Sul filo del tempo

Non potete fermarvi, solo la rivoluzione proletaria lo può, distruggendo il vostro potere

(« Battaglia comunista », n° 1, 4-18 gennaio 1951)

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Per ben due volte la massa umana è stata già scaraventata in una guerra mondiale col trionfo bestiale della storia del Lupo, della dottrina dell'Energumeno, della fandonia dell'Aggressore, della truffa sui Criminali di guerra. Per tutte due le volte, a corroboro di questo inganno colossale, di questo immenso imbroglio, ha campeggiato sullo sfondo della maturata attesa la leggenda più cretina: quella che ha fatto protagonista della salvezza generale la libera, civile e pacifica repubblica delle strisce e delle stelle.

La leggenda si accreditava e si accredita negli strati limacciosi del medio ceto e della piccola borghesia con mezzi a tutti evidenti, nei quali campeggia in pieno l'ipocrisia la viltà e il filisteismo di ingannati e ingannatori, di seduttori sguaiati e di ammiratori rimbambiti e flocculanti. Ma la stessa leggenda ha preteso, non senza vasti successi, di aver credito nelle file proletarie e nella posizione socialista. La prospera e benedetta repubblica faceva eccezione nella diagnosi e nella condanna della società capitalistica e degli Stati borghesi: lotta di classe, oppressione da un lato, miseria dall'altro, erano fenomeni limitati a questa vecchia Europa gonfia di pericoli "reazionari"; i socialisti di tipo corrente ne avrebbero volentieri eccettuato anche quella graziosa isola che sta oltre Manica, se quell'uomo impossibile di Marx non fosse stato così scorbutico da ricambiarne la liberale ospitalità scegliendola come oggetto per la descrizione del più feroce capitalismo. Ma l'America, l'America! Lì non avevano avuto medioevo, lì erano nati colla libertà e nella libertà e non potevano retrocedere tra le tenebre dell'oscurantismo, né scivolare nelle buche trabocchetto della "reazione in agguato"; non avevano avuto bisogno di una rivoluzione antifeudale, sostituita egregiamente da una semplice campagna venatoria su di una selvaggina bipede, estranea alla Genesi e alla redenzione del Cristo, ai lumi della Riforma come a quelli dell'Illuminismo filosofico.

Chiaro quindi: dialettica ed antagonismo delle classi, socialismo, rivoluzione proletaria, tutto questo armamentario europeo non vale per l'altro Mondo, per quello che sta oltre l'Atlantico; e se tra i nostri popoli e governi del mondo vecchio vi è sempre il pericolo che rigermini dal sottosuolo la peste medievale, e faccia sorgere aggressori, militaristi, tiranni e delinquenti bellici internazionali, in America invece il terreno stesso è immune da tali infezioni; è impensabile che oppressione sopraffazione e spirito di conquista possano allignare; l'America sta sempre dalla parte giusta, l'America non può schierarsi che per il diritto, l'America ha sempre ragione.

Ogni volta che l'agnello starà per finire tra le fauci del Lupo, occorrerà il poderoso cane da pastore transatlantico, che ha sì zanne più tremende di quelle del lupo, ma è vegetariano per tradizioni e per intenti.

Così per decenni e decenni i ruffiani. Vediamo le cose come stavano e stanno.

 

Ieri

 

Non ripeteremo la descrizione marxista del sorgere della economia capitalistica laddove le sue premesse tecniche e meccaniche trovano, non la vecchia impalcatura della società medievale ad economia naturale agraria, ma la terra vergine e libera davanti al passo del colono bianco, salvo la caccia all'occupatore aborigeno per sperderne la razza o schiavizzarlo. Origine diversa, sistema di arrivo identico; si tratti dell'Inghilterra, dove si è lottato in secoli di storia palmo a palmo e dove oggi abitano su un chilometro quadro trecento uomini, o degli Stati Uniti, dove si è installata in modo che appare pacifico socialmente una popolazione con la densità media quindici volte inferiore: venti per chilometro quadro.

Programma identico: abbattimento del sistema e del potere capitalistico.

Se dunque l'analisi del processo storico può avere diverse caratteristiche, una è la conclusione agli effetti del metodo e dei fini del movimento socialista.

