Sul filo del tempo

La guerra rivoluzionaria proletaria

(« Battaglia comunista », n° 12, 14-28 giugno 1950)

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Al fondamentale tema Il proletariato e la guerra sono dedicati 6 “fili del tempo” apparsi nell’allora giornale di partito “battaglia comunista” nei numeri dal 9 al 14 del 1950; i titoli sono: Socialismo e nazione; Guerra e rivoluzione; Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria; La guerra rivoluzionaria proletaria; Romanzo della guerra santa; Stato proletario e guerra. Tutti gli aspetti basilari della questione sono stati affrontati in questi “fili” e, rispetto alla situazione mondiale seguita alla grande crisi simultanea del capitalismo  mondiale del 1975, il partito decise di ripubblicarli raccogliendoli nel n. 3 (giugno 1978) dei Quaderni del Programma Comunista, spiegando, nell’introduzione, che in essi vi era sintetizzato in modo preciso «il giudizio che il marxismo dà delle guerre della borghesia e del suo atteggiamento di fronte alle innumerevoli “giustificazioni” di esse». «La loro attualità – continua l’introduzione – deriva dal fatto che, invece di lasciarsi abbacinare dall’oggi mutevole, sempre carico di allettamenti ingannatori, essi risalgono al filo rosso da cui il movimento marxista rivoluzionario si è fatto costantemente guidare in tutta la sua storia, qualunque voce si levasse a rinnegarlo; dal fatto, dunque, che si ricollegano a principi non mutevoli, i soli che, come tali, permettano di orientarsi negli alti e bassi, nelle avanzate e ritirate, nel va e vieni, della contingenza».

La crisi capitalistica del 1975 è stata seguita da altre crisi, alcune di portata inferiore altre di portata simile, e non è mancato lo scoppio di guerre ora in una zona ora in un’altra in cui i contrasti interimperialistici sfogavano le loro tensioni, senza che tutto ciò facesse irrompere sulla scena mondiale la ripresa, se non episodica e geograficamente limitata, della lotta di classe del proletariato e del suo sviluppo nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico. Non per questo il tema ha perso la sua importanza e la sua attualità, dato che la classe borghese fondamentalmente non ha cambiato atteggiamento e interessi: è sempre in lotta tra fazioni avversarie e sempre in lotta contro le borghesie straniere, come è sempre in lotta contro il proletariato in ogni paese; ciò non impedisce ad ogni borghesia nazionale di guazzare «nell’unico stagno ad essa congeniale, quello della democrazia, della nazione, della patria, dei valori morali e culturali della vecchia Europa borghese, non conoscendo altra bussola che quella dell’unità nazionale, dell’indipendenza nazionale, dell’economia nazionale, della democrazia una e trina». Arriverà il giorno in cui, addensandosi le minacce di una terza guerra mondiale, i proletari di tutti i paesi si sentiranno ripetere le fiabe con le quali i loro nonni e i loro padri sono stati spediti a sgozzarsi l’un l’altro. A quella contingenza suprema, contro le sirene democratico-patriottiche, fasciste o “socialiste”, potrà resistere «soltanto un nucleo compatto di proletari che abbiano assimilato in un lungo percorso i controveleni del marxismo e si siano organizzati intorno ad essi e al partito che li ha difesi e li difende per opporre al fronte della guerra il fronte della rivoluzione. Senza quest’opera preventiva, vano sarebbe attendersi “la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile”; sarebbe retorica vuota parlare di rivoluzione e dittatura proletarie; sarebbe sogno gratuito pensare al comunismo».

 

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Ieri

 

Alle rivoluzioni borghesi seguì un periodo storico di "guerre rivoluzionarie" borghesi. Nell'interno di ciascuna nazione, entro i confini di ciascuno Stato, la rivoluzione borghese venne da una lotta di classe e prese le forme violente di guerra di classe, di guerra civile, tra uomini dello stesso paese e della medesima lingua, che si battevano perché appartenenti a classi sociali opposte e per la conquista del potere. Ma è chiaro che, parlando di guerre rivoluzionarie borghesi, qui parliamo di vere e proprie guerre tra eserciti di Stati diversi, ognuno consolidato al potere nel suo paese.

