Sul filo del tempo

Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria

(« Battaglia comunista », n° 11, 1-14 giugno 1950)

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Al fondamentale tema Il proletariato e la guerra sono dedicati 6 “fili del tempo” apparsi nell’allora giornale di partito “battaglia comunista” nei numeri dal 9 al 14 del 1950; i titoli sono: Socialismo e nazione; Guerra e rivoluzione; Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria; La guerra rivoluzionaria proletaria; Romanzo della guerra santa; Stato proletario e guerra. Tutti gli aspetti basilari della questione sono stati affrontati in questi “fili” e, rispetto alla situazione mondiale seguita alla grande crisi simultanea del capitalismo  mondiale del 1975, il partito decise di ripubblicarli raccogliendoli nel n. 3 (giugno 1978) dei Quaderni del Programma Comunista, spiegando, nell’introduzione, che in essi vi era sintetizzato in modo preciso «il giudizio che il marxismo dà delle guerre della borghesia e del suo atteggiamento di fronte alle innumerevoli “giustificazioni” di esse». «La loro attualità – continua l’introduzione – deriva dal fatto che, invece di lasciarsi abbacinare dall’oggi mutevole, sempre carico di allettamenti ingannatori, essi risalgono al filo rosso da cui il movimento marxista rivoluzionario si è fatto costantemente guidare in tutta la sua storia, qualunque voce si levasse a rinnegarlo; dal fatto, dunque, che si ricollegano a principi non mutevoli, i soli che, come tali, permettano di orientarsi negli alti e bassi, nelle avanzate e ritirate, nel va e vieni, della contingenza».

La crisi capitalistica del 1975 è stata seguita da altre crisi, alcune di portata inferiore altre di portata simile, e non è mancato lo scoppio di guerre ora in una zona ora in un’altra in cui i contrasti interimperialistici sfogavano le loro tensioni, senza che tutto ciò facesse irrompere sulla scena mondiale la ripresa, se non episodica e geograficamente limitata, della lotta di classe del proletariato e del suo sviluppo nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico. Non per questo il tema ha perso la sua importanza e la sua attualità, dato che la classe borghese fondamentalmente non ha cambiato atteggiamento e interessi: è sempre in lotta tra fazioni avversarie e sempre in lotta contro le borghesie straniere, come è sempre in lotta contro il proletariato in ogni paese; ciò non impedisce ad ogni borghesia nazionale di guazzare «nell’unico stagno ad essa congeniale, quello della democrazia, della nazione, della patria, dei valori morali e culturali della vecchia Europa borghese, non conoscendo altra bussola che quella dell’unità nazionale, dell’indipendenza nazionale, dell’economia nazionale, della democrazia una e trina». Arriverà il giorno in cui, addensandosi le minacce di una terza guerra mondiale, i proletari di tutti i paesi si sentiranno ripetere le fiabe con le quali i loro nonni e i loro padri sono stati spediti a sgozzarsi l’un l’altro. A quella contingenza suprema, contro le sirene democratico-patriottiche, fasciste o “socialiste”, potrà resistere «soltanto un nucleo compatto di proletari che abbiano assimilato in un lungo percorso i controveleni del marxismo e si siano organizzati intorno ad essi e al partito che li ha difesi e li difende per opporre al fronte della guerra il fronte della rivoluzione. Senza quest’opera preventiva, vano sarebbe attendersi “la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile”; sarebbe retorica vuota parlare di rivoluzione e dittatura proletarie; sarebbe sogno gratuito pensare al comunismo».

 

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Ieri

 

Concetto fondamentale: due tipi di guerre. Le guerre borghesi progressive, di sviluppo antifeudale, di liberazione nazionale; le guerre imperialiste. Data di separazione tra le due epoche di guerre: 1871; Comune di Parigi. Il movimento del proletariato mondiale si porta sul piano della Rivoluzione, rompe con la Nazione. Vogliamo sentire ripetere il concetto da Lenin? Sentiamo. Risoluzione dei bolscevichi all'estero, 4 maggio 1915.

