte, anche molto dure, come è successo nel 1953 nei moti di Berlino, nel 1956 nei moti ungheresi, negli scioperi dei minatori americani o inglesi, nei grandi scioperi del ’68 in Francia, negli scioperi degli anni a cavallo del 1970 in Italia e in Germania, nel grande movimento di sciopero dei proletari polacchi del 1980; e tanto meno teme gli attentati dei gruppi di lotta armata dell’estrema sinistra in Italia, Francia, Germania,  Spagna. La borghesia non ha alcuna paura dei movimenti del fondamentalismo islamico che negli ultimi trent’anni hanno messo a dura prova le forze dell’ordine, i servizi segreti e gli eserciti anche dei paesi più potenti come gli Stati Uniti e la Russia. Questi movimenti o sono stati deviati e resi impotenti dall’opera capillare dell’opportunismo stalinista e socialdemocratico, illusi di poter favorire gli interessi proletari con le riforme borghesi, o sono semplicemente dei movimenti piccoloborghesi e borghesi che hanno cercato e cercano di inserirsi violentamente nella lotta di concorrenza tra i briganti più forti allo scopo di ritagliarsi una parte delle fonti di ricchezza capitalistica.

Ciò di cui la borghesia ha davvero paura è il risveglio di classe del proletariato. Il fatto, cioè, che i proletari tornino alle tradizioni rivoluzionarie di un tempo, che si organizzino indipendentemente dalle forze della conservazione sociale sia sul terreno economico immediato che sul terreno politico più generale; il fatto che i proletari ritrovino nella loro lotta l’unica vera arma con cui opporsi efficacemente alla concorrenza fra proletari che la borghesia alimenta sistematicamente: la solidarietà di classe!

Il Primo Maggio proletario è stato il simbolo di questa solidarietà di classe: in questa giornata i proletari di qualsiasi età, sesso, settore di lavoro, nazionalità, occupati e disoccupati, si univano in manifestazione rivendicando la stessa lotta contro i capitalisti, non importa se privati o pubblici, piccoli o grandi, rispettosi delle loro leggi o criminali. Oggi, grazie all’opera disfattista e corruttrice delle forze della conservazione sociale travestite da “forze lavoratrici”, siano sindacali o politiche, non solo il Primo Maggio, ma qualsiasi altra manifestazione “operaia”, sono state trasformate in un inno all’unione nazionale, alla collaborazione di classe: la festa del Lavoro è diventata la festa del Capitale!

Non è un caso che la classe borghese dominante spenda tante risorse e tante energie per illudere, ingannare, deviare la classe del proletariato: è soltanto da questa classe, dalla classe dei senza riserve e dei senza patria, che può emergere il vero pericolo storico del suo potere. Basta immaginare che cosa succederebbe se tutti i proletari, non solo di un settore economico, ma di tutti i settori e di tutta una nazione scendessero in sciopero generale, senza preavviso e senza limiti di tempo, determinati ad ottenere soddisfazione alle loro rivendicazioni anche soltanto elementari. Il sistema economico generale si fermerebbe, la macchina di produzione e riproduzione del capitale non girerebbe più a pieno ritmo, i profitti si inabisserebbero, una buona parte dei capitalisti nazionali sarebbe rovinata, l’economia nazionale entrerebbe in crisi profonda. La classe dominante borghese userebbe tutte le sue forze di repressione per riportare gli operai alla disciplina di fabbrica facendoli tornare al lavoro, scatenerebbe ogni sorta di ricatto nei loro confronti e chiederebbe aiuto alle borghesie degli altri paesi; anche i proletari degli altri paesi sarebbero chiamati, e spinti, alla solidarietà di classe, e l’antagonismo di classe si trasformerebbe in “guerra di classe”. La posta in gioco non sarebbero più le rivendicazioni economiche immediate, ma lo stesso potere politico: o potere borghese o potere proletario. Tutto questo può essere scambiato per un film, per un sogno, lontano mille miglia dalla realtà di oggi. Ma è un film che i borghesi hanno già visto nel 1871 a Parigi, durante la guerra tra Francia e Prussia, e nel 1917 in Russia, in piena guerra mondiale. Non è perciò una cosa così inverosimile... Allora c’era un movimento proletario in piedi, organizzato sul terreno di classe, c’era esperienza di lotte passate e movimenti e partiti politici operai influenti sulla classe proletaria. Sconfitto il movimento rivoluzionario proletario degli anni a cavallo del 1920, la controrivoluzione borghese e staliniana riportò il movimento proletario, non solo europeo ma mondiale, nell’alveo della collaborazione di classe che già il fascismo aveva sperimentato efficacemente.