Il marxismo ha trattato a fondo il periodo storico di queste guerre nei suoi aspetti complessi. Attraverso esso si completa nel quadro mondiale il trapasso dal potere e dai regimi feudali al generale dominio politico capitalista. Ma non si può ridurre la cosa agli schemi semplicistici cari alla letteratura. Il paese A, abbattendo il dispotismo feudale, ha fatto la grande rivoluzione democratica e liberale (borghese, diciamo noi marxisti). Nel paese B, i liberali, i patrioti, gemono ancora sotto il giogo dell'assolutismo: A forma un esercito e li va a liberare. Oppure: in B il potere feudale vede la mala parata, e non solo reprime il movimento dei suoi rivoluzionari interni, bensì fa lui una spedizione per spiantare la rivoluzione in A, e stare così più sicuro... Gli intrecci della storia sono stati molto più complessi. La stessa fase delle guerre imperialiste caratteristica del secolo attuale si origina con le grandi guerre commerciali del secolo diciottesimo che si frammischiano a quelle nazionali: "progressive" tutte, perché servono al diffondersi del capitalismo, cui sono buone tutte le posizioni letterarie: la pirateria corsaresca e la crociata di redenzione. La prima rivoluzione borghese è quella britannica, ma non si dà a guerre di diffusione della libertà, bensì a guerre di predominio, e persino contro la Francia, che la segue nella trasformazione sociale. Le stesse vittorie delle coalizioni feudali e delle Sante Alleanze, e le passeggere restaurazioni monarchiche e aristocratiche, si inseriscono nel quadro del dilagare del capitalismo in Europa e fuori; come le invasioni dei popoli nomadi nell'Impero di Roma accelerarono il formarsi degli Stati stabili e dell'economia del possesso terriero. Sono soprattutto i grandi rovesci delle armate che rompono i groppi dei vecchi aggregati sociali e statali, aprono sbocchi rivoluzionari e nuovi.

Tutto questo complesso periodo, che Lenin fissa tra le date 1792-1871, con i suoi flussi e riflussi storici, ci presenta l'insieme, storicamente chiuso, delle guerre "borghesi e nazionali progressive", cui i marxisti operanti nel secolo ventesimo non hanno più nessun debito storico da pagare, dopo i fiumi di sangue proletario che costarono, dalla Bastiglia al Palazzo d'Inverno.

Dai primi congressi internazionali del secolo presente, la guerra tra gli Stati capitalistici è vista dai marxisti non più come fase di sviluppo che deve compiersi con l'appoggio dei socialisti, ove che sia, ma come "occasione per abbattere il potere borghese con la guerra sociale delle classi".

Tradito da tanti lati questo concetto e questo impegno, Lenin martella e martella per rimetterlo in piedi, e con lui tutto il marxismo di sinistra.

La guerra è tutta imperialista; non ha lati ed aspetti progressivi; in tutti gli Stati se ne deve predicare il sabotaggio proletario "dietro il fronte". La più possente difesa di questa tesi storica, saldata al più vittorioso esempio, viene proprio dal solo paese che veramente aveva ancora bisogno di una fiammata progressiva. Il disfattismo della guerra russa zarista non conduce a benedire la guerra di Stati borghesi contro la Russia, da parte del partito proletario, come non vi avrebbe condotto se il nemico fosse stato non il Giappone (1905) o la Germania (1914), bensì la democratica Inghilterra, come nel 1912 poco mancò.

Tendendo dal primo giorno della guerra a far saltare Pietrogrado, portato non della sola dottrina rivoluzionaria ma della viva storia di soli tre anni dopo, Lenin non punta un copeco sulla bandiera degli eserciti che marciano contro quello di Nicola Romanov, e giorno per giorno, dal primo all'ultimo, nella dialettica della stessa battaglia, picchia il martello sui crani dei socialisti di guerra, abbiano essi appoggiato le armate franco-inglesi alleate dello Zar o quelle tedesche sue nemiche.