"Una delle forme di mistificazione della classe operaia è il pacifismo, la predicazione astratta della pace. In regime capitalista, e soprattutto nella sua fase imperialista, le guerre sono inevitabili. D'altra parte i socialisti non possono negare l'importanza positiva delle guerre non imperialiste, come per esempio delle guerre condotte dal 1789 al 1871 per l'abolizione della oppressione nazionale e per mettere fine al frazionamento feudale con la creazione di Stati capitalistici nazionali, oppure delle possibili guerre per la difesa delle conquiste del proletariato vittorioso nella lotta contro la borghesia".

Dunque Lenin molto prima della Rivoluzione Russa, ai due tipi di guerre ne aggiunge un terzo, di cui ci dovremo occupare, quello di una guerra tra uno Stato in cui la rivoluzione proletaria ha vinto, e Stati in cui domina ancora il capitalismo.

Prima però non possiamo non completare la citazione, a vergogna di quel movimento che rinfaccia agli imperialisti di credere nella guerra, e imbonisce colla tesi della piena possibilità di pace, fermi restando i regimi politici di ogni paese, non solo tra le potenze del capitalismo imperialista, ma perfino tra queste e quella che si pretende sia un governo del proletariato.

"Oggi la propaganda per la pace, se non si accompagna all'appello all'azione rivoluzionaria delle masse, può soltanto seminare illusioni, corrompere il proletariato inculcandogli la fiducia nell'umanitarismo della borghesia e facendo di esso un trastullo nelle mani della diplomazia segreta dei paesi belligeranti. In particolare, è un grave errore l'idea della possibilità della cosiddetta pace democratica senza una serie di rivoluzioni".

Ed ora vediamo, con calma. Un richiamo sulla pretesa che la Prima guerra imperialista mondiale fosse una guerra del primo tipo, di liberazione. Poi un richiamo sulla pretesa che la Seconda recente guerra imperialista fosse una guerra di primo tipo, ossia di progresso e liberazione, ovvero di terzo tipo, in difesa di una rivoluzione proletaria. Infine il grave quesito storico: la possibile terza guerra sarà essa ancora e sempre del primo tipo, come pretenderanno i quacqueri ributtanti del gangster-capitalismo di America, o sarà del terzo tipo, come si dirà dal fronte avverso?

La rettifica della posizione storica proletaria nei tre tempi è inseparabile. Le inversioni, le contraddizioni e le capovolte storiche in tali impostazioni sono sintomo inconfondibile della peste, cui purtroppo non bastò il vaccino leninista: l'opportunismo, proprio di quelli che (Lenin, 1915) cercano di far credere che la guerra imperialista abbia un significato borghese progressivo di liberazione nazionale. La potenza della dialettica permette di definire nel 1915 le corna del 1945 ...

Scoppiò la polemica del 1914. I socialsciovinisti (valga uno per tutti, quel Paoloni che purtroppo in Italia monopolizzava per i socialdemocratici la propaganda detta spicciola, in realtà spendita di moneta falsa) leggevano il Manifesto dei Comunisti a questa maniera. Dice, sì, che i "proletari non hanno patria". Ma poi l'acquistano. Quando? Ecco il punto. Il testo dice, subito dopo, così: "Poiché il proletariato deve conquistarsi prima il dominio politico, costituirsi in nazione, è anch'esso nazionale benché certo non nel senso della borghesia". Ora, che dice il paolomussonennismo? Che questo trapasso avviene con la concessione degli istituti democratici, ossia con la rivoluzione liberale borghese! In Italia nel 1914 abbiamo uno Stato parlamentare? Eccome! Dunque il proletariato ha il "dominio politico", è già costituito in "classe nazionale", e quindi deve correre in guerra al servizio della borghesia!