Dall'opera principale di Marx si potrebbero citare innumerevoli riferimenti all'America, nelle successive fasi: schiavismo iniziale di tipo patriarcale, schiavismo sterminatore e negriero nel Sud, economia di piccoli proprietari coltivatori nel Nord, economia industriale nell'Est, suo rapido ciclo da un capitalismo a tipo coloniale ad una sempre maggiore autonomia: siamo oggi all'egemonia.

Un suggestivo riferimento alla bassa densità di popolazione è questo: "un paese, in cui la popolazione sia proporzionalmente disseminata, ha tuttavia, quando i suoi mezzi di comunicazione sono molto sviluppati, una popolazione più concentrata di quella di un paese più popoloso, i mezzi di comunicazione del quale siano meno facili. In questo senso gli Stati del Nord della Unione Americana hanno una popolazione ben più densa dell'India". Oggi la densità è in India quasi cento, ossia quintupla degli Stati Uniti, ma questi hanno i ricordati 27 chilometri di ferrovia ogni diecimila abitanti, l'India ne ha soli 1,6 ossia la quindicesima parte. Gli indici che stanno a base della valutazione marxista conducono a buone collimazioni: il capitalismo nato in Europa ha allignato più presto in quei tipi ti possedimenti coloniali poco popolati o occupati da popoli inorganizzati e facilmente sterminabili, che in quelli popolati ma di organizzazione antichissima con una propria civiltà, ossia un proprio modo di economia produttiva e gerarchica sociale. 150 milioni di statunitensi contano nella presente politica mondiale molto più di 400 milioni di indiani, per quanto i sedicenti rappresentanti di questi (sedicenti liberi dal giogo di 50 milioni di inglesi, ossia del decaduto capitalismo imperiale britannico) si provino a capolavori di doppio gioco e si atteggino a protagonisti di iniziative mediatrici alla scala mondiale...

Il vasto impiego per la produzione agraria negli Stati del Sud del lavoro degli schiavi negri in un primo tempo avviene, salvo i metodi di cattura, con una certa umanità. Scarseggiando il numero degli schiavi non è facile procurarsene in sostituzione di quelli che muoiono, e convengono i buoni trattamenti per un allevamento che consenta di avere giovane forza-lavoro dai figli degli schiavi adulti avuti da razzia od acquisto. Ne segue un tenore di vita patriarcale e lo schiavo fa parte della famiglia del padrone. Ma quando la carne nera comincia a sovrabbondare specie in alcuni Stati dell'Unione, e ne fioriscono veri mercati, la convenienza economica è di strappare allo schiavo il massimo di lavoro nel periodo più breve con basso nutrimento e vita media ridotta a meno di trent'anni: economisti e pastori yankees enunciano cinicamente tali norme. Nello stesso modo i fanciulli inglesi erano incarcerati quattordici ore nelle filature di cotone. Non si deve credere che le espressioni di Marx siano sempre aspre. Egli cita lo scespiriano Mercante di Venezia: "È la carne che io voglio, sta scritto così nel contratto". "Sì, il petto, esclama Shylock, la carta lo dice". E in una nota: "La natura del capitale rimane sempre la stessa, sia che le forme siano appena in germe, sia che risultino del tutto sviluppate. In un codice concesso al territorio del Nuovo Messico dai proprietari di schiavi, la vigilia della guerra civile americana si legge: l'operaio, in quanto il capitalista ha comprato la sua forza di lavoro, è il suo denaro (The labourer is the capitalist's money)".

Nella guerra civile degli Stati del Nord contro quelli del Sud per la abolizione della schiavitù si impone la forma capitalistica di produzione. In testi altra volta ricordati, come lo stesso indirizzo inaugurale della Prima Internazionale, viene chiaramente mostrato come i negrieri industriali non meritino apprezzamento migliore di quelli schiavisti.