Proprio quindi dal settore del mondo moderno da cui poteva venire la richiesta e l'eccezione di ottenere ancora un rinvio, per gettarsi sul compito democratico progressivo e borghese della guerra che doveva liquidare l'ultima monarchia assoluta, viene la parola della fine storica delle guerre di progresso e di liberazione, della guerra imperialista generale, da convertirsi ovunque in guerra di classe operaia.

Dunque la guerra 1914-1918 non riuscì a passare per "guerra rivoluzionaria" nel senso storico della rivoluzione borghese, con l'ultimo motivo che poteva trovare, quello antirusso, invero alquanto meno sconcio di quello antitedesco.

Nel rapido volgere di pochi mesi la situazione fu terremotata, e a Mosca si succedettero un regime demoborghese e uno proletario, mentre la Guerra Mondiale durava. Era chiaro che da più parti si sarebbe invocato il mutato carattere storico della guerra. Si tentò di presentarla come guerra rivoluzionaria borghese; e poco dopo la storia poneva il problema della guerra "condotta da uno Stato del proletariato vittorioso", guerra non esclusa in principio dai marxisti non fabiani e non pacifisti, guerra deliberatamente ipotizzata da Lenin nel 1915, nel condannare alla vergogna il travisamento del carattere della guerra capitalistica fatto dai socialpatrioti dei vari paesi d'Europa.

Quando le prime notizie del febbraio 1917 giunsero, e si seppe che la rivoluzione divampava da Mosca e Leningrado a tutta la Russia, gli "esperti" di politica, che allignano in tutti i tempi e tengono lo stesso fetido stile, sorrisero con sufficienza. Lavoro delle ambasciate inglesi e francesi! Non avevate capito che lo Zar con la sua nobiltà reazionaria e la sua feroce polizia si preparavano a tradire la nostra grande guerra di libertà? A passare dal lato dei due similari despoti di Vienna e Berlino? Londra e Parigi hanno provveduto in tempo a riprendere il controllo della situazione, dell'esercito russo! Tutto spiegato, nel 1917, per quelli che ogni mese hanno una formula politica nuova, e che nel 1914 correvano, brache alla mano, a pregare le icone che l'esercito dello Zar, obbligando i tedeschi a rovesciare il fronte per salvare Berlino minacciata, consentisse la disperata difesa del baluardo di tutte le fistole democratiche, la Ville Lumière...

Non pochi tra i socialisti italiani, che erano stati trattenuti con fiero lavoro di briglia e talvolta di frusta dal deviare dalla linea antibellica, tentarono il diversivo: la guerra ha cambiato carattere! Due grandi fatti storici: da un lato a fianco dell'Intesa vi è la libera (ammazzala!) America, dall'altro ormai vi è una Russia moderna, civile, parlamentare: la guerra è tutta volta alla sconfitta di due reazionari imperi: come non aderire ad essa? Mentre noi socialisti rivoluzionari occidentali poco di più potevamo fare, che opporre seccamente a queste insidiose manovre il motto di Cambronne, ispiratoci soprattutto dalla decennale stima che avevamo sia della democrazia prosperante in America che di quella piagnucolante in Moscovia, Lenin in Aprile 1917 sbarca in Russia. Sbarca dal vagone piombato tedesco, e gli stessi esperti sentenziano: ecco la contromossa! Berlino mobilita abilmente l'estremista Lenin, coi suoi bolscevichi emigrati, per fregare Londra che ha mobilitato i moderati Lvov e Kerensky: la legazione tedesca di Berna ha contratto il patto, che libererà da un esercito nemico lo Stato Maggiore di Ludendorff. Ma non Ludendorff rise per ultimo, e gli esperti neppure.

Lenin. Tesi di Aprile 1917. Una tappa militare della Rivoluzione mondiale; uno dei suoi documenti lapidari.