Da allora, il proletariato è stato piegato, talvolta facilmente talvolta violentemente, ad ogni esigenza delle proprie borghesie nazionali, sia nella ricostruzione postbellica, sia nella lotta di concorrenza con le borghesie straniere, sia nelle imprese coloniali e nelle repressioni dei moti anticoloniali, sia nelle guerre guerreggiate in Corea, in Cambogia, in Vietnam, in Congo, in Centro America, in Angola e in Mozambico, in tutto il Medio Oriente, nel Corno d’Africa e nell’Africa sub-sahariana, nei Balcani, nel Caucaso, in Afghanistan, insomma in ogni parte del mondo dove i paesi imperialisti decidevano di dover difendere i propri briganteschi interessi.   

Non c’è dubbio che oggi, date le condizioni di asservimento di tutte le organizzazioni sindacali operaie e dei partiti cosiddetti “socialisti” o “comunisti” al potere borghese, il proletariato non è assolutamente nelle condizioni di scendere in lotta, spesso nemmeno per difendere le proprie condizioni elementari di vita e di lavoro.

Il lavoro del collaborazionismo politico e sindacale è stato davvero molto, molto efficace; i borghesi possono essere soddisfatti e sanno di poter contare su un’ampia schiera di lacché e sul loro lavoro di confusione, illusione, deviazione dei proletari affinché non imbocchino la via della lotta di classe.

 

PROLETARI!

 

Il Primo Maggio potrà tornare ad essere un appuntamento di lotta solidale dei proletari di ogni paese sul terreno della difesa immediata e delle rivendicazioni politiche classiste soltanto quando la lotta operaia parziale, di fabbrica, di settore, sarà condotta con metodi e mezzi classisti, quindi rompendo nettamente con le pratiche collaborazioniste e con le illusioni, inculcate dalle forze dell’opportunismo politico e sindacale, di potersi difendere efficamente coi mezzi offerti dalla borghesia: il dialogo, la trattativa, il negoziato sulla base della collaborazione fra le classi.

La pace sociale è un obiettivo importante per gli opportunisti, perché nella pace sociale essi, dispiegando le loro arti negoziali e di contrattazione, possono giustificare, ai proletari, la loro funzione di “delegati operai” presso i padroni e lo Stato e, ai borghesi, la loro funzione di pompieri presso i proletari. Dal punto di vista della lotta di classe, rompere la pace sociale non vuole dire soltanto esprimere la rabbia accumulata nel tempo per le conseguenze delle condizioni intollerabili di vita e di lavoro, esplodendo in atti di forza e respingendo con la propria violenza la violenza della repressione (padronale o statale, sempre violenza repressiva è), ma adottare sistematicamente metodi e mezzi di lotta coerenti con la difesa intransigente, ed esclusiva, degli interessi proletari contro gli interessi di tutte le altre classi sociali. Per arrivare a questo livello della lotta operaia è evidente che ci vogliono organizzazioni classiste, indipendenti dalle esigenze del padronato e del loro Stato, e in grado di durare nel tempo in modo da accumulare le più diverse esperienze di lotta e tirare le lezioni dalle sconfitte in modo da non partire ogni volta da zero. Ma per organizzarsi in modo indipendente da ogni forza e pratica opportunista e conservatrice bisogna cominciare col rifiutare le pratiche collaborazioniste, rigettare i metodi e i mezzi di lotta impotenti indicati dai sindacati collaborazionisti, unire dal basso le esigenze proletarie immediate e organizzarsi su piattaforme di lotta che le mettano come priorità. La riorganizzazione di classe non potrà mai vedere la luce se non parte dalle esigenze elementari di vita e di lavoro proletarie,  anche in modo parziale e locale, e se non resiste nel tempo anche di fronte agli insuccessi e alle sconfitte, nella consapevolezza che “l’unione fa la forza” solo se questa unione si basa sulla spinta materiale ad accettare una realtà che viene nascosta sistematicamente da borghesi e opportunisti: l’antagonismo di classe, un antagonismo su cui la classe borghese fonda le sue azioni contro il proletariato, anche quando le mimetizza sotto la veste degli interessi “comuni”.

La riorganizzazione di classe del proletariato dovrà contare soltanto sulle forze sane del proletariato e potrà contare sempre, in ogni circostanza degli alti e bassi della lotta, sul partito di classe, il partito comunista rivoluzionario perché è l’organo cosciente della lotta di classe del proletariato internazionale. La visione politica generale espressa dal partito di classe collega le lotte sul terreno immediato e le lotte politiche immediate del proletariato sia alle lotte proletarie e rivoluzionarie del passato, sia alle lotte proletarie future: essa è l’unico collegamento storico valido che il proletariato ha a disposizione come classe, e come classe rivoluzionaria in particolare, anche se per lunghi periodi di tempo rivoluzionaria ancora non è stata.