Al tempo della prima edizione del Capitale, subito dopo quella guerra, il capitalismo faceva già nella Confederazione passi da gigante, ma si trattava ancora in larga parte di investimento europeo, soprattutto inglese. "Così accade ora (ossia, come è accaduto quando potenze capitalistiche ricche ma in via di decadimento di potenza prestavano alle nuove potenze nascenti il loro capitale) dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Parecchi capitali, che oggi fanno la loro apparizione negli Stati Uniti, senza regolare fede di nascita, non sono che il sangue degli operai di fabbrica ieri capitalizzato in Inghilterra".

Tuttavia, malgrado che la Guerra Americana di indipendenza sia della fine del diciottesimo secolo e abbia, secondo Marx, dato la sveglia alle rivoluzioni della borghesia nell'Europa continentale, nel 1867, dopo quasi un secolo di politica autonomia, l'America è nel senso marxista ancora una colonia economica europea. Ciò è ripetuto in due passi espliciti: per Marx economia coloniale è quella in cui la occupazione di terra "libera" è ancora possibile su larga scala, con assorbimento di massa di forza-lavoro che non è ancora forzata tutta a soggiacere alla schiavitù del salario industriale. In nota alla quarta edizione nel 1889 Engels notava: in seguito gli Stati Uniti sono diventati il secondo paese del mondo, senza avere per questo del tutto perduto il loro carattere coloniale. Nel 1912 l'editore Kautsky già poteva aggiungere: sono ormai il primo paese industriale; hanno tanto perduto il carattere di Colonia, che perseguono una politica di espansione coloniale.

La dottrina del presidente Monroe: Europa per suo conto, America per suo conto (gli toccherebbe una tessera staliniana alla memoria) significava battaglia per rompere gli ultimi rapporti coloniali passivi. Raggiungendo l'equilibrio, diventa battaglia per i rapporti coloniali attivi, come il termometro riscaldato non raggiunge lo zero che per superarlo.

Tornando alla redazione originale di Marx, la profonda analisi e la implacabile condanna non mancano di accompagnarsi alla pungente derisione. Il capitale cerca insaziabile mercati di braccia; il puritano Malthus invocava come rimedio alla miseria la depopolazione per astensione dal procreare; un economista borghese si esalta tanto agli effetti delle macchine che ne paragona l'effetto a quello di una sovrappopolazione. Più ingenuo ancora, Petty scrisse che la macchina "sostituisce la poligamia". Questo punto di vista, ride Marx, può valere tutt'al più per qualche parte degli Stati Uniti, con evidente allusione ai Mormoni del Lago Salato.

Ma è proprio l'ultima pagina del primo volume, tante volte citata, che colpisce in tutta la sua infamia la società borghese americana, coi suoi massimi di ipocrisia e di sfruttamento. È qui che è detto, come risposta lapidaria al vanto imbecille di non avere tradizioni di monarchia e di nobiltà, che effetto della guerra civile, col mettersi in moto della produzione capitalistica a passi da gigante, fu, in termini classici, "la nascita della più vile aristocrazia finanziaria".

La nostra antologia marxista sull'America ha però il suo brano più forte in quanto ha lasciato scritto Engels, nella prefazione del 18 marzo 1891 alle Guerre civili in Francia, quella che chiude con le parole: Osservate la Comune di Parigi! Essa era la dittatura del proletariato!

Engels non fa che riesporre la teoria centrale dello Stato.

"La società, per la tutela dei propri interessi comuni, si era provveduta di organi propri, originariamente col mezzo della semplice divisione del lavoro. Ma questi organi, alla cui testa era il potere dello Stato, si erano col tempo trasformati, nel servizio dei propri interessi speciali, da servitori della società in padroni della medesima. Ciò è evidente non solo nella monarchia ereditaria, ma anche nella repubblica democratica".

Engels passa ad un esempio della dottrina, e sembra proprio voler rispondere alla obiezione: questa funzione parassitaria e oppressiva dello Stato si spiega solo dove la moderna borghesia ne ha ereditato il meccanismo burocratico poliziesco e militare dagli antichi regimi feudali abbattuti. E quindi prende ad esempio uno Stato borghese nato "senza storia".