Tesi prima. "Sotto il governo di Lvov e soci la guerra rimane incontestabilmente una guerra capitalistica di brigantaggio ... e non è ammissibile la benché minima concessione al difesismo rivoluzionario". Piglia e porta a casa. Quasi tutti nel partito bolscevico, pur opponendosi alla politica dei partiti borghesi, populisti, menscevichi, vedevano questa balla della difesa nazionale. Nelle tesi Lenin - altro che democrazia di partito - solo o quasi contro tutti dello stesso Comitato Centrale, serenamente, tranquillamente, inverte una serie storica di punti essenziali. Niente Repubblica Parlamentare, ma Repubblica dei Consigli operai. Nelle campagne, centro di gravità sui Soviet dei braccianti. (In Russia erano purtroppo statisticamente pochi i proprietari rurali, e si dovette in parte cedere ai socialisti rivoluzionari e ai soviet dei piccoli proprietari contadini: altro tema). Cambiamento del nome del partito (in comunista), e del programma su questi punti: imperialismo - quistione dello Stato. Rinnovamento dell'Internazionale.

Uno dei grandi sussulti del sottosuolo storico. La massa, i militanti, lo stesso organo gerarchico formalmente regolare del partito, vedono eseguono in ritardo. Non per miracolo o magia, la testa di uno ha formulato chiaro, sul filone purissimo della dottrina del partito di classe. Tanti altri hanno "votato" alla rovescia; non importa, ora si stropicciano gli occhi, e dicono fermamente: è così. Sciacquapiatti della democrazia rappresentativa: il nostro meccanismo è questo.

Ma in queste tesi - badiamo, per questo punto oltre che programmatiche, anche polemiche e propagandistiche, nel nostro senso e non in quello dei lanciatori di dentifrici, poiché Lenin raccomanda: cura pazienza e perseveranza nell'illuminare le masse su questo errore della guerra "per necessità, non per spirito di conquista" - Lenin fissa le condizioni per il "consenso" del proletariato ad una guerra "che giustifichi veramente il difesismo rivoluzionario". Sono queste: a) passaggio del potere al proletariato e agli strati più poveri della classe contadina; b) rinuncia a tutte le annessioni a fatti e non a parole; c) rottura completa a fatti, con tutti gli interessi del capitale (leggi: del capitale interno ed estero).

Poiché il regime che abbiamo in Russia nell'aprile 1917 non risponde a tali condizioni, la politica del partito bolscevico nella guerra sarà: organizzazione della più larga propaganda di queste vedute nell'esercito combattente. Fraternizzazione (nelle trincee, tra il proletariato soldato russo e quello tedesco, per sabotare entrambe le nemiche discipline di guerra). Il programma, se va al potere il proletariato: "Soppressione della polizia, dell'esercito e del corpo dei funzionari".

Fatta così giustizia della tesi che la guerra dell'Intesa dopo il febbraio 1917, per avere nelle sue file i Wilson e i Kerensky, fosse divenuta, da sporca guerra imperialistica, una "nobile" guerra di progresso, possiamo andare oltre. Oltre andarono il proletariato russo e il partito di Lenin, che attuando le "tesi" punto per punto, presero il potere, eliminarono la repubblica parlamentare, soppressero polizia, esercito burocrazia zarista-borghese. Questo avvenne in ottobre-novembre 1917, ma la guerra mondiale durò un anno ancora, e fu portata anche contro il nuovo Stato rivoluzionario russo, sovietico e bolscevico. Quali le lezioni di questa storica esperienza? Divenne la guerra imperialista, cui fu da Lenin strappata senza scampo la maschera di guerra "rivoluzionaria borghese", una guerra "rivoluzionaria proletaria"? Quali esempi di tali guerre ha dato la storia del movimento operaio internazionale?

Torneremo di un tratto indietro, all'uscita del periodo, tante volte ricordato, delle guerre nazionali. La Comune di Parigi, sorta nella "débâcle" dell'esercito di Bonaparte e nella catastrofe nazionale, sorta strappando il potere ai Ckheidze, ai Tsereteli di quel tempo, che tuttavia furono non guerristi ma "capitolardi", si trovò tra due forze nemiche: l'esercito francese di Versailles al servizio della borghesia, quello prussiano, appena oltre i forti di Parigi, su piede di armistizio. Bisognava dire: la guerra bonapartista non l'abbiamo voluta, la capitolazione di Thiers e della borghesia repubblicana nemmeno: faremo noi, proletari comunardi, la guerra rivoluzionaria per cacciare le divisioni di Moltke dal suolo francese? Marx ha fatto accenno a tale questione.