Una lunga battaglia contro l'interventismo democratico, e per la dimostrazione che il proletariato non ha il dominio politico che quando ha distrutto quello del capitalismo, viene definitivamente vinta, Lenin adiuvante, quando si perviene a far rientrare nella testa di quelli che si credevano (taluni in buona fede) marxisti, che tale dominio si ha quando lo Stato borghese parlamentare è infranto dalla rivoluzione armata, e la dittatura operaia toglie il diritto di fiatare politicamente non solo ai borghesi, ma anche ai loro servi menscevichi e paolonisti. Non prima.

Nel 1914 solo le borghesie sono classe nazionale, e la guerra è guerra di predominio tra esse, solidali come classe, nemiche come nazioni. Invece le guerre del primo tipo leninista (1789-1871) servirono perché le borghesie potessero costituirsi in "classe nazionale" nei vari paesi. Questo fatto era per il marxismo "positivo". Non dimenticate: in questo processo progressivo e liberatore a fini borghesi, Marx, Engels, Lenin cento volte sottolineano la centralizzazione dei borghesi Stati nazionali sulle rovine del frazionamento feudale: anche lì, e da un secolo, in senso opposto ai federalismi piccolo-borghesi, utopisti, anarcoidi e irredentisti. Il marxismo spiega quelle guerre dialetticamente, i piccoli borghesi le apologizzano con le loro ideologiuzze letterarie e filistee.

Perché abbia pieno effetto la centralizzazione economica, occorre dunque la vittoria politica delle varie borghesie nazionali. Nei regimi feudali la borghesia non è una classe nazionale: in senso proprio, sotto il potere dell'aristocrazia non si hanno vere forme e valori nazionali, da una parte per le locali autonomie feudali, dall'altra per la ristrettezza estrema delle cerchie militari e burocratiche, mentre quella chiesastica è supernazionale.

Lo Stato nazionale e "popolare" nasce con la borghesia, con le sue pretese di rappresentare la libertà e le rivendicazioni di tutte le classi, per la necessità, nell'interesse del suo sviluppo economico e sociale, di "porre in moto" le grandi masse che deve dirigere e sfruttare.

Ma in classe nazionale la borghesia costituisce sé stessa, non i suoi schiavi salariati, e suoi soldati nelle guerre di liberazione. Seguendo la teoria della lotta di classe nel senso non di "Struve-Brentano" (ossia di quello che Lenin deride come marxismo liberale) ma come lotta per la dittatura, è bene che noi marxisti della Sinistra non dimentichiamo che i termini nazione, popolo, democrazia, tutti corrispondono alla collaborazione tra le classi sociali, ossia all'imprigionamento del proletariato dentro i limiti dello Stato capitalistico. Prima del 1848 in Germania e del 1917 in Russia aveva un preciso senso dialettico ed antiborghese il minacciare la borghesia, che non sapeva costituirsi in classe nazionale, di sostituirla anche in questo compito davanti alle ultime barriere feudali, prendendo in pugno la rivoluzione e la nazione. Nei paesi di capitalismo da tempo stabilito socialmente e politicamente, ove le classi povere generiche ormai non contano più dinanzi ai protagonisti della lotta: borghesia e proletariato salariato, non abbiamo più da andare verso la Nazione né con la borghesia né contro di essa, ma solo verso l'Internazionale.

Nel 1914 dunque, ed anni seguenti, convincemmo il bolso contradditore opportunista che la guerra non era da nessun lato progressiva, ma imperialista. Come si definisce il carattere dell'epoca imperialista? Può essersi questa chiusa, dopo Lenin, per aversi altre guerre di tipo progressivo? I liberali potrebbero sostenere questo, se loro ancor fiato rimane, e vantare contro di noi una vittoria scientifica, ma non lo può fare chi una tale vittoria non la vanti contro Marx e contro Lenin. La definizione è infatti la seguente (Antikautsky, autocitando da Imperialismo): "L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitali ha acquistato grande importanza, è cominciata la spartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i grandi paesi capitalistici".

Tra la prima e la seconda guerra mondiale tali caratteri si sono dilavati, o non piuttosto accentuati in maniera terrificante? Che cosa dunque poteva ricondurre la seconda guerra, impresa di preda attraverso oceani e continenti, a guerra di primo tipo, progressiva, liberatrice?!