"In nessun luogo i 'politici' hanno costituito una suddivisione della nazione così spiccata e così potente come nel Nord d'America. Ognuno dei due grandi partiti, che si scambiano a vicenda il potere, viene alla sua volta governato da gente che della politica si crea un affare, che specula, tanto nelle assemblee legislative dell'Unione come in quelle dei singoli Stati, o che perlomeno vive dell'agitazione a pro del partito, e che dopo la vittoria di quest'ultimo viene compensata con un posto. È noto come gli americani tentano da trent'anni di scuotere questo giogo diventato intollerabile, e come a dispetto di ciò, affondano sempre più in questa palude di corruzione. È precisamente in America che noi possiamo vedere nel miglior modo come procede questa autonomia del potere dello Stato di fronte alla Società, della quale in origine non avrebbe dovuto essere che uno strumento. Qui non esistono dinastie, non nobiltà, non esercito permanente, all'infuori di un manipolo di uomini per la vigilanza degli indiani (Engels non poteva sapere che sono i suoi connazionali tedeschi di sessanta anni dopo... a fare gli indiani) nessuna burocrazia con impiego stabile e diritto a pensione (memento di questo passo: in otto parole contiene un volume). E con tutto questo noi abbiamo qui due grandi masnade di affaristi politici che alternativamente entrano in possesso del potere, e che depredano e fan bottino coi mezzi più corrotti e ai più corrotti scopi; e la nazione è impotente contro queste due grandi bande di politici, che apparentemente sono al suo servizio, in realtà la dominano e la saccheggiano".

Contro tutto ciò, dice Engels, la Comune applicò due mezzi infallibili. È altro argomento: i funzionari della Comune di Parigi caddero in un nembo di gloria servendo la Rivoluzione - quelli dello Stato sovietico hanno applicato questi mezzi: apologia ed alleanza.

Non abbiamo voluto aprire altra parentesi quando era detto che tutto si fa per il posto; ma si giudichi la efficacia della descrizione da questo episodio: la cosa più alta, dotta e filosofica che ha trovato da dire l'impiegato Harry Truman nella campagna elettorale è la seguente: se non mi eleggete dovrete trovarmi un altro job( Job significa impiego, posto, stipendio, e cerchia estrema dell'universo, in lingua nordamericana) e avrete un disoccupato in più!

Ecco dunque quale è il vero conto che il marxismo autentico fa del capitalismo americano, del potere di classe americano, che tiene sotto il "tallone di ferro" di Jack London lavoratori e figli di lavoratori di ogni razza e di ogni colore. È stato un tale giudizio mai revisionato?

Lenin, nell'Antikautsky, ben stabilisce di fronte alla tendenziosa tesi che la rivoluzione armata possa non essere inevitabilmente nelle nazioni borghesi senza militarismo e burocrazia, che oggi (1918) l'uno e l'altra in Inghilterra ed America esistono. L'Imperialismo è tutta una dimostrazione del fatto che il capitalismo americano si porta in prima linea sulla via del monopolio, dell'espansione, della lotta per la spartizione dell'intero mondo fra i trust industriali e le potenze imperialistiche. Tale processo ha già posto le sue piene premesse all'inizio del secolo: altro che tutela disinteressata della libertà ovunque nel mondo sia attaccata! Basti un solo passo: "Negli Stati Uniti la guerra imperialista del 1898 contro la Spagna suscitò l'opposizione degli 'antimperialisti', degli ultimi Mohicani della democrazia borghese. Essi chiamavano 'delittuosa' quella guerra, consideravano l'annessione di paesi stranieri una violazione della costituzione e dichiaravano 'inganno sciovinista' il trattamento fatto al capo degli indigeni delle Filippine, Aguinaldo, ribelle agli spagnoli, cui si promise la libertà del suo paese, mentre dopo lo sbarco di truppe americane le Filippine furono annesse. (Il primo dei partigiani fatto fesso, ci sia consentito interpolare). Ma tale critica rimase allo stato di pio desiderio poiché non osò riconoscere il legame indissolubile dell'imperialismo con i trust, e per conseguenza con le basi stesse del capitalismo, e non osò unirsi alle forze rivoluzionarie generate dal grande capitalismo stesso e dal suo sviluppo".