Vari furono i tentativi del governo di Thiers per ottenere che Bismarck prendesse su di sé l'espugnazione militare di Parigi e la repressione diretta dell'insurrezione. Per i suoi fini, Bismarck non credette farlo, ma pose tra le condizioni della pace e del ritiro delle truppe di occupazione la "pacificazione" di Parigi. La repubblica borghese fu costretta a fare questa sporca bisogna colle sue mani. I prigionieri comunardi che cadevano nelle mani dei versagliesi erano immediatamente massacrati; qualcuno che riusciva a varcare la doppia linea degli avamposti militari era dai prussiani catturato, ma risparmiato. Pagine indimenticabili per la loro forza rivoluzionaria sono quelle in cui Marx rivendica le ritorsioni dei comunardi, con la fucilazione di 64 ostaggi tra cui l'arcivescovo, e l'incendio dei palazzi borghesi dei boulevards, mentre i cannoni di Thiers demolivano le abitazioni operaie. I prussiani assistevano impassibili. Marx li bolla di vergogna. "Non vi era stato di guerra tra la Prussia e la Comune di Parigi. Al contrario, la Comune aveva accettato i preliminari di pace, e la Prussia aveva dichiarato la sua neutralità. La Prussia non era dunque parte belligerante. Essa faceva la parte del bravo, e di un bravo vile, perché aveva stipulato in anticipo il pagamento di 500 milioni, prezzo del sangue, alla caduta di Parigi". Su questi richiami storici, Marx pervenne allora a due conclusioni: lo sbocco dell'insurrezione proletaria non poteva essere una guerra di una Francia comunarda contro l'esercito prussiano, né la Comune doveva proclamarla - lo sbocco doveva uscire dalla guerra sociale senza quartiere tra borghesi di Versailles e proletari insorti di Parigi; caddero questi, perché tutti i governi della borghesia di tutte le bandiere si allearono nella controrivoluzione: e sempre, da allora, quando la rossa minaccia si leva, avvenne e avverrà questo.

 

Oggi

 

Il grande quesito odierno per la classe operaia mondiale, sulla prossima possibile guerra generale, consiste (al di sopra di tutte le ipocrite crociate per "impedirla", montate da tutte le forze che vi si preparano) nel sapere se si presenterà la possibilità di trasformarla in guerra di classe; o se si dovrà, una volta scoppiata, ascoltare qualcuno che dirà: ho fatto di tutto per scongiurarla, ora la devo combattere come una "guerra santa"; venite a combatterla con me! I qualcuni che parleranno in nome della santità di una causa dei "paesi liberi" e democraticamente regolati, contro quelli ove imperversano "la dittatura" e i "totalitarismi" giocheranno come "atout" formidabile l'effetto di tutta la corruzione subita dalle forze proletarie ad opera della ancora calda crociata antitedesca e nazionaliberazionesca, di tutta la revulsiva orgia di predicazione democratica e resistenziale, in cui lo stalinismo reggeva i catini del vomitorium borghese.

Gli altri qualcuni, che predicheranno la santità rivoluzionaria della difesa della Russia, pretenderanno invano di trovarsi nelle condizioni leniniste della difesa nazionale rivoluzionaria.

Contro questo nazionalismo, e militarismo a pretese rivoluzionarie, va apposta una valutazione di tutte le situazioni militari legate alla Russia, sia nell'anno ricordato tra la vittoria bolscevica e la fine della guerra del 1918, sia successivamente.

La risposta della dialettica marxista è questa: può essere che, nell'apparenza, la prossima guerra veda contro lo Stato russo una coalizione generale, e quindi sia molto meno evidente che nella Seconda Guerra Mondiale la trasgressione della "rottura", voluta dalle Tesi di Aprile, con tutti gli interessi del Capitale. Ma SE la Russia di oggi fosse un potere proletario, essa non si sarebbe potuta, nella Seconda Guerra, alleare strettamente e decisivamente con gli interessi del capitale inglese e americano, che ormai da due secoli non divergono di una linea dagli interessi del capitalismo mondiale, e della controrivoluzione.