L'opportunista, lo sciovinista 1939-45 è pronto a invocare l'alibi contro la storia. In Germania, in Italia, altrove, la conquistata democrazia parlamentare è stata oggetto di attentato, soppressa, conculcata. Quindi la santità della guerra per ripristinarla. Quindi la guerra non imperialista, ohibò, ma di primo tipo, giustamente combattuta dai progressisti e liberatori americani e inglesi!

Ora, nella analisi leninista, che cosa cambiava mai quel fatterello del fregato parlamento, della stuprata legalità? I caratteri economici e sociali no di certo, si è ora visto. Storicamente la borghesia era ed è rimasta "classe nazionale", anzi le forme nazional-sociali e di sindacalismo di Stato hanno accentuata la concentrazione. Le forme di oppressione e di polizia erano già dai marxisti pienamente previste, Lenin spiega il preteso legalitarismo di Engels in tarda età: tirate per primi, signori borghesi! ossia uscite dalla legalità, ne usciremo a nostra volta per la ribellione armata e la dittatura rossa! Questa dialettica consegna fu dai traditori invertita: uscite dalla vostra legalità, signori borghesi, e noi, fregati babbei, ci daremo tutti alla lotta per rimetterla in piedi!

Appunto perché tra le due guerre mondiali si sono avuti i sistemi tedesco ed italiano, ma in realtà universali, di serrato potere capitalistico moderno, la seconda è stata più imperialista della prima. Lenin sapeva anche questo: "La dittatura è violenza (corsivo suo) contro la borghesia; la necessità di questa violenza dipende in particolare, come hanno ripetutamente chiarito Marx ed Engels, dall'esistenza del militarismo e della burocrazia. Senonché proprio allora, negli anni Settanta, e proprio in Inghilterra e in America, questi istituti non esistevano! (Mentre oggi esistono sia in Inghilterra che in America)". Oggi, o bancarottieri della cronologia, e un oggi del 1918; non può avere la sfrontatezza di invocare questo e altri simili cardini del marxismo chi, nel 1942, ha finto di vedere imperialismo solo in Germania e in Italia, e progressismo in Occidente! Ma che tuttavia, nel 1940, aveva stretto la mano del primo!!!

Né basta. "Il capitalismo premonopolistico... di quel decennio si distingueva, specie in Inghilterra ed in America, in virtù dei suoi tratti economici essenziali, per un amore relativamente più grande della pace e della libertà". Lenin sottolinea lui, perché qualche idiota non creda che Engels e Marx abbiano creduto ai tratti psicologici o ideologici, che mancherebbero al "barbaro" tedesco (che è poi la stessa razza). Ma ora, cristo, sottolineeremo noi:

"L'imperialismo invece, cioè il capitalismo monopolistico giunto a definitiva maturità solo nel secolo XX, si distingue, in virtù dei suoi tratti economici essenziali, per un amore assai meno forte della pace e della libertà e per un maggiore e generalizzato sviluppo del militarismo".

Potranno mai i seguaci dello stalinismo scrollarsi di dosso la responsabilità di quattro, cinque anni di propaganda smaccata, che avallava il militarismo occidentale come campione della pace e della libertà? Può una simile politica, illimitatamente comune a quella dei liberali e democratici borghesi, essere difesa senza il rifiuto integrale della visione delle caratteristiche economiche e politiche del capitalismo del secolo ventesimo stabilita da Lenin?