I marxisti sapevano tutto questo molto bene nel 1915. Sapevano dunque che pensare dell'intervento americano nella Prima Guerra Mondiale e della pretesa di Wilson di organizzare la democrazia internazionale e la pace, tappa evidente di tutta una marcia di espansione, di conquista e di aggressione imperiale che dura da mezzo secolo senza soste o rinunzie.

Parli un delegato al II Congresso di Mosca del 1920. "I dieci milioni di negri che abitano gli Stati Uniti sono oggetto di costanti misure di repressione e di ingiustificabili crudeltà. Sono fuori la legge comune dei bianchi, coi quali non li lasciano abitare o viaggiare. Dei linciaggi di negri aspersi di petrolio e bruciati vivi avete sentito dire... Se poi sono appiccati, si distribuiscono le loro spoglie come porta-fortuna". Segue altro delegato, nella stessa seduta del 26 luglio. "Non solo sono schiavi i negri ma anche i lavoratori stranieri e delle colonie... le atrocità che sono state consumate a danno dei coloniali non cedono in nulla a quelle cui sono oggetto i lavoratori stranieri. Ad esempio nel 1912 in uno sciopero dei minatori a Ludlow coll'impiego della forza armata si costrinsero i minatori a lasciare le case per vivere sotto le tende. Durante uno scontro degli uomini coi soldati, un altro reparto incendiò le tende: donne e bambini morirono a centinaia... Compito fondamentale della Internazionale Comunista e solo mezzo di assicurare la vittoria alla Rivoluzione mondiale è la distruzione dell'imperialismo statunitense".

Non ne sapevamo dunque abbastanza sui "particolari" caratteri del capitalismo d'America? Ecco il Manifesto finale del Secondo Congresso. Chi abbia firmato quel testo, e dopo apologizzato per cinque minuti l'America della leggenda, ha messo le corna al comunismo.

"Il programma di Monroe: l'America agli Americani, è stato rimpiazzato dal programma dell'imperialismo: il mondo intero agli Americani!... Gli Stati Uniti hanno voluto incatenare al loro carro trionfale i popoli dell'Europa e delle altre parti del mondo, assoggettandoli al governo di Washington. La Lega delle Nazioni non doveva insomma che essere una società mondiale di monopolio sotto la Ditta Yankee & C.".

 

Oggi

 

Con la più grande improntitudine il nostro borghese, vaticanesco o massonico che sia, ripete la sentenza di Turgot: "l'America è la speranza dell'umanità". Egli, come si rinfacciava trenta anni or sono al borghese francese che la ripeteva per bocca del rinnegato Millerand, lo fa nella speranza "che gli siano rimessi i suoi debiti, egli, che non li rimise mai a nessuno!".

Presidente, segreteria di stato, governo, parlamento, partiti e pubblica opinione (con licenza parlando) in America formano un complesso i cui bassi caratteri ci sono ben noti da tempo; ma invece di affermarne le vergogne tutti si abbassano ad uno strisciamento servile. Perfino gli scrittori fascisti, che ci riempirono i timpani di imprecazioni alla esosa plutocrazia americana e il giorno di Pearl Harbour delirarono di gioia, vantano oggi con sicumera la coscienza, la sensibilità del popolo e del pubblico di America alle sorti della libertà nel mondo e alla difesa dei deboli aggrediti, forza morale che guiderebbe le decisioni e l'energia di Truman e dei suoi diplomatici e generali. Quale bassa commedia!

Gli italiani che videro passarsi la guerra a pochi metri nelle caverne da trogloditi, italiani inermi e partigiani di nessuno, soprattutto di nessun regime italiano passato e presente, potettero con calma discorrere con soldati e ufficiali tedeschi prima, americani dopo. I primi facevano con fredda tecnica la loro azione di guerra, senza slancio né amore del rischio ma anche senza omissioni od errori. Quasi tutti non si ponevano il problema di perché eseguissero puntualmente le consegne, ma tenevano ad una convinta protesta: faccio la guerra, non ho in essa alcun personale interesse, non ci guadagno nulla. Sembravano ritenere indegno il fare un affare sulla guerra, non il guerreggiare.