 


 

Nota:

Al fondamentale tema Il proletariato e la guerra sono dedicati 6 “fili del tempo” apparsi nell’allora giornale di partito “battaglia comunista” nei numeri dal 9 al 14 del 1950; i titoli sono:

- Socialismo e nazione - (« Battaglia comunista », n° 9, 4-18 maggio 1950)

- Guerra e rivoluzione - (« Battaglia comunista », n° 10, 18-31 maggio 1950)

- Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria - (« Battaglia comunista », n° 11, 1-14 giugno 1950)

- La guerra rivoluzionaria proletaria - (« Battaglia comunista », n° 12, 14-28 giugno 1950)

- Romanzo della guerra santa - (« Battaglia comunista », n° 13, 28 giugno - 12 luglio 1950)

- Stato proletario e guerra - (« Battaglia comunista », n° 14, 12-26 luglio 1950)

Tutti gli aspetti basilari della questione sono stati affrontati in questi “fili” e, rispetto alla situazione mondiale seguita alla grande crisi simultanea del capitalismo  mondiale del 1975, il partito decise di ripubblicarli raccogliendoli nel n. 3 (giugno 1978) dei Quaderni del Programma Comunista, spiegando, nell’introduzione, che in essi vi era sintetizzato in modo preciso «il giudizio che il marxismo dà delle guerre della borghesia e del suo atteggiamento di fronte alle innumerevoli “giustificazioni” di esse». «La loro attualità – continua l’introduzione – deriva dal fatto che, invece di lasciarsi abbacinare dall’oggi mutevole, sempre carico di allettamenti ingannatori, essi risalgono al filo rosso da cui il movimento marxista rivoluzionario si è fatto costantemente guidare in tutta la sua storia, qualunque voce si levasse a rinnegarlo; dal fatto, dunque, che si ricollegano a principi non mutevoli, i soli che, come tali, permettano di orientarsi negli alti e bassi, nelle avanzate e ritirate, nel va e vieni, della contingenza».

La crisi capitalistica del 1975 è stata seguita da altre crisi, alcune di portata inferiore altre di portata simile, e non è mancato lo scoppio di guerre ora in una zona ora in un’altra in cui i contrasti interimperialistici sfogavano le loro tensioni, senza che tutto ciò facesse irrompere sulla scena mondiale la ripresa, se non episodica e geograficamente limitata, della lotta di classe del proletariato e del suo sviluppo nella lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico. Non per questo il tema ha perso la sua importanza e la sua attualità, dato che la classe borghese fondamentalmente non ha cambiato atteggiamento e interessi: è sempre in lotta tra fazioni avversarie e sempre in lotta contro le borghesie straniere, come è sempre in lotta contro il proletariato in ogni paese; ciò non impedisce ad ogni borghesia nazionale di guazzare «nell’unico stagno ad essa congeniale, quello della democrazia, della nazione, della patria, dei valori morali e culturali della vecchia Europa borghese, non conoscendo altra bussola che quella dell’unità nazionale, dell’indipendenza nazionale, dell’economia nazionale, della democrazia una e trina». Arriverà il giorno in cui, addensandosi le minacce di una terza guerra mondiale, i proletari di tutti i paesi si sentiranno ripetere le fiabe con le quali i loro nonni e i loro padri sono stati spediti a sgozzarsi l’un l’altro. A quella contingenza suprema, contro le sirene democratico-patriottiche, fasciste o “socialiste”, potrà resistere «soltanto un nucleo compatto di proletari che abbiano assimilato in un lungo percorso i controveleni del marxismo e si siano organizzati intorno ad essi e al partito che li ha difesi e li difende per opporre al fronte della guerra il fronte della rivoluzione. Senza quest’opera preventiva, vano sarebbe attendersi “la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile”; sarebbe retorica vuota parlare di rivoluzione e dittatura proletarie; sarebbe sogno gratuito pensare al comunismo».

 

 

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