 

Oggi

 

La illimitata identità della politica di guerra tra gli stalinisti e, poniamo, un Churchill o un De Gaulle o un Amendola e un Roosevelt (si rinnegano quelli non crepati) che tutti ricordiamo, in una linea comune tutta "antifeudalesimo", tutta "rivoluzione democratica", non toglierà a quelli la improntitudine del diversivo. Convinti di aver tentato di "girare all'indietro la ruota della storia" con la rivendicazione di un ritorno alla democrazia borghese, di un rinculo dal capitalismo imperiale a quello premonopolistico (ritorno che sul serio sarebbe tanto "reazionario" quanto nel secolo XIX un ritorno dal capitalismo liberale al feudalesimo) dicono di averla invece girata in avanti, ispirando la propaganda di guerra, sì, al liberalismo, ma solo in mala fede, perché lo scopo reale era di impedire la vittoria militare di quegli eserciti, che avrebbero invaso la Russia e distrutto il primo Stato operaio. Ciò valeva bene una serie di "messe" celebrate col rituale democratico, che essi, gli stalinisti, sanno quanto noi essere la massima tra le pensabili fesserie.

Questa recente e orrenda guerra, dunque, tutto vuole essere fuorché imperialismo capitalista. Vuole scappare dal proprio tempo, sfuggire alla propria storia, far passare per grimaldelli di ideologi smarriti le chiavi del determinismo economico che girarono tanto bene fra le mani di Marx e di Lenin. Se non si ammette che fu una campagna di sentimentali e generosi difensori della democrazia progressiva, a base di atomiche caramelle, allora pretende di assurgere la guerra rivoluzionaria del proletariato mondiale.

Questa seconda discriminante dello spaventoso massacro coinvolge una serie ardua di problemi storici. Assodata la natura capitalistica imperialista, in cui si assimilano, nei leninistici caratteri economici essenziali, al di sopra di quelli razziali e letterari, i vinti Stati di Berlino e Tokio coi vincitori di Londra e Washington, che finalmente sono chiamati fascisti sui fogli che hanno la ventura di essere mille volte più riprodotti di questo (noi non sappiamo insultarli peggio che coll'aggettivo borghesi), resta da classificare la potenza statale e militare di Mosca.

Resta da ricostruire la posizione dei regimi di proletariato vincente di fronte agli attacchi militari, negli esempi storici che sono a nostra disposizione. Il rapporto Comune di Parigi - esercito prussiano, mentre durava la guerra civile, è un primo esempio. Poi, la storia della Rivoluzione Russa. Subito dopo il febbraio 1917, in Russia e fuori, l'opportunismo vuole fare leva sulla caduta dello zarismo per trasformare la guerra dispotica in guerra democratica, e sorge la parola della difesa nazionale rivoluzionaria. Giunge Lenin con le sue storiche tesi d'Aprile, e la direttiva della liquidazione della guerra. Kautsky gli rinfaccia che i menscevichi volevano l'efficienza dell'esercito e i bolscevichi la sua disorganizzazione. Lenin ribatte: "La guerra imperialista non cessa d'essere imperialista quando i ciarlatani o i parolai o i filistei piccolo-borghesi lanciano una melliflua "parola d'ordine", ma solo quando la classe che conduce questa guerra imperialistica ed è legata con essa da milioni di fili (se non di cavi) economici, viene di fatto rovesciata e sostituita al potere dalla classe realmente rivoluzionaria, dal proletariato. Non c'è altro modo di uscire da una guerra imperialistica, o, anche, da una pace imperialistica di rapina". Corsivo al solito, nel testo.

Vinse il proletariato, ed ebbe l'esercito rosso, e guerreggiò. Ma le guerre 1918-1920 in Russia furono rivoluzionarie perché condotte contro i due campi dell'imperialismo borghese, alleati e tedeschi, anche mentre essi guerreggiavano tra loro.

Nella polemica con Kautsky risultò l'estrema vergogna centrista. La socialdemocrazia di estrema destra sposò, in Francia, come progressiva la causa dell'Intesa; nei paesi tedeschi, per lo stesso motivo, quella degli Imperi. Kautsky, ancora più gesuitico, trovò giusto che ovunque il proletariato appoggiasse in guerra la sua nazione. La Rivoluzione Russa, invece, lottò allo stesso tempo contro le due forze mondiali, non ne scelse nessuna, e vinse.

Quale rivoluzione, in un ventennio, fino alla politica di ammettere lo schieramento delle forze dello Stato e dei partiti "proletari" prima con uno, poi con l'altro dei campi controrivoluzionari imperialisti !