Vennero gli americani, sicuri, convinti di portare la speranza del mondo. Perché facevano la guerra? O capperi, avevano loro stessi ordinato al loro governo che la facesse essendosi convinti che tale era l'interesse di ogni cittadino. "The President is my servant" o simile era la loro più comune frase. Il Presidente, i Ministri, i funzionari, i generali, sono i miei servitori, sono quelli che eseguono gli ordini del popolo e di me cittadino che voto e che "li pago"; colle tasse, dò loro la mesata che compete al loro "job". Erano dunque interessati alla guerra, o si sognavano di esserlo: in un paese in cui tutto è commercio e pubblicità commerciale e tutto si compra, a rate se occorre, anche la guerra si "ordina" e si paga la commissione: a rate, quando la spesa è troppo forte.

In ogni modo valeva la pena di pagarsi questa ultima guerra. Tolti di mezzo i tedeschi, popolo folle, popolo criminale, popolo che si permette di fare la guerra anche se convinto di rimetterci di tasca personale e senza avervi interesse, popolo che si penserà subito di sottoporre a cure e trattamenti opportuni per inoculargli la civiltà e la coscienza made in America, saremo tutti pacifici, liberi, e padroni del nostro destino; eleggeremo un comitato di nostri domestici che per una modesta mesata amministreranno su nostro mandato il governo del libero e pacifico mondo.

Non abbiamo avuto la ventura di stare all'addiaccio in un anfratto dei monti coreani per compulsare la filosofia della guerra di quelli che sono passati diretti al Sud e diretti al Nord. Probabilmente anch'essi diranno che credono di combattere l'ultima guerra, o almeno lo diranno i militi dell'O.N.U. a cui è spiegato che è sorto di tra le file degli alleati di ieri il nuovo Lupo, il nuovo Aggressore, il nuovo Criminale.

Truman parla e dice, annunziando quel po' po' di misure di forza: i capi dell'Unione Sovietica hanno creato il pericolo per la pace da noi voluta, hanno ordinata l'aggressione in Corea.

I portavoce del governo sovietico rispondono: siamo noi che facciamo il movimento per la pace, e i capi di Washington vogliono la guerra e si preparano ad attaccare. Entrambi si controffrono e contropongono una possibilità di intesa immediata e di convivenza permanente.

Se in questo dialogo si potesse inserire una voce, che rispondesse alle tradizioni del movimento comunista prima ricordate, trarrebbe da queste pochi e semplici corollari.

Truman da una parte e i capi dell'URSS dall'altra non hanno la possibilità di provocare la guerra o di impedire la guerra. Possiamo anche ammettere che Truman, Acheson, Eisenhower, Mac Arthur, o chi per essi personalmente non voglia che la guerra scoppi oggi o non trovi opportuno lavorare per affrettarla. Le loro intenzioni, anche se fossero altre, hanno scarsa importanza.

La oligarchia dell'alto capitalismo che essi rappresentano opera nell'economia, nella produzione, nella industria, nella finanza con una prassi che conduce alla guerra, poiché un diverso operare ne diminuirebbe i profitti e lederebbe gli interessi per vie diverse. Ma anche i membri di questa oligarchia, personalmente presi, non potrebbero anche volendo operare in modo radicalmente opposto, e anche se pensassero di conciliare la tutela dei loro interessi col rinvio o lo scongiuramento della guerra, arriverebbero alle stesse conseguenze.

Invece quindi della grossa balordaggine, di solo effetto pubblicistico e valevole a spostare un poco di rapporto di forze partigiane (se tante ve ne saranno domani in giro), di gridar loro, ai capi di governo e di affari: fermatevi in tempo, vivete, producete, guadagnate, ma non fate la guerra, ricordatevi che eravate la salvezza del mondo fino al 1945 e vedete di non atomizzarlo; andrebbe detto loro: meglio di voi sappiamo la strada vostra, alla oppressione imperiale sul mondo; voi, come classe, non potete fermarvi, solo la rivoluzione mondiale lo può, distruggendo il vostro potere: non vi rinunzia se siete in stato di pace, e, se vi sarà stato di guerra, cercherà le vie che questo possa presentare per affrettare il vostro crollo, e la vostra pace non sarà rimpianta.

Non vi ha, per il mondo proletario, altra via di salvezza.

 

 

Partito comunista internazionale

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