Lottare per la diminuzione drastica della giornata lavorativa; per l’aumento del salario; per il salario pieno ai licenziati, ai disoccupati e ai pensionati; per pari salario a pari mansioni sia per uomini che per donne, sia per lavoratori autoctoni che per lavoratori stranieri; per limiti consistenti ai ritmi di lavoro e all’accumulo di mansioni lavorative; per la difesa della salute negli ambienti di lavoro; contro la mancanza delle misure di sicurezza e contro la nocività: sono solo alcune delle rivendicazioni di carattere generale a cui sono interessati tutti i proletari, non importa se uomini o donne, a quale settore economico appartenga l’azienda in cui lavorano e di quale nazionalità siano.

Ogni rivendicazione, anche minima, non condivisibile con borghesi e piccoloborghesi e che vada contro la concorrenza fra proletari, è in realtà un punto a favore dell’unificazione di classe dei proletari, è un punto di forza in più per la lotta proletaria e un punto di forza in meno per il padronato e la borghesia. E tra i mezzi di lotta classisti non potranno mai mancare la dichiarazione di sciopero senza preavviso e ad oltranza, e le varie azioni considerate attuabili nelle situazioni date per la difesa dello sciopero e degli scioperanti contro azioni di crumiraggio e di repressione poliziesca. Naturalmente l’organizzazione proletaria di classe non accetterà mai che ne facciano parte se non proletari, lavoratori salariati puri, occupati o disoccupati, uomini o donne, autoctoni o stranieri, perché la compattezza di un’organizzazione di classe la si conquista se è e resta esclusivamente classista. Inoltre, mai e poi mai l’iscrizione e la partecipazione all’organizzazione di classe, per essere valide, devono sottoporsi al controllo economico e personale del padronato o dello Stato: indipendenza assoluta anche da questo punto di vista.

Far passare rivendicazioni di questo genere negli apparati sindacali collaborazionisti è praticamente impossibile. I sindacati collaborazionisti lo sono ormai diventati irreversibilmente. Ciò non vuol dire che i proletari combattivi, anche se non comunisti rivoluzionari, non possano far pressione sui sindacati ai quali sono iscritti perché la lotta di fabbrica prenda una direzione di classe e non opportunista. Resta comunque in piedi il problema della formazione di un associazionismo economico di segno esclusivamente proletario e di classe; i passi per arrivare a questo traguardo possono partire sia dall’esterno dei sindacati collaborazionisti che dal loro interno, ma in quest’ultimo caso soltanto attraverso una rottura con le pratiche collaborazioniste.

La strada per la ripresa della lotta di classe e per la riorganizzazione classista del proletariato è inevitabilmente lunga, difficile e piena di insidie. Può essere deviata sia coi mezzi tradizionali dell’opportunismo collaborazionista, sia attraverso movimenti sociali che emergono dal disagio generale che colpisce non soltanto il proletariato ma anche gli strati piccoloborghesi. E’ successo coi i movimenti del ’68, è successo con i movimenti antinucleari degli anni ’70, è successo con i movimenti femministi degli anni Settanta-Ottanta, è successo con i movimenti ambientalisti degli anni Novanta e può succedere oggi con l’appena nato movimento contro il cambiamento climatico. Tutti movimenti che, pur partendo da un disagio reale, economico, sociale, ambientale, tendono a rappresentare non interessi di classe, ma interessi “comuni” a tutte le classi senza mettere in discussione la struttura stessa della società capitalistica. Il meccanismo che scatta in questi movimenti è lo stesso meccanismo ideologico che pone la difesa della democrazia contro ogni totalitarismo, la difesa della pace contro ogni guerra, la difesa della civiltà contro ogni “inciviltà”, meccanismo che finisce prima o poi nella difesa della patria contro ogni “aggressore” giustificando così la guerra della propria classe dominante borghese.

La direzione che devono prendere la lotta proletaria e il movimento proletario è una direzione di classe, se non vogliono continuare a dipendere totalmente dall’ideologia borghese dominante e dalle esigenze economiche, sociali, politiche e militari della borghesia del proprio paese.

Il Manifesto di Marx-Engels del 1848 termina con un grido di battaglia per nulla generico o populista: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

 

Per un futuro Primo Maggio rosso!

Per la ripresa della lotta di classe in ogni paese!

Per la riorganizzazione di classe del proletariato di ogni paese!

Per il partito comunista rivoluzionario!   

 

26 aprile 2019

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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