Classica, tormentata ombra del rinnegato Kautsky ! Saluto col pugno chiuso !

 


 

Nota:

Al fondamentale tema Il proletariato e la guerra sono dedicati 6 “fili del tempo” apparsi nell’allora giornale di partito “battaglia comunista” nei numeri dal 9 al 14 del 1950; i titoli sono:

- Socialismo e nazione - (« Battaglia comunista », n° 9, 4-18 maggio 1950)

- Guerra e rivoluzione - (« Battaglia comunista », n° 10, 18-31 maggio 1950)

- Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria - (« Battaglia comunista », n° 11, 1-14 giugno 1950)

- La guerra rivoluzionaria proletaria - (« Battaglia comunista », n° 12, 14-28 giugno 1950)

- Romanzo della guerra santa - (« Battaglia comunista », n° 13, 28 giugno - 12 luglio 1950)

- Stato proletario e guerra - (« Battaglia comunista », n° 14, 12-26 luglio 1950)

Tutti gli aspetti basilari della questione sono stati affrontati in questi “fili” e, rispetto alla situazione mondiale seguita alla grande crisi simultanea del capitalismo  mondiale del 1975, il partito decise di ripubblicarli raccogliendoli nel n. 3 (giugno 1978) dei Quaderni del Programma Comunista, spiegando, nell’introduzione, che in essi vi era sintetizzato in modo preciso «il giudizio che il marxismo dà delle guerre della borghesia e del suo atteggiamento di fronte alle innumerevoli “giustificazioni” di esse». «La loro attualità – continua l’introduzione – deriva dal fatto che, invece di lasciarsi abbacinare dall’oggi mutevole, sempre carico di allettamenti ingannatori, essi risalgono al filo rosso da cui il movimento marxista rivoluzionario si è fatto costantemente guidare in tutta la sua storia, qualunque voce si levasse a rinnegarlo; dal fatto, dunque, che si ricollegano a principi non mutevoli, i soli che, come tali, permettano di orientarsi negli alti e bassi, nelle avanzate e ritirate, nel va e vieni, della contingenza».

La crisi capitalistica del 1975 è stata seguita da altre crisi, alcune di portata inferiore altre di portata simile, e non è mancato lo scoppio di guerre ora in una zona ora in un’altra in cui i contrasti interimperialistici sfogavano le loro tensioni, senza che tutto ciò facesse irrompere sulla scena mondiale la ripresa, se non episodica e geograficamente limitata, della lotta di classe del proletariato e del suo sviluppo nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico. Non per questo il tema ha perso la sua importanza e la sua attualità, dato che la classe borghese fondamentalmente non ha cambiato atteggiamento e interessi: è sempre in lotta tra fazioni avversarie e sempre in lotta contro le borghesie straniere, come è sempre in lotta contro il proletariato in ogni paese; ciò non impedisce ad ogni borghesia nazionale di guazzare «nell’unico stagno ad essa congeniale, quello della democrazia, della nazione, della patria, dei valori morali e culturali della vecchia Europa borghese, non conoscendo altra bussola che quella dell’unità nazionale, dell’indipendenza nazionale, dell’economia nazionale, della democrazia una e trina». Arriverà il giorno in cui, addensandosi le minacce di una terza guerra mondiale, i proletari di tutti i paesi si sentiranno ripetere le fiabe con le quali i loro nonni e i loro padri sono stati spediti a sgozzarsi l’un l’altro. A quella contingenza suprema, contro le sirene democratico-patriottiche, fasciste o “socialiste”, potrà resistere «soltanto un nucleo compatto di proletari che abbiano assimilato in un lungo percorso i controveleni del marxismo e si siano organizzati intorno ad essi e al partito che li ha difesi e li difende per opporre al fronte della guerra il fronte della rivoluzione. Senza quest’opera preventiva, vano sarebbe attendersi “la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile”; sarebbe retorica vuota parlare di rivoluzione e dittatura proletarie; sarebbe sogno gratuito pensare al comunismo».

 

 

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